Tradizioni solofrane

 

ZINGHERA

di ELEONARDO MOSCA (1820)

1 testi riproducono nella forma integralmente quelli pubblicati da Michele Scherillo sul  “Giambattista Basile” rispettivamente nel 15-12-1884, 15-1-1885, 15-3-1885. Le strofe sono di tre versi, i primi due sono settenari, il terzo è un endecasillabo con la rima al centro. In altre stampe l’endecasillabo viene diviso cosicché le strofe risultano di tre settenari e un quinario.

Il dialetto napoletano, per la ricchezza delle immagini e per la espressività delle forme linguistiche, pende di vivacità nella traduzione in lingua. Ma data la difficoltà di un’immediata comprensione del testo, scaturita anche dal fatto che molte espressioni o vocaboli sono caduti in disuso, diamo una traduzione in parte letterale, in parte a senso, ove la prima non è possibile. Essa permette una generale comprensione del testo. Consigliamo, dopo questa prima fase dì approccio, di rileggere la Zingarella nella forma originaria per cogliere tutta la freschezza, la spontaneità e la delicatezza delle composizioni

 

PERSONAGGI: Zingara prima, Zingara seconda, Dottore, Pulcinella.

Zing. I Fin dall’egizie arene

                 Volarne al par del vento

                 mi spinse, oh gran portento!, - il tuo sembiante.

Zing. II Mi fe’ drizzar le piante

                Di tua beltà nomea,

                Ch’io fin di là tenea - quasi divina.

Zing. I    A cui umil s’inchina

                Ogni amator più degno.

Zing. II  A cui stupisce a segno - ogni mortale.

Zing. I    Ti fan fregio reale

                L’eroine più belle

Zing. II  T’influiscon le stelle - ogni splendore.

Dott.       No ’me dice lo core

                Pena lite meschina

                De ire in Tribunale - stammatina.

                Tiempo è de Carnevale,

Senza lo capo Rota

M’è permisso sta vòta - de fa' festa.

Non mi dice il cuore

per una lite da niente

di andare in Tribunale - questa mattina.

Tempo è di Carnevale,

senza il capo della Rota,

mi è permesso questa volta di far festa.

Pul. (alla bella) Apre l’uocchìue, e t’allesta

Ca te nce puoi spassare

Se cheste annevenare - se so’ poste;

E co’ doje facce toste,

Te diciarranno tutto

Chi t’amma, chi è lo frutto - e chi ti vole.

Co quatto o sei parole

Te sentarraie che aie, ’ncore,

S’è fatto gruosso Ammore - o peccerillo;

Se te spasse co chillo;

Se nc’è quacch' un’ attuorno;

Se isso è de sto contuorno - o sta lontano.

Apri gli occhi e fermati,

se ti vuoi divertire.

Se queste (le zingare) si sono messe a indovinare.

Con due facce toste

ti diranno tutto

chi ti ama, chi è costui, chi ti vuole.

Con quattro o sei parole

sentirai cosa hai in cuore.

Se l’amore è diventato grande o piccolo.

Se ti diverti con quello,

se c’è qualche altra intorno.

Se lui è di questa zona o sta lontano.

Zing. I Prìa di svelar l’arcano,

                Dei tu, signora mia,

                Prodiga cortesia - a noi donare.

Zing. II Siam pronte a palesare

                Chi del tuo amore è degno;

                Chi t’ama, ed a quel segno, - in pochi accenti.

Zing. I   Si si spero gli argenti…

Zing. II  Anzi l’oro sper’io…

Pul. Che oro, core mio! Pane e presutto!

Vasto che ’ncegno,ntutto

’Sto capone è sfrattato!

Ca so’ proprio allancato - de la famma.

Che oro, cuore mio! Pane e prosciutto!

In gran vastità, in tutto

questo povero uomo è vuoto.

Io sono proprio indebolito per la fame.

Dott. Curre e scuopreste tramme

Che se tèssono ’n corte:

So perze e quasi morte - le parole.

                Nce pozza jre chi vole,

                Pe. me, ’ncoscinzia mia,

                Vorria c’a Vecaria - cedesse ’n chiummo!

Corri e scopri queste trame

che si tessono a corte.

Sono perse e quasi morte le parole (è inutile parlare).

Ci possa andare chi vuole,

per me, in coscienza mia,

vorrei che la Vicaria cadesse tutta intera.

Pul. (alla ragazza) La cucina fa fummo,

                Va curre a la respensa;

rignice na credenza - e portancella.

E po’ da chesta, e chella

Che te vorraie sentire,

Quant’avarraie da gioire - e ’ngaudeare!

La cucina manda fumo,

vai corri alla dispensa,

riempici una credenza e portacela.

E poi, da questa e da quella (le zingare)

tu potrai sentire

quanto dovrai gioire e godere!

Zing. I Ei per te solo amare

                 Non ha pace o riposo.

Zing. II Il tuo bel cuore ansioso - disia amarlo.

Zing. I    Ei da un penoso tarlo

                 Ha roso il petto ognora.

Zing. II E voi penate ancora, - io lo discerno.

Zing. I    Si passerà l’inverno…

Zing. II Verrà tempo felice

A due     Che ad ambi goder lice - e gioia e pace.

Dott.       Troppo ca me piace

                Stu canto ’nzuccarato,

                ’Sto viso aggraziato, - ed oh che spasso!

                Nenna, co lo compasso

                Si’ fatta e co’ misura:

                Non potea chiù natura - farte bella.

                restata è schiavottella

                St’arma de ’sta bellezza;

                Te’ me tira a capezza, - io sparpeteo!

Mi piace troppo questo canto

pieno di zucchero.

Questo viso bello, oh che divertimento.

Ragazza sei fatta con il compasso

e con misura.

La natura non poteva farti più bella.

serve a far schiavi

questa così grande bellezza;

Tieni, tirami la cavezza (fammi schiavo), io languisco.

Pul.        Buono! Masto Chiafeo

                Nce voleva pe ghionta!

                E se io la piglio a ponta - isso è speruto!

Buono! Don Chiafeo (espressione di disprezzo).

Ci voleva per giunta proprio lui.

Se io lo prendo come nemico, egli è perduto.

Dott.       Bella, tu m’aje feruto

                Cost uocchio a zumpariello,

                Che spata, anze cortiello - me da’ impietto.

                lo non trovo arricietto;

                ’Sto core è ghiuto ’n fiamma;

                Ammami, bella, amami: - io non ti lascio.

Bella tu mi hai ferito

con questi occhi che brillano.

Che spada, anzi, che coltello mi dai in petto.

Io non trovo pace,

questo cuore è andato in fiamme.

Amami, bella, amami, io non ti lascio.

Pul.        , siè Dottò’, cc’abascio

                Uscia nce ave che fare?

                Vide se puoi passare - a ’n’auto vico!

                Jo te parlo d’amico:

                Ca po’ si sferro, e faccio,

                Subito te lo straccio - e la goniglia.

Neh, senti dottore, laggiù

vossignoria ha da fare?

Vedi se puoi andare in un altro posto.

Io ti parlo da amico,

che poi, se perdo la pazienza, agisco

e subito ti rovino.

Zing. I    0 quanto a te somiglia

                Quel garzoncel che t’ama,

                E teco unirsi brama - in casto nodo.

Zing. II  Non trovo luogo, o modo

                Spiegarti il grande ardore

                Che ognor ti brucia il core - e lo consuma.

Zing. I    Vorrei spiegar le piume

                Volando a te d’intorno.

Zing. II Starei di notte e giorno - a te vicino.

Zing. I    0 prende a far camino…

Zing. II  0 le contrade ci gira

A due     Sempre per te sospira - e per te pena.

Dott.       È fornuta la scena,

                Songh’io, ch’ogni tantillo

                Veco ca no zennillo - io mo vorria.

                Che dici, nenna mia,

                M’ami e vuoie pe sposo,

                Ca io pe te renonzo - l’aute tutte?

È finita la scena.

Sono io che ogni tanto

vedo uno spiraglio. io vorrei ora,

che dici, ragazza mia,

mi ami e mi vuoi per sposo,

perché io per te rinunzio a tutte le altre.

Pul. (al dottore) Cheste non te l’asciutte;

                Sfratta, ca nn’ è pe buie!

Questo non te lo permetto.

Va’ via che non è per voi!.

Dott. Tu che dice? fra nuie - nc’è l’apparato…

                Uno che ha studiato

                La legge dottorale:

                Non maje veni’ male - a chi s’accocchia.

                Te cridi ca è papocchia?

                 Bartolo, Giustiniano,

Grozio, Ugone, Graziano, - anco Gravina,

De sera e de mattina.

Studeo, pe’ corre ’ncorte

E m’abbusco pe’ sciorte - li denare.

Perzò cosa me pare

Degna de me chella:

Date mihi poella - e l’avuto riesto.

Pul. Cride ca co’ sto tiesto

                Aje fatto lo negozio?

                Tu saie che dice Grozìo? - Oje cca nce abbusche!

                E secunno le Crusche

                De firate Zoccolante:

                Se no puoie passànante - te ne vaje.

Tu che dici? Tra noi c’è lo stato sociale…

Uno che ha studiato

la legge dottorale

non può mai provocare danno a chi si unisce.

Ti credi che è una cosa da niente?

Bartolo, Giustiniano,

Grozio, Ugone, Graziano, e anche Gravina

di sera e di mattina

ho studiato per andare in tribunale

e mi guadagno per fortuna i denari.

Perciò mi pare cos

a degna di me quella.

Date a me la fanciulla, e tutto il resto.

Credi che con questo testo

hai fatto il contratto.

Tu sai che dice Grozio? "Oggi qua tu le prendi!"

E secondo le Crusche

di frate Zoccolante:

Se non puoi andare avanti te ne vai proprio! .

Dott.       Tu specie non me faíe,

                0 vil fantacchinaccio!

                lo po' sa' che te faccio? - Te stroppeio!

Tu non mi fai paura

o vile uomo da niente.

Poi sai cosa ti faccio? Ti rovino!.

Pul.-       E vide llo cchiù peo,

                Siò Dottore alla moda,

                E rieste co na coda - sette canne.

E vedi che hai il peggio.

Sei il Dottore alla moda

e resti con una coda lunga sette canne.

Dott. Potta d'Apollo il granne,

                A me ’sto vituperio?

                Voglio fa’ nu streverio - a sango e fuoco.

Maledizione ad Apollo il grande,

a me questo vituperio?

Voglio fare uno sproposito a sangue e fuoco.

Pul.        Meglio se pe ’sto luoco

                Faie vuto de passare,

                Se haie gollo de campare -n auto juorno!

Meglio se da questo luogo

fai voto di andare via,

se hai voglia di vivere un altro giorno.

Dott. E tu, facce de cuorno,

                Po’ vieni nittonfato,

                E me trase de chiatto - da dereto!

                Se sbòto ’no decreto,

                Peto pro magna Curea,

E te manno de furia...

E tu, faccia di corno,

poi vieni di punto in bianco

e mi entri di piatto da dietro.

Se caccio un decreto,

chiedo tramite la Magna Curia

e ti mando di corsa…

Pul.        Addo’?

Dove?

Dott.       Ngalera!

In galera!

Pul.        Troppo ca aje mala cera!

                Ma se non te ne vaje,

                Guastare me farraje - li fatti mieje!

Hai troppo una cattiva cera!

Ma se non te ne vai

mi farai guastare i fatti miei.

 

 

Zing. I    T’aman del Ciel gli Dei,

                 T’aman gli uomini sovente:

                 Amor pe te già sento - ognor nel petto.

Zing. II  A sì leggiadro aspetto,

                 Beltà sì pellegrina,

                 Conviene ch’ognun s’inchina - ognun che t’ama.

Zing. I    So ben che saper brami

                 In quale amica stella

                 Sortiste, o Dea più bella, - i tuoi natali.

Zing. II  E quanti siano, e quali

                 Giorni felici e lieti

                 Che nei propri decreti - il Ciel destina.

Zing. 1   Si sì, bella eroina…

Zing. II  Volto gradito e vago

A due.    Sarà contento e pago - il tuo desio.

Dott.       Stuocchie, sciorillo mio,

                 Menano frezze e strale,

                 Poca chiaia mortale - fanno ’n pietto.

Quest’occhi, fiore mio,

mandano frecce e strali,

poiché una ferita mortale fanno in petto.

Pul.        Va tocca, pesso nietto

                 Non è pane pe buie;

                 Pocca sapimmo nuje - chi è l’ammico.

 Vai pazzo.

Questa non è pane per voi,

perché sappiamo noi chi è l’amico.

Dott.       Si aggio chisto nemmico

                 Me guasta lo designo;

                 Le vogliape pigno - quarche cosa.

                 Pocca dice la chiosa:

                 L'amico sempe giova;

                 Facimmone la prova, - a nuie, vedimmo.

                 Dello piacere mprimmo

                 Piglia, sciale e mangia;

Se la cosa s'accongia, - avraje lo riesto.

Pul. Co nuje no nce vo’ chesto;

Tutto è pe bontà vosta.

Se ho questo nemico,

mi guasta il disegno,

gli voglio dare per pegno qualche cosa,

perché, dice la chiosa:

L’amico sempre giova;

facciamone una prova, a noi, vediamo.

Per prima il piacere,

prendi, scialati, mangia.

Se la cosa si aggiusta avrai il resto.

Con noi non ci vuole questo,

tutto è per bontà vostra. 

Dott. Vasta ch’essa è disposta - so’ lesto e pronto.

Pul. Io pe’ me non me ’mponto

Farele lammasciata.

Dott. Fancella carrecata - e dille tutto.

Songh’io l’unico frutto

De casa Parapaglia,

Nobile all’Anticaglia - de Pozzuolo.

Pul. Jo te saccio allo Muolo,

Co li scolare appriesso.

Dott. Frate, non sulo chesso, - e ’m Mecaria.

Pul. E llà po’,n fede mia,

Aje fatto li portiente,

Pocca chi non sa niente - chiù guadagna.

Dott.N corte se sta ’n coccagna:

Faje le carte ’mbrojate,

C’abbusche li denare - e statte buono!

Pul. Nante te schiaffa truono,

Che vedere ’sto juorno:

Pe certo oje co no cuorno - te ’mbottone!

Basta che essa è disposta sono lesto e pronto.

Io per me non mi prendo il peso

di farle l’imbasciata.

Falla caricata, dille tutto,

sono io l’unico frutto

di casa Parapaglia,

nobile all’Anticaglia di Pozzuoli.

So che vai al Molo

con gli scolari appresso.

Fratello non solo questo ed io in Vicaria...

E là, poi, in fede mia,

hai fatto i portenti,

poiché chi non sa niente più guadagna.

In Tribunale si sta bene:

fai le carte imbrogliate,

guadagni i denari e stai bene.

Ti lancio un improperio

anzicché vedere questo giorno.

Per certo oggi con un corno ti conficco.

Zing. I    Stelle per te non buone

                Giammai furo, o Signora,

                Che rendono talora - oscuro il Cielo.

Zing. II Lucida e senza velo

                La cara Cinasura

                Amante ti procura - ogni gran bene.

Zing. I Saper ben ti conviene

                Che quel, che per te langue

Germe è di nobil sangue - e d’avi degni.

Zing. II  Non son Provincie o Regni

                Ove non giunge, o vanta

                Sua fama, e lo decanta - assai fedele.

Zing. I    Non producan le vele

                Dell’Indie Orientali

                Tesori al pari uguali - a sue ricchezze.

Zing. II  Egli nelle fattezze

                Tutto ti rassomiglia;

                Portento, oh meraviglia, - oh coppia bella!

Dott.       Embe’, siente, nennella,

                Songh’io nòbbele e ricco.

Pul.        Si, stà chiù de Cicco - lo vastaso!

Dott.       Se me mine no vaso,

                Te farraggio patrona

                De tota et onmia bona - in casa mia.

Pul.        Ha da sapere Uscia

                Ca chisso è no sfelenza:

                Vi’ ca le cade a lenza - lo manticchio.

Dott.       Se Danubio e Resticchio

                Menasse acqua pe’n’anno,

                Maje votta ’ne porranno - li trasori.

                Le ricchezze de’ Mori,

                La nobiltà Romana,

                Pe’ me se ’nforna e ’ntana - e se nasconde.

Embé, senti ragazza,

sono io nobile e ricco.

Si, è più ricco di Cieco il triviale.

Se mi dai un bacio

li farò padrona

di tutte le cose in casa mia.

Deve sapere Vossignoria

che questo è un uomo da niente:

vedi gli cade a di benda il mantellaccio.

Se il Danubio e il Resticchio

portasse acqua per un anno,

mai potranno portare i tesori (che ho io).

Le ricchezze dei Mori,

la nobiltà romana

per me si inforna, s’intana e si nasconde (sono niente).

 

Zing. I    Deh, sciocco, vanne altronde,

                Non sei prescelto il vago;

                Altri è di quell’immago - il possessore.

Zing. II  Il sovran Facitore,

                Per quanto io ben discerno,

                Con suo decreto eterno - altri ha prescelto.

Zing. I    Sebben sembrati svelto

                Dal petto l’alma e il core,

                Convien ceder l’onore - a chi è dovuto.

Zing. II  Perciò tacito e muto…

Zing. 1   Umìl, pronto e chinato…

A due -   Vanno pure dove il Fato - oggi ti chiama.

Dott.       Comme, mia bella dama,

                Io come voglio fare?

Pul.        Te’ può ire a derrupare; - e che nce faje?

Dott.       Tu ’sta pena me daje,

Terzana doppia mia ...?

Pul. Malan che Dio te dia - vaie ’na rapesta.

Dott. Bella resposta è chesta

Proprio da paro vuosto.

Pul. Se tu si’ stato tuosto - aggi pacienza!

Dott. Crero ca na sentenza

Peo non potea dare.

Pul. Te pucje ire a derrupare: - e che ’nce aspiette?

Dott. E comme? Li confiette

Io non te potea dare?

Pul. Chesso che ne vuoje fare? - Va te ’mpienne!

Come, o mia bella donna,

io come voglio fare?

Puoi andare a romperti la noce del collo. Qua che ci fai?

Tu questa pena mi dai,

mia doppia terzana.

Malanno ti dia Dio. Vali una rapa.

Bella risposta è questa,

proprio da pari vostro.

Se tu sei stato duro, abbi pazienza.

Credo che una sentenza

peggiore non poteva dare.

Puoi andare a romperti la noce del collo e che aspetti?

E come? I confetti

io non ti potevo dare?

Che ne vuoi fare? Va’ ad impiccarti.

Zing. I Stolto chi al Ciel contende

L’ordin dei suoi decreti;

Giorni aver non può lieti, - è sempre in pene!

Zing. II Perciò ben ti conviene

                Chinar al suol la fronte,

                E amar con voglia pronta - i suoi voleri.

Zing. I    Bene alcuno non speri…

Zing. II  Sorte alcun non pretenda

A due.    Se dal Ciel non discende, - e nol dispone.

Dott. Me l’hanno, e co’ raggione,

Ditto, ma chiatto e tonzo

Quanto me chiamo Fonzo - e no’ faccio auto.

Pul. Tu po’ zompaste ’n auto

Cadìste chiù de botta,

Come fa ’na Marmotta - a ’na Signora.

Dott. Io marmotta? Malora!

Don Crispo Parapaglia

Non ci è chi l’eguaglia -’n tribbunale!

Pul. Chiù priesto a no spitale

Avrai fatto lo sguattero!

Dott. Mo te schiaffo ’no pàccaro - e te ’mparo!

Si,m Mecaria, comparo;

No lo credere, sponza.

Pul. Te piglia na caionza - e te l’aglìutte.

Dott. Darò percossi e rutti

Tutti li pretendiente!

Pul. Te puoie spiccà li diente: - non ne pruove!

Dott. Tu co ste male nove,

Me farraje proprio morire!

Pul. Contro non se po’ ghire - a lo destino!

Me l’hanno e con ragione,

detto, ma chiaro e tondo,

per quanto mi chiami Alfonso e non faccio altro.

Se tu saltassi in alto

cadresti giù di botto

come fa una marmotta rispetto a una Signora.

Io marmotta? Alla malora!

Don Crispo Parapaglia

non c’è chi l’eguaglia in Tribunale.

Forse in un ospedale

avrai fatto lo sguattero!

Ora ti do uno schiaffo e ti insegno!

Si, in Vicaria, comparo;

non lo credi, spugna, (ubriaco).

Ti prendi una bastonata e la sopporti.

Darò botte e grutti

a tutti i pretendenti.

Puoi tirarti i denti: non lo provi!

Tu con questa cattiva notizia

mi farai proprio morire.

Non si può andare contro il destino!

Zing. I    Sin di Febo il camino

                Termina, o mia Signora;

                Deggio al mio dir per ora - anch’io por fine!

Zing. II  Pioggia di fredde brine

Minaccia il Cielo adesso;

Dunque siaci permesso - alfin partire.

Dott.       Ah!… mi sento morire

Per la gran passione!

Mangiato lo pennone - a sta partenza.

Pul.        Va, bella; a la despenza

                Pigliace robba assaje;

                Pocca, crero ca saje, - tengo la bramma!

Dott.       Ed a me chella sciamma

                Ch’aveva d’amore ’mpietto,

                S’è botata in affetto - de mangiare!

Pul.        Oh! mo la vuojencartare

                Pe na sciabola e lesta.

Dott.       Quanno se fa la festa - io cance tomo.

A due le zingare  Onde, nel far ritorno

                Al nostro suol natio,

                M’inchino, o bella. Addio, - rimanti in pace.

Dott.       Troppo ca me dispiace!

                Ma besogna partire.

Saje, che te voglio dire... - Aggeme a mente!

E se t’accorre niente

De lite, Vecaria...

Pul.        Lite mo? arrossosia! - Va, va, a malora!

                Sempre festa ognora,

                Pace, gioia, allegrezza

                E tirare a capezza - ogne nemmico!

Dott.       Nce l’aggio ditto, amico,

                Per farle ’na promessa.

Pul. -      Frate ’n’è cosa chessa: - statte zitto!

                Ca nuje mo, mutto e zitto,

                Nce la filammo altrove.

Dott.       Ah! ca chiù no me truove, - core mio.

                Parlo, ma lo ssacc’io

                Co’ che spina allo pietto;

                Pocca, sempe l’affetto - nc’ è restato!

Pul.        Vaco pe’ monti e prato

                Facenno leverenzia.

Dott.       Io ti cerco licenzia.

Zingare (a due) Addio… Fatella

Dott.       Luna lucente e bella

Pul.        Sole tutto sbrannore

Dott.       Parto…

Pul.        Ti tengo 'n core

Zingare Addio Addio…

Ah, mi sento morire

per la gran passione!.

Ho mangiato il polmone per questa partenza (mi sto disperando).

Va’, bella, alla dispensa,

prendi molta roba;

perché, penso che sai, tengo il desiderio!

E a me quella fiamma

che avevo d’amore in petto

si è tramutata in affetto di mangiare!

Oh, ora la vuoi incastrare

per una

Quando si fa la festa io qua ritorno.

 

 

 

Troppo mi dispiace,

ma bisogna partire.

Sai che ti voglio dire... Ricordami

e se ti serve niente

per qualche lite... la Vicaria.

Lite ora? Maledizione! Vai, vai alla malora.

Sempre festa in ogni ora.

Pace, gioia ed allegria

e tirare la capezza ad ogni nemico!

Gliel’ho detto, amico,

per farle una promessa.

Fratello non sono promesse da farsi queste. Stai zitto!

Che noi ora muti e zitti

ce ne andiamo altrove.

Ah! qua più non mi trovi, cuore mio.

Parlo, ma lo so io

con quale spina nel petto,

perché sempre l’affetto c’è restato!

Vado per i monti e i prati

facendo inchini

Io ti chiedo permesso.

 

Luna lucente e bella ...

Sole tutto splendore ...

Parto...

Ti tengo in cuore.

 

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