Tradizioni solofrane
Festa del patrono
La
festa di San Michele Arcangelo è una superba tradizione che ha dato sempre
lustro alla cittadina. È una grande sagra, la più
ricca, la più lunga, la più sentita per la quale giungono persino dall'America
i concittadini lì emigrati e chi non può vi partecipa con un ricco obolo.
Negli
anni si è sempre configurata come emblema di Solofra, espressione della sua
potenza, un segno di distinzione, divenendo un termine di paragone.
Come
tutte le feste è la grande occasione per realizzare
tutto ciò che una tale manifestazione popolare ha in sé.
Ecco una pagina di cronaca cittadina del 1913, soffusa di sottile
ironia.
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Da notare i
fuochi d'artificio che aprono la giornata, l'ansia per il tempo che farà, il voler comparire e fare bella figura. In effetti è questo il senso della festa, un manifestarsi, un mostrare
la propria famiglia in chiesa e nella lunga tradizionale passeggiata, un
mostrare il proprio paese di cui sentirsi fiero. La festa deve essere grande, i
santi non devono mancare nel far compagnia al patrono,
a fragorosi botti si affida il compito di esprimere la propria grandezza.
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Il solofrano di Solofra la prima cosa che fa, quel giorno
appena svegliato da un allegro scoppiar di petardi sulla cinta del Castello,
corre mezzo vestito alla finestra, l'apre ansioso e spinge il naso fuori per
consultare il tempo - Oh, gioia, è bello! Tutto soffuso d'un ceruleo chiaro,
l'arco del cielo s'inchina ampio e ridente sulla punta del Garofano e sul picco
di San Michele, la linea dei monti spicca nitida, un dolce brivido nel tenero
fogliame precorre l'apparizione del sole, non c'è una nube; ossia ce n'è una, piccola, lì, verso ponente, che occhieggia, sembra, con
un'aria malignetta. È d'un crespo argentino
ma da un lato ha un ciuffetto nero, torvo che non affida troppo. A
mezzogiorno il tempo potrebbe fare, Dio guardi!, una
dimostrazione! Ma il riguardante non vuol guastarsi il
sangue con questa previsione e va a fare la sua toletta festiva. Il solofrano,
inoltre, ha quel giorno a casa uno o più invitati, parenti o amici lontani e
diventa nervoso ed irritabile perché deve comparire con questi. Egli per via
non vuol vedere che solo e sempre forestieri per sentirsi fiero del suo paese e
constatare il buon successo della festa. Ogni volta che intoppa in una faccia
paesana, ne è seccato e le fa una smorfia, come questa
fa ugualmente a lui. Egli nella processione vuol mirare tutti i soliti santi
sfilare l'uno dopo l'altro, davanti l'alata figura dell'Arcangelo. Guai a mancarne
uno, e le botte, che allora sparano devono rompere i vetri... Se tal rottura non si avvera egli rimane male ed increspa il
naso scontento. Egli con la moglie e le figliuole
pomposamente incappellate deve recarsi in chiesa a sentire il panegirico e andare
su e giù almeno una decina di volte, da San Domenico alla Villa. Si capisce che
gli capiteranno nella giornata cento ragioni per amareggiarsi ed arrabbiarsi;
onde il giorno appresso, andrà sulla Scorza a far le sue vendette con parecchi
fiaschi di quelli che fan chiudere un occhio ("Le rane", 15 maggio, 1913, n.
9).
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Preparativi
La
festa è preceduta da intesi preparativi che cominciano il giorno di Pasqua,
quando a mezzogiorno viene innalzato sulla piazza
principale del paese il quadro
di San Michele,
accompagnato da un festoso concerto di campane e mortaretti che annunzia a
tutta la valle il solenne inizio del periodo preparatorio.
Ecco un'altra cronaca sui preparativi per la festa che dà il
quadro di una vita ormai lontana nel tempo.
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Da notare i due gobbetti che portano in giro
per le botteghe, insieme alla fortuna di cui la tradizione li carica, la novena di San Michele.
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Se vi recate per un momento alla stazione, all'arrivo dei treni
merci, vedete riversarsi dai carri sulla banchina una strana congerie di roba:
scatole di dimensioni iperboliche, batuffoli enigmatici, fagotti misteriosi,
cassette d'un contenuto sibillino, gomitoli di filo di ferro, ciuffi di piume,
ganci, nastri.... alla rinfusa... il materiale
occorrente per la confezione dei multiformi aeroplani, imbuti e corbelli da
figurare sul capo delle signore e signorine nella prossima festa... E arrivano
gli zingari, che adagiati in un angolo della piazza, battono e battono, facendo
sprizzare un nembo di rosse faville per una cerchia di curiosi; e traversa la
via principale, per fermarsi presso la villa, un carro carico di corazze, di
sciabole, di pupi con le teste ciondoloni e le gambe speronate, che tremolano e
crocchiano; e due gobbetti vanno facendo la novena di
San Michele per le botteghe, l'uno segando un violino e l'altro miagolando strofette... e in cielo Giove Pluvio fa gran provvigione
d'acqua per innaffiare quel giorno questa bella valle impennacchiata e festante
("Le
rane", 30 aprile 1913, n. 8).
Impegnato
nei preparativi è soprattutto il Comitato per i festeggiamenti, che si è
costituito già l'anno precedente appena terminata la festa, si è impegnato
nella raccolta dei fondi e nella stesura del programma, a cui ora dà gli ultimi
tocchi prima di affiggerlo sui muri in un lungo e particolareggiato manifesto
almeno un mese prima dell'inizio dei festeggiamenti.
Il manifesto della Festa di
San Michele
è documentato in questo sonetto del 1913:
.
. Gran festa dell'Arcangelo Michele nei giorni sei, sette e otto maggio. Cittadini, Solofra a gonfie vele, ormai s'appresta a rendere l'omaggio antico al santo tutelar fedele, che vendicò di satana l'oltraggio. Lo sappiam tutti! E dal Partenio al Sele, esulti ognuno a sì lieto messaggio! Addobbi vi saranno a dismisura; sfarzose luminarie; un oratore, che fiume d'eloquenza è addirittura. Orchestra del sistema più moderno; musiche e batterie a tutte l'ore; l'ultima sera poi... fuochi d'inferno! C. Troisi (da "Le rane") |
Il Comitato per la festa
Ha
un ruolo importante nella sagra cittadina, in quanto rappresenta tutta la
popolazione, per cui il suo capo, 'o masto 'e
festa, il regista,
colui da cui dipende la riuscita della intera manifestazione, può essere
equiparato al Sindaco.
Dal
1888 al 1920 i Sindaci furono anche Capi del Comitato per la festa.
Tale
consuetudine fu determinata dall'incendio della statua di San Michele
Arcangelo, avvenuto proprio durante la festa patronale che turbò tanto i solofrani
che l'allora sindaco, Costantino Vigilante, costituì un Comitato di emergenza da lui stesso presieduto, che in breve tempo
riuscì a raccogliere il denaro per il rifacimento della statua. La festa
dell'anno appresso fu particolarmente grandiosa e così per trentadue anni la
festa di San Michele fu come una festa di stato.
Ecco
cosa dice Antono Famiglietti, l'organista della Collegiata, che fu un attento
osservatore delle cose solofrane:
Da allora i sindaci anche quelli che non avevano troppa
dimestichezza con le pratiche religiose furono i capi
permanenti del Comitato della Commissione per la festa di San Michele e si
alternarono per lunghi periodi precisamente quelli del proprio sindacato D.
Michele Napoli, il Cav. Francesco Buonanno, D.
Gaetano Ronca, D. Gaetano Mari e D. Pasquale De Vita che fece
l'ultima festa nel 1920. Poi si ebbe a Solofra un sindaco socialista il
quale a quel tempo non poteva presiedere manifestazioni religiose così la
tradizione del sindaco-maestro-di festa
cessò. Ma si fecero indietro anche diverse persone della cosiddetta
aristocrazia, per cui i patiti della festa tremavano. Pochi
giorni prima della data dell'8 maggio si fece avanti
Luigi Aufiero. Era un gelataio, che per ragioni di
mestiere girava per le feste e ne aveva esperienza. In
un batter d'occhi riuscì a far una buona festa, per cui
rimase in carica, sostenuto dal pubblico. Poi venne Michele Troisi, che con D.
Felice Giannattasio per oltre un quinquennio soddisfecero
le esigenze della popolazione... Il sindaco Pasquale Russo (dopo la guerra)
riprese la tradizione del sindaco-mastro-di-festa e
per 8 anni fece feste grosse sotto tutti i punti di vista, ma specialmente per
le luminarie che affidava alla rinomata Ditta Nicola Del Gatto di Torre del
Greco (di fama internazionale). Nel 1957 si presentò lo stesso dilemma del
1921, cioè l'elezione del sindaco socialista che non
poteva fare la festa e le difficoltà per trovare la persona adatta. Ma il primicerio (che oltre ad avere il diritto di nominare
In
questo periodo la festa di San Michele divenne una delle più belle del sud,
capace di gareggiare con
Nonostante
questo organo superiore, i cittadini collaboravano in
modo determinante alla realizzazione della festa. C'era, per esempio, un
Comitato specifico per i fuochi d'artificio, formato da cittadini che si impegnavano in vari modi nella raccolta di denaro,
persino con la vendita di prodotti donati a tale scopo. Poi la consuetudine
cambiò e, con lo svilupparti della realtà industriale, furono i singoli
cittadini a presentare il tributo pirotecnico. Restò una traccia del Comitato
per i fuochi ai Volpi, dove fu istituito un libro di risparmio che funzionava come un salvadanaio, dove
lungo l'anno venivano depositate le offerte dei fedeli. Alla scadenza della
festa il denaro veniva restituito, ma con una somma in
meno, usata per i botti del rione a San Michele. Per lungo tempo i fuochi dei Volpi furono un famoso tributo fatto quando la statua
giungeva in quel rione durante la processione.
Gli
anni hanno visto la festa adeguarsi alla trasformazione dei costumi, ma sempre
essa ha costituito un fatto importante nella vita della cittadina. Tutti
concorrevano affinché il paese acquistasse un aspetto nuovo. Negozi, case,
strade venivano messi a nuovo, come per l'arrivo della
primavera. E poiché il clima solofrano è
particolarmente instabile in questa stagione se ne determinò lo spostamento a
giugno, la seconda domenica.
La
decisione di spostare la festa al mese di giugno fu
determinata in seguito ad una copiosa nevicata che impedì persino di entrare
in chiesa. |
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Le luminarie
Tra
gli elementi della grande sagra un posto preminente
ebbero le luminarie a cui si affidava il compito di colorare le sere della
festa di fantastici disegni anche semoventi. Diventarono un elemento dominante specie quando l'illuminazione notturna era ancora fioca e
rada.
Le
vie principali brillavano come giorno e la folla sfilava ammirata. Correvano i commenti, i confronti con gli anni precedenti, ognuno aveva
da dire la sua, in una lunga gioiosa diatriba. Le luminarie erano giustamente
un vanto per il solofrano, un segno per il devoto, una nota di progresso specie quando l'elettricità, da poco conquistata, appariva
attraente e magica per la capacità di mettere in fuga le tenebre.
Ecco
sull'argomento un sonetto:
.
. Fitto abbagliante luccichio di mille vivide bianche lampadine ad arco, sì da parer un incantato parco il borgo, a l'ebre, attonite pupille. Che folla! Gente v'è pur d'altre ville; gaia passeggia, franca d'ogni incarco: un querulo pezzente, a qualche varco: rota la giostra, con clamor di squille. La musica, su un palco, fa l'Aida: passan fanciulle in novi abiti chiari: ad ogni tratto un venditor che grida. Ta - là: è il tiro a segno: i campanari lanciano i sacri bronzi in pazza sfida. Dimenticati e bui, dentro, gli altari.
C. Troisi |
In una cronaca le luminarie
della festa del 1910:
Ottime le luminarie a gas acetilene. Via Municipio e
Piazza Umberto I, davano un colpo d'occhio incantevole
per le migliaia di fiammelle simmetricamente disposte dalla Ditta Fratelli
Vignola, come di grandioso effetto riuscì il viale Elena per opera dell'artista
Giordano De Stefano
("Le rane", maggio 1910).
Le
strade si addobbavano a festa nei balconi fioriti, nelle vetrine ben messe, nei
marciapiedi ricchi di bancarelle dai fantasmagorici colori, nelle piazze dove
le giostre e i saltimbanchi attiravano la folla allegra. E questa folla, che
animava le vie fin nelle ore più tarde, che si arricchiva di forestieri, di
confinanti, di parenti e di amici lontani, questa
folla, che con il suo lento murmure muoveva nelle vie, era la vera
protagonista, poiché esprimeva ciò che veramente era la festa: il bisogno
d'incontrarsi con il proprio simile, di comunicare ed ascoltare, di evadere
dalla realtà quotidiana, di stare insieme all'altro, vicini in un incontro
generale, espressione d'una esigenza primordiale.
Con
cura erano scelte le bande
musicali accolte in
palchi appositamente eretti e variamente dislocati nel
centro. Le migliori si alternavano nella piazza principale ed in piazza San Rocco, seguite attentamente da un pubblico
competente e preso. Nei giorni di festa sfilavano per le vie del centro nella grande parata del defilè che accompagnava le Autorità fino alla Collegiata per la
processione.
Poi
la tradizione delle bande cedette il posto agli spettacoli della musica
leggera. Così quelle malinconicamente languivano dinanzi ad un pubblico sempre
più scarso ed anziano, mentre gli altri venivano
accolti da una folla straripante di giovani entusiasti. Ora la tradizione delle
bande musicali si è persa.
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La processione
Nelle
strade addobbate, in uno scenario appositamente
preparato, si svolgeva l'evento più importante, la processione ricca di stendardi e confraternite.
Solenne
l'incedere del sacro corteo con il patrono coperto d'oro e di voti preziosi
preceduto da una lunga fila di santi.
È domenica mattina - mezzogiorno - al passaggio i balconi si riempiono di gente,
le note della banda si stendono nelle vie, aleggiando sui devoti, che, o in
processione, o disposti in due ali, ai lati della strada, prendono parte al
sacro rito. Nell'aria primaverile l'acre odore dei fuochi accompagna l'incedere
di santi, di associazioni e, una volta, anche delle Congreghe locali nei loro caratteristici costumi.
San Michele è preceduto da ben dodici santi, ognuno portato
a spalle.
Nella processione vengono
trasportate a spalla altre numerose statue di santi considerati un po' come
compatroni di Solofra. Essi hanno una storia.... Molte
famiglie nobili solofrane avevano anche casa a Napoli, dove trascorrevano il
periodo invernale. Furono queste a costituire qui l'Arciconfraternita dei Nobili Bianchi
che era una filiale dell'omonima che ancora oggi esiste a Napoli. Con lo stesso
spirito di imitazione allorché fu costruita la grande
Collegiata di S. Michele si resero promotori di una grossa Cappella dove fu
eretto un altare per la statua del santo patrono e sei nicchie per le statue di
S. Giuseppe, S. Vincenzo Ferreri, San Nicola da
Tolentino, San Giuda Taddeo, San Gaetano, San Filippo Neri, alla maniera
(ridotta s'intende) della cappella di San Gennaro a Napoli ove sono custodite
le statue dei compatroni della città. Ne conseguì che anche a Solofra si dette,
in occasione della festa del patrono, grande importanza alla processione con la
partecipazione di tutti i santi compatroni e con l'aggiunta di S. Rocco che è
il principale. Pertanto per molto tempo anche la processione di Solofra fu
denominata processione delle statue, come
quella di San Gennaro a Napoli, che si svolge il sabato precedente la prima
domenica di maggio. Col passar del tempo poi i santi aumentarono: i Cappuccini
aggiunsero San Francesco,
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Già
nei giorni precedenti i più giovani alla prima esperienza sceglievano il santo
da sorreggere a spalla. La scelta cadeva sempre su San Luigi, chiamato
amichevolmente San Luigiello,
il più piccolo e carino, ma anche il più leggero. Altro santo preferito per le
sue dimensioni era San Giovanni.
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Il
corteo è aperto da fanciulli e fanciulle nei bianchi
vestiti della prima Comunione fatta quell'anno. Altri
fanciulli recano cuscini su cui sono appuntate le
offerte pecuniarie dei fedeli. Le autorità religiose, in abiti solenni,
precedono il Patrono coperto per l'occasione degli ori del Tesoro, che cadono
come un manto scintillante. Il santo, portato a spalle da sei persone in
caratteristici costumi, è accompagnato dal Palio Castellaneta, un grosso ombrello rettangolare. Fanno
scorta le guardie civiche in alta uniforme. Dietro il sindaco
con la fascia tricolore, il Consiglio Comunale al gran completo e le altre
autorità, poi le bande musicali. Seguono i fedeli, davanti
coloro che hanno un voto da esaudire e che portano un cero o vanno
scalzi. Da questa folla, che partecipa intensamente, si eleva il canto di
ringraziamento di chi si è rivolto con fede al Santo e ne ha avuto aiuto.
Questo corteo multicolore, grandioso, solenne, sentito, bello e quel canto sono l'espressione più vera del culto antico che affonda le
radici in secoli di venerazione.
Ecco un sonetto che descrive
la processione all'inizio del secolo:
Move, ecco, adesso la processione: stendardi e confraternite, ed ancora stendardi e confraternite: s'infiora dì rosei volti intorno ogni balcone. Dai campanili in pia convulsione, una confusa erompe onda sonora: per franger vetri e timpani, ad un'ora, le batterie iniziano l'azione. Nembi di fumo invadon la lucente aria di maggio, petali di rose per entro vi svolazzano follemente. Sfilano i santi in lor diverse pose, indi il Patrono appar, tutto splendente d'ori votivi e gemme preziose. C. Troisi |
Inno a San Michele
Canto polare che accompagnava
a due voci la processione
0 San Michele Arcangelo si' capitane do' cielo quann n'avimmo passate San Michele ci ha liberate. T'adoro o san Michele che caro a Dio lodato sei comm'a l'angelo maggiore, fangi grazie e favore. |
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I fuochi d'artificio
Ultimo
elemento della manifestazione religiosa solofrana sono i fuochi d'artificio,
che chiudono la festa e sono oggetto di gare e premi. In questa
occasione i maestri locali dell'arte pirotecnica un tempo facevano a
gara a chi esibiva i pezzi migliori e, quando questo mestiere si
estinse, vennero invitati, per partecipare alla grande festa pirotecnica, i
migliori fuochisti della zona. Un po' tutta la festa era accompagnata da varie
manifestazioni pirotecniche. Durante il passaggio della processione ogni
quartiere aveva il suo tributo di botti, fino a quello di fine processione,
quando il santo fermo sul sagrato, assisteva ad una parata pirotecnica senza
pari.
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I
fuochi erano poi gli unici grandi protagonisti della chiusura della festa, quando si arrivava fino alle prime luci
dell'alba del nuovo giorno.
Ci
fu un periodo in cui la manifestazione pirotecnica fu oggetto di un concorso.
Ogni fuochista gareggiava con una bomba di tiro, con le bombe di gara e
con il gran finale.
La bomba di tiro era la più grande e voluminosa e veniva sparata all'inizio della gara. Essa doveva avere
delle caratteristiche particolari: pur essendo pesante doveva raggiungere, in
una traiettoria perfettamente verticale, il punto più alto nel cielo, doveva
avere il maggior numero di aperture, doveva avere il botto finale al centro
dei fiori.
Le
bombe di gara,
costituivano la parte centrale del repertorio, erano lanciate a piccoli
intervalli e potevano essere di vari tipi colori o grandezza. Anche per queste era richiesta precisione e ricchezza di
colori.
Il gran finale era costituito da un esplodere
ininterrotto e vario di botti e di colori di una durata inferiore a dieci
minuti.
La valle nel buio echeggia
di crepitii e rombi, si illumina di colori, che nel
cielo disegnano i più begli arabeschi per divenire subito piccoli punti
luminosi e scomparire, quasi per magia, in un buio pesto, mentre i monti tutt'intorno si mandano l'eco come in un gioco a palla,
mentre ci si augura che ci sia un po' di brezza che spazzi via il fumo per non
togliere nulla al "pezzo" seguente. Nella valle non sono pochi a
vegliare, provenienti anche dai paesi vicini, appostati nei siti migliori per
godersi lo spettacolo, sui balconi, sulle
terrazze ben esposte, protetti dall'umido della sera di fine primavera. C'è sempre il fortunato, che, data la posizione della propria
abitazione, può godersi lo spettacolo dalla poltrona attraverso i vetri
di un balcone o cogliere l'occasione per invitare gli amici. Di rado si assiste
ad un altro spettacolo al rovescio: l'incendio di sterpaglie nei boschi causato
dai frammenti infuocati che cadono dal cielo.
Culto
a San Michele sul Pizzo
Anche se la chiesetta dedicata a San Michele, che sorge sul
Pizzo omonimo dei Monti, appartiene a Calvanico, i solofrani sono legati da una
tradizione a quel tempio.
Almeno
una volta l'anno la cittadina manda un gruppo di fedeli sul Pizzo. L'ascesa
naturalmente è per chi ha gambe forti e molto fiato, poiché non esiste una
strada che renda più agevole la salita, la quale verso la fine diventa addirittura
pericolosa. Bisogna, infatti, farsi strada tra la
folta vegetazione su dirupi, sassi e difficili passaggi.
Nonostante ciò la chiesetta è annualmente raggiunta dai fedeli che vi
passano la notte accendendo fuochi per segnalare ai paesani nella valle la loro
presenza sul Pizzo.
Ecco
una canzone che si cantava lungo la salita:
San Michele dicci cumme stai accussì 'ncimma Ti si mis'a stu puntone. Fai grazie e favori. Gimmo a San Michele e a chi lo creò. |
|
La salita al monte descritta da Carmine
Troisi
Il "Pizzo di S.
Michele"
.
Erte, dirupi. gioghi agli astri eretti,
e poi discese ripide in profonde
valli, sentieri fra macigni stretti;
intrico di fogliame che confonde;
di precipizi mal sicure sponde
al passo anelo che l'andare affretti;
rampe sassose, spoglie d'erbe e fronde.
tal da fiaccar metallici garetti;
fassi tal via per guadagnar l'ambito
picco di San Michele che a noi sovrasta;
ma ben si è paghi del cammino ardito,
quando, da presso a la chiesuola, guasta
un po' dal tempo, liba l'infinito
l'occhio, a mirar, che mai non dice:; - basta.
|
INNO A
S. MICHELE ARCANGELO
Inno solofrano eseguito in occasione delle festività
patronali. Le parole sono del poeta solofrano Carmine
Troisi. Fu musicato dal maestro Antonio Famigliettì.
°
I Michele
tu l'inclito duce nei cieli in olimpica pugna Tu
stella fiammante di luce qual sole risplendi lassù Squillante:
chi simil a Dio! del mondo sorpassa i confini echeggia pei cerchi divini il nome che imposto ti fu. |
II Fortissimo
braccio tra i forti, invitto campion
dell'Empiro, fugasti le insorti coorti col lampo del brando fedel. Balzato
per te nell'abisso, fu satan dai
seggi stellati, per te fur così il vendicati gli offesi dritti del ciel. |
III Seguaci
del santo vessillo che inalberi Tu della Croce, o frema il nemico, o tranquillo ci arrida di pace l'albor. Andrem sempre avanti in Tuo Nome, col cuore sempre volto e quel segno fin quando il mirifico regno ne accolga di luce e d'amor. |
°
|
La storia delle due
statue di S. Michele
L'otto maggio del 1888
durate la festa che in quel periodo si svolgeva a maggio. Si era da poco concluso il rito e la
chiesa era stata chiusa. Ecco cosa dice Antonio
Giliberti:
"Un popolo innumerato
placidamente deliziavasi nell'ampia largura che
dinanzi alla chiesa distendesi, per ammirare la varietà degli ingegnosi fuochi
pirotecnici e udire l'armonia delle bande musicali. Ad un tratto partiva una
voce stridula, spaventevole dalle finestre del Palazzo ducale ... eransi colà veduto attraverso i finestroni
del Tempio divampare una luce vorticosa, straordinaria, che non
pareva affatto la consueta delle lampade. Si precipita come lampo la
gente; ma le porte della Basilica son chiuse a
chiave, che tengono seco i sacrestani usciti a
diporto. Dopo non breve ricerca si trovano; ed oh Dio!
aperte, ed entrato il popolo ansante nella Chiesa,
vede (spettacolo straziante che non avria giammai
temuto) la venerabile preziosa statua una con la magnifica piramide tra un
vortice di fumo e fiamme. Si slancia a corpo perduto una col Sottotenente dei
Reali Carabinieri il signor Puricelli Napoleone
insieme con la Brigata locale spiegando non ordinaria energia nell'incendio per
salvarle; ma indarno, ma tardi. S. Michele è un carbone, la
piramide è cenere. I grossi ceri posti ad ardergli innanzi
e che ingigantirono l'incendio sono consumati; parte del presbitero marmoreo è
calcinato; e, se altro indugio si frapponeva, sarebbesi
appiccato il fuoco al soffitto ed ai quadri, mediante una corda di canapa già
accesa, da cui uno dei lampadari pendeva. Il disastro è fatto, ma come sia
avvenuto, è un enigma che nessuno Edipo ha saputo
finora disnodare.
Lo sconforto il pianto le grida, lo
schiamazzo assordano; è più che un comune motorio è
una scena che fa al a solo ricordarla rabbrividire.
A stento la notte adulta induce il
popolo a rientrare nelle domestiche abitazioni, lacrimoso, esterefatto,
inconsolabile. Come sorge il giorno più copioso affluisce da ogni punto,
pallido, tremolante, nel Duomo senza potersi persuadere come abbia
potuto tanta rovina avvenire. Quivi il clero, il Sindaco, il Patriziato,
non meno degli altri dolenti, pure come meglio si può, lo confortano, lo
calmano, lo rianimano. Miglior via non si trova che
proporre e progettare un pronto restauro, una completa riparazione del danno. Né si resta alle nude parole: senza metter tempo in mezzo è
aperta una colletta; ed ognuno, secondo le proprie finanziarie condizioni,
largheggia. Si spogliano dei preziosi adornamenti nuziali, le
coniugate; non esitano offrire le donzelle i cari doni dai fidanzati ricevuti;
anche il mendico corre a donare l'obolo che aveva, pitoccando, accattato.
Già si è pronti a mettere il progettato restauro in atto: sono scelte tre cime
del solofrano Patriziato, commendator Luigi Landolfi, Commendator Giuseppe
Maffei, conte Francesco Garzilli per menare innanzi il
progetto, i quali con ponderata provvidenza che li distingue, commettono ai
primari artisti l'opera di grande aspettazione, e non poco malagevole; in cui è
richiesto spiegarsi il più squisito , risultante dal triplice elemento
religioso, artistico, naturale; e di una perfezione tale da stare a confronto
con il consunto, fattura dell'ingegno peregrino di Giacomo Colombo"
L'incarico viene
dato allo scultore Francesco Jerace
Nato a Polistena
(Reggio Calabria) visse ed operò a Napoli dove Ferdinando di Borbone lo aveva chiamato. Ebbe una lunga carriera
artistica nella scultura specializzandosi nei busti femminili in marmo. Suo
capolavoro è il monumento a Donizzetti
"Già tutto è compiuto: fu rifatto
con marmi suppletorii il presbiterio e nuovo di fondo la piramide eseguita dall'egregio scultore Erminio
Trillo di Bagnoli, scomparso del tutto lo squallore della devastazione. E la Statua? L'antica mezzo carbonizzata
con solerte maestria sarà rifatta la quale resterà per monumentale
devozione degli adoratori; per uso della processione poi se n'è costruita
un'altra nuova sul primo medesimo dell'antica, più solida e sicura ad essere
trasportata processionalmente. Intorno a questa ha speso il valoroso scultore
quanto ha saputo di genio, di arte, di ispirazione;
per modo che è riuscita una meraviglia; che se avesse quello smalto cui suole
il tempo sopra i colori distendere sarebbe rivale quella una volta elaborata
dal Colombo. Come incantano la movenza, la carnagione, la guardatura!
Vedi proprio un'aria di paradiso, la celeste beltà dell'arcangelo. Quanti, vuoi
artisti, vuoi eruditi, la guardano, non si saziano di
sempre rimirala e di predicare stupefatti la valenza dell'Autore, di laude
indeterminata meritevole.
Plauso adunque
a lui, plauso ed azioni di grazie al preclaro triunvirato che lo prescelse: plauso al patriottico cuore, alla sentita
devozione del popolo solofrano! Sarà una pagina gloriosa della sua storia la
quale ne eternerà il nome appresso le venture
generazioni e rivelerà non essere i presenti cittadini affatto dai loro
maggiorenti degeneri; anzi scrupoloso emulatori e che non ebbero esitato
giammai di far volentieri per amore dell'avita religione e a pro della patria
più che segnalati sacrifici. Solofra, 28 aprile 1889.
(da Catastrofe di S. Michele Arcangelo in
Solofra. Elucubrazione di mons. Antonio Giliberti, canonico della Collegiata di
S. Michele in detto Comune, Avellino, 1889).
|
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Testimonianze sulla festa del patrono
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Da M. Maio, Tradizioni popolari e
religiose di Solofra, Solofra, 1988
Copyright 2000
|