Tradizioni
solofrane
TRADIZIONI RELIGIOSE
La
religiosità solofrana è di antico stampo legata a
quella delle prime popolazioni sannite e romane. Quest’ultime
vi introdussero elementi delle religioni orientali
come il culto al
sole che permane
nello stemma di Solofra.
Fu
informata poi dagli influssi del cristianesimo delle origini, che venivano da Abellinum dietro la predicazione dei suoi martiri,
Modestino, Ippolisto e Sabino. Portata dai cristiani
che fuggivano le persecuzioni dell’Oriente giunse il culto
a S. Agata, che si impresse talmente da divenire
addirittura un toponimo.
La
facilità dei contatti che la conca ebbe verso la sua pianura di riferimento permise ai culti pagani di modificarsi
lentamente e senza traumi.
Dal
salernitano penetrò, portata dai monaci bizantini, il culto a Santa Maria
del 15 agosto la cui
diffusione fu voluta dall’imperatore Maurizio dopo il
Concilio di Efeso e quello a S. Michele Arcangelo, nella forma ingrottata che si
trova a Montoro.
Il
culto micaelo fu confermato e crebbe nella pieve di S. Angelo e S. Maria insieme all’identità della comunità locale con i
Longobardi e si espresse in una devozione, che sovrasta
tutte le altre.
Altre
manifestazioni religiose sono i culti a S. Antonio, S. Francesco, S. Domenico.
Tutte
le manifestazioni hanno assunto, negli anni, un clichè ben preciso che si
ripete per ogni singola festività.
_____________
La
religiosità solofrana ha risentito dell’apertura offertale dai commerci insieme
ai quali giunsero qui i sussulti storici, religiosi,
filosofici sia della vicina Napoli che della Puglia, importanti piazze del
commercio per cui può dirsi che Solofra precocemente ha avuto una forma matura
di religione. I cuoiai solofrani nel sedicesimo
secolo frequentavano la piazza di Napoli, molti abitando stabilmente in questa
città. Essi furono tra quelli che, in opposizione all’eresia di
Ochino, che predicava a Napoli, "si
riunivano nelle strade della capitale a discutere sui problemi della
giustificazione e della grazia".
__________
Le
feste dei casali
Ogni
rione ha la sua sagra, che si configura come una festa patronale, che diviene
il simbolo della religiosità del rione, il suo presentarsi agli altri rioni, spesso in opposizione concorrenziale; che esprime
l'orgoglio di tutta una gente, che vi partecipa in vari modi: dalla cura della
chiesa, al patrocinio della manifestazione religiosa. I casali, di cui era
costituita Solofra un tempo, o arroccati sui primi contrafforti dei monti o
distesi nella conca, ma lontani nelle enormi distanze
di una volta, esprimevano così la loro distinta realtà. Si ebbe l’orgogliosa
festa del rione dei Balsami
a S. Antonio, quella campagnola della Madonna del Soccorso, espressione del rione delle concerie, il Toppolo; la festa della Castelluccia, dal sapore di un pellegrinaggio, espressione della
frazione di Sant'Andrea Apostolo.
Queste
feste davano ampio spazio agli apparati scenici per quella caratteristica
preminente di tutta la religiosità del sud, l'esteriorità. La primavera e
l'estate ne erano le stagioni preferite, perché è in
questi periodi che si potevano realizzare quegli scopi, anche esteriori, per
cui le feste trovavano la loro ragione di vita.
Elementi
costitutivi
·
Alla
base di ogni festa c’erano gli organizzatori che facevano
capo al mast' e festa, il
maestro della festa, che come un regista e scenografò,
ne curava la preparazione, dalla raccolta delle offerte, alla scelta del
programma, al tocco finale, per cominciare, subito dopo la festa, un nuovo lavoro
di tessitura, che avrebbe portato alla realizzazione, l'anno seguente, della
nuova sagra; e così via in un tramandarsi il compito, spesso di padre in
figlio, ma comunque affidato sempre a personaggi del quartiere, di cui la festa
era espressione.
·
C’era,
poi, la figura del predicatore, storicamente inquadrabile nel periodo
delle missioni gesuitiche, che conservò per parecchio tempo un carisma
particolare. Esso determinava la piena adesione alla sua parola, inglobando in
sé tutto quel rivolgimento spirituale che una missione suscitava. Si faceva a
gara, tra i casali, nello scegliere il miglior predicatore che avrebbe dovuto
condurre la novena o il triduo nei giorni precedenti la
festa o solennizzare il panegirico al santo. L’assistere alle sue prediche era
un appuntamento da non perdere. E lui con il suo discorso forbito, fatto di
sapienti pause, di accorte sottolineature, creava un
crescendo emozionale nell’attenzione del popolo fino alla finale invocazione al
santo che aveva il senso di un'esplosione gratificante.
_______________
Costui doveva avere qualità particolari
per attirare l’attenzione e creare un’atmosfera di tensione. Quando le chiese
non riuscivano a contenere la folla allora il predicatore
si spostava nella piazza e, con un parlare fiorito, forte, con gesti, con
immagini sacre, riusciva a creare nella folla l’entusiasmo religioso, il
bisogno di penitenza, di contrizione. Si assistevano, allora, a vere e proprie
orge penitenziarie. Il loro modo di predicare era regolato da una specie di
canovaccio, fiorito di immagini, capaci di diffondere
paure escatologiche o mistiche esaltazioni che duravano per tutto il
periodo della missione. Così il predicatore diveniva un personaggio che doveva
creare l’unione tra la comunità e la chiesa. Per secoli ha conservato quest’alone magico. C’è chi ha considerato questa figura un
po’ discendente dei giullari e dei menestrelli.
______________
Carmine
Troisi all’inizio dei secolo ci descrive questa figura
mettendo in risalto, col suo abituale sarcasmo, l’atmosfera che si creava
intorno a lui.
Eccolo appare l’orator venuto apposta qui da ben remota piaggia. Ei passa grave, affabil pettoruto, con l’aria franca di chi sempre viaggia. Il guardan tutti con ossequio muto, indi, qua e là, una disputa s'ingaggia: - è bello, è
brutto, è giovane, è canuto, conosce l’onorevole Cornaggia - . Ma quando, poi si mostra all’auditorio, quale un pavone che faccia la ruota, e siede a par d’un frate a refettorio, rapiti il miran tutti come allocchi, mentre, del sacro dir la prima nota gorgoglia in quel batuffolo di fiocchi. |
·
Altro
elemento, nel quadro composito delle feste paesane, erano le Congreghe, nome improprio per dire le Confraternite, che avevano il compito di trasportare,
scortare, seguire o precedere la statua in una coreografia stabilita dall’uso o
dalla funzione. Esse avevano scopi caritatevoli, di sostegno ai poveri o di
soccorso agli infermi, insieme a quelli relativi al
culto, ed erano il modo con cui la comunità si organizzava per venire incontro
ai propri bisogni, e lo faceva col sostegno della chiesa. L’importanza di
queste confraternite dipendeva dalla ricchezza degli
associati, perciò, a Solofra, prima fra tutte fu
·
La
processione è sempre stato il momento principale
della festa. In genere era aperta dalle Associazioni non solo religiose, di cui
era ricca la vita sociale di Solofra, con i loro stendardi, i loro iscritti. Seguivano poi i sacerdoti, i chierichetti e,
dietro la statua, le autorità del quartiere con in
capo 'o mast 'e festa. Quindi i penitenti - coloro che dovevano assolvere un voto
fatto al santo - che andavanno
scalzi portando grossi ceri accesi. Infine c’era la folla dei fedeli. Il tutto
si snodava nelle vie del paese parate a festa, tra due ali di fedeli che si
segnavano e si genuflettevano. Naturalmente era questo il momento di massima
espressione del rapporto col Santo, cui ci si rivolgeva durante tutto l’anno e
che si doveva ringraziare.
______________
La processione è un comportamento umano
antichissimo presente in tutte le religioni. Essa ha un preciso significato.
Nel rito pagano serviva a delimitare "lo spazio sacro", nel rito
cristiano "reca la benedizione lungo tutto il
percorso". I partecipanti sono anche attori: vestono in modo particolare,
portano in mano segni, cantano, danzano o suonano.
Essa rappresenta un momento in cui la tragedia esistenziale è vissuta in
comune, poiché non ci sono remore nel mettere a nudo i propri bisogni. Ma è anche un momento di gioia, sia perché il ringraziamento
dà gioia sia perché la processione fa parte di una festa in cui si gioisce.
_____________
Altro elemento erano i canti che accompagnavano il corteo sacro e che
erano di due specie. Quelli decorosi, ufficiali delle Associazioni, in apertura
di corteo, e quelli più pacchiani delle popolane che, a gola aperta, il collo
gonfio di vene, il viso paonazzo, spesso le mani a mo’ di megafono alla bocca,
lanciavano ad altri fedeli la loro invocazione, da cui erano risposti, tutti
uniti nella speranza che la forza del canto spingesse il Santo ad ascoltarli
con maggiore solerzia o esprimesse meglio la
profondità del loro sentire. Tutto ciò creava una dicotomia nella processione
che iniziava pacatamente per sfociare nella spontanea e vivace partecipazione
popolare. La cosiddetta "religione popolare" si univa a quella ufficiale non creando rottura, ma integrandosi in una
diversa espressione dello stesso sentimento religioso.
_________________
Nella
modalità di questi canti, come nella disposizione degli elementi delle
processioni, sembra di vedere concretizzata la duplice espressione del
cristianesimo ecclesiale e di quello popolare, che
però non costituiscono due blocchi contrapposti, come vogliono coloro che
vedono nella religione popolare una linea contestatrice rispetto a quella
ufficiale. Nel documento folcloristico solofrano si colgono le due realtà, in
cui si esprime il cristianesimo, unite in un’unica espressione religiosa, anche
perché le popolane, che potrebbero essere prese come manifestazione della
religione popolare, hanno i loro figli nelle Associazioni, manifestazione della
religiosità ufficiale. I canti del popolo esprimono il sentimento religioso
della realtà sociale locale, mentre i canti delle Associazioni quello della
Chiesa ufficiale. I primi fanno parte del folclore propriamente detto, sono la
voce genuina della massa nel suo rapporto con la divinità, gli altri sono la voce dell’ufficialità, uguali in ampie zone, e che
non possono essere "letti" poiché mediati. Questo modo di esplicarsi della processione, invece, permette una lettura,
poiché rappresenta il porsi, senza schermo, del popolo. In certi momenti
d’intensa commozione, di gioia, di tristezza o di fede, nella tensione emotiva
creata dalla folla, allora il popolo è più facilmente "leggibile",
come un soggetto in stato ipnotico. In questo senso il folclore può essere un
mezzo per interpretare la concezione del mondo e della vita di un popolo. Si
può essere, dunque, d’accordo col De Rosa che vuole che i documenti folclorici vengano analizzati dal
di dentro sul piano del vissuto col porsi il problema di come i protagonisti
vedono e vivono i loro riti.
______________
·
Altro
elemento portante della religiosità popolare è la banda musicale. In genere, tra le bande partecipanti alla
festa, la più importante è quella che segue la processione e, a sera, suonerà
nella piazza del quartiere, sul "palco" appositamente
allestito. Essa ha diversi posti nel corteo: se precede il Santo ha la funzione
di preparare i fedeli all’incontro col divino, se segue, allora la sua è voce
di preghiera. Quella delle bande musicali fu una tradizione molto sentita anche
a Solofra che ha avuto per molti anni, tra la fine del
XIX secolo e buona parte del seguente, la sua banda,
·
Per
ultimo non per importanza vengono i fuochi d’artificio che precedevano la festa nelle serate della novena, ne annunciavano l’inizio, seguivano la processione di zona
in zona, concludevano la sagra. Erano chiamati in causa i
fuochisti del posto, veri e propri virtuosi del botto e del colore, capaci di
accendere in cielo meravigliose coreografie tonanti. Quello del fuochista è un
antico mestiere solofrano, perciò si comprende quanto fosse
sentita la partecipazione alla festa con la batteria vincente: ne andava di
mezzo l’orgoglio del proprio mestiere, il prestigio di tutta una tradizione. E
non mancavano, in questa lotta, momenti di attrito
anche aspri che potevano pure sfociare in veri e propri contrasti. A parte ciò
quello dei fuochi d’artificio era un momento importante, come rumorosa
manifestazione di culto, in cui si poteva vedere riflesso quel senso di esaltazione euforica che la festa sprigionava. Ma in
questo bisogno di festeggiare con i botti c’è anche l’antico compito che una
volta si dava ai botti e cioè quello di cacciare gli
spiriti maligni.
I
fuochi d’artificio costituiscono ancora oggi un momento importante della più grande sagra solofrana, la festa del patrono.
|
Significato
La religiosità solofrana
non esprime un popolo assente e sottomesso, che si pone in una situazione
d’impotenza nei riguardi della divinità e, quindi, di dipendenza da essa, perché l’unica capace di sollevarlo dalla precarietà
del presente. Il solofrano è stato sempre un popolo attivo nel lavoro,
intraprendente nel commercio, animato dal coraggio di chi non è abituato a
rimanere chiuso nella stretta cerchia cittadina, ma spazia in cerca di nuove
linfe alla sua attività artigianale; in politica in orgogliosa ed indomita lotta
contro il feudatario. Un popolo attore ed autore della sua
situazione esistenziale, che non certo vede nella religione un modo per evadere
e fuggire dal reale, poiché sempre da sé si è creato il suo domani e lo ha
difeso. Ogni manifestazione religiosa solofrana è stata intrisa di
questa realtà. Ne è espressione il culto a San
Michele, il battagliero Arcangelo su cui la popolazione ha forgiato la sua
tempra. Il divino è preso ad esempio per trasferire le sue virtù sulla terra ed
utilizzarle nella vita, che è lotta. Nessuna evasione, dunque, ma assunzione dì
forza per continuare a lottare e vincere, poiché come la vittoria ha arriso
all'Arcangelo così arriderà anche a chi ha fiducia in Lui ed attinge da Lui la spinta per andare avanti. La stessa antica chiesa ricettizia di San Angelo, cioè
espressione della Universitas dei suoi cittadini, è
simbolo di questa mentalità. La stessa storia solofrana, di un popolo, che
lotta contro il signore feudale, che partecipa alle vicende politiche
napoletane dalla parte di Masaniello, della Repubblica napoletana del 1799 e
dei carbonari del ’20, lo conferma non credente in interventi miracolistici di
santi o monarchi, ma certo che ognuno, con il contributo personale, che diventa
sacrificio, partecipa al grande evento della Storia. E i tanti solofrani, che
in ogni campo si cimentarono affrontando con coraggio l’incognita della grande città, con decisione le incertezze di una strada cui
non si era abituati, provando senza spaurire la vertigine del sapere, stanno a
dimostrare la vera tempra di una comunità non dilaniata da nessuna opposizione
interna in quanto tutti i suoi membri sia commercianti, sia artigiani o
letterati, si ritrovano con le stesse esigenze e caratteristiche, essendo
popolo e classe emergente nello stesso tempo.
_____________
Se
si considera che le feste erano un momento di pausa alla precarietà della vita
quotidiana, in cui potevano realizzarsi quelle condizioni difficilmente
perseguibili in altri momenti.
Allora esse si configurano come “autonomia” per la ragazza, a cui era permesso di
"uscire da sola", in un mondo che relegava la donna tra le mura
casalinghe, nonostante che la realtà solofrana vedesse l’elemento femminile
prestare la propria opera nelle botteghe artigiane.
La festa era, inoltre,
l’occasione per rompere le regole
comportamentali in una società che viveva di
duro e concreto lavoro. In occasione della festa, infatti, si poteva rincasare
"tardi" poiché non c’era la pressione di
alzarsi all’alba per iniziare la giornata lavorativa. Erano permesse altre
manifestazioni di "trasgressione". Quella che le riassume è il poter
dare libero corso al divertimento, per il fatto che nelle feste "tutto è
permesso". In questo modo si realizzava una condizione psicologica
importante: "l’eliminazione delle barriere"
che determinava uno sfogo benefico.
Il vestirsi per la festa,
in un ambiente in cui il lavoro, sia nei campi, ma soprattutto nelle concerie,
esigeva un abbigliamento semplice ed essenziale, dava maggiore rilievo al
significato che, in genere, l’abbigliarsi acquista per
l’uomo. C’era poi il bisogno di mostrarsi, cui rispondono le feste col
volere che si esca con la propria famiglia, in un’epifania che gratifica
l’impegno posto per "diventare ciò che si è".
In questi momenti
particolari è permesso anche mangiare, mangiare molto e bene, per cui
il cibo diventa un elemento importante della festa. In tutti i riti, d’altronde,
il banchetto è sempre stato il momento centrale e,
nelle società segnate dalla precarietà, la festa, per questo fatto, si caricava
di altri significati. Che nella festa solofrana il cibo fosse
considerato un momento importante, anzi, il momento centrale di tutta la
ricorrenza, essendo questa una società volta ad apprezzare le cose concrete
della vita, è dato dal fatto che, dopo il pranzo festivo, si soleva dire e si
dice ancora:
Buone
fatte feste
Si racchiudeva
l’essenzialità della festa nel pranzo.
______________
Il significato del cibo nelle feste è stato analizzato da
vari studiosi. Vincenzo Teti ha condotto una ricerca
sull’alimentazione delle classi subalterne
sintetizzandola nel libro Il pane, la beffa e la festa, in cui coglie nelle feste un momento
assicurativo e di protezione del “povero”, la realizzazione di una momentanea
uguaglianza che spezza la precarietà quotidiana ed introduce l’eccezionalità
tra cui il cibo. Sulla stessa linea è Antonio Nesti quando afferma “Si
mangia perché è festa, ma è festa perché sì mangia bene, è festa solo quando si
mangia bene ed è festa solo per chi ha da mangiare”.
_____________
C’era, poi il
bisogno sociale di stare insieme. Le feste erano un’occasione unificante di tutta la gente
che viveva isolata nei rioni, il momento per sentirsi più solofrani.
C’era la necessità
economica di mostrare i propri prodotti, di vendere e comprare.
In un momento
storico in cui non c’erano altre occasioni per soddisfare i bisogni intrinseci
alla persona umana, le feste assumevano un’essenziale funzione liberatoria e
disintossicante e, quindi, necessaria per il ripristino di eventuali
guasti. Allora realmente la religione popolare, di cui le feste erano
espressione, "risolve concrete crisi esistenziali determinate dalla dinamica storica", come dice il Lanternari,
tanto è vero che quando la negatività del presente si risolve in situazioni
migliori, tendono a scomparire anche tali manifestazioni.
|
Così
è avvenuto a Solofra ove sono scomparse molte feste ed altre hanno assunto
forme diverse o limitate. Per esempio è cambiato il ruolo del rione, inglobato
nel paese, per cui le feste rionali sono, oggi,
residui, come monconi, di un membro una volta attivo, ultimi segni di un
passato, che sta lentamente svanendo. Oggi, quando tutto ciò che la festa dava
all’uomo di una volta, è diventato abitudine, non si può comprendere a pieno il
significato di quella evasione, la validità di quella
occasione. Nessuna meraviglia né rammarico, però se la festa
paesana ha perduto il suo lustro: questo è prodotto del tempo, che genera
cambiamenti necessari, che non ammette l’immobilità, che è proprio della morte;
mentre il tempo è vita e la vita è progresso e il progresso è cambiamento.
Sarebbe inutile tentare di far rivivere ciò che è morto, si rischierebbe di far
risuscitare uno spettro.
Che
cambino le tradizioni non bisogna dolersene, ma
bisogna difenderne la conoscenza, poiché questa serve a comprendere ed
apprezzare il vivere odierno e a dare ad esso il giusto significato.
|
Da: M. De Maio, Tradizioni popolari e religiose di
Solofra, Solofra, 1988
|
Vai a
Tradizioni popolari e religiose di Solofra
Per
prelievi totali o parziali citare il testo indicato o il sito
Copyright
2000
|