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LEONARDO SANTORO (Solofra 1764-Napoli 1853) |
Medico solofrano che dette alla chirurgia
dignità di scienza
In un secolo "incurioso
per la chirurgia" fu tra quelli che operarono per togliere le operazioni
dalle mani degli empirici.
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Nacque
in una famiglia di mercanti (Filippo e Rosa Garzillo)
da poco stabilitasi a Solofra che ebbe a Napoli la sede dei propri traffici.
Dopo i
primi rudimenti appresi in una scuola privata locale come tutti i giovani della
borghesia emergente andò a Napoli a compiere gli studi
di filosofia e medicina. Prese nel 1787 la laurea alla
Scuola Medica di Salerno che aveva conservato speciali prerogative
ma che per un solofrano aveva un particolare valore poiché sulla scia di
un’antica tradizione.
Maestri
del Santoro furono:
A
Solofra: Il canonico Ferdinando Giliberti e Basilio Fasano che lo educarono nella "morale e nelle lettere".
Domenico
Cotugno (1736-1822), che propugnava la necessità di profonde riforme nella
medicina che solo il clima di innovazioni che viveva
il secolo poteva far realizzare.
Domenico
Cirillo (1739-1799) che
gli fece avvertire la crisi del meccanicismo che investiva la cultura
napoletana e lo avvicinò alle nuove tematiche che
circolavano in Europa. Con lui il Santoro studiò i
problemi della qualità delle acque che poi fecero parte della Riflessione
intorno alla qualità delle acque nella concia dei cuoi scritto a favore dei
conciatori di S. Maria Capua Vetere
accusati di inquinare l’aria.
Nicola
Andria, medico.
Emanuele
Campolongo nelle lettere.
Matteo Barbieri suo conterraneo nelle scienze matematiche
e filosofiche.
Nicola Pettinati in anatomia.
Nicola Froncillo (1707-1798), professore della Regia Università e
chirurgo primario dell'Annunziata.
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Ai suoi tempi a
Napoli la medicina era oggetto di intense discussioni
che ne affrontavano la crisi auspicando una nuova strada più vicina
all’esperienza. La carestia del 1763 e la conseguente epidemia del 1764 ne avevano fatto sentire il ruolo sociale, e grande
rilevanza avevano assunto i temi legati all’igiene, all’alimentazione,
all’educazione fisica.
Le condizioni della chirurgia napoletana secondo Salvatore De Renzi
La chirurgia napoletana aveva vissuto "due secoli di
rilassatezza" per cui era nata una concezione che
"faceva riguardare viltà ogni opera di mano". Sotto questo cattivo
influsso il napoletano si allontanava dai comportamenti della chirurgia delle
altre parti d’Italia che non considerava vile "il connubio tra medicina e
chirurgia" e si arrivava all’assurdo "che il medico dirigeva la
manualità di chi non sdegnava la vergogna di chiamarsi chirurgo" per cui "le operazioni più difficili divennero
speculazioni di uomini illetterati, spesso circolatori, coll’usurpato
titolo di litotomisti, conciossi,
oculisti, vulnerari". A Napoli mancava una cattedra speciale di chirurgia,
c’erano solo "poche lezioni" di anatomia
dove "si davano appena poche notizie delle operazioni chirurgiche".
L’insegnamento universitario si riduceva a "commentare qualche trattato d’Ippocrate, o peggio ancora qualche libro degli Arabi".
In queste condizioni era la chirurgia in un paese "che avea
conservata la scienza in mezzo alla barbarie, e l’avea
insegnata per mezzo della Scuola di Salerno al rimanente d’Europa" A
riprova delle pessime condizioni in cui versava la chirurgia napoletana si
eseguiva la "litotomia a porte chiuse come un
mistero, e si gridò allo scandalo quando un purissimo
ingegno la rivelò all’arte".
La condizione degli ospedali
In quegli anni il Galanti li definiva
(1789) "le cloache di una nazione che disonorano e degradano la specie
umana" e che erano insieme alle carceri l’asilo della poltroneria e
ricettacolo di indigenti.
Domenico Cirillo pubblicò nei suoi Discorsi accademici un articolo La
prigione e l’ospedale in cui descriveva l’ospedale ideale in contrasto con
quello cittadino mettendo in risalto la crisi dell’ospedale che era
organizzativa, morale e professionale.
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L’attività di chirurgo
Nel 1788 entrò come chirurgo all’Ospedale
dell’Annunziata1 dove oltre a curare gli ammalati si esercitava l’insegnamento
della chirurgia. Qui istituì una scuola iniziando un corso di lezioni sulle
lesioni del capo dove si distinse per la chiarezza delle idee e per l’apertura
verso il nuovo senza però allontanarsi dalla tradizione2.
1. Affrontò un concorso di Chirurgo straordinario con
altri 25 candidati e fu vincitore ottenendo la nomina il 10 marzo 1788. 2. Il 9 marzo del 1796 fu nominato Chirurgo primario poiché si era ritirato Nicola Froncillo
che il Santoro aveva già sostituito nelle lezioni. |
In questo ospedale Leonardo
Santoro fu medico e ricercatore dando inizio ad una opera che porterà la
chirurgia napoletana a fondersi con la medicina.
La sua fu una specie di fondazione della chirurgia che fu tolta dalle
mani degli empirici.
La medicina per il Santoro doveva
liberarsi dai tanti pregiudizi che ostacolavano il suo progresso, aveva bisogno
di analisi semplici e precise, osservazioni sistematiche sulle cose naturali.
Avvertiva inoltre la necessità di eliminare la dicotomia tra insegnamento della
medicina impartita in un luogo e pratica fatta negli ospedali senza che vi fosse comunicazione tra i due momenti. Era necessario
raddrizzare tanti giudizi errati, svelare gli errori della chirurgia pratica
che senza il sostegno della dottrina aveva procurato
molti danni e soprattutto si portava dietro tanti anni di medicina pratica che
molte volte camminava a braccetto con la magia.
Importante fu l’incontro nel 1785 con Luigi Targioni (1751-1817) venuto da Firenze per un riscontro tra
le due chirurgie.
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Vale la penna sottolineare la tradizione che legava gli ambienti
napoletani a quelli fiorentini che si era consolidato nella seconda metà del
600 ad opera di Francesco Redi, Francesco D’Andrea e Gabriele
Fasano attraverso contatti concreti
e scambi epistolari e che si concentrò intorno alla figura del Redi, medico e
scienziato, e dello stesso Targioni che alla fine del
’700 pubblicò un elogio a F. Redi, visto come il
simbolo della perfetta unione tra la tradizione umanistica e la vocazione
sperimentale d’influsso galileiano. Tale elogio si
trova nella "Reale Accademia delle Scienze e Belle Lettere" a cui appartenne il Santoro.
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Nel 1792 divenne chirurgo fiscale, una carica che gli pose
il problema di istituire le prove nei processi criminali e di stendere i
rapporti medico-legali.
"In questo campo egli diè esempio di quella severa giustizia che non abbassa la
propria coscienza ad alcuna speranza e ad alcuna paura; e fu in tal modo ch'Egli si proccurò il suffragio
de' Magistrati, degli uomini culti, e di tutti
coloro che ammirano i nobili sentimenti della giustizia e della dignità
umana" (De Renzi). |
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Il De Renzi dice di questa sua attività: "Se io potessi
raccogliere dagli Archivi de’ nostri Tribunali tutte le relazioni medico legali da lui
fatte nel lungo esercizio delle delicate funzioni di Medico fiscale, ne potrei
formare un corpo di dottrina in cui si trova collegato dottrina e umanità
sensibilità agli interessi sociali, e capacità di introdurre l’arte nostra
nelle aule de’ legislatori, ed in quelle de’ tribunali, per ispirare le leggi. Per questo fu molto
stimato nel Foro napoletano.
Il Nicolini nella sua opera Della istruzione
delle pruove ne’ giudizi penali (Napoli, 1830,
II, p. 277) racconta un episodio avvenuto nel 1800 quando furono trovate in una
cloaca di Napoli le membra divise di un corpo umano. Il Santono,
in virtù della sua funzione, fu chiamato ad esaminarlo, cosa quasi impossibile
dato lo stato delle membra che erano state per parecchio tempo nell’acqua. Il Santoro non solo riuscì a determinare il sesso, l’età e
il momento della morte, ma anche a capire che le membra erano state divise da
strumenti da cerusico. La sua relazione portò alla risoluzione del caso e le
indagini rilevarono che era stato realmente un cerusico ad operare il
sezionamento delle membra.
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Nel
1796 sostituì Nicola Froncillo come chirurgo primario
presso gli Incurabili dove sarà fondato il 14
maggio del 1810, il Collegio medico-cerusico che ebbe un ruolo centrale
nell’insegnamento della medicina.
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Presso
il Collegio gli alunni imparavano "la struttura
del corpo umano, i segni e i caratteri delle piante e delle droghe usuali e la
chimica medicinale". Praticavano "le operazioni anatomiche,
chirurgiche e chimiche ed assistevano alle cliniche dell’ospedale". Vi
erano "una biblioteca, un gabinetto anatomico, una collezione di strumenti
e di apparati cerusici ed uno chimico
laboratorio". Il numero degli alunni era fissati a 120 unità compresi 53
che godevano delle "mezze piazze gratuite"
che erano distribuite in modo che tutte le province del Regno potevano goderne.
Tali "piazze gratuite" si ottenevano mediante concorso. L’età di ammissione al Collegio era fissato a 13 anni
"tranne quando il giovinetto fosse uscito da altri collegi o
seminari". Egli riceveva una "compiuta istruzione anche di belle
lettere e filosofia". C’era una Commissione d’istruzione composta dal Rettore
e da cinque professori, i quali "curavano la parte scientifica e
giudicavano degli esami e de’ concorsi" che
sostenevano gli alunni. (C. Celano, Notizie del
bello dell’antico e del curioso della città di Napoli, Napoli, 1856).
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Una riforma all’Università
aveva riordinato la facoltà di medicina con l’obbligo del trasferimento degli
insegnamenti di medicina agli Incurabili (per l’educazione dei medici e dei
chirurghi) e di altre cattedre e con l’istituzione
della cattedra di Fisica sperimentale con l’annesso laboratorio considerata
come fondamento e base della medicina e chirurgia. Nonostante una forte
opposizione da parte di quelli che credevano che il far seguire agli studenti
le lezioni di Anatomia all’ospedale e le altre
all’Università costituisse un ostacolo.
Iniziò una vera e
propria rivoluzione intorno all’insegnamento della medicina che tentava di
fornire agli studenti non solo nozioni teoriche ma esercitazioni pratiche sui
cadaveri ed esperimenti dei principi della fisica in laboratorio. Tali riforme
furono accompagnate da una serie di interventi
collaterali nella sanità pubblica.
All’Università
operava anche Tommaso Fasano, professore solofrano di anatomia
e fisica.
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Il rapporto con le altre
chirurgie
La sua
attività, in una scienza ed in una pratica che divenivano ogni giorno sempre
più innovative, lo mise in contatto con tutti i sodalizi napoletani, italiani
ed europei che si interessavano del ramo in modo che
la medicina napoletana si allineò e risentì delle tendenze degli altri centri.
Faceva conoscere un tipo di chirurgia molto legata al senso
pratico.
Fu in corrispondenza con
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Fece conoscere il "buon senso pratico della chirurgia
Napoletana che non si mostrava corriva ad impugnare gli strumenti ed operare
con la mano e conciliando l’operosità con la prudenza, non sacrifica la vita o
i dolori dell’uomo all’audacia, e mira non al vanto di
un tentativo ardito, ma alla probabilità del riuscimento
(De Renzi).
Il De Renzi narra di aver avuto dal Santoro la descrizione di un coltello "il cui
tagliente compivasi con un erme segnato di alcune
sigle" delle quali egli diceva "che l’erme era il limite fin dove
conveniva immergerlo in alcune operazioni, e nelle sigle ne trovava espresso il
precetto".
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Nel 1812 (13 novembre) ebbe la cattedra di Chirurgia
teoretica all’Università dove restò per quaranta anni divenendone
due volte rettore (nel 1819 e nel 1835).
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L’insegnamento
Secondo
il costume del tempo subito dopo la nomina a chirurgo all'Annunziata vi istituì un insegnamento privato di Chirurgia.
Le sue
prime lezioni furono sulle Lesioni del capo.
Frutto di questo insegnamento fu
un'opera che il Santoro aveva preparato e che era usata dai suoi allievi in
manoscritto perché ricca di importanti osservazioni. Il De Renzi ne ebbe menzione da un suo
amico, allievo del Santoro, ma la cercò invano, forse da lui distrutta
insieme ad altre sue opere che non furono mai pubblicate. |
Il suo
insegnamento trova riscontro nelle opere mediche del tempo.
Il Galbiati, uno dei primi allievi, nelle sue
opere parla molto del Santoro, del modo con cui egli
chiariva a sé agli altri la scienza e l’arte della chirurgia, del fatto che
egli faceva dell’ospedale il luogo della ricerca contribuendo ad eliminare la
discriminazione che accompagnava l’attività dei chirurghi. Soprattutto in lui
la chirurgia era sempre legata all’anatomia, che con lui acquisirono dignità teoretica cooperando sia nell’indagine
clinica che nella terapia.
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Un
saggio della pratica operatoria del Santoro si ha in
un’opera di un altro suo discepolo, Pietro de Filippis,
che pubblicò La chirurgia operatoria del Sabatier,
seguendo l’indirizzo del maestro che voleva che per dare dignità di scienza
alla pratica chirurgica ci voleva una proficua opera di riscontro tra diverse
tecniche operatorie nelle cui note di commento espose la pratica chirurgica
napoletana indicando come modello il Santoro.
Nello
stesso solco si pose un’altra opera del de Filippis
sulla chirurgia di un chirurgo anatomico francese, A. Boyer
(1757-1833), che aveva a Parigi la cattedra di medicina operatoria e clinica
chirurgica. Anche qui nelle note riportava osservazioni e pratiche operatorie
messe in pratica dal Santoro a cui l’opera è dedicata.
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F. Comes nello studio intitolato Della medicina in Francia e in
Italia, pubblicato a Napoli nella versione italiana nel 1843,
affermava che la chirurgia rifioriva e di queste rifioritura
era autore il "Cav. Santoro eloquente,
istruito, felice operatore", il quale in questa rivoluzione sosteneva
la cattedra principale.
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L’opera
del Santoro è ancora citata in moltissimi libri di
pratica chirurgica.
Restò
tra lui e i suoi allievi un intenso rapporto sia con
quelli che si dedicavano allo studio e alla teoria, sia con quelli che si
dedicavano alla pratica. C’era chi lo consultava per la lezione di un testo
antico, chi per l’illustrazione di antichi strumenti
chirurgici. Ma c’era anche chi gli chiedeva nuovi metodi da lui escogitati e
chi consiglio per una dottrina che voleva promulgare.
Ha
contribuito all’istruzione di più generazioni di chirurghi anche in virtù della
sua lunga ed attiva vita: sessanta anni tutti passati nella tensione di
migliorare l’arte medica, nel rettificarne i metodi, nel migliorarne le
pratiche.
Ebbe
come allievi il Chiari, il Mancini, il Petrunti, Vincenzo Lanza, Felice
de Renzis, Lucarelli Vulpes, Minichini, Ciardini.
"Surse per opera sua una novella generazione chirurgica non ristretta nei cancelli dell'antico, ma neppure vanitosa dispregiatrice della sapienza degli avi. Così mentre negli altri paesi l'erudizione perdevasi, noi vedemmo conservato per obbligo lo studio di Celso nei nostri licei e nei nostri ospedali" (De Renzi). |
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L’opera vaccinica
Nel
1810 entrò nel Real Istituto centrale
vaccinico contribuendo al perfezionamento di questa opera
di cui illustrò la parte scientifica e quella pratica, ne sostenne le dottrine
più sane e si oppose alle pretese degli speculatori e quando ne fu presidente
si adoperò per renderla utile alla sanità pubblica.
Per questa opera ebbe un premio con le seguenti parole "
Leonardo
Santoro ob Servatas Hominem vitas Arabica Lux Insitione Vaccinica Averruncata.
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Altre attività
Chirurgo maggiore di Sua Maestà
della Fede (1812); Chirurgo Capo della Marina; Chirurgo consulente dell’Ospedale
degli Incurabili (1835).
Amministratore del Collegio Medico-Chirungico
(1820)
Ispettore delle Cliniche (1822).
Consulente del Real Albergo dei poveri (1844); Consulente del Real ospizio della Vita (1846).
Membro della Giunta sanitaria della Real
Marina di Sanità (1816). In questo compito dette ordine all’Ospedale della marina.
Presidente dell’Istituto d’Incoraggiamento (1812)
di cui era stato fin dall’inizio socio; dell’Accademia
medico chirurgica (1819) di cui era stato socio fin dalla fondazione;
dell’Accademia delle scienze (1823); dell’Accademia Pontaniana
(1828); del Camerino della Pietra degli Incurabili(1843); del Congresso
scientifico.
Corrispondente della Real
Accademia Ercolanense; dell'Accademia medico-chirurgica
di Palermo; della società filosofico-medica di Wurzburg; dell'Accademia di Perugia;
della Società economica di Avellino, dell'Accademia di
Barcellona.
Partecipò all’Amministrazione della Sanità della Provincia i Napoli della quale fu Consigliere nel 1825, e della stessa
Capitale di cui fu Decurione (1826).
|
°
Egli preferiva la salvezza di chi confidava alle sue cure, a’ riguardi ed agli interessi, e
mostrava co’ fatti che più valgono le pratiche
tradizionali che i più alteri sistemi stranieri disacconci
al nostro clima e alle nostre abitudini.
Nell’esercizio di un arte che
viveva un periodo avventuroso egli non si esimeva di porla al servizio dei
poveri mettendo in pratica il vero scopo della sua arte che era quello di
alleviare le sofferenze umane e ancor più farlo con benevolenza e disinteresse.
°
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Una opera del Santoro analizzata da Salvatore
De Renzi
Pochi
mesi prima della Rivoluzione del 1799 iniziò la pubblicazione di una importante
opera per il contributo alla nascente scienza chirurgica le Lezioni
chirurgiche sulla medicina operatoria del medico piemontese L. Bertandi, aggiungendovi
appunti, note, chiose e che "furono così estese e dotte da costituire un
vero e proprio trattato di Chirurgia". L’opera però fu sospesa e non
completata a causa dei "tempi calamitosi che portò con sé strascichi di odi e rancori che impedirono il completamento
dell’opera".
Il De Renzi sulle varie operazioni esaminate dal
Santoro dice: "Sono cose degne di un chirurgo maturo ed incanutito
nell’arte"; sottolinea la varietà dei casi da lui esaminati, la giustezza
del metodo usato, la esattezza delle descrizioni anatomicche,
la ricchezza dei casi naturali e morbose esaminati, i ragionamenti strincati. Nelle sue osservazioni egli esamina i metodi
precedenti considerandone le ragioni e perché sono stati accolti da altri
metodi, mostra come due pratiche possono essere buone entrambe e che tutto
dipende da una conveniente misura, esamina con precisione i momenti delle
singole operazioni. Se egli avesse potuto continuare l’opera
si sarebbe avuto un trattato istruttivo di operazioni chirurgiche. Molte note
sono vere e proprie lezioni, giudiziose osservazioni, avvertenze pratiche in
cui egli richiama l’attenzione dei chirurghi sulle varie modalità con cui una
situazione può presentarsi, analizza i diversi metodi, ne esamina
la convenienza secondo i casi, secondo la situazione anatomica, esamina i
probabili esiti. Tali e tante sono le osservazioni che bisogna convenire che a
35 anni egli aveva fatto tesoro di tutte le situazioni in cui si era trovato
della sua esperienza, ma anche che aveva letto e
considerato e fatto tesoro delle opere che erano state scritte fino ad allora
soprattutto mediche. I fatti clinici che egli riferisce a conferma di quanto
afferma mettono in risalto l’acume delle osservazioni, la rettitudine del
giudizio. In un caso dimostra erronea una pratica eseguita da lui quando era sostituto del Frongillo
che aveva avuto una riuscita positiva perché il malato era guarito egli
nell’analizzare e descrivere la cura mostra estrema chiarezza sottolineando
tutti i momenti errati e affermando che la guarigione non è certo avvenuta per
l’improvvida pratica messa in atto. In molti casi denunzia la barbarie di certe
pratiche che condanna con disdegno. Nell’indicare le pratiche sbagliate egli lo
fa con molta chiarezza descrivendo con estrema cura il metodo errato e dando il
perché di tale errori e tutti i possibili risultati.
Di contro con eguale chiarezza e precisione descrive la pratica corretta e bene
ragiona sulla necessità e sul perché della correzione che
appare subito più logica e sensata. Così nel paragonare due pratiche
egli con precisione e stringatezza ne dice le virtù dell’uno
e i difetti dell’altro senza bandirlo mai e quando è il caso considera pure
quando la pratica criticata può essere corretta. "Sarebbe utile che gli
scrittori di siffatte materie consultino le note che il nostro Santoro scriveva
oltre un mezzo secolo prima di noi".
Dice ancora il De Renzi: "Santoro era naturalmente facondo senza studio di affettata eloquenza, il suo linguaggio era chiaro e
ordinato, la parola pronta e convenevole, il sentimento preciso e troncato, i
precetti avveduti ed accorti, senza la confidenza dei ciarlatani, senza
l'esaltazione dei semidotti".
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Alcune pratiche usate dal Santoro
Raccontate da Salvatore de Renzi
·
L’uso
della neve e dell’acqua ghiacciata. Usò molto l’azione terapeutica del freddo negli aneurismi, in alcuni
tumori e come calmante in alcune malattie.
Si narra di un
aneurisma in seguito ad una ferita ad un gomito per il quale non si riusciva a
calmare i dolori, il Santoro vi applicò la neve
costatando subito non solo la diminuzione del dolore, ma delle pulsazioni. Lo
usò per quarantadue giorni finché vide indurito il tumore e l’infermo guarito.
Questa pratica divenne un metodo che dette sempre buoni risultati e che fu
oggetto di una dimostrazione ai suoi colleghi al suo maestro Cotugno, al Sementi senior, all’Amantea e al Pasqualone.
Succedeva però che la neve produceva una piaga, allora egli aveva escogitato un
altro metodo: ricopriva la piaga con un pezzo d’inceratina
francese su cui poneva un sottile sacchetto di vallonea sul
questa una vescica piena di neve pesta, che faceva rinnovare appena si
liquefaceva. L’uso del freddo fu soprattutto usato nelle lesioni della testa,
nelle commozioni cerebrale. La terapia del freddo divenne per lui in metodo
usato in molte malattie. Lo sperimentò anche al tempo di Gioacchino Murat quandò curò con successo
una malattia alla moglie che i medici francesi non erano riusciti a risolvere.
·
Il perfezionamento della cistotomia
che rendeva l’operazione
spedita e veloce. La
eseguiva da solo con una tecnica veloce e sicura che eliminava le occasioni di emorragie, mentre le tecniche precedenti erano elaborate
e pericolose fatte in due persone. Il suo metodo divenne così facile e sicuro
che ottenne risultati impensabili solo pochi anni prima. In tre anni riuscì a
praticare 56 operazioni "senza la perdita di nessun fanciullo".
·
La litotomia fatta con una tecnica tanto perfezionata
che ne dette un saggio al chirurgo francese Dupuytren.
L’episodio è narrato
dal suo allievo De Renzi che assistette all’ospedale
S. Francesco alla dimostrazione della nuova pratica, alle domande del clinico e
alle risposte del Santoro. In questa
occasione il Santoro raccontò la storia di un intervento alquanto
elaborato che egli risolse con una tecnica veramente ingegnosa. Era solito infatti, quando dava dimostrazioni agli allievi e agli
studiosi delle sue tecniche, di corredarle di esempi presi dalla sua lunga
pratica mettendo in evidenza un continuo sforzo di miglioramento e una tensione
per adeguare la tecnica ai casi particolari.
·
L’operazione
del cateterismo era praticata con un metodo che "equivale alla metà
della chirurgia".
·
La
cura delle ferite per le
quali non aveva un metodo unico avendo sperimentato diversi
sistemi secondo le ferite. Si era però
specializzato nella cura delle ferite del capo ne aveva fatto esperienza
all’ospedale dell’Annunziata dove venivano raccolte le lesioni violente.
·
Le
fratture, specie quelle
dei vecchi, non voleva l’immobilità dell’arto ed ogni
giorno eseguiva dei movimenti dell’arto infortunato. Non sempre applicava i
metodi e le macchine estensive che si usavano allora e rese
generale la pratica di curare il maggior numero delle fratture coi soli
falsi fannoni.
·
Le
cuciture erano spesso
sostituite con la fasciatura.
"E quale
sarebbe quella ferita cui un’appropriata fascia, o questa, od il sito, non potrebbero rendere gl’istessi uffizii che la spaventevole cucitura? Io che ho avuto
l’agio di vederne senza numero in una città popolata quanto questa, niuna ne ho
ritrovata; mai ho avuto motivo di dolermi della mia
pratica, sia per la brevità del tempo impiegato nella cura, sia per la bellezza
della cicatrice". In queste parole del Santoro
c’è il motivo di fondo della sua grande opera e cioè il conforto
dell’esperienza. Nelle grandi ferite mostrava gli inconvenienti e i danni di
una cucitura. Una fu guarita in 36 giorni con appropriate fasce.
·
Nella
diagnosi dei tumori di vario tipo si affidava ad una osservazione
attenta non solo dell’aspetto esterno, del colore ma financo
dell’odore. Per curarli consigliava di estate le acque
di S. Montano d’Ischia che sono piene di iodio.
·
L’operazione
della paracentesi fu
modificata con una pratica acquisita sugli animali e sui cadaveri.
·
La pratica del fuoco con cui curava varie malattie,
·
Gli
interventi sulle tonsille erano
ridotti ai casi proprio necessari e praticati con una recisione graduata
evitando l’emorragia e favorendo la distruzione della ghiandola per mezzo della
suppurazione.
·
L’uso
delle acque minerali d’Ischia
che egli studiò di persona e con esattezza i casi nei quali se ne poteva trarre profitto soprattutto per quanto riguarda i
postumi di alcune malattie chirurgiche.
Un
lungo elenco di operazioni pratiche e di sistemi che
mettono in risalto l’opera rivoluzionaria del Santoro per la chirurgia del
tempo. Non c’è operazione o malattia o intervento che egli non abbia modificato e corretto ottenendo risultati sicuri
perché
le operazioni del Santoro riuscivano sempre felicemente da affermare
che non vi è genere di operazione che non avesse eseguito con una felicità che
pareva fortuna, ma era avvedimento.
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Aveva 35 anni e nel pieno
dell’attività scientifica e operativa quando passò nella tempesta del 1799
subendo lo sconvolgimento che quella rivoluzione causò soprattutto a
Napoli.
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Vedi: Salvatore De Renzi,
Lionardo Santoro, Napoli, 1854.
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Di lui scrisse Carmine
Troisi in questi sonetti
Il medico
I
Vinse nequizia di fortuna e trasse tenace il piè fino a toccare il segno, cui, perché fido e fier si sollevasse, lo stimolavan forte il cuor, l'ingegno. Né di poggiar lassù mostrossi indegno, perché, ne l'alte stanze e ne le basse, egli ugualmente entrò, col sacro impegno d'infrangere a la morte l'empie nasse. E vinse pure spesso in tal cimento, non d'altro lieto, in sua bontà sovrana, che d'aver dato ad altri salvamento. Rifulse in lui così la cristiana scienza, che è sovratutto sentimento di carità per la miseria umana. II E quanto amava il suo natal paese, da la cui stirpe ereditò la mente e l'energie per superar le offese di sorte avversa ad ogni sol nascente! e questo ancora la beltà fulgente del nostro San Michel, cui fu cortese di ricchi doni, i quali, anche al presente, fan de la sua pietà prova palese! E l'occhio, al quale omai ben dura cosa è di doversi imbattere sì spesso in una gente imbelle e boriosa, fissando il volto, nel plasmato gesso, del veglio onesto, un po' gode e riposa, ed un auspicio par leggere in esso. |
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