SOLOFRA NEL PERIODO NORMANNO

Il periodo del decollo di Solofra

 

I guerrieri Normanni occuparono l’Italia meridionale alla fine del XI secolo ponendo fine alla dominazione longobarda e instaurando un Regno con capitale a Palermo.

Il Normanno Roberto d’Altavilla, detto il Guiscardo, si impadronì del Principato di Salerno dando le terre ai suoi soldati.

Solofra fece parte della provincia di Principato e Terra beneventana (salernitano, Irpinia e parte del beneventano) e in questa della Contea di Rota assegnata a Troisio (detto di Rota) che prese il cognome Sanseverino (per il culto al santo) e fu il capostipite di questa famiglia.

 

Troisio devastò le terre dell’ex gastaldato di Rota provocando l’abbandono della via del passo di Castelluccia.

 

La via di Castelluccia, detta incrongrua ad andandum, da questo momento fu abbandonata

 

L’episcopio di Salerno per proteggere il territorio dalle violenze del primo periodo normanno mise in atto una ristrutturazione ecclesiale in seguito alla quale Solofra fu inclusa nel distretto di Serino.

 

 

 

 

Alla morte di Troisio di Rota-Sanseverino (1081) la contea passò al figlio Ruggiero I Sanseverino (1125) che la divise in due parti.

A Roberto I (del ramo Sanseverino-Caserta) andarono i territori di Serino, Solofra e Montoro.

 

Roberto I morì presto lasciando al figlio Roberto II, ancora piccolo, il feudo, che fu retto dalla madre Sarracena.

 

Sarracena pose diverse terre di Solofra sotto la protezione dell’Abbazia di Cava, dalla quale esse ebbero una spinta alla produzione agricola ed artigianale.

 

Roberto II divise il feudo (1183) assegnando Serino (con Solofra e S. Agata) al figlio Ruggiero II (ramo Serino-Tricarico).

 

Ruggero II, dette al figlio Giordano (intorno al 1187) il vico di Solofra, che godette di autonomia territoriale e amministrativa.

 

Giordano morì senza figli (tra il 1194 e il 1210) per cui la comunità, per non ritornare nel feudo di Giacomo Tricarico (erede di quello di Serino), chiese a Federico II di Svevia, che nel frattempo aveva ereditato il regno normanno, la decadenza del potere feudale.

L’imperatore, dopo un’indagine sul feudo, decretò il ritorno del vico di Solofra ai Tricarico di Serino, rigettando la richiesta della comunità solofrana.

La richiesta è segno di maturità socio-economica perché l’autonomia feudale avrebbe permesso a Solofra di entrare nel demanio imperiale e goderne i privilegi economici.

 

In questo evento è da vedere l’inizio di una tendenza rivendicativa antifeudale che fu una costante nella storia solofrana.

 

Le terre solofrane dell’Abbazia di Cava e della Chiesa di Salerno si giovarono di privilegi giudiziari ed economici che dettero una spinta alle attività artigianali tra cui la concia, ulteriormente potenziata per il rapporto con Salerno.

In questo periodo fu costruita la chiesa di S. Croce.

Questa realtà spinse Giacomo Tricarico ad assegnare il casale di Solofra alla figlia Giordana, andata sposa ad Alduino Filangieri (prima del 1258) per cui il casale ebbe anche l’autonomia territoriale.

 

 

Solofra e S. Agata nel periodo normanno-svevo

Uomini e luoghi

Solofra

Era più ampia, infatti fu chiamata vico, diverse terre dipendevano da Cava, ma c’erano anche liberi proprietari.

C’erano altri fondi rispetto al periodo longobardo: uno, Corneto, appartenente a Rao, figlio del domini Pietro, lavorato da Osmundo, figlio del domini Raone, e confinante con i beni di Giovanni de Fusco e quelli di Furca, lavorati da Cennamo; l’altro era un esteso fondo chiamato Sasso dal nome del suo proprietario, Urso de Sasso, che era il capostipite di una vasta famiglia, cui appartenevano il figlio Alfano e il nipote Martino.

Altri abitanti erano il colono Accetto, con i figli tra cui Giovanni e i coloni Tristano e Giovanni del domno Doferio.

Fu costruita la chiesa di S. Croce, che costituì il primo centro veramente solofrano, visto che la pieve apparteneva all’Arcivescovo di Salerno. Questa sorgeva allo sbocco della via che proveniva dal rione delle concerie e si dirigeva a Turci, passo che in questo periodo acquistò importanza sia per i rapporti con Serino, di cui Solofra faceva parte sia perché le distruzioni causate da Troisio avevano reso inagibile la via di Castelluccia. Intorno ad essa c’era dunque un nucleo di smistamento dei prodotti, visto che le chiese erano i centri di raccolta dei prodotti e dei fedeli e che lo scambio delle merci avveniva in occasione delle feste religiose. Su questa via si formò infatti l’antico casale del Sortito, chiamato poi Capopiazza, entrambi centri del commercio. Qui c’era la curia, che era il luogo dove si risolvevano le controversie tra gli abitanti che in questo periodo erano legate alle attività produttive.

 

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 A S. Agata c’erano diversi fondi:

La corte di Fronda, un fondo ampio e ricco con alberi da frutta e querce posseduto da Urso de Inga, figlio di Falco, poi da Musando, figlio di Pietro, e da Sica figlio di Lando. Confinava con altri beni di Urso, di Musando e di Sica con beni di Guiso di Lando e con vie vicinali.

La corte Alamanni con un vigneto e un frutteto anch’esso di proprietà di Urso de Inca che poi lo cedette al figlio. Confinava con i beni di Giovanni Montorese, con altri beni di Urso.

La corte garofari con vigna e frutteto tenuto dall’abbazia di Cava e dato ai coloni Rogerio e Gioovanni.

Un fondo detto la sidilia con case e pertinenze ed uno detto la balle de la mela entrambi posseduti da Urso de Inca. Quest’ultimo è il seno vallivo, ora denominato Melito, che giungeva fino alla collina del castello, appartenente alla famiglia più cospicua del posto. Tale insediamento era collegato, nella parte alta, al castello e a Turci

Sul passo di Castelluccia che anche se non si usava più continuò ad essere una zona di collegamento con Montoro e con Serino, c’erano il fondo croci con piante di querce e pertinenze appartenente a Urso di Guisenolfo e tenuto da Salerno faber, poi passò a Cava che lo fece lavorare dal colono Rogerio Spina di Doferio e confinava con i beni di Guiso.

Il fondo supta ipsa gripta con castagni e pertinenze, appartenente insieme ad altri beni confinanti al sacerdote Citro, figlio di Giaquinto e tenuto da Falcone, figlio di Falcone.

Altri possedimenti erano un abellaneto in località cesina longa, appartenenti a Urso detto Pausania, figlio di Doferio e tenuto dal colono Giovanni, figlio di Ademario a sua volta figlio di Costi. Confinava con beni della chiesa di Saloerno tenuti da Maraldo.

C’era un ampio territorio con alberi e viti e querce, Serrone o Serra, di cui una parte era proprietaria la famiglia feudataria dei Sanseverino ed era tenuta dal chierico e notaio Albaliano, poi passò a Cava, un’altra alla chiesa di Salerno ed una parte di privati tra cui Rugiero Spina di Doferio.

C’erano ancora i possedimenti di carpino, tenuto da Cava e dato a Pietrro di Maione detto Anatre; di carrano, un arborato vitato appartenente a Cava e dato a Fiovanni, figlio di Gervasio.

La denominazione ricorrente di questi fondi di S. Agata, era quella di "corte" cosa che delinea un insediamento più articolato ed intensivo con liberi possessori. L’attività specifica era la produzione del vino, che era un prodotto pregiato, non mancava quella dell’olio, tra i frutti predominavano le mele. C’era l’attività artigianale a conduzione familiare della lavorazione del ferro con la produzione delle centrelle, molto diffusa. Essa era praticata da Malfredo e i figli, una famiglia di fabbri che aveva possedimenti in altre località di Montoro oltre che nella stessa S. Agata, dalla famiglia di Salerno faber, un ceppo esteso nella zona, e da quella di Graffio fabro.

C’era un forte legame tra gli insediamenti di S. Agata e quelli di Montoro, specie Banzano, tutti sviluppati intorno al passo e tutti legati da uno stretto rapporto di scambi di fondi e di persone e dal fatto che essi erano abitati da ampie e ricche famiglie di coloni e proprietari. È il caso di Urso de Inca, un proprietario locale figlio di Falcone, i cui beni si estendevano sul crinale che va da Banzano a S. Agata, scendevano nella zona pianeggiante e comprendevano diverse cortine. Di questa famiglia, che era una delle più cospicue, si riesce a seguire lo sviluppo per tutto il XII secolo. Ed è anche il caso della famiglia di Maraldo, un nucleo di coloni che percorre un intero secolo. Altro proprietario i cui beni si trovano sia a Banzano che a S. Agata è un tale Alamanno che ha dato il nome al suo fondo. C’era poi il gastaldo Lando e il figlio Guiso che era "vicecomes" del castello di Serino che in questo periodo era tenuto da Ruggiero Sanseverino.

Per la sua ricchezza socio-economica l’intero vico di S. Agata fu staccato da Montoro quando si costituì il feudo di Serino e fu inglobato in questo feudo. Essa ebbe un secondo centro religioso, la chiesa di S. Andrea, la cui costruzione, già avvenuta nel 1195, evidenzia che la parte alta di questo vico cominciava a distinguersi dalla zona pianeggiante cosa che preparerà la scissione in due casali (uno resterà a Serino e sarà chiamato "S. Agata di sotto o di Serino" l’altro andrà a far parte di Solofra e sarà chiamato "S. Agata di sopra o di Solofra") nel periodo angioino.

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Nella conca di Solofra c’era una diffusa piccola proprietà terriera che era alla base dell’economia di Salerno. La città infatti aveva le sue radici nella pianura alle sue spalle che era come una sua emanazione, con la quale manteneva stretti rapporti. Tutta la conca fu tributaria di uomini e di prodotti che avevano trasformato il mercato di Salerno in un magazzino di raccolta per le merci che poi partivano da Amalfi dirette in tutto il Mediterraneo. Ed erano anche questi fondi a permettere quell’investimento dei proventi della terra nel commercio che caratterizzava l’economia salernitana.

Già in questo periodo la produzione silvo-agro-pastorale, fu sostenuta ed affiancata da quella più specifica della concia dei prodotti dell’allevamento che si stabilì sul posto sotto la spinta delle stesse istanze che avevano favorito lo stabilizzarsi sulle rive dell’Irno della lavorazione della lana dei pascoli delle montagne dei casali di Giffoni e di Rota. Unito da un unico prodotto il polo Solofra-Rota-Giffoni forniva al mercato di Salerno quella materia prima che, impreziosita da un artigianato fiorente e ricco, alimentava un mercato ricercato del quale gli amalfitani erano padroni.

Le attività economiche solofrane, si giovavano del regolare rapporto della pieve con l’episcopio salernitano anzi l’aspetto dinamico della pieve deve essere considerato un elemento costante, positivo e stimolante della economia locale.

I prodotti solofrani però non giungevano solo a Salerno perché si determina in questo periodo un’altra direttrice di traffico sulla via di comunicazione con la Puglia. Tutta l’area infatti si giovò del rapporto tra Salerno e la Puglia fin dal tempo del trattato di divisione tra i due Principati, che proteggeva i pellegrini che andavano al Gargano, che non fu solo un rapporto religioso. Si sa infatti che i pellegrinaggi erano anche incontri commerciali e che i pellegrini erano spesso mercanti. Nei porti pugliesi, dove veniva avviata la produzione interna, giungeva il commercio dei ragusei, i quali vi compravano oltre al legname, al grano, ai prodotti dell’artigianato anche la carne salata vi giungeva il commercio veneziano che acquistava tra l’altro pelli pelose e pellami conciati.

 

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Genealogia dei Sanseverino, primi feudatari di Solofra.

 

 

I fondi solofrani posti sotto la protezione di Cava  

 

 

DOCUMENTI DEL PERIODO NORMANNO

 La via del passo di Castelluccia non più utilizzabile

·         1102, settembre.

Ruggiero di Sanseverino, figlio del fu Turgisio, dona due terre in Montoro alla Chiesa del Salvatore, sita a Torchiati presso la via antica che è incongrua ad andandum e che pergit ad Sancta Agati, consegna la chiesa al presbitero Giovanni, figlio di Landone presbitero, obbligando lo stesso e i suoi eredi a difenderla. Scrive il notaio Truppoaldo, è presente il vice-comite di Ruggiero, Giovanni.

X (...) Ego Rugerius filius quondam Turgisii clarefacio quoniam per mea puplicatia pertinet michi abere rebus in loco Muntorum ubi ad Trocclati dicitur Rotense finibus (...) et propinquo ipsa rebus predicte ecclesie S. Salvatoris et coniuncta cum ipsa rebus in quo ipsa ecclesia est constructa que fuit via antica et est incongrua ad andandum (...). Ab ipsa parte occidentis fine ipsa via que pergit ante cisterna antiqua (...); et iterum revolvente ipsa via publica in parte orientis et pergit ad Sancta Agati (...). Et congruum est mihi iamdicto Rugerio pro amore Onnipotentis Dei et redemptionis anime mee et de ipso genitore meo et Riccardi filius meus (...) dedit et tradidit Joanni presbiteri filii Landoni presbiteri (...) ut semper sit (...) in potestate ipsius iamdicti Joanni presbiteri et de alios rectores qui ipsam ecclesiam servient omni tempore permaneat in ipsam ecclesiam et de ipsam ecclesiam nullo tempore subtractum siat. Et obligo me iamdictus Rugerio et meos heredes (...) semper defendere in prefatam ecclesiam (...). Et taliter te Truppoaldus notarius scribere precepi per iussionem Joanni nostro vice-comite qui interfui (...). X Ego qui supra Johannes. (Archivio Badia di Cava, Arca XVII, n.55, in A. Colombo, Memorie di Montoro in Principato Ultra, Napoli, 1883, Appendice, pp.85-86).

·         1105, marzo.

I coniugi Giovanni Musando, figlio di Pietro, e Sica, figlia di Lando, scambiano con Urso de Inga, figlio di Falco, alcuni terreni. Cedono ad Urso due fondi attigui con alberi da frutta ed una casa di legno, siti in Montoro, al di sopra del crocevia Strata nei pressi del castello, e confinanti con i beni di Alemanno, figlio di Aldemaro, di Guidelmo, figlio di Giovanni, e di Giovanni, figlio di Vito; ricevono in cambio un fondo con alberi da frutta e querce sito in locum sancthe Agatha dove si dice Corte di Fronda, confinante con la via pubblica, con i beni di Guisone, figlio di Lando gastaldo, e con altri beni di Urso. Firma il giudice Giovanni vice comitem che è presente all'atto scritto dal notaio chierico Abalzamo.

X (...) Anno millesimo centesimo quinto, temporibus domni nostri Rogerii glori-osissimi ducis (...). Ante me Iohannem iudicem et vice comitem coniuncsit Musandu, filius quondam Petri, et mulier nomine Sica uxor sua, filia quondam Landoni, cum Urso, qui dicitur de Inga, filio qu[ondam] Falconi, toti commanentes de loco Muntorum et sicut ipsorum vir et uxor, Musandu et Si[ca], congruum fuit bona illorum voluntatem per hanc cartula ipsa mulier cum consensum et voluntatem ipsius vir et mundoalt suo, per convenientiam communiter commutatio[nis] hordine tradiderunt ipsius Ursi due peciole de terris cum arboribus vitatum et aliis [arboribus fruc]tiferis et cum casa lignieti, quod [intr]insecus habet, quod eorum pertinebat per ordine affiliationis et per prese de nostri senioribus et per preceptum anulo sigillatum, sicut et at ceteris hominibus de Muntoro sunt pertinentes per illorum prese, in suprascripto loco Muntoro super tribeo, qui diciur Strata, Rotense finibus, qui sunt per finis et mensurie (...) a parte orientis fine Alamanno filii quondam Aldemari (...) a parte meridiei fine via, passos octo; a parte occidentis fine iamdicta strata, ubi case de ominibus suprascripto castello facte sunt (...). Secunda pecia, ibidem et propinquo super ipsa pecia quod diximus (...) a septentrione fine Guidelmo filii quondam Iohanni (...) a parte meridiei fine via puplica et fine Iohanni filii quondam Viti (...); et propter confirmationem huius commutationis hordine ipsis vir et uxor susceperunt ab ipso Urso, filio suprascripti Falconi, per alia cartula una alia pecia de terra cum arboribus vitatum et alie quante pedibus de quertie, quod ipsius Ursi pertinuit habere in locum Sancte Agathe, ubi Curte de Fronda dicitur finibus Rotense, qui est ipsa pecia de terra per finis: a parte occidentis fine via puplica; a parte meridiei fine ipsorum vir et uxor, sicut termiti ficti sunt; et a pars orientis et de alie vero partis fine Guisoni filii quondam Landi castaldi et fine ipsius Ursi, qui dicitur de Inga, et coniungit se usque ipsa via, qui est priore fine. Cum omnibus intra ipsa pecia de terra habentibus omnibusque suis pertinentiis et cum vice di ipsa via, receperunt ipsis vir et uxor (...) per ipsa guadiam hobligaverunt se ipsis, vir et uxor, et illorum heredes semper defendere ipsius Ursi et illius heredibus (...) ex eis quicquam removere aut contradicere presupmserint, per iamdictam guadiam hobligaverunt se et illorum heredes componere ipsius Ursi, filio iamdicti Falconi, et illius heredibus viginti auri solidi constantinati (...) Et taliter tibi Abalzamus clericus et notarius qui interfuisti, scribere precepi (S). X Ego qui supra Iohannes. (Codice Diplomatico Verginiano, II, 58-61).

 

Urso, capostipite della famiglia solofrana

·         1119, gennaio.

Alla presenza di Alferio, giudice del castello di Montoro, Urso, figlio del fu Guisenolfo, abitante di S. Agata, vende a Salerno fabbro, figlio del fu Malfredo fabbro di Montoro, un fondo con piante di querce sito nella località di S. Agata detta Croce. È nominato fideiussore Giovanni detto Sorraca. Scrive il chierico e notaio Abalzamo.

X (...) Ante me Alferium iudice de castro, qui dicitur Muntorum, coniunctus est Urso filius quondam Guisenolfi habitantes de loco, quit de Sancta Agathe dicitur finibus Rotensi, cum Salerno faber filius quondam Malfridus fabri de eodem loco Muntorum. Et ideo sicut Ursi (...) venu[mdedit] ipsius Salerno faber una pecia de terra cum aliquanti pedibus de quertie, quod eidem Urso pertinebis h[abere in per]tinentiam de eodem loco Sancte Agathe, ubi at Cruci dicitur; qui est ipsa pecia de terra per finis et mensurie iusto passo hominis mensurata: a parte orientis fine Guiso, qui fuit vice comes de castro que vulgo Serino dicitur, filius quondam Landi, sicut termiti ficti sunt, passos hoctuaginta sex minus pedes duo; a parte meridiei fine ipsius Guisi, sicut termitatum est, passos triginta duo; a parte occidentis fine aliquantulum ipsius Guisi et fine ipsius Salerni, passos septuaginta nobem, et coniungit se usque ipsa priora fine, qui hibidem appiza quasi gayda. Cum omnibus intra se habentes omnibusque suis pertinentiis et cum vice de via sua, ipse Urso vendidit ipsius Salerni (...). Et propter confirmationem huius venditionis ipse Urso suscepit ab ipso Salerno statutum pretium auri tarenos bonos quinque de moneta civitatis Salernita in omni deliberationem. Et per eadem convenientiam ipse Urso guadiam ipsius Salerno dedit et fideiussorem ei posuit se ipsum et Iohanni qui dicitur Sorraca (...) per iamdicta guadiam hobligavit se ipse Urso et suos heredes componere ipsius Salerno et illius heredibus viginti auris solidos constantinatos (...) Quod tibi Abalzamus clericus et notarius scribere iussi (S). X Ego qui supra Alferius iudex. (CDV, III, 148-151).

·         1121, giugno.

Ruggiero di Sanseverino, figlio di Troisio il Normanno, dona all'Abbazia di Cava vari fondi di Montoro tra i quali alcuni confinanti con il rivus siccus.

X (...) Nos Roggerius de S. Severino filius quondam Trogisii Normanni (...) offerimus in monasterio Sancte et Individue Trinitatis, quod constructum est in loco Metiliano (...) integras sex pecias terrarum nobis pertinentium in finibus Montorii. (...) Quinta quoque pecia est terra cum avellaneto et arbusto ubi propre Misciane dicitur (...) a parte quasi occidentis finis cuiusdam Roberti qui dicitur de Salerno (...) usque rivum qui dicitur Siccusi. (...) et offerimus in soprascripto Monasterio integram ecclesiam nostram, que ad honorem S. Lucie Virginis constructa est in jamdictis finibus Montorii propre suprascriptum rivum qui siccus dicitur (...). X Ego qui supra Roggerius de Sanseverino. X Ego Enricus filius et heres predicti domini Roggerii (...). (ABC, Arm. F, n.18; E. Ricca, La nobiltà delle due Sicilie, II, Napoli, 1859-1879, pp.74-77).

 

Ancora Urso: padre e figlio

·         1127, ottobre.

Urso de Inga, figlio di Falco, volendo dividere i beni che possiede a Montoro e nel vico Sancta Agathe, alla presenza di Alferio, giudice del castro di Montoro, assegna al figlio Urso un fondo di S. Agata con vigneto e frutteto dove si dice corte Alamanni confinante con Giovanni montorese e col luogo a la Sidilia, un castagneto nella stessa località e un querceto con pertinenze in località a la balle de la mela, impegnandolo a contribuire al pagamento delle tasse in ragione di due tarì ed a non avanzare ulteriori pretese sugli altri beni paterni da destinare agli altri eredi. Scrive l'atto il notaio Balsamo.

 La balle de la mela è il melito

X (...) Ante me Alferium iudicem de castro, quod dicitur Muntorium, Ursus, qui dicitur de Inca filius quondam Falconi, conuinctus est cum Urso filio suo, at dividendum inter se per convenientiam rebus stabilius, quas inter se habuerunt in eodem loco Muntorium et in tota pertinentiam eiusdem locis et quas habuerunt in pertinentia de vico quit de Sancte Agathe dicitur. (...) dedit et traditit in sorte ipsius Ursi filio suo totam et integram unam peciam de terra cum arbusto vitatum et aliis arboribus fructiferis, quod ipsius Ursi de Inga pertinebis habere in eodem loco Sancte Agathe ubi proprie Curte Alamanni vocatur, que coniucta est at fine rebus Iohanni qui dicitur Montorese et a la Sidilia dicitur; et una alia pecia de terra cum castanietum, quod est ibidem et propinquo iusta ipsa fine rebus Iohanni Montorese et inclitam partem, qualiter ipsius Ursi de Inga pertinebis habere, de terra cum quertie ubi a la Balle de la Mela nominatur cum omnibus que intra eis sunt cunctisque earum pertinentiis et cum vice de viis et anditis earum (...). Ita tamen ut ipse Ursus et suos heredes per omnem quenquem annum deant ipsius Ursi genitori sui et illius heredibus propter atiutorium nominative de pensione auri tarenos bonos duo de moneta civitati Salernitane, qualiter ipse Ursus genitor eius et eius heredes pro pensione in publico dare potuerit. Et ipse Ursus genitor eius pro parte sua et pro parte de aliis filiis et filiabus suis comprehensit in sortem omnium alium rerum stabilium quantum quantoque eorum pertinebis habere in eodem loco Muntorium et in tota pertinentiam [eiusdem] locis; scilicet in ipso vico, quit de Sancte Agathe dicitur et in tota pertinenti[am] eiusdem locis, in montibus et in planis cultum vel incultum ubicumque exinde inbentus dederit, cum omnibus intra ipsis rebus stabilibus habentibus omnibusque earum pertinentiis et cum vice de viis et aquiis et anditis earum, at faciendum exinde ipse Urso genitor eius et aliis suis heredibus omnia quo voluerint sine contrarietatem ipsius Ursi filio suo et de suos heredes vel cuiquam hominibus. (...) et si in suprascripta divisione, qualiter superius legitur, firmiter non permanserit, et aliquit inde ei removere vel contradicere presupmeserint per iamdictam guadiam ipse Urso hobligavit se et suos heredes componere ipsius Ursi genitori sui et illius heredibus viginti auri solidos constantinatos, et in suprascripta divisione semper firmiter permanere. Et taliter tibi Balsamus clericus et notarius scribere precepi (S). X Ego qui supra Alferius iudex. (CDV, III, 281-284).

·         1158, settembre.

Marotta, figlia di Urso di Banzano e vedova di Riccardo Russo, e la cognata Diana, figlia di Durunto e vedova di Ruggiero Russo, d'accordo con i propri figli, Grimoaldo e Giovanni, vendono ai fratelli Alfano e Giovanni, figli del fu Maraldo, un fondo con piante di querce, sito nel luogo Silva Maior nei pressi di Montoro. È presente il giudice Gervasio, scrive l'atto il notaio Pietro.

X (...) Cora me Gervasio iudice Marota, filia cuiudam Urssi de Banzano et relicta quondam Ricciardi Rusci, et Grimoaldus et Iohannes, filii sui ac filii quondam supradicti Riccardi viri sui, et Diana, filia cuiusdam Durunti et relicta quondam Roggerii Russi, et Robbertus et Riccardus, filii eius ac filii quondam supradicti Rogerii Russi, qui omnes coniuncti sunt cum Alfano et Iohanne germani ac filii quondam Maraldi; et ipsi omnes matres et filii clarificaverunt sibi pertinere unam pectia de terra vacua cum aliquanti pedibus de querris qui in pertinentia Montorii ubi Silva Maior dicitur per os fines: a parte orientis fine via; a parte septentrionis fine Iohanni Scoctum, sicut media sepe discernit; a parte occidentis fine heredum Robberti Boccetta; a parte meridiei fine valloni usque in iamdicta priore viam. Et ideo, sicut ipsius omnibus matribus et filiis placuit (...) vendiderunt hac tradideunt ipsis germanis vedilicet Alfano et Iohanni iam suprascripta pectia de terra (...) cum omnibus que eam sunt cunctisque suis pertinentiis et cum vice de suprascripta via (...); et propter confirmationem suprascripte vendictionis ipsi matres er filii disserunt sse suscepisse ab issis germanis tarenos quadraginta quactuor [spendibilis] monete in omni delliberatione (...). Et taliter ego Petro notarius iussu suprascripti iudicis scribssi (S). X Ego qui supra Gervasius iudex. (CDV, IV, 271-274).

·         1159, marzo.

Il giudice Giovanni nella curia del castello di Serino alla presenza della feudataria Sarracena, di Claritia, figlia di Sarracena, di Pietro Caza e di altri uomini idonei dona, per l'anima dei mariti della stessa, Roberto Capomazza e Simone de Tivilla, all'Abbazia di Cava alcuni uomini censili del vico Solofrae con ogni loro iure, tenimento, et cum omnibus redditibus et servitiis e cioè Alfano de Urso de Sasso con i figli, Accetto con i figli, e i fratelli Tristano e Giovanni, figli di Doferio. Scritto da Roberto, notaio e giudice di Cava.

X (...) Dum in Curia huius Castelli, quod Serenum vocatur, in praesentia Dominae Sarracenae ipsius Castelli Dominae essem. Ego Iohannes Iudex assistentibus ibidem Domina Claritia filia ipsius Dominae Sarracenae, et Petro Caza, et aliis quampluribus idoneis hominibus. Ipsa Domina Sarracena, ut potest, eius voluntas exhibuit pro mercede et remedio animarum quondam virorum ejus Roberti Capumazae, vedilicet, et Simonis de Tivilla, et animae suae et Parentum suorum dedit et obtulit Monasterio Ecclesiae Sanctae et Individuae Trinitatis quod de Cava dicitur, per manus et interventum Domini Roberti ipsius Monasterii Praepositi, Alfanum de Ursone de Sasso cum filiis suis, et Tristanum et Iohannem, qui sunt germani ac filii Domini Doferii, et Acceptum cum filiis suis, hos omnes habitatores de Vico Solofrae cum omni eorum iure, tenimento, et cum omnibus redditibus et servitiis quae ipsi annualiter Reipubblicae facere debeant, una cum accessionibus et ingressibus, seu cum superioribus et inferioribus suorum, in integrum in eodem Monasterio dedit et obtulit, et per praesentem cartulam offersionis ibidem habendum confirmavit. Faciendum pars ipsius Monasterii exinde, aut cui pars ipsius Monasterii dederit secundum legem omnia quod voluerit a praesenti die sine omni illius Dominae Sarracenae et haeredum et successorum eius, et partium Reipubblicae seu quaelibet apposita persona contra hanc cartulam offersionis ire quandoque agere tentaverint, aut per quodvis ingenium infringere quaesierint. Tunc inferant, et componant ad ipsum Monasterium, seu ad illam partem contra quam exinde litem intulerint, centum auri solidos regales; et quod repetierint vendicare non valeant. Sed praesens haec cartula offersionis diuturnis temporibus firma permaneat atque persistat. Quod ego Iohannes Notarius et iudex praecepto ipsius Dominae Saracenae taliter scripsi. X Signum propriae manus ipsius praedictae Dominae Sarracenae. X Ego qui supra Iohannes iudex. X Signum propriae manus Gumundi de Hobert Militis. X Signum propriae manus Petri Cazae. X Signum propriae manus Maraldi Citelli. X Signum propriae manus Roberti Cazae. X Servatum autem originaliter in pergameno in Arm. II, O, N.14. (Purdgavine, con lettera dedicatoria di A. Graziani, Avellino, s.d., pp.15-16).

 

Urso il nome persino ad una località (siano al sorbo)

·         1164, aprile.

In presenza di Sarracena, signora del castello di Serino, il giudice Ruggiero dinanzi al milite Maraldo detto Citello, al milite Pietro detto Caza e ad altri uomini idonei, nella curia del castello di Serino, conferma al preposto Roberto e a Giovanni de Afilia, che rappresentano il monastero di Cava, la donazione di un fondo con vigneto e frutteto, posto nel vico di Solofra in località detta Ursone de Sasso, fatta per disposizione del fu Urso de Sasso. Il bene confina con altri poderi della famiglia de Sasso e con beni di Ursone de Romualdo.

X (...) Dum in Curia huius Castelli Sereni in praesentia Dominae nostrae Saracenae essem ego Roggerius Iudex ibidem etiam assistentibus Maraldo Milite, qui dicitur Citellus, et Petro Milite, qui dicitur Cazza, quampluribus idonis hominibus, sicut ipsi Dominae nostrae Saracenae placuit sponte per convenientiam per hanc cartulam, pro mercede animae suae atque defunctorum suorum concessit et confirmavit Roberto Praeposito et Iohanni de Alifia pro parte Monasterii Sanctae Trinitatis quod de Cavae dicitur. In quo videlicet Monasterio Domnus Marinus Dei gratia Venerabilis Abbas praeesse constitutus est, unam pecciam de terra cum arboribus vitatis et fructiferis in pertinentiis Vici Solofre, in loco ubi Ursonis de Sasso dicitur, quia videlicet petia de terra asserebatur quondam Martinus qui dictus fuit de Urso de Sasso in sua ultima dispositione in iam dicto Monasterio pro salute anime sue, suorumque delictorum venia obtulisse; quam pecciam de terra per fines esse dixerunt. A parte Orientis fine Alfanus de Sasso, et Tristaynus nepos ipsius Alfani; inde sunt passi sedecim minus palmos tres, et revolvit per eandem finem usque medietatem partis Orientis, inde sunt passi duodecim minus palmos tres, et per illam partem Orientis fine Ursonis de Romoaldo; inde sunt passi sedecim. A parte Septentrionis fine via puplica, inde sunt passi Vigintiquatuor. A parte Occidentis fine Alfanus de Sasso, inde sunt passi viginti. A parte Meridiei fine ipsius Alfani, inde mensurati passi novem vadit et coniungit se usque in priorem finem cum omnibus quae intro eam sunt, cunctisque suis pertinentiis, et cum vice de via suas. Ea videlicet ratione, ut integra ipsa concessio, et confirmatio qualiter superius legitur, semper sit in potestate ipsius Monasterii, et pars ejusdem Monasterii licentiam habeat de ea facere quod voluerint, sine contrarietate ipsius Dominae nostrae Saracenae et haeredum, ac successorum ejus, et partium suae Reipublicae semper defendere supradicto Monasterio iam dictam concessionem et confirmationem ab omnibus hominibus et partibus. Et tribuit licentiam ut quando pars iam dicti Monasterii voluerint potestatem habeant illud per se defendere qualiter voluerint cum omnibus muniminibus et rationibus quas de eo ostenderint: et si, sicut superius scriptum est, ipsa Domina Saracena et heredes et successores suos, et partes suae Reipublicae non adimpleverint, et suprascripta vel ex eis quicquam removere aut contradicere praesumpserint; per ipsam convenientiam obligavit se, et heredes et successores suos, et partes suae Reipublicae componere partibus ipsius Monasterii viginti auri solidos regales, et sicut suprascriptum est adimpleverit. Memorans, quod inter virgulas scriptum est, legitur, et Iohannes de Alisia. Quod ego Roggerius notarius et Iudex praecepto ipsius Dominae taliter scripsi. X Ego sui supra Roggerius. Servatur autem originaliter in pergameno in Arm II, O, N. 15. (Ibidem, pp.16-18).

·         1178, settembre.

Roberto, conte di Caserta, davanti al giudice Giovanni e alla presenza di Riccardo suo figlio, conferma all'abate Benincasa del monastero di Cava per mezzo di Baiulardo suo monaco, la donazione di alcuni uomini censili di Solofra e cioè Giovanni detto Accetto e Giovanni detto de Domno Doferio con le loro mogli e i loro figli et rerum eorum,e insieme ad essi conferma la donazione degli altri uomini censili che la fu Domina Sarracena, madre di lui, aveva fatto al monastero. Scrive Pietro notaio ed avvocato.

X (...) Ante me Iohannem Iudicem, Dominus Robertus comes Caserte, coniuctus est cum Baiulardo Monacho Monasterio Sanctae et Individuae Trinitatis, quod constructum est foris Salernitanam Civitatem in foro Metiliano, cui dominus Benencasa Dei gratia venerabilis ac Religiosus Abbas preest. Ipse tamem Baiulardus pro parte suprascripti Monasterii, dum ibidem Richardus filius ejusdem Domini Comitis adesset. Et sicut ipsi Domino Comiti placuit sponte per convenientiam per hanc cartam, presente et ratum habente suprascripto Baiulardo pro parte suprascripti Monasterii, et eidem Monasterio confirmavit hos homines censiles Iohanne qui dicitur Accepti et Iohanne qui dicitur de Domno Dauferio habitatores de loco Solofrae, quos Domina Saracena quondam, mater ejusdem Comitis, suprascripto Monasterio dedisse asseritur, et eosdem homines censiles ei, ut dictum est, tradidit ipse Dominus Comes, et confirmavit cum uxoribus et liberis et rerum eorum. Ea ratione ut integra ipsa traditio et confirmatio qualiter super legitur, semper sit juris et ditioni ipsius Monasterii, et ipse Dominus Abbas et successores eius, et pars suprascripti Monasterii licentiam habeant de eadem traditione et confirmatione facere quod voluerint. Et quicquid ipsi Censiles suprascripti Domino Comiti seu suprascripto Richardo filio suo, eorumque heredibus dare, facere persolvere et adimplere debent vel debuerint, vel etiam haeredes eorumdem censilium, totum illud ipsi Domino Abbati, ejusque successoribus, et parti suprascripti Monasterii dent, faciant, persolvant et adimpleant faciendo quod voluerint. In nullo juri suprascripti Monasterio derogato. De aliis censilibus quos ipsa Domina Saracena suprascripto Monasterio similiter dedisse asseritur. Inde per convenientiam ipse Dominus Comes guadiam ipsi Baiulardo pro parte suprascripti Monasterii, et fideiussorem ei pro illius parte posuit seipsum, et suprascriptum Richardum filium suum. Et per ipsam guadiam ipse Dominus Comes obligavit se, et suos heredes semper defendere ipsi Domino Abbati eiusque successoribus (...) Et si sicut superius scriptum est, ipse Dominus Comes, et eius haeredes non adimpleverint et suprascripta, vel ex eis quicquam removere, aut contradicere praesumpserint, per ipsam guadiam obligavit se, et suos haeredes componere ipsi Domino Abbati eiusque successoribus, et parti suprascripti Monasterii quinquaginta auri solidos regales. (...) Et taliter tibi Petro notario et advocato qui interfuisti scribere praecepi. X Ego qui supra Iohannes iudex. In pergamena Arm. II, O, N. X. (Ibidem, pp.18-20).

Alla base di ogni insediamento c’è il tribunale (la curia) dopo la chiesa

·         1187, settembre.

Il conte di Tricarico Ruggiero stando nel castello di Montoro, sia per parte sua che del fratello Guglielmo di Caserta, presente all'atto, insieme al fratello Roberto di Lauria, concede all'abate di Cava Benincasa, che per i bisogni che riguardano gli uomini di Solofra e di Montoro delle terre del monastero si faccia riferimento alla Curia del monastero a Montoro dove costoro potranno convenire e dove ci saranno uomini mandati dall'Abate che rappresenteranno anche il Tricarico; per i bisogni degli uomini che con altri contratti tengono le terre del monastero si faccia riferimento a Montoro se le terre sono di Montoro e nella curia di Solofra, ma davanti a giudici di Serino, se le terre sono di Solofra. Se c'è un delitto grave tanto da richiedere la sua presenza egli pone come rappresentante il procuratore Alessandro. Scrive il notaio Falcone davanti ai giudici Gervasio, Guerrasio e Guglielmo di Montoro.

X (...) Dum Nos, Dei gratia Roggerius Tricarici Comes intus Castrum nostrum Montorii adessemus, Domnus Benencasa Religiosus Abbas Coenobii Sanctae Trinitatis Cavae ad nos sicut ei placuit, tamquam ad suum dilectum in Christo filium veniens, a nobis dilingenter ac benigniter postulavit pro parte nostra scilicet, et Domini Guilielmi egregii Casertae comitis charissimi fratris nostri, ut si partes praedicti Monasterii hominis nostros Montorii et Solofris, qui de terris ejusdem Monasterii ad laborandum tenent de forisfacto, quod in ipsis terris praefati Coenobij commiserint, vel de fructibus et frugibus earum convenire voluerint, in Curia ejusdem Monasterii, scilicet apud Montorium ipsos nostros homines cum nostra licentia convenire posint: Cuius tam religiosissimi viri ipsius Domni Abbati petitioni benigniter attendentes pro parte nostra et ipsius Domini Comitis Guilielmi dilectissimi fratris nostri cuius ad hoc bonam praesensimus voluntatem, quia praephatam Ecclesiam, quae nostrorum animarum mater est, et corporum praedecessorum nostrorum tutum et receptaculum debemus debito relevare et in melius quidem accrescere. Ideoque sicut nobis complacuit, pro salute animarum nostrorum defuntorum et pro nostrorum criminum relaxatione, concessimus eidem Domino Abbati, ut semper liceat partibus praedicti Monasterii homines nostros Montorii et Solofris, qui de terris ejusdem Ecclesiae ad laborandum tenent, vel alio modo ad laborandum tenuerint, in Curia praedicti Monasterii, scilicet apud Montorium, si ipsae terrae de tenimento Montorii fuerint, et si de tenimento Solofris ant Solofrae in curia etiam, ut dictum est praephatae Ecclesiae convenire, si aliquod forisfactum in ipsis terris Ecclesiae commiserint, vel de fructibus et frugibus suprascriptarum terrarum, et eas constringere ad faciendam exinde in iustitiam eidem Monasterio coram tamen Iudicibus Montorii. Si de tenimento Montorii suprascriptae terrae fuerint, sicut suprascriptum est. Et si de tenimento Solofre coram iudicibus nostris Serini secundum quod ipsi nostri Iudices indicaverint. Sed si aliquis de ipsis nostri hominibus ab ipsis partibus praedicti Monasterii, et senserit se esse gravatum, et ad nostram praesentiam venerit reclamandum, nos debemus causam ipsam, de qua inter eos agitur, seriatim audire, et si viderimus aliquem de ipsis nostris hominibus de jure suo fore in aliquo laesum, nobis liceat iuste et integre emendare. Ex quoniam ob facta plurima saepissime quod geritur ab humana memoria labitur, precibus igitur Alexandri Procuratoris rerum ejusdem Monasterii, quas ex parte ipsius Domni Abbatis studiose nobis porrexit, ut hoc perpetuo legentibus pateat, et in futuro memoriae commendetur, hanc nostram concessionem perpetuo valituram et a nostris haeredibus et successoribus summa authoritate tenendam, taliter tibi Falconi Notario in scriptis redigere iussimus. Inter virgulos legitur, petitioni, et ad majorem huius cartulae firmitatem nobis Gervasio et Guerrasio et Guilielmo iudicibus nostris Montorii eam corroborare praecepimus. X Rogeriuis comes Tricarici. X Guilielmus comes Casertae. X Robbertus de Lauro. X Ego Gervasius iudex qui supra. X Ego qui supra Guerrasius iudex. X Ego qui supra Guilielmus iudex. In pergamena, in Arm. II, O, N, 9. (Ibidem, pp.20-22).

 

Un ragioniniere

·         1194, marzo.

I fratelli Montorio e Martino, figli di Montorio qui fuit calcularius, vendono ad Alessandro de Alife quattro fondi nelle pertinenze di Montoro che erano state loro donate da Guglielmo, conte di Caserta, e dal nipote Giacomo di Tricarico. Alcune di esse confinano col rivus siccus.

X (...) Coram me Guerrasio iudice Montorius et Martinus germani et filii quondam Montorii qui dictus fuit calcularus coniuncti sunt cum Alexandro qui dicitur de Alife filio quondam Iohannis et ipsi fratres dixerunt sibi pertinere per donationem et traditionem egregii domini nostri Gulielmi Caserte comitis quam ipsis fratribus fecerat pro quadam terra eorum quam quondam Robbertus bone memorie casertanus comes pater eorum in ecclesia sancti Thome martiris obtulerat cum molino in qua illud fieri fecerat et ipsam donationem facerat tam pro parte sua quam pro parte illustris domini nostri Jacobi Tricarici comitis quattuor pecias terrarum in pertinenciis huius terre Montorii in loco ubi truclati dicitur. Una cum avellaneto. A parte meridiei finis vie. A parte orientis finis terre ecclesie sancte Marie de labucca. A parte septentrionis et a parte occidentis est finis rivi qui dicitur siccus. Alia pecia cum avellaneto. A parte septentrionis finis rivi qui dicitur siccus. A parte orientis finis Iohanni et Riccardi fratrum; et filiorum quondam Robberti Pizzari. A parte meridiei finis ipsorum fratrum et finis heredum quondam Mansonis Malabranca. A parte occidentis finis ipsorum heredum. Alia pecia cum arboribus vitatis. A parte orientis finis terre quam tenet Petrus de Sirino. A parte meridiei finis suprascriptorum fratrum Iohannis et Riccardi . A parte occidentis fine vie. A parte septentrionis finis Nicolaj de amato usque priorem finem. Quarta pecia cum avellaneto. A parte orientis terre ecclesie sancti Salvatoris. A parte meridiei finis terre ecclesie sancte Marie de bucca. A parte occidentis finis terre cavensis monasterii. A parte septentrionis finis ipsarum rerum cavensis monasterii et revolvit aliquantulum per iamdictam partem orientis, finis ipsarum rerum eiusdem ecclesie sancte Marie (...) cum omnibus que intra eas sunt cunctis suis pertinenciis et cum vice viarum. (...) Et taliter ego Vincencius notarius iussu suprascripti iudicis scripsi. X Ego qui supra Guerrasio iudex. (ABC, Arca nova XLIII,110 in G. Tescione, Caserta medievale e i suoi conti e signori, Caserta, 1956, pp.125-126).

·         1194, ottobre.

Il conte di Caserta Guglielmo e il nipote Giacomo di Tricarico, ciascuno per la sua parte, donano ad Alessandro di Alife sette fondi nel territorio di Montoro ubi Aterrana dicitur.

X (...) Nos Guilielmus Dei et imperiali gracia Caserte comes pro parte nostra et pro parte egregii Iacobi Tricarici comitis carissimi nepotis nostri in cambium donavimus et tradidimus Alexandro filio quondam Iohanni de Alife aministrationem regere cavensis monasterii quas in nostra terra Montorii habet septem pecias de terris nobis pertinentes in pertinentiis ipsius terre Montorii videlicet pro terra que fuit Bartholomei Dei domno dilecto quam terram ipsi Alexandro donaveramus secundum quam ipsa terra Gualterio Gaudenardo qui filiam suprascripti Bartholomei Dei domino dilecto in uxorem habebat reddidimus. Ideo ipsas terras in commutationem eidem Alexandro tradidimus quas terras caro stratigoto nostro Montorii coram Guerrasio iudice fecimus assignari. (...) Prima pecia cum avellaneto ubi Aterranu dicitur. (...) A parte occidentis fines Iohannis qui dicitur de Sirio.(...) A parte septentrionis fine Ursi de Anserada et Dactili fratris eius. Secunda pecia cum avellaneto et vitibus in eodem loco Aterranu. A parte occidentis fines Ursi de Lando (...). Tercia pecia cum aliquantis arboribus vitatis (...). A parte occidentis fines Nicolay Guerra et fratris eius (...). Quarta pecia (...). A parte orientis fines Petri qui dicitur de Manaredo. A parte meridiei fines Petri filii quondam Drogonis (...). Quinta pecia (...). A parte septentrionis fines heredum quondam Mosonis de Aterrano. (...) Sexta pecia cum castanieto. A parte orientis fines terre ecclesie sancti Martini. A parte meridiei fines Parisii (...). Septima pecia cum aliquantis arboribus ubi Subia vocatur (...). X Ego qui supra Guerrasius iudex. X Ego qui supra Ricchardus iudex. (ABC, Arm. L. 37 in Ibidem, pp. 126-127).

 

·         1195, maggio.

Rao di Solofra figlio di Pietro dà e conferma a Osmundo di Solofra, suo socio e fedele, figlio del fu Raone di Solofra, un fondo con sterponito in località corneto cum omnibus suis pertinentiis, confinante con i beni di Furca tenuti da Cennamo, con una via pubblica e con altri beni di Raone di Solofra. Scrive il notaio e chierico Goffredo del castello di Candida. Sono testimoni Palmerio, figlio di Filippo, e Giuliano di Salsa.

X (...) Anno millesimo centesimo nonagesimo quinto et primo anno regni Domini Nostri Enrici Magnifici Imperatoris Romanorum et semper Augusti Regis Siciliae (...). Ego Rao de Solofra filius quondam domini Petri de Solofra sicut mihi bene placuit ante subscriptos testes dedi et firmiter habere concessi tibi Osmundo de Solofra socio meo et fideli meo filio quondam domini Raonis de Solofra unam peciam de terra cum sterponito quae est in loco quo Corneto dicitur, et quae has fines habere videtur. De subtana parte finis terra Iohannis de Fusco. De uno latere finis Furca de Solofra quam tenet Cennamus. De superna parte finis via puplica. De alio latere finis terra mei rescripti Domini Raonis de Solofra. (...) Ego prescriptus Rao de Solofra sicut superius dictum est una cum vice de viis et aptibus suis atque cum omnibus suis pertinentiis. Ad semper illud habendum et possidendum tu prescriptus Osmundus et tui heredi faciendo ex inde quaecumque volueritis sine contradictione nec requisitione mei prescripti Domini Raonis meorumque heredum, et per nostram defensionem ab omnibus hominibus et partibus. Et ut suprascripta omnia validiora firmitate nitante ego prescriptus Dominus Rao de Solofra prout mihi sponte libuit guadiam tibi prescripto Osmundo dedi et fideiussionem tibi posuit meipsum ea convenientia continenter apposui. Quod si taliter ut dictum est ego prescriptus dominus Rao de Solofra et mei heredes tibi prescripto Osmundo de Solofra et tuis heredibus animadvertimus, vel si hoc remorem quesivimus, viginti regiales auri boni vobis poenam comparare obbligamus causa perpetua valitudo. Et taliter tibi Goffrido clerico et notario Castelli Candidae scribere precepi. X Ego Palermus filius Philippi testis. X Iulianus de Salsa testis. (Purdgavine, cit., pp.22-23).

·         1195, giugno.

Ruggiero de Spina, figlio del fu Doferio, e suo figlio Ruggiero, alla presenza del giudice Riccardo cedono a Stasio, figlio del fu Roberto detto de Inga, una terra con castagneto a S. Agata in località Silva vel Corte de Ramanni confinante con altri beni di Stasio, con beni di Romoaldo, figlio di Bernardo de Biba, con beni di Donadei, figlio del fu Giovanni, e con beni della chiesa di S. Andrea sita nel detto vico. In cambio ricevono metà di un castagneto sito a Montoro in località Serra confinante con i beni di possidenti locali e con un vallone. Scrive il notaio Falcone.

X (...) Coram me Riccardo iudice Roggerius qui dicitur de Spina filius quondam Doferii et Roggerius filius eius coniucti sunt cum Stasio filio quondam Robberti qui dictus fuit de Inga, et ipsi pater et filius dixerunt sibi pertinere unam petiam de terra cum castanieto in pertinentiis vici Sancte Agathe in loco ubi la Silva vel Corte de Ramanni dicitur per fines: a parte orientis fine domnica; a parte meridiei fine ipsius Stasii; a parte occidentis fine eiusdem Stasii; a parte septentrionis fine Romoaldi filii quondam Bernardi de Biba et fine Donadei filii quondam Iohannis et fine terre ecclesie Sancti Andree, predicti vici, usque in priorem fine. Et (...) tradiderunt eidem Stasio suprascriptam petiam de terra cum castanieto per suprascriptos fines et cum omnibus que intro eam sunt cuntisque suis pertinentiis et cum vice de via sua. (...) ipse Stasius tradidit predictis patri et filio medietatem de una alia petia de terra cum castaneis ipsi Stasio pertinente, in pertinentiis Montorii ubi Asserra dicitur. Que tota petia videtur esse per hos fines: a parte orientis fine heredum quondam Amati Cioffi et Iaconi Petri qui dicitur de Archipresbitero; a parte meridiei fine via puplica; a parte occidentis fine ipsius Iaconi Petri et Iohannis qui dicitur de Archi[presbitero]; a parte septentrionis fine via et prevaricante aliquantulum ipsa via fine valloni. (...) Et taliter ego Falco notarius iussu suprascripti iudicis scripsi (S). X Ego qui supra Riccardus iudex. (CDV, X, 267-268).

 

Importante documento che attesta la richiesta dell’Universitas di Solofra

di decadenza del potere feudale.

 

·         1240, (dicembre).

È la sentenza definitiva pronunciata dal Gran Giustiziere Enrico de Morra, assistito dai giudici Enrico di Tocco e Pier delle Vigne, con la quale Giacomo Tricarico viene confermato nel possesso di Solofra. Si dichiara che Giacomo aveva assicurato a Federico II la fedeltà sua e di Giordano e aveva scongiurato di essere mantenuto nel possesso del casale. L'inchiesta appurò la regolarità della divisione, avvenuta tra i due fratelli Ruggiero di Tricarico e Guglielmo di Caserta, dei beni aviti more Langobardorum in seguito alla quale una metà del feudo, tra cui Stringano, era toccata a Guglielmo e l'altra metà, con Montoro, Serino e il casale (di Solofra), era spettata a Ruggiero e che detta parte era stata tenuta da Giacomo per più di 30 anni. Atto della Magna Curia imperiale redatto dal notaio Pietro di Caserta.

[…]Accedens in presentia nostram Jacobus de Tricarico lator presentium fidelis [...] humiliter supplicavit ut ipsum ab hominibus quondam patris sui, casalis scilicet Solofre, quod juste tenere et possidere se dicit, assicurare [...] nobis quod prefatus Jordanus privilegium inde a majestate nostra non habuit et quod illud non debebat tenere nisi in vita sua [...] quondam Jordanus et ipse Jacobus fideles nostri fuerint, et quod in servitiis nostris se fideliter gesserint et specialiter in preterita discor [...] nec non etiam si privilegium inde a nobis habuit et si terram ipsam post mortem dicti Jordani heredes sui debebant, diligenter [...] redacta ad curiam nostram sub sigillo tuo destinare procures; super hoc taliter studiosus existens ut devotionem tuam [...] Thome de Montenigro quondam Justiciario Principatus et terre Beneventane de ipso casali Solofre in [...] per eum facte sub sigillo suo recepte, ipsam ad imperialem excellentiam sub sigillo nostro transmisimus. Deinde domino imperatore [...] et curiam ipsam regentibus de mandato ipsius, ubi nobis predictus Henricus de Tocco et Guillelmus de Vinea magne imperialis curie [...]onis ipsius discussimus diligenter et ea que per inquisitionem ipsam probate reperimus domino imperatori retulimus seratim [...]remur. Nos vero qui supra magister justiciarius et judices visis et diligenter inspectis omnibus probatis inquisitionis ipsius, quia [...]timus ipsius comitis et quod ipse comes fidelis fuit et fideliter servierit et etiam tempore discordie et quod de mandato imperiali [...] quod comes Rogerius de Tricarico et comes Guillelmus de Caserta fratres diviserunt inter se ad usum Langobardorum [...] Stringanum pervenit ex ipse divisione ad comite Guillelmum Casertanum et alia medietas Montorii, Sirinum et casale [...] Rogerius quam comes Jacobus tenuerunt ea per triginta annos et amplius, ipsum Jacobum ab impetitione notarii p[...] et perpetuam firmitatem presens scriptum inde per manus Petri de Caserta magne imperialis curie [...]ne Faventie, anno, mense, et indictione prescriptis Henricus de Morra imperialis curie magister justitiarius. X Ego Henricus de Tocco magne imperialis curia judex. X Ego Guillelmus de Vinea magne imperialis curie [jude]x. In Documenta varia ad res italicas seu siculas spectantia, 1240 (dicembre). In obsidione Faventiae.

Il documento, edito da C. Pecchia in Storia civile e politica del regno di Napoli (II, p.319), ha molte parti lese. Si legge che il giudice della Magna Curia ha ricevuto le lettere da Federico II nella forma che viene trascritta.

In Huillar-Bréolle, H.D.F.II, V, pp. 1073-1075 si legge: "Henricus de Morra magnae imperialis curiae magister justiciarius, vigore mandati imperialis cujus tenor inseritur post inquisitionem a justiciario Principatus et terrae Beneventanae factam, Jacobum de Tricarico ab impetitione hominum quondam patris sui, casalis scilicet Solofrae, liberum declarat super possessione casalis ejusdem".

 

 

 

 

M. De Maio, Alle radici di Solofra, Avellino, 1997; Solofra nel Mezzogiorno angioino-aragonese

, Solofra, 2000.

 

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