Tradizioni religiose

 

IL CULTO MARIANO A SOLOFRA

 

Il culto alla Vergine a Solofra è di origine bizantina ed è più antico di quello a San Michele infatti nella pieve di S. Angelo e Santa Maria esso precedeva quello all’Arcangelo.

Nel tempo la fede mariana si estese e prese corpo nelle chiese della Madonna della Consolazione, del Soccorso, della Castelluccia, della Neve, del Popolo, degli Afflitti, di S. Maria di Loreto che furono di manifestazioni mariane diverse solo nella forma.

 

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Mese di maggio

La più importante espressione di fede mariana è la pratica del Mese di maggio.

In questo mese dedicato alla Madonna gli altari delle chiese si riempivano di rose colte nei giardini della zona.

Si aveva cura dei rosai durante l’inverno affinché a maggio potessero dare in abbondanza rose belle e profumate. Ogni giardino era impegnato per una chiesa, per un altare dedicato alla Madonna.

Nel sacro tempio, olezzante di primavera, si svolgeva all’imbrunire, il rito che consisteva nella recita del rosario, nella predica, nella benedizione, quando di sera non era ancora premessa la celebrazione della santa messa. Gli scanni erano zeppi di bambini, ragazze, donne, uomini. Intorno all’organo un coro di fanciulli intonava inni, cui rispondeva il folto gruppo di fedeli.

Le chiese, sempre gremite, facevano acquistare alla ricorrenza del mese mariano il significato di una antica festa di primavera.

Essa era anche l'occasione per trovarsi insieme sul sagrato o nelle piazzette antistanti, per giocare, i piccoli sotto gli occhi dei grandi, o scambiare qualche parola prima della cena, quando non c'era ancora l’uso del bar, del cinema, della macchina, del motorino, le lunghe serate dinanzi al televisore.

 

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Le Verginelle

Alla Madonna era dedicata anche una bella abitudine che nasceva da un’antichissima tradizione, in cui si possono chiaramente cogliere i segni di un rito pagano trasformatosi in cerimonia cristiana: la tradizione delle Verginelle.

Erano ragazze vestite di bianco che si recavano in occasione delle feste alla Madonna, nel sacro tempio, e, cantando una preghiera, deponevano un cero dinanzi all’altare della Vergine. Il canto conteneva un’invocazione per una santa maternità che le ragazze, in procinto di sposarsi, chiedevano alla Madre di Dio.

Come non cogliere in questo rito, che si è completamente perduto, un analogo rito di richiesta di fecondità che si faceva nel mondo pagano?

Le fanciulle, vestite di bianco, simbolo della verginità cantavano:

 

0 Regina facci grazie

o regina facci sante

Fammello tu o regina

cumme ti fece ’o Patreterno (ritornello)

Ti fece madre di Dio

voglio grazie da te

’o Maronna mia.

O regina ecc... (ritornello)

Ti fece mamma buona e pia

voglio grazie da te

’o maronna mia.

O regina ecc... (ritornello)

Ti fece mamma ’e nu bellu piccirillo

voglio grazie da te

’o maronna mia.

O regina ecc... (ritornello)

 

 

Nel canto le fedeli, in un linguaggio frammisto di dialetto, in nome della maternità, chiedono grazie alla Vergine. La ripetizione di molti termini e del ritornello sottolinea l’essenzialità della richiesta.

 

Le Verginelle

Per l’occasione c’era anche chi aveva in dono un corredo da sposa. Era scelta la ragazza più povera o che si era distinta.

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C’erano due maritagi annuali sorteggiati fra 6 ragazze oneste e povere l’8 maggio dopo il Vangelo durante la Messa solenne per la festività di San Michele istituiti da Lucrezia Juliano (detta Zeza) nel testamento del 1656.

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Una preghiera mariana della sera

 

Ecco una preghiera alla Madonna che il solofrano recitava la sera chiedendo aiuto e protezione non solo alla Vergine.

Più che una preghiera vera e propria è un insieme di tante invocazioni in una successione rapida simile alle formule di un esorcismo. Infatti non c'è il filo di un discorso logico, le invocazioni sembrano avere il solo compito di allontanare qualcosa di cui si ha paura.

La preghiera fa parte della tradizione orale perciò non è mai posseduta interamente. Ciò spiega la sua frammentarietà. Essa è stata il frutto di più ricerche poiché ogni individuo ne possedeva una parte.

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Nel rileggerla tutta insieme viene alla mente un’immagine portata dai ricordi dell’infanzia, dell’anziana nonna che preparava al sonno i nipotini recitando queste invocazioni, che non avevano mai lo stesso ordine. Esse cominciavano dinanzi al focolare, intorno al quale si era consumata la cena di una famiglia tutta unita. Era come la buona notte dei piccini ai grandi, che restavano desti ancora un po’; e, recitando, recitando, ci si avviava, attraverso le molte stanze della casa antica, verso la grande camera da letto, che riusciva a raccogliere tutti i piccini ma non a liberarli dalle paure serotine. Quelle giaculatorie, recitate dalla sola nonna, seguita dai nipotini sembravano difendere costoro dal profondo buio della grande casa e una volta sotto le coperte, come una ninna nanna amica, li liberavano dalle loro paure. Quella nonna anziana, vestita costantemente di nero fino ai piedi, recitava quelle invocazioni con una successione sempre più rapida fino alla giaculatoria intercalante che, fermando il ritmo, esprimeva la certezza di una gioia acquisita. Così che, mentre l’invocazione trasmetteva un inquietante senso di paura per i peccati, per il demonio, per la morte, da cui essa stessa doveva liberare il povero fedele, la successiva giaculatoria, come un ritornello infondeva fiducia nella liberazione dal terrore che prima aveva invaso l’animo. Questa preghiera, che quella nonna aveva imparato a sua volta dalla propria nonna, era cresciuta di bocca in bocca ed aveva vissuto nei secoli. Ora è raccolta da una nipote che, spinta da una forza interiore verso la difesa della tradizione, l’affida alle pagine di un libro che meglio può serbarla in un tempo in cui la tradizione orale, inesorabilmente soffocata, muore.

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Buona sera, Maronna mia,

tutto il mondo a voi s’inchina

per quel figlio che portaste

tutto il mondo rallegraste

rallegrate quest'anima mia

buona sera Maronna mia.

Mamma mia, Vergine mia,

io songo figlia toia

mitteme sott'o manto tuio,

liberami re’ peccati mortali,

dammi la santa benedizione.

Aggia murì non so come,

aggia murì non so dove.

Buona sera ecc...

Mamma mia, stu core e stu petto

nun trova ricetto pensanno a Gesù.

Viene la morte e mi trova in peccato mortale.

Che ne sarà di me?

Verginella quanto sei bella,

madre di Dio, innamorato della tua beltà.

Buona sera ecc...

Mi corco e faccio la croce,

chiamo Gesù ad alta voce,

mi risponde lu figliuolo di Maria

vi dono il cuore e l'anima mia.

St’anima mia è piena di peccati,

mamma Maria a te sia raccomandata.

Buona sera ecc...

Gesù, Giuseppe, sant’Anna e Maria,

vi dono il cuore e l'anima mia.

Chest’è la fossa e chist’è lu cupierchio

l’anima mia la ronco a Gesù Cristo.

Buona sera ecc. ...

San Francesco monaco e Gesù Cristo

accumpagna chest’anima

fino a che m’addurmisco.

Si lu demonio mi vene a tentà,

tu, San Francìsco mi puozzi aiutà.

ringrazio san Francesco,

l’abito vuosto l’aggio visto,

raccumannami cu Gesù Cristo.

Buona sera ecc. ...

Croce santa, croce degna,

tu m’impari, tu m’insegni:

insegnami ’a via ro Paraviso,

liberami ’e morte improvvisa.

In nome del Padre,a Maronna Addelurata

tre angeli, mi corco ca Maronna e Gesù Cristo.

Buona sera ecc. ...

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L’invocazione all’unico santo, Francesco, si spiega con l’esistenza a Solofra del Convento sul Vellizzano.

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Pellegrinaggio a Montevergine

 

Tra le tradizioni mariane c’è quella del pellegrinaggio a Montevergine, che fa parte di una più ampia costumanza che abbraccia una vasta area della Campania. La visita, a settembre, alla bruna Mamma schiavona era d’obbligo che si facesse a piedi partendo dalla stazione di Avellino, ed inerpicandosi lungo gli antichi percorsi fin sul santuario di Guglielmo da Vercelli, fermandosi alle cappelle - ricoveri di fortuna per consentire il riparo dalla pioggia o il riposo durante l’ascesa - e alla sedia della Madonna - pietra a forma di sedia ove la tradizione vuole che si fosse riposata la Madonna - .

Una volta in cima il pellegrino interpretava in pieno la sua parte consumando pasti frugali e dormendo in sale comuni. Non ci si dimenticava dei ricordini da portare a chi era rimasto a casa o da conservare come segno di fede.

La comitiva, poi, unita dal canto ridiscendeva il sacro monte. La canzone mariana solofrana era simile a quella di altri luoghi il cui ritornello diceva:

 

Simmo juto

e simo venuto

quante grazie

avimmo avuto.

 

C’erano comitive che partivano da Solofra con carri bardati di nastri multicolori e sacre immagini, cosa che aveva generato in loco il detto:

adda ’i a Muntevergine

(deve andare a Montevergine)

 

riferito a chi si agghindava troppo.

 

 

 

Le feste mariane

Il quindici agosto e la festa della Castelluccia

La festa della Madonna del Soccorso

La tradizione della Madonna della Consolazione

 

 

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