La Concia a Solofra nel Cinquecento 

  

Ricostruzione di una conceria dalle descrizioni dei protocolli notarili

All’inizio del XVI secolo a Solofra c’erano sul territorio diverse apotheche de consaria lungo il Fiume, il vallone Cantarelle e a S. Agata, vari magazzini per gli ulteriori processi di concia tra cui la corredatura, l’ammorbidimento con sostanze grasse (sugna) ed anche odorose (amindolis) e la rifilatura. 

Prodotti che si commerciavano

coire pelose, barbare, per calzarelli, inpigna, levantesche, coire membrane (pergamene), suole, coiramine, scardose, vacche levantesche, di Sicilia, alessandrine, sardesche, pelli conciate in galla, de sommacco, de calce, de mirto in bianco.

 

Le arti legate alla pelle

arte de conciaria, de coraria, de mercanzia, de viaticaria, de fabricar calzarelli e scarpe, de far funi e cordoname, de corredare, de far auropelle, de far carte membrane, de vender lana, de far mortella, de far summacchi, de far ventresche e de salera.

 

Si era creato un polo di prodotti legati all’industria armentizia sostenuto da una viva realtà mercantile

 

 

Come veniva conciata la pelle

La pelle arrivava fresca o più spesso salata e secca. Veniva immersa in vasche in muratura, in genere seminterrate (cantari e calcinai) in cui subiva le operazioni della "riviera" (lavatura, rinverdimento, depilazione, scarnatura, purgatura) con acqua corrente o di calce (adacquare).

La concia vera e propria avveniva in vasche tonde o in botti semi-interrate e in genere di legno (tine, tenatori, caccavi), avevano vari stadi, poiché la pelle doveva venire a contatto con soluzioni ricche di tannino sempre maggiori, che la trasformavano in coiro e richiedevano un giornaliero rimescolamento delle stesse e tempi diversificati, fino a sei-otto mesi.

Il risultato della concia era diverso a seconda del tipo di pelle, della sua destinazione ed anche della colorazione, che in parte dipendeva dalla sostanza conciante usata, perciò sul mercato c’era una grande varietà di prodotto conciato, di prodotti concianti, persino pelli che venivano divise in parti dopo la riviera (le zampe, la testa, il dorso, la pancia) e conciate separatamente secondo l’uso a cui erano destinate.

L’ultima fase della concia era la corredatura che permetteva lo spostamento del lavoro in luoghi diversi dalla bottega vera e propria, quasi sempre nelle case di abitazione, nei bassi, nei magazzini (cellari), alla quale era addetta l’intera famiglia. Con essa la pelle subiva le operazioni di rifinitura tra cui un’ulteriore colorazione, in tine più piccole, l’asciugatura su telati ove era inchiodata molto tesa perché conservasse definitivamente la sua forma e il suo ammorbidimento con l’uso di sostanze grasse; infine c’era la rifilatura dei bordi con una forbice chiamata azzimatrice.

 

Vari tipi di concia 

 

La concia della suola ("alla fossa"), molto più lunga perché le pelli erano tenute nelle fosse coperte di tavole e pressate da pietre fino a due anni poi subivano una serie di martellature su blocchi di pietra, perché divenissero dure e compatte;

la concia grassa dove si usavano varie sostanze come la sugna e l’amindolis;

la concia della pergamena (carte membranare) che fu una specialità solofrana;

la concia del cordovano, dei russi, quella inpigna;

la concia degli intestini di alcuni animali usati per il battiloro (sthenteneriore).

 

 

 

Poiché nelle vasche di concia dovevano essere poste pelli dello stesso tipo, che richiedevano una stessa concia o colorazione, poiché il mercato non forniva un unico tipo di pelle, né una quantità adeguata, e dati i lunghi tempi di concia, avveniva che le vasche e le tine accogliessero le pelli appartenenti a più conciatori. Per questo motivo l’attività di concia era svolta in comune dalle famiglie di conciatori unite da legami familiari ed economici, e per questo in una stessa famiglia si trovavano più concerie, per questo c’erano più conciatori che usavano la stessa conceria, e conciatori che lavoravano le pelli appoggiandosi ora su questa ora su quella conceria, ed anche operai che usavano "per sé" la conceria del padrone.

 

 

Attrezzi.

Per queste attività si richiedevano particolari attrezzi (ajmenti e stilemi). Oltre alle vasche, a vari tipi di tinozze, ad una caldaia (caccavo) per l’acqua calda, c’erano vari tipi di coltelli, una speciale tenaglia, vari tipi di tavole di legno (tabula de reguliare), degli appoggi (cavalletti) e una speciale armatura alla quale venivano appese le pelli ad asciugare (astrachela e valera poi purgadera).

Importante era lo stenditoio (spanditoio) dove avvenivano le varie operazioni di asciugatura della pelle e dove, su di un tavolato, veniva stesa da asciugare la lana.

Altro elemento importante era la vasca o fossa per la calce (calcinaro) posta in genere all’aperto dove venivano sciolte le pietre di calce spenta che producevano il prodotto usato per la concia.

 

Solofra presenta, all’inizio del XVI secolo, un modello protoindustriale con una larga diffusione di attività svolte a domicilio e a carattere familiare con un lavoro non specializzato e con una manodopera non protetta, ed occupata anche in altre attività, per esempio quelle agrarie e pastorali, e con un ceto mercantile che anticipa i capitali ma non è distinto da quello rurale né da quello artigianale. 

 

Mappa degli argomenti sulla concia

 

Da M. De Maio, Solofra nel Mezzogiorno angioino-aragonese, Solofra, 2000

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I disegni, china su cartoncino, sono di Ernesto Prudente

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