Chiese solofrane 

 

Chiesa di Santa Maria delle Grazie

e

 Convento di Santa Chiara

 

 

 

Sorge sul lato occidentale della Collegiata all’inizio di via Regina Margherita.

Già documentata nel XIV secolo era sede di altari patronali con diritto di sepoltura e di una Confraternita laicale, ed era la chiesa del casale de i Burrelli in posizione opposta a quella dell’Angelo prima della costruzione nella Collegiata.

 

 

 

 

 

 

 

 

Il nome della chiesa è legato alla diffusione di edifici religiosi dedicati a Santa Maria delle Grazie e viene da Napoli come altre titolazioni di chiese solofrane di questo periodo ed è dovuto ai rapporti che i solofrani avevano con la Capitale dove molti si erano stabiliti fin dal XIV secolo tra cui i Fasano. A Napoli c’era un convento dedicato alla Madonna delle Grazie da dove si diffuse il culto insieme alla iconografia della Vergine (F. Scaramella, Le Madonne del Purgatorio. Iconografia e religione in Campania tra Rinascimento e Controriforma Genova, 1991; F. Strazzullo, Per l’iconografia di Maria SS. Delle Grazie, in “Arte Cristiana”, 1954, pp. 107-122; Idem, L’iconografia della Madonna delle Grazie tra il400 e il ‘600, Napoli, 1968).

 

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Dati documentali dall’Archivio Diocesano di Salerno

 

1521. Economi della chiesa: Francesco Ciccarello, Altobello Garzillo, Ianno Ronca.

1521. Beni al cerrito e a lo olivito.

1521. Cappella di S. Maria della neve sita in S. Maria delle Grazie di Alifante Parrella (beni a lle cesine).

1524. Cappelle di S. Maria delle Grazie.

1525. Copia di Bolle relative alla Cappella di Santa Maria delle Grazie e della Confraternita omonima.

1529. Economi: Dionisio Ronca, Petro Vigilante, Capuano Giliberti. Terreno alle scanate e alle casate.

1588-1593 (ADS, Solofra Cappelle). Costruzione dell’atrio della chiesa e della facciata.

1608. Copia di erezione della Cappella di S. Francesco.

1617-1645. Lite tra il Capitolo e i sacerdoti di S. Maria delle Grazie sulla giurisdizione sulle cappelle. Atti per la erezione del monastero delle clarisse.

1652. Le monache del monastero di S. Maria delle Grazie a tutela del loro diritto di patronato sulle cappelle di S. Maria degli Angeli, S. Francesco e S. Chiara.

1652-1657. Lite tra i canonici e le monache di S. Maria delle Grazie per il suono della campana durante la predica.

1665. Cappella di S. Antonio istituita da Dorotea Orsini.

 

 

 Tra il 1588 e il 1593 la chiesa subì un’ampia azione di rinnovo con la costruzione della rinascimentale facciata e dell’atrio o prònao.

Alla fine del XVI secolo vi furono sepolti Beatrice Ferrella e il figlio Flaminio Orsini.

Fu una delle chiese più ricche, dopo la Collegiata. Possedeva alla metà del XVIII secolo 17 beni immobili (tra cui 3 botteghe), 13 crediti consegnativi, diversi renditi antichi. Il Monastero invece possedeva 34 beni immobili tra cui diverse botteghe), 7 censi riservativi 6 crediti in capitale.

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L’edificio della chiesa è stato arricchito negli interventi successivi del prònao generando un ampio spazio vestibolare a cui si accede attraverso due ingressi.

L’ingresso principale sulla via Regina Margherita è servito da una imponente scala, in pietra locale poligonale con gradini rientranti, che conferisce alla chiesa un effetto di elevazione rispetto a chi viene dalla parte bassa del rione.

L’altro ingresso, posto sul lato occidentale del sagrato della Collegiata, è sul piano della piazza con arco a tutto sesto sormontante.

Il prònao protegge l’ingresso alla vecchia chiesa di Santa Maria delle Grazie che si apre sul suo lato meridionale leggermente rialzato con portone in legno intarsiato suddiviso in riquadri.

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La chiesa ha un elegante facciata barocca, in risalto rispetto a quella del convento. La scansione verticale è attenuata dalla trabeazione orizzontale che si rapporta a tutta l’altezza e richiama le sottostanti cornici marcapiano.

Alternate coppie di paraste, con capitelli in stucco barocchi, s’innalzano fino all’altezza della sommità della facciata.

Un rosone ovale modanato, un ampio arco a tutto sesto d’ingresso ed altre decorazioni concorrono nell’insieme alla creazione di un classico decorativismo.

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Il portone ligneo, incorniciato dal portale, realizzato con blocchi squadrati in pietra, è arretrato rispetto al prospetto.

 

 

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Ecco cosa dice una lapide che ricorda la consacrazione fatta da Costantino Vigilante:

D.O.M. Templum hoc sancti nominalium virginum coenobio adiacens iampridem gratiarum parenti dicatum insignis colleg. Ecclaes. Michaelis Arcangeli. Solo extructu ac vectigale, - ill.mi ac rev.mi d’archiepiscop. Salerni protestate factaCostantinus Vigilanti dei et aplica sedis gra epis. Calatinus - Suae hunius patriae amantissimus filiusecclae procuratoribus episc. flagitantibus; XXVI kal. Novembrisvulgaris aerae anno MDCCXLVI solemnibus ceremoniis sacravit: diem XXIV novembris officio singulis annis celebrando designavit: ipso consegrationis die annum unum aniversa: vero quadrig.  totidem dies  - de vera indulgentia inf. ecclae consueta templum idem visitantibus, ac deo supplices preces fundentibus impertivit: - haec omnia pubblicis aplica regiaq. aut. not. v. P. dom Felicisa Grimaldi arch. - inter procuratores ipsi I: V. DD. R. d. can. Angiolus Landolfi r. d. Jannuarius Corona : et d. Joseph Murena adnotari curant: posteris monumentum hac postere. 

 

 

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L’interno, a pianta rettangolare, è ad unica navata, fiancheggiata da due cappelle laterali murate delle quali rimane un arco in pietra a tutto sesto.

La cantoria, coperta con volta a botte rastremata, è posta all’ingresso in alto protetta da una balaustra in legno e si prospetta sulla navata con due colonne in marmo.

 

Un arco trionfale a tutto sesto divide la zona dell’altare dall’aula di culto.

La copertura del presbiterio è con volta a botte e quattro unghie, tutte affrescate e decorate in stucco.

 

L’ambiente è illuminato da finestre rettangolari protette da grate a testimonianza della precedente sede delle Clarisse.

Il soffitto della navata ha un cassettonato in legno decorato con tele tardomanieriste di Giovan Tommaso Guarini.

La tela di Santa Maria delle Grazie, opera del Landolfi è del 1741, anno in cui fu realizzata la statua in legno dorato della Patrona.

 

Vi sono conservate tre preziose statue del XV secolo raffiguranti S. Egidio, S. Donato e la Madonna con il Bambino.

Fra le opere da ricordare vi è un maestoso crocifisso e una tavola, che nei brani originali ricorda la maniera di Felice Guarini, padre di Giovan Tommaso e nonno di Francesco.

Non più utilizzata come chiesa già prima del sisma del 1980 e restaurata, è stata riaperta nel 1987 come sede dell’oratorio parrocchiale di San Michele e di incontri culturali.

 

 

 

Il Convento

 

Il Convento inglobò la chiesa di cui ebbe all’inizio il nome.

La feudataria Ferrella Orsini nel 1561 ottenne che nel Monastero, governato secondo la regola di S. Chiara, potevano educarsi anche allieve senza l’obbligo della monacazione. Nel 1584 Ostilio Orsini introducendovi ben quattro figlie ne finanziò l’ampliamento.

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1584, agosto 7. Nella chiesa di S. Maria delle Grazie dinanzi alle grate di ferro dietro alle quali ci sono l’Abatessa suor Maddalena Iacobatis, suor Margherita Parrella, suor Hieronima Alfano, suor Chiara Alfano, suor Giuditta de Benedetto, si sono portati il feudatario Ostilio Orsini e i procuratori del Monaster,o Gioe Troisi, Pellegrino Giliberto, Gregorio Papa, e Felice Giliberto. L’Orsini afferma che intende monacare nel monastero la figlia Isabella e associarvi le figlie suor Giulia e suor Antonia, che vi entreranno domenica 12 agosto nel giorno della festa di S. Chiara con licenza dell’Arcivescovo di Salerno. L’Orsini dota le figlie di ducati 2000: mille per Isabella e 1000 per le altre due. Lo stesso cita la visita dell’Arcivescovo che aveva ammonito di riparare il monastero ed afferma che bisognerà fare parlamento per sapere se l’Universitas intende prendersi il peso degli interventi da farsi nel Monastero. In caso negativo egli consegnerà all’Abatessa ducati 150 dalle doti delle figlie per comprare il terreno vicino al Monastero di proprietà di Hieronimo e Ferrante Troisi, e promette di farci fare a sue spese "doe celle et habitatione de monache coperte de pingi e fare astraco, porte e finestre e tutto nge sarà necessario" ed anche farà fare un muro come si deve ad un monastero per il quale saranno usate le pietre del muro esistente che sarà abbattuto; col patto che in tali celle debbano starvi le figlie monacate di casa Ursino ed anche le altre a parere della "Abatessa". Presenti: not. Orazio Giliberti, don Massentio de Donato, don Iacobo Caropreso, don Bartolomeo Giliberto, clerico Leonardo Pandolfelli, mag.co Giovan Battista Ronca, don Ricciardo de Gianni di Muro.

1584, agosto 23. Nella medesima chiesa e dinanzi alle monache suor Maria di Sarno, suor Maddalena Iacobatis, suor Margherita Parrella, suor Hieronima Alfano, suor Clara Alfano dietro la grata e al procuratore Gio Toma Troisi, il feudatario Ostilio Orsini afferma di voler monacare la figlia Fulvia con licenza dell’Arcivescovo dotandola di ducati 1000 da versare in due anno ogni 4 mesi. Presenti: Sebastiano Giliberto, don Agostino Garzillo, don Massenzio de Donato, clerico Leonardo Troisi, mag.co Gio Battista Ronca, mag.co Antonio Garzillo.

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Tra le donne della famiglia Orsini vale ricordare Suor Beatrice alla cui munificenza si deve un ulteriore ampliamento della struttura conventuale nel 1652.

Diceva l’iscrizione posta in cima alla portineria:

 

Hoc opus soror Beatrice Orsini fieri fecit, mense septembri MDCLII.

 

Accolse membri delle famiglie benestanti anche di terre lontane che vi portarono le loro doti, utilmente fatte fruttificare nel mercato finanziario locale. Una delle Badesse più attive, fu la solofrana Suor Maria Raffaela Giliberti, a cui si deve, tra l’altro, una vertenza contro l’Universitas di Solofra (1773) per il recupero di una "rendita feudale antica".

Nella seconda metà del XVIII secolo il monastero possedeva 34 beni immobili di cui 7 botteghe, 6 censi riservativi, diversi crediti in capitali di cui 3100 dall’Universitas e 2560 dagli Orsini, crediti consegnativi, e diversi renditi antichi.

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Sono documentati rapporti censuali con la Chiesa di S. Pietro di Salerno.

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Al tempo della visita del 1753 il monastero aveva 55 monache.

Il convento ha avuto molte trasformazioni: resta dell’impianto originario solo la loggia ad ovest con ampi archi, in parte tompagnata e in parte contraffatta. Non si conserva nessun’altra struttura dell’edificio primitivo, infatti questo è stato evidentemente ricostruito negli ultimi decenni del XVIII secolo, senza neppure rispettare gli allineamenti paralleli alla loggia.

Resta l’impostazione planimetrica del cortile a tre lati, aperto verso sud e verso il panorama della collina. Una disposizione simile a quella di molti conventi napoletani (Santa Maria Donnaregina, San Gregorio Armeno, San Marcellino) costruiti per una splendida abitabilità rompendo gli schemi chiusi di qualsiasi altro impianto claustrale, ad opera prevalentemente di quelle maestranze cavesi attive ovunque in Campania.

Perduta la funzione di monastero, l’edificio fu adibito a sede scolastica.

 

 

 

Nel 1864 il Consiglio Comunale, in seguito alla discussione in Parlamento della legge per l’asse ecclesiastico e alla richiesta di indicare le Case religiose meritevoli di essere accettate, dichiara che con il ritiro delle oblate di S. Chiara l’educandato è aperto al pubblico, che i luoghi sono adatti ad accogliere non solo ragazze solofrane ma anche quelle dei paesi vicini, che si praticano tutte le arti adatte al gentil sesso  anche musica e canto, che la spesa è di 170 lire l’anno per cui possono ricevere l’educazione anche persone del popolo, che l’istituzione non è alimentato da spirito di lucro ma con lo scopo di istruire il ricco e il povereo, che la comunità solofrana non ha beni patrimoniali solo i dazi  per cui non può aprire un’altra istituzione, che la scuola primaria istallata nel comune può dare una educazione solo alle persone agiate.

Nel monastero c’erano 16 coriste, due converse professe, due secolari, nove educande compresa la maestra e fa voti affinché il monastero non sia soppresso, perché “sarebbe malagevole spedirle altrove”, propone di fare del monastero un punto di concentramento delle clarisse”.

Sottolinea che la soppressione del monastero priverebbe tutta la popolazione di un beneficio, che il monastero è centrale, accoglie il vecchio, l’infermo, il cieco, che l’educandato è stato sempre numeroso, che è facilmente fruibile sia dai forestieri che dalle educande, dà molti servizi poiché raccoglie stranieri che vengono a Solofra anche gratuitamente, che la stessa chiesa madre trae utilità dalla chiesa del monastero. Si sottolinea che il fabbricato è posto  all’interno di fronte ad un’aperta campagna che non ci sono distrazioni che solo un corridoio è a fronte strada. (ASA, Asse ecclesiastico; Prefettura inv. 1 vol. 145, fasc. 90/0).

 

 

 

Un tentativo sventato

Si era tentato di distruggere la cinquecentesca scalinata della chiesa

 

 

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