L’UNIVERSITAS DI SOLOFRA
I primi
anni della comunità solofrana
Una comunità di abitanti che vive stabilmente su di un territorio e
risolve insieme di problemi di vita in comune si chiama Universitas,
che significa “insieme dei cittadini”.
Inizialmente questa vita
in comune era regolata dalle consuetudini (detti usi e costumi) cioè da modi di comportamento, che erano sempre avvenuti in
quel determinato modo, che quindi si erano stabilizzati e che tutti
riconoscevano come regole di vita. Esse riguardavano i momenti di vita comune,
come per esempio quando celebrare la messa la domenica, quando riunirsi in
chiesa per una determinata celebrazione, oppure come svolgere una determinata festa, o ancora come fare per inviare i tributi
alla chiesa vescovile di Salerno da cui dipendeva quella di Solofra ed anche
chi doveva dare questi tributi.
All’inizio queste regole
erano legate alla vita religiosa perché la comunità solofrana ebbe come primo
punto di riferimento la pieve di S. Angelo e S. Maria. Poi si allargarono ad
altri comportamenti, per esempio circa il modo di tenere pulite
le strade o di aggiustarle quando si guastavano, come fare quando degli
animali al pascolo entravano in un campo e distruggevano il raccolto o come
usare le terre di tutti.
Queste
regole all’inizio non erano scritte, ma, decise da
tutti, venivano da tutti osservate.
Poi quando la comunità
diventò più ampia, quando i problemi aumentarono, e soprattutto quando si
diffuse il sistema feudale per cui il re cominciò a
richiedere i tributi in modo costante e non solo quando c’era una guerra o
altra necessità, allora si sentì il bisogno di scrivere queste stesse regole di
comportamento, di precisare meglio i momenti di vita comune e nacquero le norme
scritte, gli Statuti, che furono chiamati "articoli" o
"capitoli" .
Proprio perché erano
norme già praticate, alla stesura scritta di questi articoli partecipavano tutti,
specie gli anziani che ricordavano meglio i comportamenti e potevano dare
consigli su cosa era più giusto scrivere, naturalmente c’era il contributo di
chi sapeva scrivere che era in genere un notaio.
Queste
regole scritte venivano conservate in un posto comune
che all’inizio fu la chiesa poi la sede della curia (il tribunale
locale) o l’ufficio del notaio.
La comunità solofrana
acquistò per la prima volta l’autonomia territoriale quando,
alla fine del XII secolo, Ruggiero II Tricarico,
feudatario di Serino a cui apparteneva Solofra, dette il casale a suo figlio Giordano.
Questo significa che in quel tempo la comunità aveva una buona
autonomia economica ed era in grado di gestire da sé alcuni momenti
della vita comunitaria. Per prima cosa aveva una corte o curia, cioè un luogo dove si esercitava la giustizia locale, dove
si risolvevano le cause di primo grado, litigi e contrasti di piccola entità.
La corte era composta da un notaio e da due giudici scelti dalla comunità, che
istruivano le cause ed emettevano i giudizi. Costoro erano aiutati da alcune
(esperti, saggi, uomini idonei) persone che venivano
nominate secondo le necessità. A capo della corte c’era un rappresentante del
feudatario che era sempre una persona forestiera ma che aveva l’obbligo di
risiedere sul posto. Inizialmente nella corte di Solofra venivano a giudicare
anche giudici di Serino, quando cioè Solofra
apparteneva a questo feudo.
Nello stesso tempo nel
casale di Solofra funzionavano altre forme di autogoverno
per la necessità di risolvere problemi locali come quello fiscale. Per fare
questo la comunità si riuniva in un’assemblea (il parlamento locale) che era
costituita da tutti i capi famiglia. Il luogo dove avveniva tale riunione era
la chiesa in genere il sagrato sotto un albero (secondo l’uso longobardo) che a
Solofra fu per molto tempo un sorbo.
Il parlamento eleggeva
alcune persone, detti Eletti, che avevano l’incarico di attuare le
decisioni della comunità. Il più importante dei loro compiti era quello di
stabilire chi doveva pagare i tributi da dare al feudatario o da mandare al
governo centrale e di raccoglierli. Gli Eletti, aiutati da altre persone,
stabilivano quindi quali erano le possibilità economiche dei vari cittadini
(operazione detta apprezzo) ed in base a queste
dividevano tra i contribuenti l’importo dei tributi da versare.
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La comunità solofrana
aveva da poco tempo ottenuto l’autonomia quando il
feudatario Giordano morì senza figli e il casale di Solofra ritornò al
feudo principale di Serino. Siamo all’inizio del XIII secolo, la comunità per
non perdere i vantaggi dell’autonomia e per poter proteggere meglio le sue
attività, chiese all’imperatore Federico II di Svevia di rimanere staccata da
Serino, poggiando la richiesta sul fatto che lo stesso imperatore aveva stabilito, in una disposizione delle Costituzioni melfitane, che, se un feudatario di fresca nomina moriva
senza figli, il feudo sarebbe dovuto passare al demanio imperiale per rimanervi
o essere affidato ad altro feudatario. Agli abitanti di Solofra sembrò che la
legge contemplasse proprio il loro caso per cui si
fecero arditi e all’imperatore chiesero anche di non essere dati ad altro
feudatario ma di rimanere nei possedimenti imperiali (nel demanio si
diceva) per godere delle agevolazioni (prerogative) economiche che
questa condizione (di territorio demaniale) comportava. La richiesta si
poggiava quindi sulla realtà economica di commercio e di artigianato
che la comunità di Solofra già aveva e che sentiva la necessità di difendere.
Era dunque una comunità già organizzata dal punto di vista giudiziario (con la
corte), dal punto di vista fiscale (cioè pagava
regolarmente i tributi) e dal punto di vista sociale (cioè aveva norme di
comportamento comune).
Il feudatario di Serino
naturalmente si oppose a tale richiesta, fu fatta dunque una causa presso il
tribunale di Federico II dai giudici di questo imperatore,
dove sia la comunità di Solofra che il feudatario di Serino inviarono i propri
giudici e notai per esporre ciascuno le proprie ragioni. Alla fine del processo
il verdetto fu contro Solofra perché il feudatario di Serino riuscì a
dimostrare che il suo era un feudo antico (così in effetti
era) e che la regola di Federico II non valeva per i feudi antichi.
Solofra ritornò dunque
nel feudo di Serino dove nel frattempo era diventato feudatario Giacomo Tricarico, fratello di Giordano, il quale proprio per
la maturità che la comunità solofrana esprimeva ebbe molta accortezza nei suoi
riguardi, perché giovava anche a lui.
In questo periodo a Solofra
c’era la pieve di S. Angelo e S. Maria ma essa dipendeva da Salerno, era
necessario quindi che fosse costruita una nuova chiesa intorno alla quale si
potesse spostare la vita comunitaria e che proteggesse le attività economiche.
Bisogna infatti sapere che queste attività erano
protette dalle chiese, dove nessuno poteva fare soprusi e dove c’erano anche
sgravi fiscali. Il mercato avveniva non solo intorno alle chiese ma anche in
occasione delle feste, quando la popolazione sparsa sui monti o nei fondi della
conca (da tenere presente che allora le distanze erano percorribili con molta
lentezza) portava i prodotti per venderli, i quali poi, se invenduti,
rimanevano nei magazzini della chiesa (ogni chiesa ne aveva
diversi) e venivano da essa conservati e protetti fino alla prossima festa.
Questa chiesa solofrana
fu quella di S. Croce che fu il primo vero nucleo mercantile e non la
pieve di S. Angelo, che pure svolgeva una funzione economica, ma essa apparteneva
al vescovo di Salerno. Era importante per il feudatario proteggere i commerci e
le attività artigianali che avvenivano nelle sue terre perché esse permettevano
di riscuotere i tributi, molti dei quali erano legati proprio alla
compra-vendita dei prodotti dei campi e di quelli dell’artigianato quando venivano venduti (la tassa si chiamava dazio).
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In questo periodo la
comunità solofrana svolgeva già attività artigianali, prima tra tutte quelle
legate alla pastorizia, che era l’attività principale, quindi produceva
formaggio, carne salata, soprattutto di maiale (lavorato in vari modi dalle
salsicce ai prosciutti, al lardo, alla sugna) e naturalmente conciava le pelli
che erano molto richieste specie da Salerno dove arrivavano gli amalfitani che vendevano le pelli anche in Oriente e in
molti porti del Mediterraneo. C’era poi un altro importante prodotto
dell’allevamento e cioè la lana che veniva filata e
tessuta (come in tutte le comunità pastorali) o venduta grezza.
Per questa realtà
Solofra non fu più chiamata locum, come
avveniva prima, ma vico, il che
significava che la sua comunità era matura economicamente e socialmente.
Giacomo dunque seppe
valorizzarla, egli inoltre quando la figlia Giordana
andò in sposa ad Arduino Filangieri, appartenente ad un’importante famiglia
normanna e persona molto influente, le dette come dote il casale di Solofra,
che quindi staccò da Serino e che diventò di nuovo autonomo territorialmente.
Questo fatto di grande importanza
avvenne nella seconda metà del XIII (la data precisa non si conosce ma
sicuramente prima del 1258 quando morì Giacomo Tricarico).
In quel tempo il territorio del casale di Solofra era molto ristretto - delimitato a nord dal vallone Cantarelle fino al suo innesto nel fiume - fuori c’era tutto il versante del monte Pergola-S. Marco col passo di Turci, tutta la collina del castello e gran parte della zona pianeggiane. I migliori campi dunque non appartenevano a Solofra, che invece aveva le attività artigianali.
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Carlo I
d’Angiò permise a Giordana di ampliare il vico di Solofra
Intanto il meridione fu
conquistato dagli Angioini che
dovettero premiare i feudatari che li avevano aiutati. Questo avvenne al marito
di Giordana Tricarico, Arduino Filangieri, che fu premiato infatti potette ingrandire il vico di Solofra
con una parte del territorio che Serino possedeva nella conca solofrana.
Fu così che 1/3 del
casale di S. Agata, che apparteneva a Serino, passò a Solofra e cioè il passo di Turci importante per il commercio, la
collina del castello con la fortificazione (che dipendeva dal castello di
Serino).
Ciò
potette avvenire perché ci fu un periodo (dal 1277 al 1296) in cui il feudo di
Serino era stato assorbito nel regio demanio in quanto il feudatario Nicola era
morto senza eredi. Quando poi il re angioino restituì il feudo alla famiglia Tricarico e cioè alla sorella Adelicia, impose alla feudataria di confermare la cessione
al casale di Solofra di 1/3 del territorio di S. Agata cioè tutta la parte
alta con la collina del castello.
Tutto questo avvenne
nella seconda metà del XIII quando Solofra ebbe il
diritto di essere chiamato castro perché in possesso di un punto
fortificato.
Giordana, che governò
Solofra perché il marito era morto ed il figlio era in guerra accanto a Carlo I
d’Angiò, fece ampliare il castello costruendo la
torre di est per rinforzare la parte più esposta,
quella volta verso il passo di Turci, che ora non doveva più esser guardato
come un punto di passaggio interno ma come un posto da difendere con guardie. perché era in mano anche al feudatario di Serino, che poteva
diventare nemico. Sul passo di Turci infatti vi furono
militari dei due feudatari e anche della Universitas
di Solofra, questi ultimi per difendere i mercanti e le merci, infatti sul
passo fu costruito un fondaco (un magazzino di raccolta dei prodotti su cui
prima di essere venduti si dovevano pagare dei tributi) e ci fu una dogana.
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Genealogia
dei Sanseverino, primi feudatari di Solofra.
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In
questo periodo e legata a questi fatti
la comunità solofrana sentì il bisogno di riunire gli articoli, che regolavano
la vita in comune, in un corpo unico e nacquero i primi Statuti solofrani, i Capitula antiqua, che sono
importanti perché fanno emergere le modalità di vita della comunità. Questa
necessità nasceva dal fatto che la società solofrana aveva una realtà economica
di un certo valore, poggiata su alcune attività che dipendevano dalla realtà
del territorio costituito da terre coltivabili, dalle molte selve che
permettevano soprattutto la pastorizia, e da varie attività artigiane.
Per questa realtà la
comunità solofrana aveva stretti rapporti con Salerno
la cui economia era basata proprio sulle attività artigianali legate alla
concia delle pelli e alla lavorazione della lana e che furono protette da
privilegi concessi sia dai re normanni che da Federico II e che furono
confermati dagli Angioini. Essi furono goduti anche da Solofra, le cui terre
lungo il fiume appartenevano alla chiesa di Salerno.
La concia delle pelli, che è sempre esistita a Solofra perché legata alla società
pastorale, si è qui stabilizzata quindi a partire dal
periodo normanno per il legame con Salerno da cui giunsero anche molte famiglie
che svolgevano la stessa attività.
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Da M. De
Maio, Solofra nel Mezzogiorno angioino-argonese, Solofra, 2000.
Argomenti di storia di Solofra
Per prelievi
totali o parziali citare lo studio indicato
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