Tradizioni solofrane

 ZINGHERA

di Eleonardo Mosca da Solofra

PERSONAGGI: Zinghera, Pulcinella, Dottore.

Zing.      Ferma lo sguardo e il passo,

                Donna leggiadra e bella,

                E d’una Zingarella - odi il tenore.

                Chè per servir l’amore

                Qui venni, odi mia voce,

                Più del tempo veloce - c del pensiero.

Pul.        È lo vero, arce vero,

                E de muodo correa

                Che cavallo parea - de postiglione.

                E a me ’nfilo permone

                Sbatte pe ghi’ correnno,

Nce vo’ tant’araprenno... - in arrassosia!

Dott.       P’ogne casa, ogne via,

                Ogni regno e cittate

                Nce truove pastenate - sempe femmine!

                Sia ’mpiso chi ne sèmmina,

                Che io manco ne vorria

                Vede’ncoscienzia mia - una pe’ regno!

È la verità, la somma verità.

E correva tanto

da sembrare un cavallo di una carrozza postale.

E a me sbatte persino il polmone

per andare correndo.

ci vuole tanto per aprire? Che modo è questo?

Per ogni casa, ogni via,

ogni regno e città

ci trovi piantate sempre le donne.

Sia impiccato chi le semina,

che io non ne vorrei

vedere, in coscienza mia, neanche una per regno.

 

Zing.      Quanto può arte e ingegno

                D’una donna sagace

                L’udrai, sia con tua pace, - in brevi note.

                E il compassar le rote

                Dell’ncostante Dea

                Il tutto ben sapea - sin dalla culla.

Pul.        Siente, siente, sia Ciulla,

                Apre sso cannarone

                Se vuo’ sorefazione -nquantetate!

Ste femmene so’ nate

Pe’ sape' chiaro e scuro,

E sanno lo futuro - a pilo smierzo.

Dott.       No’ starria l’univierzo

                Senza guerra in eterno,

                Se non fosse luNfierno - uh! brutto nomme!

                Senza guerra le Romme

                Le Grecie co le Troie

                Che pe’ ste sant’AIoje - se songo strutte!

                So’ però, belle e brutte,

                Femmene guaie e ’nganne;

                Pozzano ave’ malanne - sine fine!

Pul.        Nguangie sette carrine,

                Ca se no’ se sta zitto

                Le dongo a pede fitto -int’ a li diente.

 Senti, senti zia Giulia (ad un'ipotetica donna presente). Ella ora apre la bocca

se vuoi soddisfazione in quantità.

Queste donne (le zingare) sono nate

per sapere il chiaro e l’oscuro

e sanno il futuro con precisione.

L’universo non sarebbe

senza guerra in eterno

se non ci fosse l’inferno, uh!, brutto nome.

Senza guerra Roma,

la Grecia con Troia

che per queste portatrici di disgrazia si sono distrutte.

Sono però sia belle che brutte

 

donne guai e inganni.

Possano avere malanni senza fine!

Scommetto sette carlini

che se non si sta zitto

gli do un piede dritto nei denti.

Zing.      Sembri al volto prudente

                Ma diverso nei fatti,

                Onde ciocchè in cor tratti - lungi è dal core.

                Cangia amor per amore

                Incostante in tal modo,

                Qual’or chiodo con chiodo - a trar seri viene.

Pul.        Benaggi’ oje, pensa a tene,

                Ca se faie piglia e lassa,

                Sta bezzarria te passa - e muti cera.

                Vi’ ca sta primmavera

                Lu vierno ne la sfonna,

                E sta capa ch’è ghionna - fa lanterna.

                Chi male se coverna,

                Po’ chiagne la vecchiezza,

                Quann’è tutta pellecchia, - e Dio sa comme!

Dott.       Donna, danno de l’ommo,

                Rovina de lo munno!

                Pozza ire a maro funno - tale razza!

                E l’omno, uh capa pazza!

                P’ammaste barbajanne,

                Spànteca, spenne, spanne - e n’è spennato!

Pul. E tu da chi si nato,

                Neh, sacco de lotamma,

                Teino o no’ tiene mamma, -, o si’ de viento?

Dott. Nasciette e me ne pento,

                Nce potesse tornare

                Pe’ no la chiù mirare, - nce sarria!

Pul. Chi sprezza e chi desia!

                Isso tanto schiattuso,

                Jo tanto goliuso - ca mo’ figlio!

Abbi bene oggi, pensa a te,

che se fai prendi e lascia,

questa bizzarria ti passa e cambi atteggiamento.

Vedi che questa primavera

l’inverno la distrugge.

E questa testa di piombo diventa lanterna.

Chi non sa governarsi

poi piange nella vecchiaia,

quando è tutta pelle e Dio sa come vive.

La donna è danno dell’uomo,

rovina del mondo.

Possa andare nel fondo del mare questa razza.

E l’uomo, testa pazza,

per amore verso queste barbagianni,

soffre, spende, spande ed è spennato.

E tu da chi sei nato,

sacco d’immondizia,

tieni o non tieni una mamma o sei del vento?

Io nacqui e me ne pento,

se potessi ritornare indietro

per non guardarla più, lo farei.

Chi disprezza (le donne) e chi le desidera!

Egli tanto contrario,

io tanto desideroso, che ora vengo meno.

Zìng. Di Cupido il tuo ciglio

                Sembra la calamita,

                Che a tira ogni vita, - e lega ogni alma

                E nel mostrar la calma,

                Nel mar della dolcezza

                Fra scogli d’amarezza - urtan sovente.

Pul. Puoie fare senza stiente

                Ire sta nave a mare,

                Co ascià no marenaro - prattecone,

                Che da poppa e temmone

                Se mena de manera,

                Che co’ sta galera - a maro ’n funno.

Dott. Donna, Demmonio e Munno

                So’ de l’ommo nemiche:

                Lo sanno ’nfille piche - e lle parrelle.

                Canfaccia songo belle,

                Ncuorpo so’ tutto fele,

                Promettono Rachele - e danno Lia.

                Vede’ proprio vorria

                Sta razza maletetta

                Co borza, co’ vrachetta - e co scartiello!

Pul. Reditence de chello

                Che dice sto frabutto:

                L’avvolo fa frutto - comm’è nato!

Puoi far andare senza stenti

questa nave a mare,

col trovare un marinaio praticone,

che da poppa e timone

si agita in modo

che va va a fondo insieme a questa nave.

Donna, demonio e mondo

sono dell’uomo i nemici

lo sanno persino le gazze e le cinciallegre.

Che di viso sono belle,

ma in corpo sono tutto fiele,

promettono Rachele e danno Lia.

Vedere proprio vorrei

questa razza maledetta

col gozzo con l’ernia e con la gobba!

Liberaci da ciò

che dice questo farabutto:

L’albero fa frutto come è nato!

Zing. Il corso che hai pigliato

Nulla ti giova, o cara,

Se sorte alfin prepara - un triste punto.

So ben che il tempo è giunto,

Non star più spensierata,

Ma d’essere chiamata - e madre e sposa.

Pul. Fallo, ch'è santa cosa,

                Va’ curre a ’ngaudeare,

                Non fa’ Cassa notare, - comme a ’nnante!

                Chi tanta pale sàuta,

                Se nne’mpizza’ uno ’nculo,

                E po’ co’ no cetrulo - fa palicco!

Dott.       D’arbasce, fummo e picco

                La femmina è modiello;

                Vorria lo campaniello - ’nfi’ a lo naso!

                Dall’urotonfi’ all’occaso

                No nc’è chiù brutta cosa

                Che sia chiù scannarosa - de sta pesta!

Pul.        Sto si’ Freca-feneste,

                Che sprezza a ste figliole.

                Se scognarria lle mole -n fede mia!

                Ne chi ha’mparato Uscia

                Di’ male de llo buono?

                Puozze mori’ de truono - o derrupato!

Dott.       De buono? Uscia ha sgarrato!

                La gente chiù saputa,

                Chi l’arma nce ha perduto - e chi la vita.

                Va vide Mammaolita

                Che fece a Salamone,

                E Dalida a Sansone; - e nce haie piacere.

                Piglia, si nn’aje, mogliera,

                Ca mme l’avvise appriesso,

                Quanno po’ muori ciesso - e curre a scuro!

Fallo, che è una santa cosa,

va’ corri a godere

non far notare la cassa come prima!

Chi tanti pali salta,

se ne ficca uno nel sedere,

e poi con un cetriolo fa uno stuzzicadenti!

Di dolori, fumo e punture

la donna è modello;

Vorrei che avessero il campanello persino al naso!

Da est fino ad ovest

non c’è più brutta cosa

che sia più scandalosa di questa peste!

Quest’uomo rovina tutto

che disprezza queste ragazze.

Potrebbe tirarsi i molari in fede mia!

Chi ha insegnato a Vossignoria

dirà male delle cose buone?

Potessi morire di tuono o scaraventato giù!

Di buono? Vossignoria ha sbagliato!

Le persone più sagge,

chi l’anima ci ha perduto e chi la vita.

Va vedi Mammolita

cosa fece a Salomone

e Dalila a Sansone e avrai piacere.

Prendi, se ne hai, moglie

che poi mi darai l’avviso

quando morirai scimunito e diventerai misero!

Zing.      Felicità t’augùro!

                Se felice esser brami;

                Oggi prometti ed ami - un che ti dico,

                Qual è il tuo amante antico;

                Ma celato fin’ora,

                Che occulatamente adora tua bellezza.

Ma per tua gentilezza

Dei tu, signora mia,

A noi la cortesia per questa nuova...

Pul.        Pruoje simbè doje ove,

                ’No pede, ’no spetuzzo

                Mo proprio dai soccurzo - a l’abbesuogne.

                Te! tu mo te verguogne!

                Vengh’io ’nfia la despenza;

                Uscia mmelecenza? - Io m’abbecino.

Dott.       Non porta lo traffino

                Tanta tunne a la rete,

                tante la cometa - male signe,

                Quant’usan arte e ’ngiegne

                Pempapocchialle gente

                Ste iàllove fetente; - e nne scappa!

                Rode, sporpa, t’arrappa

                Peo de chi sta ’ngalera;

                Disperato chi spera - a ste malerve!

Pul. Te crire, ma non serve

                Ca spriezze p’accattare;

                Uscia vo’ addimmannare - lloconnante?

Prova per esempio due uova,

un piede un’altra cosa

ora proprio dai soccorso al bisogno.

Tu! Se tu ti vergogni!

Vengo io fino alla dispensa

Vossignoria mi il permesso? Io mi avvicino.

Non porta il furbo

tanto tonno alla rete,

tanta la cometa cattivo segno

quanto usano arte e ingegno

per imbrogliare la gente

questo uomo brutti; e va scappa!

Rode, spolpa, arraffa

peggio di chi sta in galera;

Disperato chi spera da questa cattiva erba!

Ti credi, ma non serve

che disprezzi per comprare

Vossignoria vuol domandare qua avanti?

Zing.      Come pari al sembiante,

                Sarete in beltà pari,

                Di virtù singolari - e d’una etade.

                Nel Ciel della beltade

                L’una luna e l’altro sole

                Che la terraquea mole - illustrerete!

                E al mondo sembrerete

                L’un giglio, altro rosa,

                E dell’està famosa - il vero maggio!

Pul.        Potta che ’mmidia n’aggio:

                Viata, te, viat’sso,

                Che farrito l’aggrisso - in sole Gemini!

                E quanta Mseremini

                Diranno sti smargiasse

                Ch’hanno perzo li passe - nott’e ghiuomo!

Dott.       No masse de taluorne,

                Nu trivolonfinito,

                Che fa fa’ a lo marito - sempe l’ascio.

Pul.        Tu faie d’ognerva fascio,

                Pecché non saie ca chella

                È ricca, sàpia, bella - e bertolosa.

                Pe’ casa è santa cosa;

                Pe mmarito è confuorto,

                Che a Lavenaro e a Puorto - no’ nc’è tale.

                E tu ne dici male,

                Vituperio, schifienzia.

Mmerda... co licienzia - de ste faccie!

Dott.       Scusame! Ora va saccie,

                Benaggi’oje, ch’era chella

                che a Toleto e Forcella - è nommenata!

                Donca da chi si’ nata?

                Dimme a chi rassemiglie

                Pe l’alta meraviglie - de la terra.

                Se sta lengua da sferra

                T’ha tagliato qua’ poco,

                Te cerco luoco luoco - perdonanza.

 Maledizione che ho invidia:

Beate te, beato lui,

Che fare l’eclissi di due soli

E quanta misericordia

diranno questi smargiassi

che hanno perso notte e giorno.

No, pezzo d’uomo fastidioso,

un pianto infinito

che fa fare al marito sempre lascio.

Tu fai di ogni erba un fascio,

perché non sai che quella

è ricca, saggio, bella e ubertosa.

In casa è una santa cosa

per il marito è conforto,

Che al Lavinaio e a Porto non ce n’è pari.

E tu ne dici male,

Vituperio, schifezza.

Sporcizia.. col permesso di queste facce!

Scusami! Ora va so,

Bene so oggi chi era quella

che a Toledo e Forcella e nominata!

Dunque da chi sei nata?

Dimmi a chi rassomigli?

Per la grande meraviglia della terra

Se questa lingua da far perdere la pazienza

ti ha biasimato poco fa,

ti cerco ben bene perdono.

Zing.      Nel mirar tua sembianza

                Restò ad amor soggetto,

                Onde il cor del suo petto - a te ha sagrato.

Pul.        Perciò avea cammenato,

                P’ascia’ accossì ’n’immagine,

                Romma, Cipro, Cartagine - e Damasco.

                Ché buò ascia’? no feasco!

                No nce sia manco a Troia!

                Sulo ssa grazia toia - porta bannera!

Dott.       No mme portà' chiù cera,

                Ca non sapeva tanto;

                Da mo nante t’avanto -nfi’a le stelle.

                E de poesie novelle

                Te faccio ’nnante e arreto,

                Ca so’ bravo poeta, - quatto tomi.

Perciò aveva attraversato

per trovare una così bella persona

Roma, Cipro, Cartagine e Damasco.

Che vuoi trovare? No! Fiasco!

Non ci sta neanche a Troia!

Solo questa tua grazia porta la bandiera (della bellezza).

Non mi portare più il broncio,

che non sapevo tanto.

Da ora in avanti ti loderò fino alle stelle.

E di nuove poesie,

ti riempirò il davanti e il di dietro,

perché sono un bravo poeta.

Zing.      Per erger vostri nomi,

                Là nel Ciel i pianeti

                Fan tutti attenti e lieti - almo consiglio.

                E di Ciprigna il figlio

                Con Imeneo suo caro

                Tessonvi, o caso raro, - auree ghirlande.

Pul.        Puozze campa’ mill’anne,

                E da ccà a nove mise

                Puozze fa’ duie marchise - a primma botta!

                E de juorno e de notte

                Dormite e state accuorte

                Ca lo suonno e la morte - so’ pariente.

Dott.       Duie campiune valiente,

                Marte isso e tu Bellona,

                Farrite guerra bona - addo’ Copinto.

                Ch’io fore munno e dinto

                No banno jettarraggio,

                E a tutte contaraggio - sse fattizze.

                Grazia, virtù, bellizze,

                Arte, muodo e taliento,

                Che songo po’ portiento - de natura.

                E a ghi’ strellanno sura

                St’arme ’ncopp’a tre scibbe,

                Nfra meràcolo scribbe - e festa bona.

 Possa tu campare mille anni,

e da qui a nove mesi

possa fare due marchesi al primo colpo!

E di giorno e di notte

dormite, ma state attenti

che il sonno e la morte sono parenti.

Due valenti campioni,

lui Marte e tu Bellona,

fareste una buona guerra presso Corinto.

Che io fuori e dentro il mondo,

un bando getterò

e a tutti racconterò queste fattezze.

Grazia, virtù, bellezza,

arte, modi e talento,

che sono poi portento di natura.

E per andare strillando faticherà

quest’anima tre camice

fra miracolo, scriba e buona festa.

Zing. Già pare che risuona

L’eco di un tale eccesso,

D’ogni età, d’ongi sesso - in ogni polo.

Pul. Li quatto de lo Muolo

Mancano a ssa fortuna:

Che puozz’ave’ la luna - sempe ’n fronte!

E a ghi’ncuolle a Caronte

Pozza i’ chi te vo’ male,

0 mori’ a no spetale - de quartana.

Siente, stella reale,

Pe sse bellízze nove

Nfi’ lo cielo le chiove - maccarune.

Dott. Pe tutte ssi portune

Petaffie voglio appenne,

A ’nfi’ che faccio ’ntenne - chi è sto fusto.

Ti prometto, e nce aje gusto,

Veni’ co chi ti vole

Co fràute e viole. - Crisce ’n bellezza!

I quattro lati dei mondo

mancano a questa fortuna!

Possa tu avere la luna sempre in fronte.

E andare da Caronte

possa chi ti vuol male

o possa morire in un ospedale di febbre quartana.

Senti, stella reale,

per questa nuova bellezza

fino al cielo piovono i maccheroni!

A tutti questi portoni

voglio appendere epitaffi

per far intendere chi è questo fusto.

Ti prometto che ne avrai gusto.

Vieni con chi ti vuole

con fragole e viole. Cresci in bellezza!

Zing.      Doni e ogni accortezza

                Di amarlo quanto ci t’ama,

                Acciò va la tua fama - fino al Cielo.

                Qualora o ti disvelo

                Un arcano celeste,

                Tu di seguir ti appresti - quanto imposi.

Pul.        Signò, quanno po’ spusi,

                Co chillo mascolone,

                Non te scorda’ Cippone, - àggeme a mente,

                E mostrati prudente.

                Si t’aggio ’nfracetata

                Non fa’ c’aggio perduta - la fatica.

Dott.       A me quarche mollica

                Stipa de ssu banchetto,

                No’ fa’ che pe despietto - vedo e schiatto.

                Che si da me parto

                Pe ghire a n’àuta parte,

                Si so’ fauze le carte - no nce torno.

Signora, quando poi ti sposi

con quel mascalzone

non scordarti di Cippone (Pulcinella), ricordati di me.

E mostrati prudente.

Se ti ho contagiata,

non fare che abbia fatto lavoro inutile.

A me qualche mollica

conserva di questo banchetto,

non fare che per dispetto vedo e crepo.

Poiché se di qui parto

per andare in un altra parte,

sono false le carte, non ci torno.

Zing.      Bella, fa fine il giomo,

                Finir deggio ancor io;

Mentre m’inchino... addio; - restate in pace.

Pul.        Troppo mme dispiace!

                Ma lu cielo nu’ bole

                Che me chiàjeto na mole - già perduta.

                A te, giglio scioruto,

                Auto nun pozzo dice':

                Puozze sempe gioire - a chisto munno!

                E io co no sprefunno

                Na leverenzia faccio.

Dott.       Si Caggio dato ’mpaccio

                Scusarni, nenna mia;

E compatisca Uscia - lo troppo ardire.

Pul. Mentre che allo partire

Scordannome d’Ammore

A due. Restammo schiavo Uscia, - servo de core

Troppo mi dispiace!

ma il cielo non vuole

che mi tiri un molare già perduto.

A te, giglio fiorito

altro non posso dire

Possa tu sempre gioire in questo mondo!

Ed io con uno sprofondamento

faccio una riverenza.

Se ti ho dato impiccio

scusami, ragazza mia;

e compatisca Vossignoria il troopo ardire.

Mentre stiamo per partire

scordiamoci dell’Amore

Restiamo schiavi di Vossignoria, servi di cuore!

 

 

 

 

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