Felice De Stefano

(Solofra 1889-Roma 1925)

Marinaio, ingegnere navale, dirigibilista

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Partecipò alla guerra di Libia sulle navi che il suo conterraneo, lo scienziato della marina, Gregorio Ronca, aveva attrezzato con i moderni mezzi di offesa e le nuove tecniche di tiro.

 

Fu ingegnere navale a Castellammare di Stabia.

 

 

 

Partecipò alla prima guerra mondiale come dirigibilista

 

 

Diresse il dirigibile HC32 di base ad Iseo.

Qui è con "La navicella M13" con la quale prese parte al bombardamento di Lussino.

 

Meritò

Medaglia di bronzo

Motivazione

 

Medaglia d’argento

Motivazione

Croce al merito di guerra il 24 luglio 1919 (Decreto di nomina del 19 gennaio 1918, n. 205)

Medaglia a ricordo della Guerra europea MCMXIV – MCMXVIII (Decreto XVI dicembre MXMXX, n. 1918)

Nomina a Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia (10 novembre 1921)

 

 

Fu con D’Annunzio a Fiume dove si fermò dopo la guerra.

Diresse la Raffineria di Trieste.

Solofra gli ha dedicato una strada e una tomba monumentale.

 

La tomba a Felice De Stefano lungo il viale monumentale del Cimitero di Solofra

 

 

 

La via Felice De Stefano

Intestazione deliberata nella seduta del Consiglio Comunale del 30 gennaio 1926: “il tratto di strada che intercede fra piazza Umberto I e Viale Elena”

Nella stessa seduta la famiglia di Felice De Stefano dona al Comune “lo spadino col fiocco da Maggiore e la sciarpa azzurra del loro caro Felice, in segno di doveroso ringraziamento per quanto Solofra ha fatto al lori figlio e fratello estinto”. Inoltre il Corpo insegnante e un gruppo di cittadini, la maggior parte combattenti, consegnano al Sindaco un ingrandimento fotografico di Felice De Stefano con la disposizione “che l’ingrandimento fotografico sia perennemente esposto in questa Sala, dove, domani, i figli di Solofra, guardando la sua bella divisa, contemplando i suoi natali, comprenderanno ancora una volta che non solo dall’agiatezza si avvia verso la gloria, perchè Felice De Stefano, figlio di un nostro modesto maestro elementare, nipote ad un fabbro ferraio, mercè la sua tenacia e volontà nello studio, a soli 36 anni, quando la falce crudele della morte lo colpì, poteva già racimolare le sue belle idee e formarsi libri d’interesse internazionale, come d’interesse nazionale fu tutta la sua carriera”.

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Note biografiche

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Felice De Stefano nacque a Solofra il 7 gennaio del 1889. Studiò al Liceo Colletta di Avellino dove si diplomò con il massimo dei voti nel 1908. Entrò nell’Accademia Navale di Livorno (1909) spinto dalle imprese del concittadino Gregorio Ronca, il marinaio scienziato che aveva insegnato a Livorno dal 1889 al 1901 e in quell’anno dirigeva una Scuola di Ufficiali sulla corazzata "Sardegna". Dall’Accademia uscì con il grado di guardiamarina e il 9 ottobre del 1911 partì per la campagna di Libia con il Corpo di spedizione al comando del generale friuliano Carlo Canèva imbarcato sull’incrociatore "Liguria". Durante le operazioni di guerra il De Stefano vide per la prima volta operare una nuova arma, l’aeroplano che rivoluzionava il modo di combattere, fatto che influenzò le sue scelte future. Sulla "Sardegna" partecipò al bombardamento del 24 febbraio del 1912 nel porto di Beirut alla guida del Contrammiraglio Revel e il 10 aprile al bombardamento di Zuara.

Di ritorno dalla Libia nel 1913 fu promosso Maggiore del Genio Navale gli impegni in Marina non gli impedirono di laurearsi in ingegneria navale al Politecnico di Napoli. Fu in servizio all’Arsenale di Castellammare di Stabia dove collaborò alla progettazione e alla costrizione di navi da guerra, dove guidò una scuola per giovani lavoratori - gli "arsenalotti" - e dove ricoprì ruoli di primaria importanza, che diventarono persino delicati, se si pensa che per opera sua il cantiere si liberò di elementi poco puliti collaborando con un’inchiesta del Ministero della Marina.

Alla vigilia della prima guerra mondiale Felice De Stefano entrò in una scuola di pilotaggio dimostrandosi così abile da battere il record di velocità su aeromobili negli esami di brevetto. Durante i primi mesi del conflitto fece parte delle squadriglie che compivano ricognizioni, rilievi e bombardamenti sulle prime linee dell’Isonzo nel corpo aeronautico dei dirigibilisti e fu promosso capitano. Queste aeronavi non erano di facile guida ed uso sia perché erano esposti alle intemperie sia perché non ci si poteva alzare alle alte quote e quindi si era bersaglio dell’artiglieria nemica. I dirigibili, non potevano fare vere e proprie azioni di guerra o sostenere quelle che si svolgevano alle alte quote della Carnia o del Trentino, ma le loro azioni non furono meno ardite ed efficaci, sia nei brevi combattimenti, sia nei voli di controffensiva che nell’impedire l’azione aerea avversaria. Erano, però, sempre azioni individuali ove operava la sola squadra imbarcata sul mezzo aereo. Anche se nella visione delle grandi battaglie queste azioni potevano sembrare di secondo piano, esse in realtà si rivelarono di grande utilità nella difesa delle truppe terrestri in spostamento, nell’attacco di postazioni nemiche specie se costiere. Soprattutto preziosa fu l’opera di rilevamento fotografico che cominciava ad essere ampiamente usata. Notevoli azioni furono fatte dal maggio al giugno in aiuto alle azioni di terra - prevenzioni di attacchi aerei fra Venezia e la laguna, attacchi a stazioni ferroviarie a baraccamenti ad ammassamenti di truppe e poi operazioni di ricognizione e bombardamento di silurifici, fabbriche, torpediniere e sottomarini a Fiume.

La squadra di Felice De Stefano nella notte tra il 16 e il 17 agosto del 1917 fece incursioni sulle pendici orientali del San Marco, lungo la strada Oveia Draga-vogersko e ad est e sud-est di Gorizia. Un’altra incursione fu diretta sull’isola di Lussino, la stretta e lunga striscia di terra del Quarnaro, che aveva nel golfo di Lussimpiccolo una base militare austriaca. Nei giorni 17 e 18 settembre del 1917 ci furono due furiosi attacchi all’equipaggio di Felice De Stefano del quale era comandante in seconda alla guida della navicella M13. Intrepido fu il coraggio mostrato dall’intera squadra tanto da meritare ampi apprezzamenti per la riuscita dell’operazione. Lo sbarramento realizzato dalle squadriglie tolse in effetti al nemico la possibilità di ricognizioni in territorio italiano. Furono distrutti centri vitali, rifornimenti, depositi di munizioni e alloggiamenti di truppe disorganizzando l’intero assetto difensivo avversario.

Dopo la disfatta di Caporetto e dopo l’attestazione del fronte sul Piave era sorta la necessità di distruggere le opere di difesa lasciate in mano al nemico nella pianura ad oriente del Piave. Tra queste opere c’era quella sul Livenza, il fiume che scorre parallelo al Piave e al Tagliamento. Qui un complesso fortificato era rimasto in mano al nemico e quindi ne fu necessaria la distruzione che fu appunto affidata ai dirigibili della base di Iseo. Nei giorni 3 e 4 febbraio 1918 infuriò un tenace scontro con il nemico che difendeva le preziose opere. L’equipaggio del De Stefano fece prodezza.

C’erano, poi, la ferrovia e il ponte a Motta Livenza, che il nemico non doveva assolutamente usare per raggiungere il fronte. Due azioni furono condotte su questo obiettivo il 10 e l’11 e poi ancora il 17 e il 18 marzo che portarono alla distruzione delle opere. Durante il rientro alla base, il 18, il De Stefano fu ferito "non senza aver provocato prima danni all’idrovolante che lo attaccava". Aveva preso parte volontariamente a questi due ultimi combattimenti. Per queste azioni meriterà una medaglia di bronzo.

Finita la guerra Felice De Stefano si stabilì a Fiume, dove era arrivato il 12 settembre del 1919 con la nave ammiraglia “Dante Alighieri” al tempo di Gabriele D’Annunzio, con cui collaborò. In Friuli diresse i lavori di costruzione di due navi l’"Istria" e la "Dalmazia". Poi si trasferì a Trieste a dirigere la Raffineria di petrolio di quella città per incarico del governo tramite il ministro Alberto De Stefani dal quale era stato spinto a lasciare la Marina. Il petrolio giungeva alla Raffineria direttamente dall’Oriente per cui il De Stefano si trovò a lottare contro i Trust americani ed inglesi e contro le pretese austriache ed ungheresi di gestire il complesso in qualità di soci fondatori, riuscendo a far assorbire dal governo italiano i 2/3 della Raffineria. Per suo merito il petrolio lavorato in quella Raffineria non sarà controllato dalle multinazionali e l’Italia potette avviare una politica petrolifera propria.

Più volte nella sua attività resistette a tentativi di corruzione sia a Castellammare al principio della guerra, ove meritò lodi scritte dal Direttore di quell’Arsenale, sia a Napoli, alla fine della guerra dove gli furono offerte forti somme perchè agevolasse dei contratti di forniture militari, sia a Fiume dove fece denunzia al Ministero di gravi scandali che da lungo tempo si verificavano con una lunga relazione che dettero il via a due Commissioni di indagine: una tecnica d’ingegneri navali ed una parlamentare davanti alle quali depose quale teste accusatore. 

Nel pieno di questa sua attività morì a Roma alla giovane età di 36 anni il 7 dicembre del 1925.

La sua cittadina natale lo commemorò nella seduta del Consiglio Comunale del 23 gennaio 1926, gli dedicò una tomba monumentale e gli intestò una strada.

 

 

I documenti riguardanti questo illustre solofrano si trovano presso il Centro studi di storia locale della Biblioteca Comunale di Solofra, una parte dei quali sono stati forniti dal nipote Carlo Viti, figlio di Stefania, che aveva due anni quando il padre morì.

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