SOLOFRA

NEL CINQUECENTO

Vita economica

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Attività mercantile e finanziaria

 La vita economica solofrana all'inizio del XVI secolo si articolava intorno alla mercatura, non solo perché questa era l'attività più importante in un ambiente produttivo ma perché era legata all'attività finanziaria. Infatti il mercante era anche il finanziatore del commercio.

La compravendita avveniva attraverso un particolare rapporto tra due soggetti un mercante-finanziatore che forniva la merce e un mercante-imprenditore che si impegnava per la sua vendita e per la restituzione del danaro corrispondente al valore della merce compreso il guadagno. L'affare avveniva attraverso un vero e proprio patto societario tra le due persone che terminava quando veniva restituito il denaro. Doveva perciò essere registrato in un atto legale che veniva stipulato da un notaio il quale aveva il suo ufficio nella zona del commercio. A Solofra in questo periodo c'erano ben quattro notai privati più uno civico che svolgevano questo compito.

Un altro tipo di rapporto mercantile era costituito da una società più duratura tra due o più contraenti, che si impegnavano ciascuno con la propria competenza e ponendo una determinata somma. In questo patto veniva indicato il denaro versato "ad usum bone mercantie" e chi lo usava, venivano descritti i ruoli svolti da ognuno, le modalità per la restituzione del capitale e per la divisione del guadagno in parti che dipendevano dal ruolo delle persone impegnate nell'affare, veniva prescritto il divieto di fare sleale concorrenza o affari fuori la società, l'obbligo di tenere i conti e di investire il guadagno in nuove mercanzie, veniva raccomandato di non fare debiti se non con persone facoltose, si richiamavano alcune regole come la partecipazione diretta e personale al "mercimonio", l'obbligo di svolgere ogni cosa con diligenza; veniva richiamato il rapporto di fiducia personale; si indicava la possibilità di assumere garzoni, di usare cavalli o altri animali da soma.

Un altro tipo di società era quella che univa l'artigiano all'operaio, il quale poteva impegnare una parte del suo guadagno ed anche il lavoro nell'impresa del padrone di cui usava gli attrezzi. Infine c'era la società per la riscossione dei tributi infatti questi erano anticipati all'Universitas da alcune persone che poi raccoglievano in proprio le entrate.

Tutte le attività economiche si basavano molto sulla cooperazione tra le persone e su una vita comunitaria abbastanza solidale cosa era resa possibile dal fatto che sia le attività artigianali che quelle mercantili e finanziarie avvenivano tra persone legate da rapporti familiari più o meno ampi. Inoltre le persone non svolgevano sempre lo stesso ruolo: chi dava la merce-capitale era anche chi la produceva e poteva in un altro affare essere colui che la riceveva.

Tra queste persone poi prevalse la figura di colui che finanziava l'attività mercantile che era in posizione favorevole, poiché il suo guadagno era sempre assicurato mentre il mercante-imprenditore correva tutto il rischio della mercatura ("risico, periculo et fortuna"). E fu costui che divenne solo finanziatore e fu al centro della vita economica solofrana. Si formò così il ceto dirigente costituito da alcune famiglie facoltose che a dominavano l'economia locale e soprattutto la finanza pubblica perché in grado di anticipare il denaro dei tributi guadagnando sulla loro riscossione e quindi controllando la gestione della Universitas che in effetti era un grosso affare economico.

L'attività finanziaria si basava essenzialmente sul credito il quale doveva essere assicurato da un pegno che veniva dato al creditore come garanzia fino all'estinzione del debito. Il pegno era un bene e cioè una casa, un terreno, ma anche un cortile, un cellaro, e poi selve, vigne, botteghe. Il bene impegnato era usato dal creditore (godimento dei frutti o il suo fitto) e costituiva l'interesse (chiamato "giusto guadagno"). In questo modo si evitava di parlare di interesse che era a quel tempo vietato.

Per tutto questo e poiché l'attività mercantile era il cuore della vita economica solofrana si comprende come fosse importante a Solofra l'esistenza della piccola proprietà come il patrimonio familiare fosse coinvolto nell'attività mercantile e fosse una sua parte integrante. Esso permetteva il commercio e l'attività produttiva ma correva anche i rischi mercantili poiché se non si poteva restituire il debito si perdeva il bene impegnato. Per questo motivo c'era un rigido sistema di trasmissione dei beni che ruotavano intorno agli uomini, perciò ogni attività economica solofrana poggiava sull'intera famiglia, la quale diventava essa stessa impresa, perciò era importante la continuità della famiglia, il fatto che il patrimonio non venisse diviso, perciò c'erano varie protezioni a sua difesa. C'erano persone a tutela dei minori e delle donne, curatori testamentari, gestori patrimoniali, perciò i testamenti spesso venivano fatti in occasione di operazioni finanziarie ed erano corretti o cancellati al termine, perciò frequenti erano le divisioni dei beni, poiché l'impegno mercantile cadeva solo sulla parte che spettava a chi si poneva nel negozio.

Questa logica finanziario-mercantile determinava anche i limiti di eredità delle donne e regolava tutta l'ampia materia ereditaria femminile, toccava i contratti matrimoniali, che erano veri e propri atti economici dove la dote era un trasferimento di denaro che lo sposo doveva "impegnare bene" e "far fruttare" nell'impresa-famiglia a cui la donna partecipava. Il matrimonio era un ampliamento di tale impresa, non solo per i beni che la donna portava, ma anche per le alleanze che permetteva coll'allargarsi del raggio d'azione commerciale. La logica dei matrimoni era dettata da una sottilissima e stretta rete di convenienze e necessità oggi incomprensibile, ma che faceva parte integrante e perfettamente interagente con questo sistema economico.

Circa la funzione della donna in esso c'è da dire che essa poteva disporre della dote quando c'era una giusta causa, vendere un bene col consenso del marito o, in mancanza, dei figli, partecipare alla formazione della dote delle figlie, rispettando il criterio di salvaguardare i beni dotali. Essa inoltre poteva amministrare i beni dei figli alla morte del marito, solo se o fino a quando non si risposava. Anche per i minori emergono regole tutte tese alla protezione del patrimonio, amministrato rispettando il loro mantenimento e l'educazione adatta allo stato.

Di questa stessa logica faceva parte l'istituto della emancipazione che dipendeva dal fatto che i figli erano sottoposti alla tutela del padre (patria potestas) fino a quando questi non moriva. Quando questi voleva staccarsi dalla impresa familiare ed iniziare da solo la mercatura, il padre per salvaguardare il patrimonio e per permettergli l'autonoma attività mercantile gli assegnava una rendita non il distacco della sua parte del patrimonio, e dichiarava che il figlio era " sapiente, discreto e capace a reggersi da sé, a negoziare e trafficare", dopo di che non rispondeva dei debiti da lui fatti.

Data la fisionomia di questo sistema finanziario era facile che si instaurassero forme di usura - quando per esempio una vendita era conclusa per un prezzo inferiore al valore effettivo - poiché il limite tra l'usura e il "lecito guadagno" non era chiaramente definibile. Bisogna anche considerare che il secondo soggetto della contrattazione, l'imprenditore, per il suo guadagno ("lucro") doveva fare i conti con le fluttuazioni del mercato, che allora erano legate ad ogni singolo mercato e che facevano sì che fosse lui a correre il maggior rischio.

Ed erano possibili varie forme di speculazioni. Nei contratti di compravendita per esempio si stabiliva con precisione il denaro impegnato ma non la quantità di merce che era indicata col termine generico di certa quantitatis. Qui si nascondeva sia il sicuro guadagno dell'uno che quello più incerto dell'altro, ma anche la possibilità altre speculazioni. Il creditore ancora poteva pretendere forme di interesse nascoste come l'uso di qualche bene o i frutti di qualche fondo, poteva anche valersi della clausola finale che diceva che l'atto era scaduto se il capitale veniva versato, altrimenti il debitore era tassato del doppio della somma non pagata o, se c'era il pegno, diveniva proprietario dello stesso, oppure poteva pretendere un supplemento. Ma l'usura si insinuava in ogni atto dove c'era un prestito, poiché non c'era la possibilità di controlli sicuri, né di porre un freno alle pretese di chi andava oltre il "lecito guadagno". In questo clima si comprende il grande valore dell'opera della Chiesa, le cui istituzioni, intervenendo nel prestito, proteggevano il piccolo credito e davano respiro al commercio.

Attività creditizia

 

 

 

VITA SOCIALE

 

 La società solofrana quale emerge dagli atti notarili dell'inizio del XVI secolo era legata alle attività economiche prevalenti - produttive e finanziarie - dove il possesso fondiario era funzionale sia alla produzione che alle attività finanziarie. In essa si può distinguere un ampio ceto che forma un unico nucleo con caratterizzazioni ben precise.

Questa società si era irrobustita nei momenti più vivi del XIV secolo ed si era arricchita con un quasi continuo trasferimento immigratorio dalle zone ove giungeva il suo commercio. Era costituita da una parte emergente e da una minore che però non era in opposizione alla prima perché l'accesso ad essa non le era precluso. Infatti il processo di emancipazione sociale era determinato dalla ricchezza, che creava il vero discrimine nella scala sociale solofrana a cui tutti potevano accedere attraverso le attività artigianali e mercantili. Inoltre gli stadi dell'ascesa sociale erano ben visibili, mediante alcuni parametri (avere un sacerdote nella famiglia o un notaio o un giudice acquistare una cappellania) e ciò dava sicurezza ed eliminava perniciosi contrasti di classe.

La parte alta di questa comunità aveva un vasto campo d'azione perché contemporaneamente esercitava commercio, artigianato e finanze, o agricoltura e pastorizia, ma soprattutto trovava libero gioco della sua affermazione nel reggimento della Universitas, per le caratteristiche della sua gestione, che era prettamente economica e tributaria. Attraverso questa via si era andata formando l'egemonia di alcune famiglie, una sorta di ceto medio dirigente, un patriziato locale, favorito dalla necessità di poggiare sulla consistenza economica i rischi della gestione del potere, e che permise la presa di possesso di alcune cariche che passavano di famiglia in famiglia, tutte legate da un'accorta politica matrimoniale.

Il segno che indicava l'appartenenza alla parte più alta di questa comunità era l'accesso allo stato ecclesiale e a quello curiale che era determinato dall'avere in seno alla famiglia un notaio, un doctor utriusque juris o, più facilmente, un membro dello stato clericale. Su un piano elettivo minore si trovava chi era detto "letterato", che cioè aveva dimestichezza con la scrittura e il far di conto, perché in una società mercantile era diffuso e necessario l'uso di queste conoscenze di base e il "fisico" che non godeva ancora di particolare distinzione.

Chi entrava nel clero godeva di prerogative e distinzioni soprattutto sociali, aveva raggiunto cioè uno status economico, legato alla gestione delle cappellanie. Il sacerdote spesso faceva da centro-guida del suo nucleo familiare: consigliava, proteggeva, dirimeva le questioni, come un legale. Appartenere a questo ceto a Solofra significò subito molto, per le caratteristiche che in loco acquistò la istituzione ecclesiale che era a sostegno delle attività economiche. Qui s'era creata una non meno importante tradizione monastica intorno a S. Agostino, sia all'indomani della sua istituzione, quando il monastero fu, attraverso S. Maria di Alto Spirito, sotto la gestione di Montevergine, sia quando entrò nell'egida del monastero di S. Agostino di Napoli.

L'espansione delle attività economico-commerciali solofrane e le sue stesse esigenze pratiche determinarono l'altro indirizzo, quello notarile. L'attività notarile si sviluppò per il grande valore che avevano acquisito alcune cariche della corte - del mastrogiurato e dei giudici - , caricandosi di un forte significato perché con essa la legalità entrava nella comunità, e configurandosi come un punto fermo nella precarietà dei tempi e persino garante e custode delle consuetudini soprattutto quelle non scritte, poiché ogni atto notarile era stipulato esplicitamente nel loro rispetto. Il fatto che nei luoghi mercantili più notai presiedessero alle attività commerciali li pose al centro di tutti i rapporti finanziari, rendendoli persone estremamente influenti e i loro uffici molto frequentati. Per questo motivo la figura del notaio, nelle località mercantili era di grande spessore.

Il ceto notarile solofrano acquistò valore perché la figura del notaio, apparendo come persona di fiducia della intera comunità, permetteva di non perdersi nei meandri della mercatura. L'attività di compravendita avveniva infatti attraverso un atto notarile di particolare importanza, perché consentiva la stessa attività mercantile che si poggiava soprattutto sul credito e perché dava sicurezza al mercante, che affidava la merce ad un collega o si legava a lui in un rapporto societario su cui si basava gran parte del commercio locale. Molte erano le transazioni notarili di carattere commerciale che regolavano la vita economica locale.

Il notaio, che era eletto dalla Universitas con approvazione della Regia Curia e doveva essere dottore, di buona fede e reputazione, a Solofra fu un individuo che faceva parte del ceto produttivo locale, non era quindi estraneo allo spirito imprenditoriale e commerciale. All'inizio ci furono notai non locali che si trasferirono ed operarono a Solofra - si è nella seconda metà del XIV secolo - perché allora molti atti richiedevano un notaio forestiere, poi l'attività notarile si consolidò seguendo lo sviluppo dell'attività mercantile infatti diversi sono i notai solofrani che si possono individuare nel secolo precedente (XV), alla fine del quale questo ceto appariva già forte di una sostanziosa tradizione. I notai solofrani, che operavano all'inizio del XVI secolo - contemporaneamente quattro oltre a quello regio, come prevedeva la riforma ferrantina - facevano parte di famiglie che si profilavano bene all'interno del ceto locale, di quell'ambito che dominava la vita pubblica attraverso l'esercizio dei pubblici uffici e la gestione dell'Universitas, che era insomma al vertice della economia.

Il ceto notarile solofrano però non era una consorteria né un gruppo chiuso solo più avanti l'attività diverrà una tradizione familiare, una specie di feudalizzazione dell'ufficio ma in questo si entra nelle modalità comportamentali dell'epoca. Tuttavia considerando i notai del secolo precedente si può già individuare una costante notarile in talune famiglia solofrane. Da questo ceto emergerà quello togato, che sarà un nerbo importante della compagine solofrana nel mantenere i rapporti con la capitale e sostenervi il trasferimento degli interessi economici locali.

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COMPORTAMENTI DELLA SOCIETÀ ARTIGIANO-MERCANTILE SOLOFRANA

 

Un comportamento importante della società solofrana fu il trasferimento nella capitale del Regno determinato dal fatto che la cittadinanza napoletana permetteva il godimento di privilegi economici. Questa modalità iniziò con i Fasano fin dal Trecento che si trasferirono a Napoli da Salerno dietro Carlo II d'Angiò e che procurarono i privilegi economici all'intera comunità. L'esodo verso la capitale fu quindi un aspetto importante della economia solofrana e quasi una continua emigrazione - mercantile e curiale - e nel XVI secolo è ben consolidato ed è un'emanazione della famiglia solofrana con la quale manteneva solidi legami, sostenuta dalla solidarietà familiare. Il trasferimento nella grande capitale non fu mai staccato dall'istanza economica: soggetti di questo rapporto furono proprio le famiglie che trasferirono nella grande capitale economica del regno alcuni loro membri usufruendo dei privilegi per il commercio e per le stesse attività artigianali goduti dai residenti.

Un esempio di ciò è l'evoluzione dell'arte del battiloro su cui Napoli godeva la privativa (jus proibendi) per cui non poteva essere esercitata che in città ma che potette spostarsi a Solofra come succursale diremmo oggi dell'attività napoletana. I maggiori battiloro solofrani, i Maffei o i Guarino, saranno infatti al centro di questa attività nella capitale.

Interessante è lo studio all'interno della società solofrana di una dialettica delle alleanze familiari, guidata da motivi economici o dalla politica di dominio nel casale o di conquista di altri casali. In ogni casale dominavano una o più famiglie in genere legate da rapporti familiari che li rendevano forti e il trasferimento ad un altro casale avveniva attraverso un'alleanza familiare. Il nuovo ceppo spesso subiva una trasformazione nominale quasi acquistava un segno distintivo del trasferimento oppure faceva diramare dal ceppo principale alcuni rami che si renderanno autonomi,

Ancora le alleanze familiari determinavano lo sviluppo dell'attività artigianale della concia che avveniva in concerie possedute da più famiglie legate tra loro

Un'ultima caratteristica di questa società è il fatto che essa non fu incolta, sia per la necessità della scrittura commerciale, che per la pratica mercantile e del fondaco, che richiedevano libri di mercatura. Ogni azienda aveva dei libri contabili, che registravano gli introiti e i prelievi, il ritiro di una somma da parte di un socio, la spesa per un viaggio, ma anche semplicemente la dislocazione delle pelli nelle varie fosse, visto che vi dovevano rimanere molto tempo e data la precarietà dell'esistenza. Siccome non c'era un obbligo preciso per questi libri, ve ne erano di vari tipi. Nei testamenti si citano tali libri specie in relazione al dare e all'avere (recoglienze), o nei contratti societari, che, nella ripartizione degli incarichi, esplicitamente definiscono chi tiene l'onere dei libri.

L'esigenza di apprendere i primi rudimenti del sapere, che non è solo al servizio della parte alta di questa società, è soddisfatta sia dalle immancabili scuole private - ne è documentata una - che, cosa eminentemente significativa, da una vera e propria scuola al servizio di quella parte della comunità che ne aveva bisogno, ne faceva uso e la gestiva. Questo tipo di scuola solofrana appare una vera e propria istituzione con delle regole, un programma, una durata, che dovevano essere rispettati, con un docente obbligato da una convenzione, ed aveva naturalmente un costo da ripartire tra gli studenti i quali a loro volta erano sottoposti a dei precisi obblighi.

In più, la provenienza dell'insegnante, che prestava la sua opera a Solofra, Padova, fa arguire che la sua scelta fosse dettata anche da motivazioni culturali, visto che la città veneta era un importante centro del razionalismo aristotelico, studi diffusi anche a Salerno, che ne fu un vivace centro tanto da alimentare uno scontro tra due correnti: quella che si legava al tradizionalismo medioevale e quello che invece volgeva verso un'indagine interpretativa dei grandi maestri dell'antichità. Non è quindi da sottovalutare l'influsso che in questa diatriba potette portare l'insegnante padovano se si considera che il cinquecento solofrano espresse proprio un filosofo aristotelico, Camillo Maffei, appartenente ad una delle famiglie più in vista della società locale e che ebbe rapporti col centro padovano. A parte le esigenze dell'ambiente mercantile, Solofra dunque risentì, attraverso gli studenti che accedevano allo studio di Salerno, del risveglio culturale sostenuto dagli aragonesi.

C'erano però in loco altri momenti di apprendimento: quello che avveniva nelle botteghe a favore dell'apprendista, come dimostrano alcuni contratti di lavoro (submissio), e quello legato alle Confraternite, che consentivano di acquisire una cultura comune all'interno della organizzazione, visto che avevano, come si presume avvenisse anche a Solofra per le sue due Confraternite esistenti - di S. Maria delle Grazie e di S. Croce - momenti di gestione del tempo festivo.

 

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LE ZONE DI ORIGINE DELLA SOCIETÀ SOLOFRANA

 

Il nucleo abitativo più importante nella conca di Solofra furono le pendici del Pergola S. Marco quindi gli apporti da Serino e da Montoro furono fisiologici anche perché il sito fece parte sia dell'uno che dell'altro centro più grande.

Altri luoghi furono le aree mercantili della costiera amalfitana e soprattutto di Salerno dove si trasferirono le attività artigiane chiuse nella curtis quando la città si aprì al commercio della ricca Repubblica di Amalfi (il trasferimento delle attività artigianali dalla campagna nei centri mercantili fu una modalità dell'altomedioevo) e poi la zona produttiva di Giffoni da cui provennero diverse famiglie e con le cui attività legate all'industria armentizia Solofra ebbe stretti legami commerciali.

Il Cilento fu un'altra zona dove attinse la società solofrana fin dal periodo normanno con apporti che si protrassero in seguito alla distruzione di Fasanella ad opera di Manfredi e poi della guerra del Vespro e che determinarono il toponimo celentane.

La società solofrana fu interessata da un continuo movimento migratorio legato alle attività mercantili aprendosi alle aree più attive del mezzogiorno. Importante fu il bacino della Puglia dove elettivo fu il rapporto con i ragusei, fecondo fu il travaso dal Principato Ultra, specie dalle sue zone pastorali e dai suoi centri mercantili, fu esente dagli apporti che venivano dalle aree esterne, prima di tutto quella toscana.

 

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Le famiglie solofrane all’inizio del XVI secolo

(Utilizzare il link qui sopra per accedere alla pagina dedicata alla famiglia che interessa)

 

I due eventi solofrani dell'inizio del cinquecento - la stesura del secondo corpo statuario e la costruzione della Collegiata - permettono di individuare le famiglie del grande ceto artigiano-mercantile locale. Coloro che attesero alla stesura degli Statuti erano infatti i rappresentati di tutta la comunità, sia nella geografia dei casali che in quella delle famiglie, soprattutto di quei ceppi autori dei capitoli che subivano la definitiva sistemazione. Anche i membri del Collegio canonicale della Collegiata sono una parte importante della comunità per le caratteristiche del tempio solofrano, a cui si devono aggiungere i rappresentanti dei casali che nominarono gli amministratori del monastero di S. Agostino, quelli delle famiglie su cui cadde il censo feudale di Ercole Zurlo e i contraenti degli atti notarili appartenenti al settore produttivo. Si ha pertanto una fonte sostanziosa che permette di tracciare il profilo delle famiglie solofrane, alla fine del periodo studiato, per lo meno della parte emergente di esse.

 

La famiglia in assoluto più numerosa e più ampiamente distribuita sul territorio fu i Guarino

 

 (de Guarino), distinta da un intreccio e un proliferare di rami - una trentina di linee cugine - tanto che si sentì il bisogno di indicarli col doppio patronimico. Di origine normanna, il cui impianto si può far risalire alla fine del XIII secolo essendo all'inizio del successivo già era al vertice della società locale, si possono individuare diversi rami provenienti da Ariano. Il ceppo era dominante nei due arroccamenti alto medioevali de "le Casate" e di S. Agata di Solofra con impianto anche alle Fontane sottane, a Caposolofra, al Toro, alla Fratta, al Sorbo. La stessa caratteristica di invasività ed ampiezza si trova nelle attività locali, dall'oropelle, alla lavorazione delle scarpe e della pergamena, all'arte sutoria, alla produzione di tutti i tipi di pelle e alla lana, in tutte le modalità mercantili, nella gestione della finanza pubblica e della vita comunitaria, nel ceto notarile e in quello ecclesiale con vari frati in S. Agostino ed una decina di prelati tra cui il cappellano di S. Andrea.

 

Altro ceppo esteso era quello dei Giliberti (de Giliberto) la cui origine normanna fa ipotizzare un suo originario impianto in loco. Le prime notizie sono del XIV secolo, mentre nel XV si registra la presenza di tre notai che pongono la famiglia nel ceto "civile" e "letterato". È da attribuire ad essa la formazione e l'origine del casale Forna come ampliamento sia del Sorbo che dei Balsami, ove ancora in questo periodo c'erano antichi suoi possessi, e come collegamento col Sortito, dove risiedeva un ramo. Appare con diverse diramazioni tutte di una certa importanza impegnati nelle attività di gestione dell'Universitas e nel clero. L'attività prevalente, quella della concia - cinque concerie con operai -, svolta anche attraverso un interessante rapporto societario con membri dell'entourage conciario salernitano, aveva nella mercatura, con botteghe nella zona del commercio, e nella finanza un punto di forza.

 

La casata Garzilli (de Garzillo), al terzo posto come ampiezza, si raccoglieva e dominava in uno specifico casale, Caposolofra, il suo primitivo insediamento dove ancora possedeva l'antico fondo "castagnito". Si può porre l'impianto in loco anche prima dell'avvento degli Angioini. Diversificatasi in rami della linea cugina, la casata mise in atto un'accorta politica matrimoniale, sia nel casale, sia nelle attività artigianali per la comune produzione di scarpe, sia nella mercatura, che determinò l'insediarsi a Napoli, verso il cui mercato si dirigeva il suo commercio. Perfino il processo espansivo verso altri casali fu accompagnato dall'alleanza matrimoniale come avvenne per un ramo, in questo periodo già consistente, trasferitosi al casale Fiume. Al Fiume i Garzilli possedevano almeno due botteghe di conceria, presso una delle quali c'era una ben avviata scarperia con operai e una buona attività mercantile. Non erano assenti nelle attività finanziarie con il possesso di gabelle, con la partecipazione alla gestione del patrimonio ecclesiale, né nelle attività comunitarie.

 

Una famiglia rappresentativa era quella dei Ronca, che conservava una sostanziale unità e una specificità nel campo notarile. Possedeva beni in tutte le zone più antiche di Solofra: alle Fontane sottane, al Sorbo e ai Balsami, ma anche al Fiume, ai Burrelli, dove era proprietaria per lo meno di tre concerie, al Sortito dove c'erano sue botteghe, tra cui un'importante spezieria che presiedeva a tutto il lavoro di fornitura della materia conciante. Il campo dominante era quello finanziario, sia pubblico che privato, attraverso diversi soggetti, tra cui in posizione preminente era Alessandro che si qualifica come il maggiore finanziatore solofrano, ma anche fornitore di prodotti legati alla concia come i concianti e di lana, di cui aveva quasi il monopolio. Legata all'attività mercantile e finanziaria era la politica matrimoniale che portò i Ronca ad intessere rapporti con importanti famiglie di Atripalda, di S. Severino e della Puglia, tutte sue basi commerciali. Furono sempre presenti nella gestione della Universitas, sia nelle assemblee che nel subirne il carico, e in quella dei patrimoni ecclesiastici.

 

Ancora tra i ceppi ampi bisogna citare quello dei Vigilante, (de Violante) che si identificava col casale Fratta sviluppato intorno ad un suo ramo e con una chiesa, S. Giuliano, dove possedeva una cappella di jus patronale. La sua primitiva sede era il Toro sottano dove era rimasto, in un'antica cortina, un ramo. Entrambi erano due pilastri della economia locale con un'intensa attività artigianale intorno a due concerie al Fiume e a due botteghe alla platea, a cui seguiva quella mercantile e finanziaria che li vedeva impegnati nel commercio di ogni tipo di prodotti e nella gestione delle gabelle; ed entrambi erano presenti in diversi i settori della società solofrana nel clero e nel governo dell'Universitas.

 

Altro casato ampio era quello dei Troisi (de Troisio), di chiara origine normanna già all'inizio del XIV secolo tra i nuclei "civili". Dei rami risiedevano alle Casate, in tutta l'area di S. Agata, avevano beni alle Fontane sottane e a le celentane. Un ramo era insediato in una delle corti di S. Angelo ed aveva in enfiteusi le terre della chiesa, attraverso cui passava la via vicinale (poi "pie' S. Angelo") che portava al fiume con la servitù del passaggio e l'onere del suo rifacimento quando il fiume la distruggeva, elemento che dà un aspetto di vetustà a tutto il casato. Esso aveva un posto preminente nell'economia locale con una conceria al Fiume e con la lavorazione delle scarpe. Il commercio vedeva i Troisi presenti in varie societas e come finanziatori, erano assenti nella vita comunitaria, nel governo della Universitas e nel clero.

 

L'ultimo ceppo ampio è quello dei Caropreso del quale si hanno notizie fin dalla metà del XIV secolo. Era impiantato negli antichi possedimenti nel casale delle Fontane sottane, sviluppatosi intorno ad esso perfino con una cappella privata, quella di S. Lucia, nel corso del XV secolo e svolgendo un ruolo di primo piano nel clero. Interessante fu la politica matrimoniale, che li unì in un'alleanza di grande importanza economico-sociale. Importanti furono il centro artigianale, al Fiume, noto col nome di "botteghe di Battista" e le società mercantili, li portarono ad avere legami con i pellettieri di Salerno. Furono attivi nella vita economica della Universitas con la gestione di gabelle e del patrimonio di S. Agostino, notevole la presenza nel ceto notarile e nella vita della comunità.

 

Di media ampiezza furono le seguenti famiglie. I Fasano uno dei più antichi e certamente il primo che ha dato lustro a Solofra con i tre medici del Trecento, l'unico che si fregiava del titolo di "nobilis" legato ad un riconoscimento angioino, ed un ceppo ben definito e abbastanza ristretto con beni a "canale", alla "platea", dove era ubicata l'abitazione principale, al fiume, ai Burrelli, possedeva una conceria ai Balsami ed era impegnato nell'industria armentizia, nella produzione del vino, della carne salata e della calce.

 

I Maffei (de Maffeis) presenti in modo non secondario nella vita locale, parte attiva in molti momenti della vita comunitaria e nell'attività artigiana e mercantile con una bottega di battiloro che li fece importanti esponenti dell'arte solofrana con intensi rapporti con Napoli.

 

I Giaquinto (de Giaquinto) che all'inizio del XIV secolo erano citati tra le prime famiglie locali, di provenienza dall'area montoro-serinese dove era diffuso, impiantato nella zona di cerniera di S. Agata con beni alla "cerzeta", alle "cortine" e a "carpisano" con un ramo alle Casate, uno a Fontane sottane e l'altro al Fiume, in possesso di una conceria che produceva pergamene.

 

I Perreca che derivano dai Petrone (Perreca alias de Petrone), con impianto a S. Agata dove possedeva beni fino a "le celentane" ed a Serino dove gestiva quelli della rettoria di S. Agata.

 

I Petrone (de Petrone), di origine senese e diffuso a Giffoni, dove si individuano legami familiari e nell'attività artigiano-mercantile, fi presente a Solofra fin dall'inizio del XIV secolo alla via vecchia legato alla costruzione di S. Agostino e introdotto nel mercato napoletano col commercio delle scarpe. Altri rami erano impiantati tra i Burrelli, con delle botteghe, e le Casate.

 

Il ceppo dei Didonato (de Donato), di origine salernitana e in possesso di beni nell'antico territorio del sasso, aveva un ramo residente in una corte alla Fratta ed uno alle Casate dove originariamente dovette impiantarsi. Era impegnato nelle attività mercantili con un mercato vario e con presenze importanti e nel ceto clericale.

 

Antico ceppo era anche quello dei Pirolo (de Pirulo) impiantato, come i Garzilli con cui era imparentato, nella primitiva località di castagnito, da dove si era esteso alle Fontane soprane e al Vicinanzo dominando in tutta la zona intorno a Turci. Suoi membri avevano una conceria al Fiume ed erano impegnati con ruoli di primo piano nell'attività mercantile e finanziaria, e nella partecipavano alla gestione della comunità con Giosia.

 

Altro ceppo ben definito era quello dei Murena (de Morena), di cui un rappresentante, il notaio Giovanni Leonardo, a metà del XV secolo fu nominato procuratore di Solofra presso il cardinale d'Aragona, commendario sia di Cava che di Montevergine, per difendere i beni di queste due Abbazie posseduti dai cittadini di Solofra. All'inizio del XIV secolo era tra le famiglie "civili" di Solofra con possedimenti nella zona delle celentane fino a S. Agata e Aiello, un ramo si spostò a Napoli, furono una famiglia ben definita con un'antica abitazione al Sorbo ed una alla platea, impegnata soprattutto nell'industria armentizia estesa in altre località del Principato, erano presenti in tutte le attività importanti della vita comunitaria.

 

Del ceppo dei Papa, che appare definito e ristretto, si ha la prima menzione tra i "civili" all'inizio del XIV secolo, impiantato tra Caposolofra e il Sortito, ebbe membri nella festione dei beni degli Zurlo e nel clero, non era invece presente nelle attività artigiano-mercantili.

 

Il ceppo degli Jacobatis (de Jacobatis), impiantato al Sortito e negli antichi abitati di "canale" e di Fontane sottane, dove aveva creato un'alleanza familiare con i Garzilli, era presente nella vita comunitaria e nel clero.

 

Gli Alfano (de Alfano), di origine salernitana, abitavano in un'unica cortina alla Fratta ed erano impegnati nell'attività mercantile e finanziaria, legati in importanti società anche familiare, erano presenti nel ceto notarile e clericale e nella vita della comunità anche con una scuola privata.

 

Anche gli Iuliani (de Iulianis) appartenevano ad un ceppo di origine salernitana con beni a la via nova, erano presenti in tutte le attività comunitarie più importanti.

 

 

Altre famiglie sono: i Pandolfelli (de Pandolfello) con beni alle celentane ed impegno nella mercatura specie dell'oropelle; i Giannattasio (de Jannettasio), conciatori-mercanti-finanziatori impiantati al Fiume, con membri nel ceto notarile e impegnati nella vita della comunità; i De Benedetto, presenti fin dal XV secolo e impiantati alla Fratta con una conceria al Fiume e una buona attività mercantile; i De Rubino, un'interessante famiglia salernitana di mercanti, conciatori e finanziatori, economicamente importante, impiantata la Sorbo con beni alle celentane, ed una conceria, e partecipe alla gestione della Universitas; i Tura (de Tura) delle Casate molto influenti e impegnati in traffici mercantili, che si estendevano fino a Lecce col mercato degli animali, e in attività finanziarie con la partecipazione a società per la vendita delle gabelle; i Ciccarello (de Ciccarello), interessante ceppo della Forna per le attività mercantili, dove emergeva l'oropelle, esercitato anche con una società di "viaticaria" e per la partecipazione alla gestione dell'Universitas; i Verità (de Verità), abitanti alle Casate con membri impegnati nella vita comunitaria; gli Sclavo, una ristretta famiglia di mercanti-finanziatori del Toro che membri nelle attività della corte; i Minada (de Minada), una famiglia individuata fin dal 1458 con beni alle "celentane" e residenza alla Fontane sottane, rappresentata nella commissione degli Statuti.

 

Grasso (de Grasso) è un'antica famiglia mercantile di Salerno con un'importante attività nel commercio degli animali, che la portò ad ampliarsi dall'originario Sorbo, al Vicinanzo-Caposolofra ed al Toro con buone alleanze familiari. I Landolfi (de lo andolfo), di chiara origine normanna e di base al Vicinanzo fin dall'inizio del XIV secolo, misero in atto una significativa politica matrimoniale che li unirono alle famiglie locali più solide e una varia attività mercantile e finanziaria legata alla gestione di un'importante calzoleria e sostenuta da un'interessante società familiare e da una buona presenza nel clero.

 

Di questo gruppo di famiglie importante è l'origine, il che dà un contributo al quadro dei rapporti con altre realtà e al movimento immigratorio che interessò Solofra. Di origine napoletana la famiglia Caravita mostra diversi segni di ascesa sociale - l'ampliamento dell'abitazione alle Casate o la commissione di un quadro per la cappella di famiglia in S. Maria delle Grazie - dovuta ad una fiorente attività mercantile e finanziaria; sua derivazione è la famiglia Coramino (pure "Coracino" e Corasino"), divisa in due rami, uno dei Burrelli e l'altro di Caposolofra, e specializzata nella produzione di vari tipi di lardo e nel commercio con società armentizie; amalfitana è la famiglia Alferio impiantata anche a Salerno dove si interessava dello smercio di panni e di stoffe impreziosite di oro e di argento, legato al quale si può ipotizzare il trasferimento a Solofra; della costiera è pure la famiglia Cambio, dove svolgeva l'attività mercantile che la unì a Solofra, ed ora di base a Caposolofra con beni a S. Agata e legata ai Pirolo; da Genova vennero i Grimaldi, come quelli dell'area salernitana, impiantandosi nell'antico casale delle Fontane sottane ed emergendo, già all'inizio del XIV secolo, tra le famiglie "civili", fu caratterizzata da una buona la politica di alleanze familiari, dalla presenza nel clero e dal possesso di varie botteghe e di una "calcaria"; di origine salernitana e tra le famiglie "civili" all'inizio del XIV secolo, i de Federico conservavano ancora solidi legami con la Foria di Salerno per l'attività mercantile e artigianale della pelle a cui è legato il trasferimento a Solofra - Sorbo e Casate - dove si erano specializzati nella lavorazione delle scarpe; di origine toscana è la famiglia Buongiorno (de Buonojuorno) giunti nel meridione dietro il mercante Forio ed impiantatosi alla Fratta dove è documentata tra le famiglie civili dell'inizio del XIV secolo e dove svolgeva un'ampia attività mercantile sostenuta da una conceria al Fiume e da un'attività finanziaria che coinvolgeva anche il campo pubblico e li vedeva in alleanze economiche all'interno del casale.

Altre famiglie la cui origine può essere derivata da vari elementi erano i de Raguso, che nel nome ricorda gli antichi legami con i mercanti dalmati pugliesi di Trani e di Barletta; i Calamito e i Montichio provenienti da Montefusco; i Carpentieri salernitani; i Francavilla ben introdotti nel mercato solofrano; i Cosetore della Foria di Salerno con cui svolgevano un buon mercato di lane e prodotti litici; i de Corte, una famiglia mercantile di Salerno con beni alle "celentane"; i de Lauri residenti al "sambuco"; i de Magistro famiglia genovese impiantata a Sulmona; i Volturale abitanti alle Casate; i Savignano di S. Gregorio, finanziatori in una società di produzione del visco e locati tra il Toro e il "sambuco"; gli Albanese con Luca, mercante-finanziatore che trattava animali; i Napoli forse di Giffoni; gli Orciolo di Atripalda col "venerabilis" Andrea; i Forino; i de Venosa.

 

Un apporto alla società solofrana fu dato da Serino, per il quale restano da citare le famiglie: Iasimone con beni in zona e con un mercante-conciatore, Scipione che, imparentato con i Garzilli, aveva in gestione alcune terre di S. Angelo; Ruberto, imparentata con i Guarino delle Casate; de Arienzo, legata alla lavorazione delle scarpe di Serino ed in società nella produzione del visco a S. Agata; Ginolfo, che trattava prodotti concianti; Luciano, impegnata nella mercatura e imparentata con i Garzilli; e poi Lumbardo, Guacci (Guazi), Iacobino. Tra le famiglie di origine montorese restano da nominare i Sammeoro, imparentati con i Vultu; i Paladino, lavoratori del legno e mercanti di animali; i Salerno, documentati già nel XII secolo con l'artigianato del ferro. C'è infine una famiglia, forse originaria di Nocera, de Parisio delle Casate con un importante rapporto con Napoli dove era trasferito il "magistro" "honorabilis" Cola Pistor.

 

Infine le famiglie Guerriero (de Guerreiro), con ben tre membri tra quei rivoltosi, ora impiantata alle Casate e alle Fontane sottane, con artigiani e mercanti, un agrimensore, e vari operai, mostrando una dinamica del ceto medio solofrano che si allargava a più strati sociali; Guerrino, una derivazione della precedente, impegni nella produzione della calce; Migliore (de Meliore), il cui sviluppo ha percorso un iter caratteristico possedimento alle "celentane" e impianto abitativo alle Casate, poi trasferimento al Fiume attraverso un'alleanza familiare con attività intorno ad una conceria, quindi sviluppo del commercio con Napoli con impianto qui attraverso un possesso fondiario; Olivieri delle Casate e in alleanza parentale con i Vigilante della Fratta.

 

Ci sono poi due ceppi rappresentativi di una modalità "solofrana" di impianto in loco. Il ceppo dei Parrella (de Parrello) che presenta un percorso fatto da molte famiglie solofrane: da S. Agata, dove aveva beni che gestiva con contratti ventennali, a Solofra, un ramo si era spostato ai Balsami, aveva in fitto una conceria e svolgeva attività mercantili e finanziarie anche con la gestione della finanza della Universitas. Ed i De Maio (de Majo) il cui patronimico è riferibile ai vari Maio e Maione presenti nel periodo longobardo-nomanno proprio nella stessa località, tra il Toro e S. Agata, dove in questo periodo possedevano una cortina. Erano introdotti nel commercio delle pelli con varie esperienze mercantili, tra cui una società di "aromatari".

 

Rilevante è il significato di due ceppi, de Urso (con la derivazione de Ursone) e Russo, presenti nel periodo normanno nell'area di S. Agata-Montoro-Serino, poi trasferiti a Salerno ed in rapporto con la zona di origine anche attraverso la partecipazione alla Zecca.

 

Le restanti famiglie sono i Ladi, mercanti e conciatori di Caposolofra; i Liotta, con un ramo alle Casate ed uno a Caposolofra, e con conciatori e mercanti specie di oropelle; i Lettieri (de Litteri o de Litterio) proprietari della Fratta impegnati in una società per la raccolta e la lavorazione del visco; i Corona, impiantati a S. Agata e a Caposolofra con attività mercantili e finanziarie; i Vultu, possidenti delle Fontane sottane e di S. Agata impegnati nel commercio; i Todaro dei Burrelli dove gestivano una delle concerie dei Giliberto; i Titulo, contadini e mercanti di Caposolofra; i Rutulo, forse una derivazione da un ramo dei Guarino, impiantati alle Fontane sottane e al Sorbo con beni a "carpisano" ed impegnati nel commercio delle scarpe; i de Amore con beni alle Fontane soprane; infine i Pacifico, abitanti al Fiume, lavoratori del ferro e impegnati anche come finanziatori nel commercio degli animali, dei prodotti conciari e del vino.

 

Famiglie ristrette sono i Guardasono con beni e residenza alle Casate, gli Iannunzio con un notaio, Aurelio Ludovico; i de Ranaldo con possedimenti nella zona antica; i de Raimundo con beni alle "celentane"; i Ficeto, mercanti; i Pellegrino mercanti-finanziatori; i Monochio, commerciati di lane; i Truono, domiciliati a S. Agata di Solofra; e poi de Luca, Zapata, de Valore, de Sabbato, Santella, de Pennacchio, Panzano, Alerito, Barberio, Berneri, Carullo, Caruso, Catonio (o Catozo alias de Felice), Cercamone, Chianette, Chiarella, Colise, Criscillo, Curseri, de Amato, de Matteo, i Gravallese Fagiano, Maiorino, Marino, Muscarda. 

 

Tra le famiglie non presenti negli atti notarili si citano i Feulo che hanno beni alle "celentane" e rapporti con Napoli; i Forte di origine salernitana che all'inizio del XV secolo avevano possedimenti a la via nova nelle terre di S. Agostino forse qui trasferitisi per la costruzione del monastero; i de Martino di origine salernitana; i de Tauro, di cui un notaio, Andrea, operava a Solofra nel 1475, i Rutile del Sorbo; i Verità, delle Casate; i Pascale considerati nel XVI secolo di antico impianto.

I fondi di Cava che i solofrani possedevano nel XVI secolo

 

Da M. De Maio, Solofra nel Mezzogiorno angioino-aragonese, Solofra, 2000.

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