Tradizioni popolari e religiose di Solofra

 

La tradizione, un vivere che si scioglie nei momenti del quotidiano, che chiede nella preghiera, che gioisce nel divertimento, che si estrinseca nel pensiero.

La religiosità popolare

 

LE FESTE RELIGIOSE A SOLOFRA

I caratteri della religiosità popolare solofrana.

IL CULTO A S. MICHELE ARCANGELO

Il culto al patrono che ha determinato l’identità della comunità.

IL CULTO MARIANO

Il culto più antico e più diffuso espresso in molti riti.

LE TRADIZIONI NATALIZIE

La cantata dei pastori ne è l’espressione più importante.

LE TRADIZIONI DI CARNEVALE

Le Carcare di S. Antuono, la Zeza, le Zingarelle, i Mesi. I testi.

LE TRADIZIONI DELLA PASQUA

La processione dei misteri divenuta una sacra rappresentazione.

LE CHIESE E LORO CULTI

Le chiese rionali al centro di particolari riti.

ALTRI CULTI

Il culto dei defunti, il Corpus Domini, la tradizione di S. Giovanni.

 

 

Introduzione a

Tradizioni popolari e religiose di Solofra

 

L'amore per la mia terra mi ha fatto sempre attenta osservatrice della realtà della mia gente e della mia cittadina, per cui quando mi sono resa conto che l'oggi modificava non solo pensieri e gesti di ognuno quanto le cose medesime e che il mio paese cambiava, spinto dal moto della ricostruzione, l'impronta che i secoli gli avevano affidato, ho sentito il bisogno di recuperare quel passato per conservare per la mia gente e per me stessa quelle radici, senza le quali nessun presente può aver senso e valore.

Questo passato, di cui è necessario il recupero, non è costituito solo da ciò che, col termine generico di storia, si riferisce agli eventi che visse la mia cittadina, non è solo l'operato dei suoi figli, che si distinsero, ma è anche il vivere del popolo, che si scioglie nei vari momenti del quotidiano, che chiede nella preghiera, che gioisce nel divertimento, che si estrinseca nel pensiero.

Queste manifestazioni, cui comunemente si il nome di folclore, mi hanno interessato di più, poiché sono traccia di quel quotidiano che racchiude gioie e dolori, timori e certezze, speranze e delusioni vissute dal nostro popolo.

Avvezza a guardare il passato con occhio indagatore ho rivolto la mia cura a tutto ciò che, in lunghi anni di paziente raccolta, ero riuscita a mettere insieme. E come fa l'archeologo, che libera il reperto, lo osserva, lo esamina, lo studia, perché esso possa parlare, così io, con venerazione, ho guardato ad ogni comportamento popolare non vedendo in esso nulla di volgare, bensì un documento di vita solofrana. E come allo scienziato, attraverso l'ingrandimento, si presenta un mondo insospettato e vario, così a me si è presentato un mondo nascosto nella quotidianità essenziale, che mi ha svelato il vero essere delle nostre popolazioni e mi ha dato più profondamente coscienza della nostra realtà.

Credo che l'indagine folclorica sia utile e doverosa come quella storica, non solo perché può dare, deve dare, maggiore spessore e precisione prospettica al fatto storico, ma soprattutto perché è dovere di ognuno di noi prendere coscienza di quelle espressioni di vita, di quelle attività spirituali, di quelle conoscenze, di quei valori che nutrirono la nostra gente e che essa espresse. Ognuno di noi deve, insomma, prendere coscienza della propria cultura.

Nello studio dei documenti folclorici solofrani ho tenuto presente l'empasse storica vissuta, che si esprimeva in tal modo, essendo il ricorso alla storia corretto ed essenziale. Inoltre ho considerato la collocazione geografica di Solofra, limitrofa rispetto sia alla provincia irpina che alla pianura campana, ma con la conca aperta verso quest'ultima, posizione che ha permesso contatti facili con altre popolazioni e l'incontro con la storia. Molti documenti folclorici sono stati spiegati proprio in base all'elemento geografico. Così ho potuto seguire il cammino che la tradizione ha fatto per giungere fino a noi. Non ho tralasciato di considerare gli elementi antropologici e psicologici poiché il soggetto del fatto folclorico è sempre l'uomo con le sue peculiarità, col suo inconscio.

Credo infine che mi sia stato soprattutto di vantaggio l'essere io stessa oggetto e soggetto, nello stesso tempo, del mio studio, poiché ciò mi ha permesso una lettura più approfondita del documento.

 

 

Significato della religiosità popolare

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Le feste popolari esprimono la religiosità di un popolo intendendo con questo termine quel generale sentimento della divinità che diventa abbandono fideistico là dove è più avvertita la negatività del contingente. E quanto più questa è incombente tanto più forte è l’invadenza del religioso, che diminuisce, invece, con l’avanzare della conoscenza razionale per assumere forme diverse, ma non scomparire, perché nessun uomo è immune da quel bisogno del religioso che fa parte della sua stessa essenza. Questa religiosità si modifica insieme alla situazione culturale, socio-politica ed economica che vive ogni gruppo in un lento processo non percettibile alla quotidianità e legato a realtà precedenti o ad altri condizionamenti. È chiaro, allora, che tutto il comportamento popolare è impregnato da un forte senso del religioso, analizzando il quale si può conoscere in che modo ogni gruppo ha affrontato la propria situazione esistenziale.

La religiosità popolare italiana subì una modificazione significativa in seguito al processo di evangelizzazione, che fu lento in tutta l’Italia con mutuazioni più o meno evidenti con realtà preesistenti. Ma se nel centro-nord ci furono fattori storici o culturali o economici, come la cristianizzazione carolingia o la civiltà comunale che favorirono tale processo, nel sud, invece, la Chiesa trovò una forte resistenza, per cui la religiosità meridionale prese forme ed espressioni proprie.

Bisogna prima di tutto considerare il Mezzogiorno non come un’entità ben solida, bensì costituito da regioni distinte e diverse tra loro, ove la storia non entrò in eguale maniera. Vi sono zone rimaste isolate per molto tempo, in cui si radicarono espressioni di vita arcaiche dalle forme fortemente caratterizzate. Qui si sviluppò la cosiddetta "civiltà contadina" di gruppi chiusi, autoctoni, isolati non solo dai monti, che finirono per assumere caratterizzazioni esclusive, diverse rispetto ad altre situazioni, anche in zone ad esse limitrofe.

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"Il Mezzogiorno è ben lungi dall’essere quella entità unitaria che siamo avvezzi a considerare sotto il profilo storico-politico. Come recenti studi di storia economico-sociale e demografica vanno dimostrando le province storiche del Regno furono realmente diverse per il differente grado di sviluppo e per il diverso peso feudale che le caratterizzò" (M. Rosa).

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Quanto più queste popolazioni erano provate dalla negatività di estreme situazioni esistenziali tanto più il paganesimo appariva gratificante con tutta quella serie di dei minori che accompagnavano l'uomo dalla nascita alla morte. Questi dei, più vicini, più pronti ad intervenire, più aperti ai sentimenti umani facevano vivere tale negatività in una dimensione sacrale. Così si venne a creare una stretta relazione tra fede pagana e consuetudine di vita, e l’atto rituale sfociò in abitudine, per cui tante azioni e gesti, che in origine erano espressione di riti e sacrifici, diventarono atti della tradizione. In tal modo si irrobustì, come in un blocco monolitico, quella mentalità che poi si chiamò pagano-magica, in cui il paganesimo non era solo la religiosità italica ma anche quella greco-orientale.

Su questo terreno la penetrazione del cattolicesimo fu laboriosa con risultati eterogenei molto evidenti.

Il momento in cui la Chiesa mise maggiore impegno nel processo di evangelizzazione del sud fu tra il XVII e il XVIII secolo con la Riforma Cattolica. I missionari allora si trovarono di fronte ad una "tradizione" sostenuta da una mentalità fortemente legata al concreto, che si manifestava in abitudini tenaci di chiara impronta pagana o che esprimevano una commistione di paganesimo e cristianesimo, ma che costituiva, comunque, una barriera insormontabile. Essi, pur mantenendo un comportamento di disapprovazione per quelle pratiche fortemente impregnate di magismo, si dovettero adattare alla situazione ed accettare quelle forme in cui il magismo non interferiva nelle verità di fede. Così, nell’agiografia entrò il meraviglioso. Così rimasero quelle cerimonie che avevano funzione sociale o liberatoria o erano espressione della realtà locale, come i riti agrari. Lo stesso missionario diventò un intermediario tra il sacro ed il profano "chiamato ad esercitare una funzione protettiva della comunità" (Chiavarra).

La religiosità del sud si diversificava in manifestazioni in cui il filone cristiano procedeva parallelamente a quello magico. C’erano realtà in cui gli elementi pagano-magici e cristiani si mescolavano in un sincretismo quasi palpabile e c’erano casi in cui nel rito era impossibile individuare gli elementi mutuati da realtà precedenti. Tra queste forme sfumavano un’infinita gamma di altre espressioni, che si mescolavano, si intersecavano in uno stesso territorio e, nello stesso momento storico, in una stratificazione non solo verticale, ma anche orizzontale.

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C’è poi da considerare la particolare situazione in cui si trovava il clero in questa zona, sulla quale ecco la chiara disanima di Aniello Basile:

Al clero del sud si presentavano due possibilità: entrare a far parte del capitolo di una Collegiata o di una chiesa parrocchiale ricettizia, i cui regolamenti interni prevedevano la collegialità della cura delle anime e la gestione dei beni patrimoniali in una massa comune, oppure ottenere l’officiatura presso una cappella di giuspatronato, che praticamente significava mettersi al servizio di padroni laici, municipi, famiglie gentilizie, confraternite in cambio di un misero stipendio. Chi non aveva la fortuna di diventare partecipante, e restava tagliato fuori anche dal beneficio del giuspatronato, per sbarcare il lunario era costretto ad arrangiarsi. 

Questo clero, spesso culturalmente poco preparato, sottomesso al barone o abbandonato a sé, contribuì a dare al cristianesimo meridionale quella caratteristica di religione poco spirituale, legata al contingente e soprattutto quella esteriorità che è la nota più evidente della religiosità meridionale. È indubbio che questo carattere sia anche un residuo del simbolismo pagano che dava un significato preciso a certi oggetti ed atti, ma non si deve negare che la spiritualità, che fa del cristianesimo una religione più elevata, è una delle cause della difficoltà che esso ha incontrato per essere assorbito dal popolo che sentiva più vicino a sé il mondo pagano. 

 

 

 

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