Solofra nella rivoluzione carbonara e nella reazione

 

Una dichiarazione importante:

 

Solofra una volta era il più ricco paese della Provincia per l’estesissimo commercio che vi fioriva in tutti i rami [...]; che con l’epoca fatale del 1799, che devastò tutto il Comune, e con la perdita in seguito di ducati 500mila di partite di arrendamenti e fiscali, coi beni assegnati ai Monteverginisti e quelli assegnati alla Mensa Arcivescovile di Salerno, era divenuto il paese più miserabile di quanti ne contava il Regno, a ristoro di tali sciagure e a compenso dei servizi resi alla Patria.

 

 

 

Gli uomini

Piemonte Giosuè

Farmacista, figlio di un giacobino della rivoluzione del 1799, accusato di diversi reati politici commessi negli anni 1815-1816 subì la reazione borbonica senza processo e senza giudizio.

Fu uno dei più accesi Carbonari della Vendita "I figli di Bradamante" ed ardente cospiratore. Fu tra coloro che il 3 luglio del 1820, in piena rivoluzione, dette l’ordine che ognuno dovesse correre alle armi, pena la fucilazione, permettendo agli armati di raggiungere a Montoro gli insorti contro il generale Colonna. Fu anche protagonista di scontri contro i gendarmi regi, arrivati a Solofra durante i giorni della rivoluzione.

Dopo il successo dei moti fece parte di una Delegazione inviata dai "Decurioni" (il governo solofrano) al Parlamento di Napoli, al Re e al Vicario, per spiegare il valido contributo dato da Solofra alla causa della Costituzione, a sottolineare lo zelo e l’energia dei Carbonari solofrani e chiedere aiuti per le famiglie dei Carbonari uccisi e l’istituzione di un Liceo e di un Tribunale.

Caduto il governo costituzionale il Pimonte si diede alla latitanza, ma fu preso e condannato al carcere. Prima fu portato all’isola di Ustica (15 marzo 1822), poi a Pantelleria dove rimase fino alla grazia del 18 dicembre del 1830.

Ritornò a Napoli a marzo del 1831, dove reclamò gli arretrati di un sussidio giornaliero spettante alla figlia, minore ed orfana di madre che gli fu negato. A questa ingiustizia replicò che un sovrano mai revoca i suoi decreti.

Nel 1837 incappò in altre imputazioni politiche e fu nuovamente imprigionato.

 

 

 

Giliberti Carmine Antonio

Fu un effervescente Gran Maestro di una Vendita carbonara, tra quei carbonari che alle falde della Laura opposero resistenza alle truppe del generale Campana.

Il Segretario Generale dell’Intendenza di Avellino, Giovan Battista Rega, dice di lui

fu spedito dal Popolo Carbonaro a conclamare con altri frenetici presso il Parlamento per provocare leggi sovversive.

Il Rega era molto contrariato dal fatto che il Giliberti aveva fatto parte della Deputazione Comunale delegata a spiegare alla Nazione, al Re, al Vicario la valida opera data dal popolo solofrano alla causa nazionale e a chiedere un Tribunale, un Liceo, una diminuzione delle innumerevoli gabelle come segnale della pubblica riconoscenza.

Restaurato il Governo assoluto, fu destituito dall’Ufficio di Direttore dell’Ospedale militare di Avellino e per evitare il giudizio, espatriò.

Al confine romano fu respinto e chiuso nella fortezza di Gaeta e dopo pochi giorni portato a Napoli ed internato nel monastero di San Francesco. Condannato all’ergastolo, rimase per tre anni in questo carcere.

Nel 1828 fu accusato di far parte della setta dei "Filadelfi" e stette in prigione in Avellino per parecchi mesi, dopo venne restituito a Solofra e sottoposto a sorveglianza.

Fu incolpato di aderire alla cosiddetta "Congiura del monaco" di frate Angelo Peluso che imitava la "Giovane Italia".

Solo il 20 settembre del 1836 venne prosciolto dalla vigilanza della Polizia.

 

 

Ripresa della propaganda carbonara

 

Setta degli Oppressi e non vinti.

 

Nuova setta chiamata Carboneria riformata ossia Gli oppressi e non vinti.

Era estesa ai due Principati.

Il capo era un sacerdote di S. Agata di Solofra, Carmine Antonio Giliberti che operava tra Solofra e Salerno dove esercitava le funzioni di Economo della Parrocchia di S. Trofimena.

Comprendeva circa 15mila Carbonari riformati.

Ogni affiliato aveva la facoltà di riformare altri 12, per semplice comunicazione orale.

La parola sacra era Onore e fermezza, e la parola semestrale Coraggio ed Ubbidienza.

Segni di riconoscimento erano un breve catechismo, un progetto di rivolta "appena avessero avuto il concorso di qualche po’ di truppa".

 

Scoperta e arresti

Nella primavera del 1827 la Polizia di Napoli vigilando sulle persone che più si erano agitate durante i nove mesi del governo costituzionale individuò alcuni che cercavano di far proseliti per questa nuova setta. Il 18 maggio del 1827 due infiltrati andarono a Salerno dall’Aciprete a cui prospettarono la preparazione di una truppa. Il Giliberti programmò l’invio di una persona di fiducia in Basilicata, dove "era maggiore fermento e maggior numero di proseliti" ed un’altra a Solofra, per informare un suo cugino. Diede anche notizie del giorno in cui sarebbe dovuta avvenire la rivolta: il 20 maggio quando la Russia avrebbe attaccato l’Austria e l’Europa sarebbe caduta nella rivolta.

 

In questa occasione il Giliberti biasimò il Re come colui che, negando la Costituzione, non aveva saputo comprendere i suoi interessi, disse che nel confessionale veniva a conoscere quanto generale fosse il malcontento, poiché finanche le donne gridavano: "schioppettate contro il governo e il Trono". Aggiunse che egli "aveva introdotta la riforma della Carboneria "a fine di attrarre il popolo con la tinta della novità", che essa si era diffusa in modo che al più piccolo segnale sarebbe divampata da per tutto senza che si temesse questa volta l’intervento austriaco".

 

I due infiltrati col Giliberti si recarono a Nola per incontrare altri liberali, dove ebbero assicurazione che tutti erano colà in attesa della rivolta e che allo scoppiare di questa, alla testa di una colonna mobile, avrebbero mostrato ciò che sapessero fare. L’Arciprete Giliberti poi comunicò che Avellino, Solofra, Materdomini, Nocera, Vallo e tutti i paesi a questi adiacenti erano con loro. A questo punto i settari ebbero il sentore che i due fossero degli infiltrati ma era troppo tardi perché gli elementi in mano alla Polizia erano tali da poter procedere alla cattura dei compromessi.

Il Giliberti fu arrestato il 17 giugno del 1827, portato a Napoli, la sua casa fu perquisita.

La Commissione per i reati di Stato l’11 giugno del 1828 dichiarò il sacerdote Giliberti Carmine Antonio del fu Liberato di anni 50 di S. Agata di Solofra ed altri,

colpevoli "di associazione costituente setta artatamente combinata per comunicazione ambulante, della quale egli era il capo e direttore" e lo condannò alla pena di morte col laccio sulle forche ed alla multa di mille ducati.

La pena fu poi commutata da re Francesco in ergastolo.

Lo stesso presentò al re due suppliche: una nel novembre del 1828, l’altra un mese dopo, nelle quali deplorava le miserevoli condizioni in cui versava. Diceva di essere "in un’indigenza positiva", che dormiva "su una lettiera con sozza giacitura". Ebbe un aiuto di 6 ducati. Poi partì per l’ergastolo di S. Stefano dove nel luglio del 1828, poiché il carcere era divenuto molto affollato, fu trasferito con altri sacerdoti al Bagno di Nisida. L’ergastolo poi fu tramutato in "carcere ai ferri".

Nel 1834 il Giliberti fu riabilitato alla celebrazione della Messa, nell’ottobre del 1841 fu graziato. Nel 1842, "quasi paralitico degli arti inferiori", venne rimpatriato ad Avellino e sottoposto a severa sorveglianza.

 

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La setta dei Filadelfi.

Nel 1828 in Napoli e nelle province limitrofe si scoprì un’altra setta Filadelfi che voleva dire amici dei fratelli. Anche questa fu portata dall’esercito francese, ebbe molti aderenti e riuscì per molto tempo a nascondersi.

Gli affiliati nel napoletano si proponevano di istituirvi la repubblica, la parte moderata una Costituzione simile a quella francese.

Usava la comunicazione ambulante tra i soci cioè da solo a solo senza designazione di luoghi di riunione, né date, né persone.

L’ammissione di un nuovo adepta avveniva con un rito molto complicato: doveva giurare "la distruzione dei despoti e la difesa del nuovo regime", non doveva dire mai il nome di chi l’aveva iniziato, né i segreti della setta, doveva firmare il giuramento col proprio sangue e poi bruciare il foglio. Erano vietati diplomi, adunanze, ed emblemi.

Si suddivideva in 10 gradi ognuno con un motto, la parola di soccorso era Eleusin, i segni di riconoscimento una mimica convenzionale e speciali movimenti dei piedi.

Trovò terreno favorevole in Salerno.

Nel 1828 quando un’aria di libertà cominciava ad alitare tra i popoli sembrò essere giunta l’ora attesa. La Francia, l’Inghilterra e la Russia sembrarono aver demolita la Santa Alleanza, i greci avevano avuto la libertà, molti emigrati cominciarono a ritornare per far insorgere la popolazione contro i Borboni. Si fece un ardito piano di rivolta che però miseramente naufragò mediante la delazione e la leggerezza di un affiliato che dette alla Polizia i fili della trama e la portò alla cattura dei capi. Si giunse a due processi ad arresti e condanne.

Un intenso lavoro portò alla scoperta di 45 liberali che furono assicurati alla giustizia.

Tra questi:

Nicola De Maio di S. Agata di Sotto, Serafino Aleide, Nunzio Galdi, Francesco Guarino, Carmine Giliberti, Domenico Pepe, Michelangelo Piemonte e Cesare Vaccaro di Solofra. Poi furono scarcerati e sottoposti a sorveglianza.

 

 

 

 

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Da V. Cannaviello, Gli Irpini nella rivoluzione del 1820 e nella reazione, Avellino, 1941.

 Solofra nel XIX secolo

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 I solofrani implicati nella rivoluzione del 1820 e nel giacobinismo irpino.

 

Aleide Serafino (Filadelfi)

D’ Arienzo Antonio Maria (S. Agata di Sotto)

De Maio Giovanni Andrea (S. Agata di Sotto)

De Maio Nicola (S. Agata di Sotto)

De Maio Nicolino (S. Agata di Sotto)

De Maio Pasquale (S. Agata di Sotto)

Ferrara Gabriele (Solofra)

Galdi Nunzio (Filadelfi . Solofra)

Garzilli Francesco (Solofra)

Garzilli Raffaele (Solofra)

Giannattasio Nicola (Solofra)

Giannattasio Raffaele (Solofra)

Giliberti Carmine (Solofra. Filadelfi)

Giliberti Carminantonio del fu Giustiniano (Solofra)

Giliberti Carmine Antonio del fu Liberatore (S. Agata di Sotto. "Oppressi e non vinti")

Giliberti Filippo (Solofra)

Giliberti Saverio (Solofra)

Giliberti Michelangelo (Solofra)

Grassi Lorenzo (S. Agata di Sotto)

Grassi Paolo (Solofra)

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Guarino Filippo (Solofra)

Guarino Francesco (Solofra)

Guarino Gregorio (Solofra)

Guarino Tommaso (Solofra)

Guarino Vincenzo (Solofra)

Landolfi Giovanni (Solofra)

Papa Donato (Solofra)

Pepe Domenico (Solofra. "Oppressi e non vinti").

Piemonte Giosuè del fu Modestino (Solofra)

Piemonte Michelangelo (Solofra)

Quaranta Giovanni (Solofra)

Saviano Gaetano (S. Agata di Sotto)

Solimene Maria Giuseppa (Solofra)

Vaccaro Cesare (Solofra. "Filadelfi").