I Maffei di Solofra
Importanti rappresentanti della borghesia artigiana. Impegnati in varie attività artigianali e mercantili tra cui
l’arte del battiloro con una bottega che lavorava il metallo anche con un
marchio proprio.
Un ramo si era impiantato a Napoli per poter sostenere, con
la residenza nella capitale, l’arte del battiloro a Solofra.
Il casale originario era il Toro, ma avevano beni al Fiume
e al Sortito.
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Antonio u. j. d.
Fu
amico e fedele del principe Giovanni Caracciolo di Avellino che nel 1511 lo nominò Governatore di Montecorvino e Olevano e in
seguito gli affidò il governo di Melfi dove subì l’assedio delle truppe
francesi guidate dal Lautrech (1528) e dopo la presa
della cittadina, la prigionia.
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Fabrizio
Figlio di Antonio, fu legista
e filosofo, governò Melfi per Andrea Doria.
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Giovan Camillo
seconda metà
del XVI secolo
figlio di
Antonio
Filosofo, medico e scienziato aristotelico
.
Ritratto di Giovan Camillo Maffei dalla edizione
del 1564 della Scala Naturale, opera dedicata a Giovanni di Capua, conte di Altavilla. "Avendomi più volte V. S. illustrissima scoverto il gran disiderio che
tiene di sapere le cose del mondo, e dato quasi particolar peso di procacciar
il modo, come havria potuto ciò facilmente farsi;
m’impresse nel core un tal pensiero, che stando io (si
come suole avvenire a’ pensosi) quasi tutto lontano
da me stesso; mi parve (non so se dormendo fosse, o pur vagheggiando) che co’l mezo della presente Scala
di grado in grado molti dubbii dichiarando insiememente in ciel formondonsi". |
Scrisse Scala
naturale, overo Fantasia dolcissima che ebbe
ben quattro edizioni a Venezia (1563, 1584, 1600, 1607) che testimoniano la
diffusione del trattato negli ambienti della scuola aristotelica padovana.
L’ultima edizione fu sempre a Venezia del 1781. L’opera è un
compendio delle parti del mondo descritte seguendo Aristotele. L’autore
espone il sistema cosmico secondo principi del filosofo di Stagira. Tratta delle comete, delle
meteore, dei noti dei corpi celesti, allargando le sue osservazioni a tutti
gli ambiti dalla meteorologia alla botanica, dalla zoologia
all’alchimia. È trattato ampiamente il mondo della natura come quando esamina la natura dei pesci del Mar Rosso, la virtù dell’acqua, le caratteristiche della neve e della grandine. |
La sua opera si qualifica di alto interesse alchemico infatti tratta tutti i fenomeni occulti della natura |
Essa è in rapporto con
lo sviluppo dell’alchimia rinascimentale specie nella Firenze - Cosimo dei
Medici che fece tradurre e diffondere il Corpus Alchemico di Ermete Trimegisto - con cui
Solofra fu in contatto.
Il Maffei sentì
l’influsso di questa atmosfera toscana dove avveniva
l’integrazione tra la cultura antica con la emergente capacità produttiva
artigianale fiorentina che in tono minore era anche quella solofrana.
La fusione dei metalli
per il battiloro e il battargento solofrano, la
preparazione e fissazione dei coloranti per le pelli, la preparazione dei
medicinali nelle numerose spezerie locali tutto
spingeva a creare una atmosfera favorevole allo sviluppo
di un ampio interesse per l’alchimia.
"Essa in quel
periodo era vista come una cultura globale adatta a
salvare il mondo perfezionandone la sua natura ivi compresa quella umana con
una finalità non limitata alla salvezza umana come invece richiedeva la
tradizionale alchimia di indole mistica".
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Fu medico e musico
Rinnovò la pratica
medica con l’uso della musica che conobbe e praticò.
Nello stesso tempo
introdusse le sue conoscenze anatomiche nel campo della tecnica vocale. Intuì
che il canto non era innato ma si poteva imparare e
perfezionare col coordinamento respiratorio, fonatorio ed articolatorio.
Dice sull’uso delle vocali nel canto:
lo, u porta uno spaventevole tuono all’orecchia […] lo, i, portando co ’l
passaggio, rappresenta un animaletto che vada lagnando […]. L’altre vocali rimangono, si ponno senza
scrupolo portare, pure fando tra loro una comparatione, dico che l’o è la migliore, percioche con essa si rende la voce più tonda |
Con lui si cominciò
ad affrontare il problema della tecnica del canto.
Nel XVI secolo questo argomento trovò pratica applicazione ed
interesse da parte di medici e scienziati.
Su questo
argomento scrisse una lettera sulla musica pubblicata insieme ad altri scritti
nell’opera Delle lettere di G. Camillo Maffei da Solofra. Libri due. Dove
tra gli altri bellissimi pensieri di Filosofia e di Medicina vi è un discorso
della voce e del modo d’apparare di cantar di Gargantua, senza maestro non
più veduto n’istam pato,
Napoli, Raymundo, 1562. La lettera poi è stata
ristampata in M. Bridgman, G. Camillo Maffei e sa lettre sur le chant nella
rivista "Revue de Musicologie", v. 37.
1956, pp. 3-34.
Il suo tempo:
Il medico Girolamo Mercuriali (1530-1606) suo
contemporaneo studiò i comportamenti della voce e del fiato durante il
parlare. |
Leonardo da Vinci, morto nel 1519, aveva
descritto la fonetica. |
Il medico Andrea Vesalio aveva
pubblicato nel 1543 un trattato sul corpo umano |
Parlano di questo aspetto di Camillo Maffei:
M.
Valenti, Caratteri della tecnica vocale in Italia dalla lettera sul canto di
Camillo Maffei al trattato di Manuel Garcia, in
Atti del Convegno europeo sul
Canto Corale, Gorizia 29-30 ottobre 1984, Gorizia, 1984;
A.
Nigro, Considerazioni sulla tecnica del canto italiano dal secolo XVI ai
giorni nostri,
G. Montanari,
La didattica del canto: Camillo Maffei, in "415", 1933, n. 8;
M. Uberti, Un esperimento di didattica musicale: il corso
di pre-canto al Conservatorio di Parma in "beQuadro", 6(1986), 23.
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Dice
di lui Antonio Giliberti nel Pantheon
Solophranum (Abellini, 1886): "Da colà Maffei Camillo
/ Appare dignitoso. Opra lasciava / Di
non comune celebrità, cui nome / Imporre piacque: ’Di
Natura Arcani’ / Di tipi degna, e commendate
assai".
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Traiano
(XVIII secolo)
Medico
e filosofo fu promotore di cultura nell’accademia di "Lettere amene" di
Pier Francesco Orsini e in altre, a Salerno e a Napoli, unendo a questa attività anche una prettamente politica. Partecipò infatti ad un tentativo di dar vita ad un moto antispagnolo
al tempo del vicerè Onatte. Per suo tramite allora
penetrarono a Napoli, provenienti da Roma,
"lettere scritti e manifesti" contro gli Spagnoli.
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Dice di lui Antonio
Giliberti: " Traiano Maffei ne viene con le sue
palme opime / Di lettere cultor cui socio e membro / fra pochi eletti un’Accademia
sola / Non scelse, e a cui di grave mole uffizi / Impose" (Pantheon Solophranum,
Avellino, 1886).
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Giuseppe senior
Figlio
di Giacinto, nacque il 17 febbraio 1728, si dedicò agli studi giuridici e fu
discepolo di Pasquale Cirillo. Ebbe una vasta cultura tanto da parlare
correttamente, il latino il greco e l’ebraico ed
essere annoverato tra i dotti della Napoli settecentesca.
Insegnò
Diritto Naturale (1752), Istituzioni civili (1762), Pandette (1785).
Ebbe
una scuola privata molto frequentata, che fu centro della diffusione delle idee
dell’Illuminismo moderato.
La prima pagina dell’opera di Giuseppe Maffei Istitutiones juris civilis neapolitanorum |
La sua opera principale, del 1784, fu una sistemazione storica di tutte le norme e le consuetudini del Meridione. |
Era
necessario che si prendesse coscienza dell’intero corpus juris
napoletano che era passato attraverso vari sistemi
legislativi mai abrogati per cui si era accumulata un’enorme congerie di leggi
farraginose e contraddittorie che dovevano essere giustificate e spiegate
proprio dalla storia.
Indicò
un filo conduttore che portava il diritto, attraverso le variegate vicende del
passato fino al suo tempo in opposizione con l’indirizzo antistorico del cartesianesimo.
Era
convinto della validità del divenire storico che si esprime
nelle consuetudini che diventano leggi.
Partecipò
direttamente al processo di rinnovamento del riformismo settecentesco in
posizione moderata ma a sostegno delle istanze di
innovamento. Come tale fu aperto alle innovazioni che venivano dalla Francia sia quando fu Censore dei libri, permettendo
l’accesso di molte opere provenienti da quel paese sia quando fu incaricato di
rinnovare l’Università di Catania e quando fu rettore dell’Università di Napoli
(1792).
Per
queste sue aperture subì il carcere e la chiusura della scuola.
Ma
la sua statura era così alta che ebbe riconfermato
l’insegnamento all’Università alla cattedra di Diritto romano,
restandovi fino alla morte avvenuta nel 1812.
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Fu il più
rappresentativo tra coloro che respirarono l’aria di
rinnovamento del Settecento napoletano e che riuscirono ad immergere la
mentalità cartesiana in quella napoletana. Apparteneva ad una di quelle
famiglie che avevano contribuito a tenere stretti i legami con Solofra, e che
nella Napoli del Settecento ricopriva un ruolo importante nei gangli della
nuova aristocrazia. Frequentatore dell’Accademia degli Oziosi nella casa
napoletana del suo amico Niccolò Maria Salerno, si era
formato alla scuola di Pasquale Cirillo e del Vico. Seguendo il filosofo
napoletano il Maffei trovò nel cartesianesimo uno
stimolo alla riflessione e al superamento di quel metodo, nella conquista del
mondo della storia. Col rigoroso processo proprio della ragione, che era la
ricchezza del cartesianesimo che neanche il Vico
disprezzava, il Maffei, nell’applicare l’insegnamento vichiano,
si volse al passato, correggendo il pessimismo in cui la nuova filosofia lo
avvolgeva. Attraverso il percorso delle istituzioni civili
del Meridione, indagate nella sua opera maggiore, il Maffei scese nelle pieghe
più genuine del vivere alla ricerca, nei "fatti", della
ragione delle leggi, una "ratio" dell’ordine sociale. La sua fu
un’indagine nelle stratificazioni del comportamento umano e nelle articolazioni
del costume, avendo ben chiaro il senso della complessità e della dinamicità
dei fenomeni umani, per individuare elementi comuni e strutturali utili a
spiegare gli istituti giuridici della società, e a dare un contributo ad una
rifondazione giuridica e teorica dell’"auctoritas".
Con lui la "giurisprudenza storica", divenuta investigatrice, da una
parte evitava il pericolo di travisare, con la perdita della prospettiva
storica, le istituzioni del passato, dall’altra era tesa ad individuare
modalità di interpretazione della realtà napoletana da
cui dedurre i mezzi per l’azione riformatrice. Uno spirito
"riformatore", dunque, il suo, improntato al concetto che l’uomo, nel
cambiamento, deve agire, non spinto da irrazionali mode innovative
ma aderendo alla realtà in cui si trova. Questo, tradotto in termini
contingenti, significava che, date le peculiarità del Regno di Napoli, che non erano quelle francesi, non era "congeniale" al
napoletano chiedere la caduta della monarchia. L’analisi del Maffei
sull’origine dei feudi portava avanti, da una parte, la polemica antibaronale,
sostenendo di risolvere il problema feudale per gradi perché i baroni del suo
tempo non erano il baronaggio che aveva procurato i danni del passato,
dall’altra, indagava il fondamento storico della sovranità feudale di Roma su
Napoli, affrontando il complicato problema del rapporto con la sede pontificia.
Era uomo del suo tempo anche quando sceglieva il latino per la sua
dissertazione, perché questo esprimeva quel bisogno, da più parti sentito, e
proprio del riformismo napoletano, di andare alle "migliori fonti"
della lingua di Roma, e perché evidenziava quell’amore
per la pagina scritta che non conosceva "la giurisprudenza pratica"
del suo tempo. Il Maffei - colui che
"disimpegna[va] gli affari collo scrivere piuttosto che coll’arriga" - sentì infatti, come magistrato e
insegnante, tutto lo spessore politico e civile del suo impegno, teso ad
incidere sulla realtà del suo tempo. Come professore all’Università e di una
scuola privata, partecipò al processo di rinnovamento, che si era innescato a
Napoli, in una posizione riformista, che mise in evidenza,
soprattutto quando fu Censore dei libri, dando la possibilità a molti studi che
venivano dalla Francia rivoluzionaria di avere accesso in Napoli; poi quando
collaborò alla riforma dell’Università, di cui fu rettore; e quando aderì al
fervore di studi e di idee che precedette il ’99. Per questo subì la
carcerazione, durante l’opera repressiva dopo la scoperta della prima congiura giacobina nel 1794, e la chiusura della scuola privata,
prima della fuga del re.
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Illuministi e novantanove a Solofra
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Dice di lui il Giliberti:"Rutilat eu Lucifer
axe / Eu Maffejus eques, Patronus sedulus / aequus: Princeps ante alios amnes oracula
legum / Enodat, vitorque Fori ceertamina pugnat" (Pantheon Solophranum, Abellinum, 1886).
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Giuseppe junior
Nipote
del più famoso Giuseppe, nacque nel 1829. Fu magistrato in vari Tribunali.
Importante
fu la sua opera nel riordino delle magistrature del napoletano entrato a far
parte del Regno d’Italia.
Fu
rappresentante di Solofra alla Provincia dando un contributo non secondario
allo sviluppo del collegamento ferroviario con Avellino e Napoli riuscendo ad
ottenere che la cittadina non subisse i danni di un progetto che la tagliava fuori dalle comunicazioni con i due centri campani.
A
lui è intitolata la via che collega
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Da M. De Maio, I Maffei di
Solofra, Solofra, 1997.
Per
prelievi totali o parziali citare lo studio indicato
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