Tradizioni solofrane
Da Natale a Pasqua
IL NATALE
Il
periodo preparatorio al Natale a Solofra è sempre cominciato dopo l’Immacolata,
anche se si cominciava a parlarne dopo la festa dei morti e a Santa Caterina o a
S. Andrea. Nelle case si cominciava a preparare il presepe con i pastori di creta ed il muschio fresco, raccolto all’ombra dei secolari
castagni.
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Il
presepe nacque a Greccio ad opera
di San Francesco, ma già prima la
Chiesa soleva rievocare con immagini la scena della nascita
di Cristo rispondendo al bisogno concreto del popolo che vuol vedere tradotto
in immagini il racconto religioso. Nella tradizione napoletana, cui fa parte
quella solofrana, il presepe è largamente presente.
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Solo
di recente a questo elemento natalizio si è aggiunto
l’albero dei paesi nordici, favorito dall’uso dei doni, che si depongono ai suoi piedi e
si aprono nella notte di Natale. Ed anche di recente è
invalso l’uso di addobbare le case con rami di vischio e pungitopo con altri elementi decorativi.
Comincia,
poi, la Novena che fa parte della liturgia cattolica,
ma accanto ad essa c’è la novena degli zampognari, che vanno di casa in casa a portare con
i loro caratteristici strumenti una musica di Natale dinanzi al presepe.
Ma
la tradizione più natalizia, quella che dà un fascino tutto particolare alla
ricorrenza Natale, è l’uso del ceppo,
che fa configurare questa festa tutta trascorsa accanto al fuoco, quando i
grossi focolari delle cucine annerite erano come gli altari di un gran rito.
Sul piano di pietra bruciava un grosso tronco, che veniva
conservato per tempo, era messo a consumarsi lentamente nella Notte Santa.
Avrebbe dovuto durare nei giorni seguenti, accompagnato dal fiorire di tante
credenze. Esso comunque era il simbolo del Natale più
antico, quando la festa era tutta in casa, come pure predica il detto che la
nostra tradizione ha fatto suo:
Natale coi
tuoi
Grande
impegno si è sempre posto nel rispetto della tradizione culinaria, che si concretizza nel pranzo della
Vigilia e del giorno di Natale.
La Vigilia di Natale ha un andamento culinario tutto diverso
dalle altre vigilie, sia perché si mangia molto anche se di magro, sia perché
si usano pietanze che solo in quel giorno sono di casa
sulle tavole solofrane. A mezzogiorno i cavoli di Natale, cioè
la minestra nera, poi il baccalà con olive e sottaceti, tra cui la pepania, il caratteristico peperone tondo e
rosso, un piatto ricco e colorato, detto la caponata di Natale. Seguono mandarini, noci, nocciole,
mandorle e castagne. È un pranzo alla svelta poiché
alla sera ci sarà il cenone tutto di magro a base di pesce, che si
consuma sempre intorno ad una tavolata ricca di parenti. Ci sono dei
piatti-base, che non si possono sopprimere per tradizione, cioè per augurio, sono ammesse solo alcune varianti. Ci
sono, dunque, gli spaghetti
con le vongole, pesce
vario, fritto, arrosto o con il limone, ma non deve assolutamente mancare il capitone variamente cucinato. Tra le verdure,
tradizionali sono le scarole imbottite. Ci sono, poi i caratteristici dolci di Natale, dolci di zucchero, mostaccioli, roccocò, torroni...
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In
tutte le antiche religioni la grande festa dell’inizio
dell’anno era preceduta da un periodo più o meno lungo di astensione dai cibi e
di penitenza. Era una forma di eliminazione del male,
di purificazione totale affinché il periodo seguente sia prospero e felice.
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In
questo giorno, così ricco di elementi culinari
giganteggia il rito del capitone e delle anguille, veri elementi natalizi. Bisognava comprarli vivi di primo mattino con una ritualità
da farne un avvenimento. Giunto a casa il pesce, che, per la forma e il
guizzare vivo e frenetico, elettrizzava i bambini, veniva
messo in un capace recipiente con l’acqua poiché non doveva morire. E poi di pomeriggio iniziava la funzione dell’uccisione del
pesce vivo che acquistava le forme di un vero rito.
D’obbligo
l’attesa della mezzanotte per partecipare ai riti della Natività
E
giunge il giorno del Natale, quando la famiglia si ritrova, ancora unita,
intorno alla tavola riccamente imbandita con l’immancabile lasagna e poi il capretto, il cappone, con i bambini che recitano la poesia e i papà che leggono le
letterine di auguri nascoste sotto i piatti o nel
tovagliolo.
Da sottolineare il significato di aggregazione familiare che avevano queste riunioni intorno al
desco imbandito sia nel giorno della Vigilia che in quello di Natale fino al Gran cenone di San Silvestro.
In questo giorno ancora a tavola, la sera, ad aspettare il nuovo
anno. Questa
volta si mangia di grasso fino a quando si può sturare
lo spumante allo scoccare della mezzanotte. È questo il momento di sbarazzarsi
dei piatti vecchi, che si buttano dalla finestra insieme a tutti i guai che
sono accaduti durante l'anno e a quelli che potranno accadere.
I
primi momenti dei nuovo anno hanno qualcosa di magico,
poiché quello che avviene si farà tutto l’anno, dice una credenza, o è auspicio per ciò che avverrà. La cosa più
comune che fa il solofrano è accendere tanti fuochi d’artificio che rompono le
prime tenebre del nuovo anno.
In
un periodo in cui la tradizione impone tale consumismo ci vuole il portafogli
pieno, per cui chi non ha la possibilità di vivere in
pieno tutte le espressioni di questa festa se ne va a dormire o si accontentava di osservare come gli
altri si divertono, proprio come e canta la strofetta:
Mo vene Natale
Nun tengo renare
me fumo la pipa
e me vaco a curcà.
Ma quanno è a notte
e sparano ’e botte
me soso ro’ lietto
e me metto a sentì.
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Pone
fine al periodo natalizio ancora una festa di doni. Nei presepi i re Magi giungono alla grotta con i loro doni,
nelle case è una simpatica vecchietta che, calandosi dai camini, riempie le
calze appese ai focolari o alle spalliere dei letti, mentre si dorme con il
capo sotto le coperte quasi a proteggersi dall’evento magico che si prefigura.
Variamente
coloratasi attraverso il tempo, la festa di oggi ha
assunto connotazioni legati al presente, alla scomparsa dei camini, al non
essere più essa la sola dispensatrice di doni.
In
un tempo in cui non si avevano doni facilmente tutto era gradito, né c’era il
problema della scelta del giocattolo, che angustia tanti bambini di oggi, allora, la Befana aveva
il volto vero della sorpresa e il giocattolo accompagnava i giochi di
un intero anno. E quando quel lungo sogno
ineluttabilmente si dileguava, la bella favola continuava a dare la sua magia a
quel giorno, e i più grandicelli, sornioni, scovavano
ancora nel fondo di una calza, ai piedi del letto o su qualche mobile della
camera, un dono, quasi in un mutuo desiderio di non far morire il magico tempo
in cui si credeva ancora alla Befana.
Dice un proverbio anche qui
coniugato:
Quann’è epifania
tutt’e feste vanno via
Risponne Candelora:
"Ci song’io
ancora".
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Alla
tristezza per la fine del periodo di festa subentra l’attesa della festa successiva, in cui continuerà il rito propiziatorio.
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ALLE ORIGINI DELLA TRADIZIONE DEL NATALE, DEL
CARNEVALE E DELLA PASQUA
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Il
Natale, il Carnevale e la Pasqua hanno
peculiarità diverse dalle feste religiose che si sono andate sviluppando nei
secoli e che hanno preso corpo in seguito alla Riforma Cattolica, in virtù
della loro diversa origine. Essi devono ascriversi nel più ampio quadro delle feste annuali e stagionali dei riti pagani
di propiziazione e rinnovamento. Hanno, cioè, una preistoria, un
substrato che affonda le radici nei tempi bui della vita dei popoli. Analizzare
questo substrato significa comprendere le diverse forme con cui ciascuna si è
andata consolidando nel tempo. Bisogna considerare che il Cristianesimo si è innestato su una civiltà già esistente, che non fu
distrutta, ma solo modificata, in un processo che interessò entrambe le realtà,
in modo e con risultati diversi. Non si può quindi parlare correttamente di Natale, Carnevale e Feste
di Primavera o Pasqua senza tenere presente la precedente
realtà. Dire ad esempio che il Natale
ricorda la Nascita
di Cristo è uno scarno discorso religioso, e
pensare che questa festa sia, sic et simpliciter, nata come
festa cristiana ed analizzarla a livello sociale e storico come tale, è
scorretto se non impossibile. Si consideri che i popoli nel periodo primitivo
della loro esistenza erano intimamente legati al Ciclo della Natura, poiché da questo dipendeva la loro
stessa esistenza. Al centro c’era l’astro
che scandiva la giornata, che determinava il ciclo di fruttificazione, che condizionava tutta la vita
dell’uomo. Temere che quel sole non sorgesse più, vederlo d’inverno perdere forza, riducendo sempre più il suo corso nel cielo, era una esperienza tragica nella sua iteratività,
che doveva essere suffragata
con riti, che
avessero lo scopo di evitare
che il sole non sorgesse più o di aiutarlo nel momento di minor forza. Tutta la
vita naturale appariva d’altronde indecifrabile, incombente,
potente, espressione di forze da accattivarsi,
era, insomma, un mondo
magico e divino. Il Divino legato alla Natura, che non si conosceva, non è espressione
di negativamente pagano, non essendo altro che la mentalità di chi si sentiva parte di
quella Natura, ma in posizione di debolezza, per cui col
rito si doveva rendere
amica questa o quella
forza insita in essa. Dalla mentalità dell’uomo legato alla natura, nasce il valore dei riti che preparavano, aiutavano o seguivano il corso annuale
della Natura, in cui c’era un periodo di incubazione,
di sviluppo al di
sotto, nell'interno, ed un periodo di sviluppo al di sopra, fuori. I riti del Ciclo sotterraneo avevano appunto il significato di un andare a seguire lo sviluppo della vita nell'interno
della terra. S’innestavano in questo filone le feste di auspicio
e di propiziazione,
come i riti mitralici poiché bisognava aiutare le forze in sviluppo. C’erano, poi, i riti
della rinascita e del rinnovamento, poiché il processo naturale è un cambiamento
in meglio, di rigenerazione della vita della natura. Ma la rinascita non avveniva senza l’eliminazione del male,
di qui i riti di purificazione. A tutto questo processo naturale l’uomo
in seguito aggiunse il suo bisogno di rinnovarsi, che era legato
alla necessità di liberarsi da tutto il male accumulato durante l’anno, un
cambiare vita, per lo meno un illudersi di poter iniziare, con il nuovo ciclo
naturale, anche una vita nuova. Gradatamente si è
perduta l’essenzialità di questi momenti, poiché lo sviluppo storico ha dato
all’uomo il senso del distacco dalla Natura, di cui egli si sentirà sempre più
padrone, riuscendo a penetrarla in tutti i suoi recessi. Oggi necessariamente
si è persa la religiosità che caratterizzava le espressioni antiche, per cui è necessario con un processo a ritroso entrare in
quella mentalità per comprendere il significato di quei riti che costituiscono
le radici delle odierne manifestazioni rituali.
Nella
festa del Natale ha prevalso l’elemento religioso e
cristiano che esprime però una religiosità diversa, di
un Dio che esalta
l'uomo, il quale si
sente sì prodotto della Natura, ma diversificatosi dagli elementi naturali in
virtù di un processo di innalzamento verso le vette dello spirito. Nonostante
ciò nel Natale e nel Capodanno debbono potersi
individuare i segni della primitiva origine, dai riti di propiziazione. Nell’albero addobbato c’è l’uso pagano, presente nelle feste di
fine stagione o di fine anno, di auspicare una buona produzione riempiendo un ramo
o un albero di prodotti o di doni. La novena di Natale fa parte del presagio delle calende legato alla credenza, che, all’inizio di
un nuovo anno o di un nuovo ciclo produttivo, si possono trarre presagi per quel che succederà in seguito. Il digiuno prescritto nella vigilia, cosa
riscontrabile nelle feste d’inizio d’anno di tutte le antiche religioni, è una
forma di eliminazione del male e di purificazione totale, perché il periodo successivo sia
propizio e felice. Ancora più significativo è l’uso
del ceppo natalizio legato alla teoria solare, cioè del
fuoco che brucia nel giorno del solstizio d’inverno per aiutare il sole nel
periodo di minore forza. Frazer vede in questa
tradizione l’unione di due concetti insiti nel fuoco, che purifica e libera da tutto il male accumulato, proprio
come deve avvenire all’inizio di un nuovo ciclo, e del fuoco principio vitale. La tradizione cristiana vi ha
sostituito il concetto di Gesù, riscaldato dal ceppo ed
ha portato il fuoco nel camino, nell’interno della casa come fulcro della festa
familiare, laddove nelle feste pagane l’uso del fuoco
era pubblico. Nel folclore agricolo, poi, la frutta secca viene
mangiata con la persuasione di favorire la fecondità della terra. Infine il Capodanno era un giorno che aveva, come elemento
essenziale, profezie e
pronostici, che
rispondevano ad un bisogno molto radicato nell’animo umano, che neanche le
civiltà più progredite sono riuscite a far tacere. In quel giorno particolare
si credeva che agivano col massimo delle potenzialità forze del bene e del male e che l'uomo poteva allontanare le seconde ed attirare le
prime.
La Pasqua con la Resurrezione di
Cristo si lega ai riti
primaverili di esultanza per il rinascere della natura e anche qui
i segni sono da leggere nella stessa ottica.
Il
Carnevale, che oggi ha perduto le caratteristiche
sacrali dei suoi riti,
faceva parte di un
unico grande rito, a cui gli uomini si dedicavano per
seguire, come potevano, lo sviluppo della Natura, da cui dipendeva la loro vita, poi ha subito divisioni e
slittamenti configurandosi come ora lo si conosce. Se si considera il lungo
svolgimento nel tempo che avevano le feste
carnevalesche, si può individuare il bisogno di accompagnare la Natura nel periodo dell’incubazione del seme
prima del suo sviluppo. In questa ricorrenza ci sono le antiche feste che celebravano il bisogno di liberazione e di purificazione, ci sono i riti agrari di propiziazione per la fine dell’inverno e l’inizio del periodo di germinazione,
c’è il rito di fecondazione. Se il cristiano ne ha fatto una festa
sua, di gioia, prima del periodo quaresimale, non ha eliminato però, questi elementi che si possono individuare
facilmente. Il tripudio carnevalesco nasceva dalla magica convinzione che la
gioia di tutti provocava ed assicurava lo svolgersi positivo
di ciò che si voleva, era, quindi, un auspicio, un accompagnare la buona riuscita, non un gioire per una
conquista, ma un gioire
per un’attesa. Alla
base del Carnevale c’è, dunque, la propiziazione perciò le processioni, i riti, le danze, il riso sono necessari,
poiché devono provocare il bene della comunità. Queste manifestazioni che, si debbono fare, danno al divertimento carnevalesco un
significato oggi perduto. Questo gioire non è un divertimento puro e semplice,
avere per scopo se stesso, ma una cosa profondamente seria, dice il Toschi, che continua
"lo scherzo, la
satira, la burla sono d’obbligo: e tanto più gli scherzi sono arditi e
sguaiati, le satire pungenti, le burle atroci, e tanto più riescono a far
ridere, tanto più hanno valore". Ma se tutto ciò deve essere fatto, e il riso e lo scherzo
diventano una cosa seria, e sono drammatici allora sulla maschera deve essere
letta una smorfia di paura, di ansia, di attesa per
ciò che potrebbe pure non avvenire. Se inoltre il riso
è fatto per il bene di tutti, acquista un carattere sacro, di una preghiera,
divenendo, appunto, un rito. In questa luce i segni del Carnevale prendono una
valenza precisa. Il fantoccio
Carnevale rappresenta
tutto ciò di cui ci si deve liberare. La sua comicità diviene tragica, poiché
egli deve morire, come in un sacrificio, per il bene di tutti. La morte di Carnevale, che è il culmine della festa, è anche
il culmine del rito di purificazione, che porta all’eliminazione del male il quale, per
essere eliminato, deve essere denunziato pubblicamente, ecco perché Carnevale
fa testamento, cioè denunzia i suoi peccati e quelli della comunità. Non è solo
Carnevale che deve liberarsi dal male, ma tutta la
comunità perciò alle
disposizioni testamentarie si uniscono consigli, raccomandazioni, allusioni
alla condotta dei cittadini, come per rivelate, le magagne della comunità e la satira con cui si esprime ha la precisa funzione di denunzia
pubblica, di liberazione della collettività dal male compiuto. L’eliminazione del male presuppone, poi, l’inizio di un processo di fecondazione. Anche questo momento si trova nella
simbologia carnevalesca ed è rappresentato dalle farse come la Zeza,
come i Contrasti, che si concludono
con l’annuncio del fidanzamento, che sono lo sviluppo dei riti di fecondazione,
che auspicano la continuazione della specie "è il principio della magia
omeopatica che è in gioco: se una giovane coppia [ ... ] quel giorno fatidico
di rinnovamento, si unisce, questa feconda unione produrrà, per analogia, la
fertilità del suolo, l’abbondanza delle messi" (Toschi). Le altre manifestazioni
carnevalesche si leggono tutte con lo stesso modulo: la zingaresca sottolinea la
necessità delle profezie nei riti di propiziazione. La rappresentazione dei mesi, il bisogno di auspicare
la buona riuscita di tutti i momenti della vita della natura. Né è difficile trovare nelle maschere, le potenze infernali,
cui ci si rivolge per aiutare il rinnovamento e il processo di germinazione,
così le sfilate, le processioni servono per indicare o circoscrivere il luogo
magico, ove si vuole che il processo auspicato avvenga. La danza unisce tutti i partecipanti al rito. Il lancio di coriandoli o di cose che si dividono in mille
pezzi, come arance o mandarini, segni di fecondità, riproduce
il movimento della semina. Accanto a questi significati si può anche
riconoscere il bisogno psicologico di sfogo o quello di allentare i vincoli morali, quello sociale di stare insieme, tutti significati, però, cementati da questa grande
unica motivazione propiziatoria.
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Per approfondire:
Hugo Rahner, Miti
greci nell’interpretazlone cristiana, Bologna,
1971; Franz Altheim, Il
dio invitto, Milano, 1960; F. Saba
Sardi, Il Natale ha 5000 anni, Milano, 1958; L.
Toschi, Le origini del Teatro italiano, Torino, 1955, pag. 224.
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Tradizioni popolari e
religiose di Solofra
Le chiese solofrane e
le loro tradizioni
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