Chiese solofrane
Chiesa
di Santa Maria delle Grazie
e
Convento di Santa Chiara
Sorge sul lato occidentale della Collegiata
all’inizio di via Regina Margherita.
Già documentata nel XIV secolo
era sede di altari patronali con diritto di sepoltura e di una Confraternita
laicale, ed era la chiesa del casale de i Burrelli in posizione opposta a quella
dell’Angelo prima della costruzione nella Collegiata.
Il nome della chiesa è legato
alla diffusione di edifici religiosi dedicati a Santa
Maria delle Grazie e viene da Napoli come altre titolazioni di chiese solofrane
di questo periodo ed è dovuto ai rapporti che i solofrani avevano con
.
Dati documentali dall’Archivio Diocesano di Salerno |
1521.
Economi della chiesa: Francesco Ciccarello, Altobello Garzillo,
Ianno Ronca.
1521. Beni
al cerrito e a lo
olivito.
1521. Cappella di S. Maria della neve sita in S. Maria delle Grazie di Alifante Parrella (beni a lle cesine).
1524.
Cappelle di S. Maria delle Grazie.
1525. Copia
di Bolle relative alla Cappella di Santa Maria delle
Grazie e della Confraternita omonima.
1529.
Economi: Dionisio Ronca, Petro Vigilante, Capuano
Giliberti. Terreno alle scanate e alle casate.
1588-1593
(ADS, Solofra Cappelle). Costruzione dell’atrio della chiesa e della facciata.
1608. Copia
di erezione della Cappella di S. Francesco.
1617-1645. Lite tra il Capitolo e i sacerdoti di S. Maria delle Grazie sulla
giurisdizione sulle cappelle. Atti per la erezione
del monastero delle clarisse.
1652. Le monache del monastero di S. Maria delle Grazie a tutela del loro
diritto di patronato sulle cappelle di S. Maria degli Angeli, S. Francesco
e S. Chiara.
1652-1657. Lite tra i canonici e le monache di S. Maria delle Grazie per il
suono della campana durante la predica.
1665. Cappella di S. Antonio istituita da Dorotea Orsini.
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Tra il 1588 e
il 1593 la chiesa subì un’ampia azione di rinnovo con la costruzione della rinascimentale
facciata e dell’atrio o prònao.
Alla fine del XVI secolo
vi furono sepolti Beatrice Ferrella e il figlio
Flaminio Orsini.
Fu una delle chiese più ricche, dopo la Collegiata. Possedeva alla metà del XVIII
secolo 17 beni immobili (tra cui 3 botteghe), 13 crediti consegnativi, diversi
renditi antichi. Il Monastero invece possedeva 34 beni immobili tra cui
diverse botteghe), 7 censi riservativi 6 crediti in capitale.
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L’edificio della chiesa è stato arricchito negli
interventi successivi del prònao generando un
ampio spazio vestibolare a cui si accede attraverso
due ingressi.
L’ingresso principale sulla via Regina Margherita è servito da una imponente scala, in
pietra locale poligonale con gradini rientranti, che conferisce alla chiesa un
effetto di elevazione rispetto a chi viene dalla parte bassa del rione.
L’altro ingresso, posto sul
lato occidentale del sagrato della Collegiata, è sul piano della piazza con
arco a tutto sesto sormontante.
Il prònao protegge
l’ingresso alla vecchia chiesa di Santa Maria delle Grazie che si apre sul suo
lato meridionale leggermente rialzato con portone in legno intarsiato suddiviso
in riquadri.
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La chiesa ha un elegante facciata barocca, in risalto rispetto a
quella del convento. La scansione verticale è attenuata dalla trabeazione
orizzontale che si rapporta a tutta l’altezza e richiama le sottostanti cornici
marcapiano.
Alternate coppie di paraste, con capitelli in
stucco barocchi, s’innalzano fino all’altezza della sommità della facciata.
Un rosone ovale modanato, un ampio arco a tutto
sesto d’ingresso ed altre decorazioni concorrono nell’insieme alla creazione di
un classico decorativismo.
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Il
portone ligneo, incorniciato dal portale, realizzato con blocchi squadrati in
pietra, è arretrato rispetto al prospetto.
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Ecco cosa dice una lapide
che ricorda la consacrazione fatta da Costantino Vigilante:
D.O.M.
Templum hoc sancti nominalium virginum coenobio adiacens iampridem gratiarum parenti dicatum insignis colleg. Ecclaes. Michaelis Arcangeli.
Solo extructu ac vectigale, - ill.mi ac rev.mi d’archiepiscop. Salerni protestate facta – Costantinus Vigilanti dei et aplica sedis
gra epis. Calatinus - Suae hunius patriae amantissimus filius – ecclae procuratoribus episc. flagitantibus;
XXVI kal. Novembris – vulgaris aerae anno MDCCXLVI solemnibus ceremoniis sacravit: diem XXIV novembris officio singulis annis celebrando designavit: ipso
consegrationis die annum unum aniversa: vero quadrig. – totidem dies - de vera indulgentia
inf. ecclae consueta templum
idem visitantibus, ac deo supplices preces
fundentibus impertivit: - haec omnia pubblicis aplica regiaq. aut. not. v. P. dom Felicisa Grimaldi arch.
- inter procuratores ipsi I: V. DD. R. d. can. Angiolus Landolfi r. d. Jannuarius
Corona : et d. Joseph
Murena adnotari curant: posteris monumentum hac postere.
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L’interno, a pianta rettangolare, è ad unica
navata, fiancheggiata da due cappelle laterali murate delle quali rimane un
arco in pietra a tutto sesto.
La cantoria, coperta con volta a botte rastremata,
è posta all’ingresso in alto protetta da una balaustra
in legno e si prospetta sulla navata con due colonne in marmo.
Un arco trionfale a tutto sesto divide la zona
dell’altare dall’aula di culto.
La copertura del presbiterio è con volta a botte e
quattro unghie, tutte affrescate e decorate in stucco.
L’ambiente è illuminato da finestre rettangolari
protette da grate a testimonianza della precedente sede delle Clarisse.
Il soffitto della navata ha un cassettonato
in legno decorato con tele tardomanieriste
di Giovan Tommaso Guarini.
La tela di Santa Maria delle Grazie, opera del
Landolfi è del 1741, anno in cui fu realizzata la statua in
legno dorato della Patrona.
Vi sono conservate tre preziose statue del XV secolo raffiguranti S. Egidio, S. Donato e
Fra le opere da ricordare vi è un maestoso crocifisso e una tavola, che nei brani originali ricorda la
maniera di Felice Guarini, padre di Giovan Tommaso e
nonno di Francesco.
Non più utilizzata come chiesa già prima del sisma
del 1980 e restaurata, è stata riaperta nel 1987 come sede dell’oratorio
parrocchiale di San Michele e di incontri culturali.
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Il
Convento
Il
Convento inglobò la chiesa di cui ebbe all’inizio il nome.
La feudataria Ferrella
Orsini nel 1561 ottenne che nel Monastero, governato secondo la regola di S.
Chiara, potevano educarsi anche allieve senza
l’obbligo della monacazione. Nel 1584 Ostilio Orsini introducendovi ben quattro
figlie ne finanziò l’ampliamento.
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1584,
agosto 7. Nella chiesa di S.
Maria delle Grazie dinanzi alle grate di ferro dietro alle quali ci sono l’Abatessa suor Maddalena Iacobatis,
suor Margherita Parrella, suor Hieronima Alfano, suor
Chiara Alfano, suor Giuditta de Benedetto, si sono portati il feudatario
Ostilio Orsini e i procuratori del Monaster,o Gioe Troisi, Pellegrino
Giliberto, Gregorio Papa, e Felice Giliberto. L’Orsini afferma che intende
monacare nel monastero la figlia Isabella e associarvi le figlie
suor Giulia e suor Antonia, che vi entreranno domenica 12 agosto nel giorno
della festa di S. Chiara con licenza dell’Arcivescovo di Salerno. L’Orsini dota
le figlie di ducati 2000: mille per Isabella e 1000 per le altre due. Lo stesso
cita la visita dell’Arcivescovo che aveva ammonito di
riparare il monastero ed afferma che bisognerà fare parlamento per sapere se l’Universitas intende prendersi il peso degli interventi da
farsi nel Monastero. In caso negativo egli consegnerà all’Abatessa
ducati 150 dalle doti delle figlie per comprare il terreno vicino al Monastero
di proprietà di Hieronimo e Ferrante Troisi, e
promette di farci fare a sue spese "doe celle et habitatione de monache coperte
de pingi e fare astraco,
porte e finestre e tutto nge sarà necessario" ed
anche farà fare un muro come si deve ad un monastero per il quale saranno usate
le pietre del muro esistente che sarà abbattuto; col
patto che in tali celle debbano starvi le figlie monacate di casa Ursino ed anche le altre a parere della "Abatessa". Presenti: not.
Orazio Giliberti, don Massentio de Donato, don Iacobo Caropreso, don
Bartolomeo Giliberto, clerico Leonardo Pandolfelli, mag.co Giovan Battista Ronca, don
Ricciardo de Gianni di Muro.
1584,
agosto 23. Nella medesima
chiesa e dinanzi alle monache suor Maria di Sarno, suor Maddalena Iacobatis, suor
Margherita Parrella, suor Hieronima Alfano, suor
Clara Alfano dietro la grata e al procuratore Gio Toma
Troisi, il feudatario Ostilio Orsini afferma di voler monacare la figlia Fulvia
con licenza dell’Arcivescovo dotandola di ducati 1000 da versare in due anno
ogni 4 mesi. Presenti: Sebastiano Giliberto, don Agostino Garzillo,
don Massenzio de Donato, clerico
Leonardo Troisi, mag.co Gio Battista Ronca, mag.co Antonio Garzillo.
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Tra le donne della famiglia Orsini vale ricordare
Suor Beatrice alla cui munificenza si deve un ulteriore
ampliamento della struttura conventuale nel 1652.
Diceva l’iscrizione posta in cima alla portineria:
Hoc opus soror
Beatrice Orsini fieri fecit, mense septembri MDCLII.
Accolse membri delle famiglie benestanti anche di
terre lontane che vi portarono le loro doti, utilmente fatte fruttificare nel
mercato finanziario locale. Una delle Badesse più attive, fu
la solofrana Suor Maria Raffaela Giliberti, a cui si deve, tra l’altro, una
vertenza contro l’Universitas di Solofra (1773) per
il recupero di una "rendita feudale antica".
Nella seconda metà del XVIII secolo il monastero
possedeva 34 beni immobili di cui 7 botteghe, 6 censi riservativi, diversi
crediti in capitali di cui 3100 dall’Universitas
e 2560 dagli Orsini, crediti consegnativi, e diversi renditi antichi.
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Sono documentati rapporti censuali con
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Al tempo della visita del 1753 il monastero aveva
55 monache.
Il convento ha avuto molte trasformazioni: resta
dell’impianto originario solo la loggia ad ovest con ampi archi, in parte tompagnata e in parte
contraffatta. Non si conserva nessun’altra struttura
dell’edificio primitivo, infatti questo è stato
evidentemente ricostruito negli ultimi decenni del XVIII secolo, senza neppure
rispettare gli allineamenti paralleli alla loggia.
Resta l’impostazione planimetrica del cortile a
tre lati, aperto verso sud e verso il panorama della collina. Una disposizione simile a quella di molti conventi napoletani
(Santa Maria Donnaregina, San Gregorio Armeno, San
Marcellino) costruiti per una splendida abitabilità rompendo gli schemi
chiusi di qualsiasi altro impianto claustrale, ad opera prevalentemente di
quelle maestranze cavesi attive ovunque in Campania.
Perduta la funzione di monastero, l’edificio fu
adibito a sede scolastica.
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Nel 1864 il Consiglio Comunale, in seguito alla
discussione in Parlamento della legge per l’asse ecclesiastico e alla richiesta
di indicare le Case religiose meritevoli di essere accettate, dichiara che con
il ritiro delle oblate di S. Chiara l’educandato è aperto al pubblico, che i
luoghi sono adatti ad accogliere non solo ragazze solofrane ma anche quelle dei
paesi vicini, che si praticano tutte le arti adatte al gentil sesso anche musica e
canto, che la spesa è di 170 lire l’anno per cui possono ricevere l’educazione
anche persone del popolo, che l’istituzione non è alimentato da spirito di
lucro ma con lo scopo di istruire il ricco e il povereo,
che la comunità solofrana non ha beni patrimoniali solo i dazi per cui non può aprire un’altra istituzione,
che la scuola primaria istallata nel comune può dare una educazione solo alle
persone agiate.
Nel monastero c’erano 16 coriste, due converse professe, due secolari, nove educande compresa
la maestra e fa voti affinché il monastero non sia soppresso, perché “sarebbe
malagevole spedirle altrove”, propone di fare del monastero un punto di
concentramento delle clarisse”.
Sottolinea che la
soppressione del monastero priverebbe tutta la popolazione di un beneficio, che
il monastero è centrale, accoglie il vecchio, l’infermo, il cieco, che
l’educandato è stato sempre numeroso, che è facilmente fruibile sia dai
forestieri che dalle educande, dà molti servizi poiché raccoglie stranieri che
vengono a Solofra anche gratuitamente, che la stessa chiesa madre trae utilità
dalla chiesa del monastero. Si sottolinea che il
fabbricato è posto all’interno di fronte
ad un’aperta campagna che non ci sono distrazioni che solo un corridoio è a
fronte strada. (ASA, Asse ecclesiastico; Prefettura inv. 1 vol. 145, fasc. 90/0).
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Si era tentato di distruggere la cinquecentesca scalinata della chiesa
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