IL VICEREGNO
Primo periodo
Nei primi anni del
Viceregno ci fu un periodo di estrema incertezza che si ripercosse nelle
vicende del feudo di Solofra
Ludovico
della Tolfa, barone di Serino, nel 1512, aiutato da una fazione cittadina,
tentò di impossessarsi di Solofra con la forza costringendo Ettore Zurlo a fuggire.
Ercole Zurlo alla discesa del Lautrech (1528) passò
dalla parte dei Francesi per cui subì la ritorsione del governo spagnolo perdendo
il feudo.
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Approfondisci l’episodio del Lautrech
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Solofra
prima fu assorbita dalla Regia Corte e poi fu venduta a Ludovico della Tolfa.
La comunità solofrana fu costretta a
comprare i diritti su le acque e i mulini con le loro fabrice et edifici et
con tuti lloro introiti et ragione che aveva sempre posseduto.
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Il periodo
dell’autonomia 1535-1555
Nel 1535 l’Universitas di
Solofra si liberò dal giogo feudale: passò al Regio Demanio pagando una somma
corrispondente al valore del feudo (11.500 ducati)
La
comunità subì il peso del riscatto
·
Fu
costretta a contrarre dei debiti con i Banchi e con finanziatori napoletani e
fiorentini.
·
Furono
aumentate le "gabelle".
·
Furono
eliminate le esenzioni.
·
Si fece
una nuova valutazione dei beni per ampliare la fascia contributiva (i fuochi divennero 545).
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Approfondisci
a
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La società solofrana si divide
Un gruppo sostenne la politica di autonomia dal feudatario
vendendovi la possibilità di uno sviluppo dell’economia locale.
Un’altra parte non fu favorevole alla politica antifeudale.
Si delineò così un contrasto politico ed economico tra le
famiglie dominanti, che si divisero in due partiti e si scontrarono in una
lotta particolarmente dura tra il 1549 e il 1552 col coinvolgimento di ben 45
rappresentanti delle due fazioni, con tumulti, uccisioni e fuoriusciti.
Alla fine vinse il partito feudale, sia per il peso dei
debiti (nello stesso tempo si sosteneva il peso della costruzione della Collegiata) sia per le mire feudali su un feudo appetibile a cui si
aggiunse il mancato sostegno della corona spagnola non favorevole alle
autonomie dei feudi.
L’Universitas, nell’anno del sindacato
di Geronimo Ronca del partito feudale, mise in vendita il feudo che fu comprato
da Beatrice Ferella vedova di Ferdinando Orsini duca di Gravina.
Il 10 settembre del
1555 cessava il beneficio del Regio Demanio.
Solofra nel Cinquecento: Il leggere, scrivere e far di conto. La donna.
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Per prelievi totali o parziali citare questo sito web
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L’episodio del Lautrec
(1485-1528)
Chi è ?
Si chiamava Odet de
Foix ed era visconte di Lautrec. Nominato maresciallo di Francia partecipò nel
secondo decennio del XVI secolo al conflitto franco-spagnolo in Italia. Si
distinse nelle battaglie di Ravenna (1512), di Marignano (1515) e di Brescia
(1516) in seguito alle quali fu nominato governatore del Milanese fino a quando
fu sconfitto alla Bicocca (1521). Fu quindi governatore della regione francese
della Linguadoca che difese dalla invasione spagnola.
Nel 1525 fu ancora
in Italia al comando dell’esercito francese a combattere contro le armate di
Carlo V. Si impadronì di Alessandria e Pavia e rioccupò il Milanese.
La campagna nel Napoletano
Il 10 febbraio del 1528 da Fermo il Lautrec
entrò nel Regno di Napoli.
Tutto il paese d’intorno
venne a presentargli le chiavi delle terre e portar vettovaglie al campo (p. 29).
Si fermò a Chieti, poi, dopo la resa di Sulmona
e di Lanciano, passò a Guasto.
Entrò in Puglia spargendo il terrore e
costringendo i castelli più deboli ad arrendersi.
Mandò bandi affinché
fossero portate vettovaglie al campo promettendo un lauto pagamento ma anche
minacciando di saccheggiare i paesi che non lo avessero fatto. Punì alcuni suoi
sodati che si erano dati a violenze. Custodiva con molta carità i sudditi e le
città che si davano a lui (p. 30).
..
Nel suo esercito c’erano Pietro Pesari, Camillo
Orsino (una banda armata con cavalli di Romania giudicata la migliore), 1000
cavalli armati alla leggera, 500 tra greci e albanesi sotto la guida di Andrea
Curiani, altri italiani, alcune bande d’uomini d’arme all’uso nostro armati
con grosse corazze, con selle acciariate e frontali di ferro e con le mazze
ferrate, uno squadrone comandato da Francesco Cantelmo . La fanteria era
formata da otto compagnie tedesche a pagamento e comandate da Pietro Avogaro,
le fanterie italiane erano guidate da Gabriele Ripalda. In seguito si
aggiunsero i guasconi e i biscaglini di Pietro Navarro che passò per
l’Abruzzo conquistando molti castelli. Erano 30.000 soldati: due legioni intere di Tedeschi
(guidati da Valdimontone), una di Svizzeri (guidati dal conte di Tenda) con
le compagnie d’archibugieri italiani. La cavalleria, il fiore della nobiltà francese, era di meraviglia e di stupore. Tutti avevano pennacchi grandi, così anche i cavalli con freni indorati e le armi risplendenti con varie divise, con le sue lance molto dure e ben ferrate e con tutto l’arnese da cavallo. |
Il 4 marzo passò a S. Severo sottomettendo
tutta la provincia.
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Si unì col Navarro a Lucera, mandò Valerio Osino sotto
Troia a spiare i nemici. Qui ci fu uno scontro poi il 12 marzo giunse il
generale francese. Ci furono altre scaramucce mentre gli spagnoli
ostacolavano il vettovagliamento dei francesi. Fu preso Marzio Colonna
riscattato dallo zio con 1000 scudi. |
La Francia aveva promesso 13.000 scudi al mese, ma in
Puglia il Lautrec venne a sapere che erano stati ridotti a 60.000 e solo per
tre mesi. Si aspettavano vari baroni tra cui Ferrante di Sanseverino principe
di Salerno e Fabrizio Maramaldo |
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Gli Spagnoli
Il principe
d’Orange, comandante delle forze spagnole che si trovava in Puglia, ordinò al
principe Sergianni Caracciolo, principe di Melfi (aveva due compagnie di spagnoli
e due di italiani) di fermarsi in Melfi e trattenere il nemico e comunque
tenere quelle terre alla devozione degli Spagnoli, lui di nascosto si diresse
verso Napoli (21 marzo).
L’Orange guidava i
Tedeschi, il Gonzaga la cavalleria, il Guasto gli Spagnoli.
Passò per Ariano
che fu saccheggiata perché si era data ai Francesi. Ad Atripalda si unirono a
lui il principe di Salerno e il Maramaldo. Poi marciò verso Napoli per Avellino
e Montefusco. A Nola ci fu il saccheggio della città per pagare l’esercito.
Giunto a Napoli
decise di alloggiare in città per controllare sia il popolo che poteva
ribellarsi che i baroni che si erano ritirati in città ma che aspettavano
l’occasione per nuocergli. Si fece una gran raccolta di vettovaglie
saccheggiando le città circostanti.
Si
levarono per forza le robe dalle case con molte ingiurie e bastonate [...]
erano forzati i padroni di carreggiare ogni cosa in Napoli con buoi e animali
[…] Non si sentiva altro per le terre che bandi, ordini, carreggi e violenze.
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Il Lautrec accortosi
della fuga degli spagnoli non lasciò subito la Puglia, dove c’era grande
possibilità di approvvigionamento e dove c’erano ancora città da prendere come
a Melfi.
Troia si diede al
Lautrec dandogli molti cavalli
La presa di Melfi fu
affidata al Navarro.
La citta era detta la porta di Puglia ad est guarda Atella importante per la fiera, a sud Manfredonia ad ovest l’Ofanto, divide la Basilicata dalla Puglia è posata sul piano di un monte con balze a sud scoscese a ovest dove c’è il castello). Il Caracciolo difendeva Melfi (discendete da Sergianni). Il sacco di Melfi finì con la resa del Caracciolo che fu fatto prigioniero con la famiglia. Il Caracciolo diverse volte chiese all’Orange di essere riscattato, ma l’Orange senza molti soldi non si curava della nobiltà italiana non si curò neanche del Caracciolo. |
Il Caracciolo
ottenne la libertà dal Lautrek che gli diede anche un battaglione per cui
divenne intimo del generale francese e dalla Francia ebbe l’ordine di S.
Michele.
Presa Melfi, si
arresero Venosa, Canosa, Andria, Cerignola ed altre città. Solo Manfredonia
rimase con i spagnoli perché aveva 1000 fanti.
Facevano a gara i
popoli di quelle province a darsi ai Francesi, e per l’antica divozione verso
quella nazione e per l’odio che portavano agli spagnoli tanto più accresciuto
per il sacco di Lauria.
Il duca di Gravina
molto potente in quella provincia si dichiarò dalla parte della Francia.
Si arrese la
Basilicata.
Lautrek lasciati
alcuni uomini in Puglia si diresse verso Napoli per la terra di Lavoro (3
aprile).
.
Era d’aspetto molto grave, d’alta statura e ben proporzionata, di carnagione bianca, con gli occhi azzurri e fronte larga e degna di principe, di barba negra alquanto lunghetta con mustacchi grandi con alcune cicatrici nel volto. Parlava italiano. Aveva sui 43 anni con qualche segno di canizie in testa. (p. 46-47). |
Molti baroni sperando migliore fortuna si
diedero a lui.
Il Lautrek si fermò 7 giorni ad Acerra. Qui c’è
una bella pianura ma il Clanio con le sue acque la rendeva malsana.
Il 17 aprile passò a Caivano, posta in luogo
basso e fangoso.
Il 21 giunse a Casoria
Il 30 aprile fu a
Napoli, occupò tutti i colli che circondano la città, piantò il padiglione
nella masseria del duca di Montalto di fronte a porta Capuana. Furono alzati i
muri e scavate le trincee sino al mare e al Ponte della Maddalena.
Su S. Martino c’erano gli Spagnoli per cui era
difficile l’assedio alla città.
Il Lautrek sperava che il popolo, per le
ristrettezze e le atrocità, si levasse contro gli spagnoli.
Dal suo accampamento
intorno a Napoli il Lautrek mandò dei soldati ad occupare Aversa, poi Capua.
Con la presa di questa città i francesi ebbero 100.000 combattenti e ventimila
cavalli.
In
breve tutta la terra di lavoro fu in mano dei francesi.
Non sperando di
prendere la città con l’assedio sperò di prenderla per fame. Mandava intanto
persone per tutto il regno a prendere vettovaglie per il campo. Furono
commissari oltre trenta persone.
Tra
questi è nominato Antonio Maffei di Solofra.
Il generale francese
mandò messaggi agli assediati di arrendersi con promesse ed agli spagnoli
promise delle navi per andare in Spagna.
Anche gli Spagnoli mandavano commissari per il
regno.
Frattanto giunse dal mare Filippo Doria
(luogotenente di Andrea Doria capitano del re di Francia). Ci fu una battaglia
in mare presso Sorrento vinta dal Doria. Morirono 1000 spagnoli col Monada.
Nacque però un contrasto tra Filippo Doria e il Lautrek che voleva i
prigionieri spagnoli, ma il Doria non glieli volle dare perché spettavano al
suo capitano. Di conseguenza il genovese lasciò il golfo.
Il Lautrek iniziò a dare premi a chi si
impegnava affinché non giungessero vettovagliamenti in Napoli.
Intanto la Calabria si era data ai francesi.
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Già era il terzo
mese di assedio di Napoli e l’estate inclinava all’autunno quando gli spagnoli
fecero una uscita da Napoli nord. Vi furono varie scaramuche. Fu saccheggiata
Avellino da un certo Granatino detto Saiavedras spagnolo.
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Intanto Andrea
Doria cambiò politica e passò agli Spagnoli perché desiderava vedere Genova
libera dai francesi.
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Il Lautrek mal
consigliato da alcuni signori aveva rotto gli acquedotti delle fontane che
entravano in Napoli. Qui si prendeva acqua dai pozzi. Le acque sparse
cagionarono aria corrotta e putrida poiché non andavano al mare ma si fermavano
vicino all’argine e formavano un lago. Da Napoli uscirono molti infetti, senza
molta accortezza fu mangiata carne guasta. La mattina si vedeva una folta densa
nebbiaccia che levata dall’ostro ingombrava tutto il campo con una rugiada
grossa che pareva pioggia e poi ad ora alta si dileguava e portava molto caldo.
Di che impazienti e intolleranti i francesi tra il bevacchiare del giorno si
spogliavano quasi nudi allo spirare dei venti. A molti si vedeva gonfiare il
ventre e le cosce con notabil pallidezza di volto. Certa cosa è che a di’ 15
luglio si videro manifesti segni d’infezione, non solamente nel volgo de’
soldati, ma ne’ capi dell’esercito. E già molti dei nobili fecero disegno di
ritirarsi nelle terre prossime per fuggire il male che cominciava manifestamente
a prender forza. E quel che era peggio, non s’usava diligenza ne’ rimedi per
ovviare al male con separare gl’infetti e tener netti gli alloggiamenti e puri
i canaggi e necessità corporali. Massime ove stanziavano i tedeschi, gente
sozza di natrura e molto sporca. E molti medici e persone esperte consultavano,
che si facessero spessi fuochi per purgar l’aria, dandosi esito alle acque (pp. 96).
Giacevano distesi
ne’ padiglioni i soldati mezzo morti e tutti malaticci, sentendosi poi una
puzza molto acuta, e si scorgeva ne’ volti de’ soldati una melanconia grande
senza sentirsi suono allegro di canti ed allegrezza (p. 99).
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Ci furono altre
sparse scaramucce.
Intanto si erano
spesi tutti i soldi dei donativi dei baroni che si erano dati ai francesi anche
il denaro dato dai doganieri. Si erano impegnate le gabelle del Regno. Sicché
il Lautrek fu costretto a prendere a prestito dei denari e a licenziare per
mancanza di denari delle compagnie. E questi soldati licenziati trattarono il paese malamente rubando ed assassinando (p. 99) molti furono uccisi dalle popolazioni nei paesi
dove si erano recati a fare razzie.
Si penso di
disloggiare ed andare in posti meno contaminati con ispargere le terre amiche e
vicine i soldati per ristorarli dai disagi.
Il Lautrek non volle
abbandonare gli alloggiamenti.
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Frattanto
scuoprendosi la peste cominciarono i capi a sfilare dagli alloggiamenti parendo
pazzia troppo espressa prendere a diletto la morte soggiornando nel campo ove
ogni giorno morivano soldati empiendosi i padiglioni di soldati. Tutti i baroni
si erano ritirati nelle loro terre (p.
105).
Dal 15 luglio al
5 agosto dilatò tanto la peste e cominciò con tanta mortalità nel campo che si
vedevano gittate giù l’armi, giacer distesi nei padiglioni i soldati e nelle
erbe senza colore. Tra gemiti miserabili, un orrore funebre per tutto, e
l’aspetto del luogo infelice e spaventevole e tra la strage accomulata dei
morti con odor puzzolente e acutissimo molti tra il bere e il mangiare venivano
meno e con un torcersi di corpo mandavano lo spirito fuori restando insepolti .
Altri quasi oppressi di sonno non alzavano il capo, poco meno che trapassati
covert da sciami di vespe e mosche tra l’unghie e becchi di avvoltoi e corvi
che in isquadroni si raggiravano per le tende con istridi crudi e noiosi e così
le altre bestie di carnaggio: senza che il padre al figlio o amico al compagno
potesse apportar alcun ristoro, non chiuder gli occhi o bagnar di lacrime il
viso non prger gli ultimi baci ed abbracciamenti non almeno poterli cuoprire
d’arena e di cespugli tra erbe e spine. Ai mal vivi poi erano venuti meno tutti
i rinfrescamenti, poiché la maggior parte degli uomini del paese non ardiva più
per tema della peste passare nel campo, E nelle vie massime per quelle di
Aversa ed a Melito si trovavano parecchi soldati partiti malati dal campo esser
morti per lassezza che non avevano sembianza umana tanto erano scarnati e
brutti (pp. 106-107).
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Il
15 agosto morì il Lautrek .
Quei giorni
soffiò un ostro nebbioso e caldo che finì di infettare il resto eccitando una
puzza intolleranda di corpi morti con sommo orrore de’ morenti e coprendo ogni
cosa di caligine.
Il francesi divisero
l’esercito in tre squadroni e si ritirarono verso Aversa, era il 29 agosto. Ci
fu un forte temporale.
Gli
spagnoli assalirono l’esercito in ritirata e lo distrussero prendendo tutte le
prove dei baroni che si erano dati a loro e su questi documenti furono
impostati i processi e i sequestri di beni.
Morrone ebbe
l’incarico di formare i processi . Furono citati tutti quelli che non avevano
soccorso gli spagnoli presero i loro beni dati al fisco proponendo premi a chi
dava i baroni in loro potere ammettendo all’esame e all’accusa ogni sorta di
persone essendo lecito ad ognuno far parte in giudizio per il fisco. Si citava
il nome del reo col suono di tromba e si dava il termine di 15 giorni per
comparire dopo di che il sospettato era condannato e perdeva i beni. Non poteva
essere rappresentato da procuratori o avvocati.
Fu
citato Sergianni Caracciolo, principe di Melfi, e Hercole Zurlo epiù di 1700
persone.
Per tutto il regno
si spedirono commissari, bande di soldati sbirri e ministri di giustizia.
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Ogni cosa era
piena di lagrime, di miserie, di confusioni, tumulti e stridi di quei che
fuggivano per mai più ritornare nelle loro case a vedere ed abbracciare i suoi
più cari e di quei che restavano per essere ogni giorno insultati ed
oltraggiati tra l’insolenza della vittoria ed i privati sdegni de’ maligni. Non
pareva sicuro il padre dal figlio, né il figlio dal padre, né tra amici,
fratelli o congiunti v’era sincerità d’affetto. Ogni cosa era ingombrata di
spavento e di lutto tra le rapine, proscrizioni, bandi e minacce ed insolenze
p. 133
Furono di poi
composti i signori con le Università e gli uomini particolari. Furono
incamerati i beni d’Ercole Zurlo che fu deportato ad Ischia a beneplacito.
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Da
Leonardo Santoro da
Caserta, Dei successi del sacco di Roma e guerra del Regno di Napoli sotto
Lautrek, Napoli, 1858.
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