Lettura del primo
capitolo. Cinque paragrafi con note in calce.
Alle radici di Solofra
Capitolo
primo
PRESENZE SANNITICHE E ROMANE NEL BACINO DEL FLUBIO-RIVUS
SICCUS.
1.
La conca di Solofra, posta tra i contrafforti dei monti Picentini, sbocca, attraverso
il raccordo di Montoro, nella piana di S. Severino, che, facendo da
collegamento tra i bacini del Sarno e dell’Irno, forma un importante e vitale
nodo della pianura campana, là dove si è realizzato più intensamente il
rapporto tra la montagna e la pianura che ha avuto un ruolo centrale nella
storia della regione1 e che è stato un paradigma costante anche
nella storia di Solofra.
Il
territorio idrograficamente appartiene al bacino del Sarno di cui è tributario
il suo corso d’acqua - l’odierno torrente Solofrana - che nel Medioevo era
chiamato flubio nel territorio di Solofra2, rivus siccus
nella piana di Montoro3 e saltera da Rota (S. Severino) fino
alla confluenza nel Sarno4.
Il
bacino del flubio-rivus siccus5 è costituito, nella sua parte
alta, dalla conca solofrana delimitata da due strutture naturali - lo sperone
roccioso di Castelluccia, a nord-ovest su una balza del monte S. Marco,
e la collinetta di Chiancarola, a sud-ovest6 - e
aperta su uno stretto fondo vallivo che poi si allarga nella bassa pianura di
Montoro. Questa conformazione morfologica ha dato al corso d’acqua il ruolo
importante di via naturale di penetrazione fin da quando
i greti dei fiumi venivano usati come vie di transito transumantico7.
Il
fatto che tale corso d’acqua fosse nello stesso tempo
una strada e un fiume è riscontrabile in una testimonianza documentale. In
località Montoro infatti lo stesso è chiamato flubio
riu sicchum8 con ripresa del sostantivo usato, per lo
stesso, in territorio solofrano. La doppia denominazione si riferisce alla
consistenza della portata d’acqua (flubio) e al fatto che esso diventava
in pianura, dopo le piene primaverili, anche riu sicchum perché lasciava
un vasto greto9.
Il
fiume riceveva nel territorio di S. Agata l’apporto idrico del vallone dei
granci che divide a nord-ovest il complesso
Pergola-San Marco dalle colline di Montoro10 e dal quale si accedeva
al passo di Taverna-Castelluccia. Il valico, che si trova con questa
denominazione nella tradizione orale11, ha una toponomastica - fornaci,
campo castello, sferracavallo, taverna dei pioppi - che lo caratterizza
come tale12. Esso interessa un ampio spazio sulle colline di Montoro infatti le vie legate alla transumanza coprivano vaste
estensioni.
La
via del rivus siccus-vallone dei granci-passo di Taverna-Castelluccia, dominata
dallo sperone roccioso di Castelluccia, insieme a
questo costituiva una struttura viario-difensiva al servizio di due bacini, la
valle dell’Irno e quella del Sabato, di cui era l’unico passaggio naturale13.
Veniva a far parte di quel sistema di transito, determinato dalle
caratteristiche morfoidrografiche dei territori che ha
Û interessato in età arcaica tutta
l’Italia centro-meridionale e nel quale l’Irpinia ha costituito una rotta
obbligata tra le zone pianeggianti del Tirreno e quelle dell’AdriaticoÜ 14.
Il
bacino del flubio-rivus siccus insomma, trovandosi su questa direttrice
di transito, nel caso specifico su quella che dalla valle del Sabato portava
verso la fascia costiera campana (è uno di quei casi in cui la conformazione
morfologica del territorio ha determinato lo sviluppo storico), fu
necessariamente interessato ai trasferimenti
transumantici.
I
dati archeologici di ritrovamenti di età preromana e
romana in tutto il bacino che stiamo considerando15 permettono di
collocare la via del rivus siccus in età sannitica16 e di
identificarla con la sua successiva trasformazione nella romana "via
antica, qui badit ad sancta Agathe"17 attestata nell’alto
medioevo18. La via giungeva, passando per il crinale Aiello-Cesinali
ad Abellinum, dove l’indagine archeologica ha individuato la traccia di una
strada in direzione nord-sud proprio sulla traiettoria indicata19.
La stessa denominazione del passo conserva nell’aggregato Taverna-Castelluccia
l’impronta sannitico-romana20.
La
strada è una parte del raccordo della Capua-Rhegium che portava a Benevento
dalla valle dell’Irno tramite Abellinum citato negli Itineraria
Romana21, un tratto della via istmica o greca di cui
parla il Periplo dello pseudo Scilace che in due giorni e due notti
congiungeva il Gargano al mar Tirreno passando per l’Irpinia22.
L’ultima
sua citazione documentale la dice "incongrua ad
andandum"23. Siamo nel 1102 quando il
luogo ha subito le devastazioni del normanno Troisio di Rota24 per
cui è facile pensare ad un suo insabbiamento. Le comunicazioni con Serino in
età longobarda già avvenivano, evitando gli impaludamenti del territorio di S.
Agata-Montoro, attraverso il passo di Turci mentre
dalla valle del Sabato, dove nel frattempo era sorta Avellino, si giungeva in
quella dell’Irno attraverso Forino25.
________
1. Cfr. G. Galasso, Motivi, permanenze e sviluppi della storia regionale in
Campania, Napoli, 1972.
2. AD, 9.
Intenzionalmente il notaio usa, riferendosi al corso d’acqua. il termine flubio ("un corso d’acqua perenne con
sostanziosa portata d’acqua", Forcellini, Lexicon, s.v.) per
distinguerlo da altri apporti fluviali della conca indicati invece col termine
rivus. V. anche AD, 6. Questa denominazione costituirà un toponimo indicando
persino un casale sorto proprio intorno al corso d’acqua (ASA, B 6522 e sgg.).
3. I documenti del
CDC permettono di seguire il corso d’acqua dal territorio di S. Agata-Montoro
fino a S. Severino. Cfr. AD infra.
4. CDC, I, 204; ib., II, 268; ib., III,13; ib., IV, 66; ib,. V, 147; ib. ,VI, 172; ib.,
VI, 247; ib., VII, 73; ib., VII, 102-106; ib., VII, 97; ib
,VII, 141-142; ABC, Arc. I, n. 55; CDV, I, 34.
5. Cfr. IGM. Nella
cartina topografica il citato corso d’acqua reca la denominazione odierna,
appunto "Solofrana". Tutti gli altri elementi geografici che si
citeranno sono invece individuabili in essa.
6. Ibidem. Castelluccia
e Chiancarola costituiscono due importanti elementi della conca sulla
piana di Montoro.
7. I Sanniti, come
tutte le popolazioni italiche, avevano il costume di usare i corsi d’acqua come
tratturi transumantici o vie di comunicazione (Cfr. T. Salmon, Il Sannio e i Sanniti, Torino,
1985, pp. 22-25 e 72-74; G. Devoto, Gli antichi italici,
Firenze, 1931, pp. 63 e sgg. V. pure E. Pais, Ricerche
storiche e geografiche dell’Italia antica, Torino, 1908).
8. Cfr. AD, 1.
10. Cfr. IGM. La
portata d’acqua dell’invaso doveva essere notevole se nel
XVI secolo si incontra ancora la denominazione "fiume delli granci"
(ASA, B6529, f.96).
11. Nei pressi del
castello di Montoro (che non dista da Castelluccia) c’è una località detta a le Taberne che potrebbe spiegare tale
aggregato (Cfr. F. Scandone, Documenti per la storia dei
comuni dell'Irpinia, Avellino, 1956, pp, 376-377).
12. Cfr. IGM. Per
l’analisi dei citati toponimi v. infra.
13. Ibidem. Fino
all’utilizzo dei passi di Forino e di Turci tra le due valli non c’era altro immediato passaggio.
14. Cfr. T. Salmon,
op. cit.,
pp. 19-32.
15. Pur se il
materiale di questi ritrovamenti, che giace presso i depositi della
Sovrintendenza Archeologica di Salerno e Avellino e che risalgono alla metà
degli anni settanta, non ancora è stato utilmente studiato, il dato, almeno nel
senso globale, viene usato negli scritti degli
studiosi ai quali ci si riferisce e cioè: G. Colucci Pescatori, L’alta valle
del Sabato e la colonia romana di Abellinum in
Aa.Vv., L’Irpinia nella società meridionale, II, Avellino, 1987, pp.
139-141; M. Romito, I cinturoni delle necropoli sannitiche di Carife in L’Irpinia...,
pp. 125-138; W. Johannowsky, Note di archeologia e topografia
dell’Irpinia antica in L’Irpinia..., pp.103-108. I ritrovamenti sono
stati descritti da F. Guacci (Preistoria e storia nella valle solofrana,
Avellino, 1979, pp. 131-141) e V. D’Alessio (Le civiltà sepolte alle porte
dell’Irpinia, Avellino, 1982, pp. 37-74).
16. Cfr. G. Colucci
Pescatori, L'alta valle...; Id., Osservazioni
su Abellinum tardo-antica e sull’eruzione del 472 d.C. in Tremblements
de terre éruptions volcaniques et vie des hommes dans
17. AD, 2. La via
corre lungo il rivus siccus da Rota (CDC, II, 145) a Montoro (AD, 4, 5,
7, 8, 10, 27) fino a Trocclati dove la stessa "pergit ad
sancte Agati" (AD, 17). Potrebbe essere la stessa via antiqua citata in
ABC (Arm., I, 9) nei pressi della ecclesiam sancti
Ypolisti in direzione sud.
18. Nei documenti
il toponimo sancta Agathe si riferisce ad un vasto spazio comprendente
sia le balze del S. Marco con le colline di Banzano (Montoro) che la zona
pianeggiante fino a Chiancarola (V. PII, p. 2).
19. Cfr. G. Colucci
Pescatore, Osservazioni…, p. 123. La strada, non ancora messa in luce
pienamente, parte dall’antica necropoli di via
Cesinali.
20. Il toponimo Castelluccia
è di origine italica: dall’umbro-osco castru
(O. Pianigiani, Vocabolario etimologico, Napoli, 1988, p. 250, c. II).
21. K. Miller, Itineraria
Romana, Stuttgart, 1916, pp. LVII-LVIII, 371, 376-377. Nella Tabula
Peutingeriana è citato il tratto Beneventum-Abellinum-Salernum come
raccordo tra l’Appia e
22. Cfr. N. Fierro, Gli stati tribali irpini in epoca sannitica e romana in
"Rassegna storica irpina", 5-6(1992), p. 20.
23. Cfr. AD, 17. V.
pure qui la n. 9.
24. Cfr. F. Ughelli, Trogisius de Rota, VII, c. 383. V. pure cap. 3, par. 1 e infra.
25. La dizione Taverna-Castelluccia
è rimasta nel linguaggio popolare perché il passo continuò
ad essere al servizio del luogo (ASA, B 6566, III, 223r).
|
2.
Tra i rinvenimenti di epoca protostorica ed arcaica
nell’alto corso del flubio-rivus siccus il più importante è costituito
dalle tombe di Starza di Solofra1 che permettono di porvi in
relazione un corrispondente abitato.
Il
sito è posto al centro della conca tra due invasi in posizione dominante la
confluenza degli apporti idrici dei monti circostanti ed è facilmente
raggiungibile dalla via del rivus siccus. Tutto ciò richiama
perfettamente l’uso sannitico di costruire insediamenti su colline protette dai
fiumi e servite dalle vie naturali di transito che, come si è visto,
"furono i percorsi della transumanza e saranno gli itinerari degli
scambi"2 e permette di trovare anche il punto di riferimento,
immancabile in ogni insediamento sannitico, e cioè
quella arx che in genere è un’altura con semplici terrapieni fatti di un
misto di sassi, di terra e palizzate di legno cioè una fortezza arroccata e
sorta per necessità strategica e a servizio del territorio circostante3.
La roccaforte naturale di Castelluccia corrisponde esattamente a questo elemento essenziale degli insediamenti sanniti4.
Altro
elemento difensivo lungo il corso d’acqua, di cui si sta parlando, si può
individuare sulle colline tra Montoro e S. Agata nei toponimi serra e
serroni5,che richiamano tipici
luoghi di difesa: le serre dislocate all’interno del territorio dei Sanniti.
Lungo lo stesso fiume inoltre il toponimo Aterrana contiene al riguardo un ulteriore elemento, questa volta greco-sannita, perché in
area d’influenza ellenica6. Infine il toponimo Solofra, che
il glottologo Giovanni Alessio in uno studio del 1943 assegna al-l’italico
affine al latino saluber-salubris7, si colloca bene in questa area culturale restando nella quale si può
considerare il fatto che un gruppo che affida ad un territorio i propri cari
non può non accomunarlo, almeno nel nome, alle divinità del proprio olimpo. Tra
queste c’è Feronia una ninfa dei boschi e delle acque il cui culto era molto
diffuso tra gli italici e i cui attributi - salus et frugifera - si
ritrovano perfettamente nella conca8.
Anche la tipologia insediativa di tipo vicanico, proprio di questo
popolo italico, che caratterizza ancora la valle di Montoro (come quella del
Sabato), esprime l’impronta sannita che questa zona ha conservato9.
La stessa economia agricolo-pastorale ("montani atque agrestes" dice
Livio), quella attività cioè nello stesso tempo
montanara e agreste permessa dalle dolci balze pedemontane, che davano a questi
gruppi la possibilità di "abitare in villaggi sui monti"10,
è facilmente collocabile nei territori medio-alti della conca dove tale doppia
caratterizzazione è rimasta fino a tempi recenti11.
Se
a tutti questi elementi, che sottolineano l’impronta
sannita del luogo, si aggiunge la considerazione della diversa età delle tombe
di Starza di Solofra12 e si tengono presenti l’etimo zoomorfo
di toro13 indicante un’ampia zona a valle di Starza e
la costumanza delle "primavere sacre", che permetteva alle nuove
generazioni di emigrare sotto la guida di un animale sacro14, si può
ipotizzare la possibilità di uno stanziamento in loco di un gruppo avente
l’insegna del toro, cioè del gruppo originario citato da Strabone, prima
dell’ondata trasmigratrice degli Hirpini, la tribù sannita della regione del
Calore e del Sabato che aveva invece come insegna il lupo15.
Questa
popolazione del ceppo italico e di parlata osco-umbra, stanziatasi tra il VI e
il V secolo nell’ampia regione montuosa tra il Sangro e l’Ofanto, che si chiamerà Samnium, nei suoi spostamenti "tra l’intrico
di monti e bacini inframontani alla ricerca di terre fertili", giunse fino
alle ultime propaggini dell’Appennino sulla pianura campana da una parte e su
quella appula dall’altra16.
Da
questi contrafforti - tra i quali ad ovest si apre, sulla pianura tra Salerno e
Nocera, la valle del flubio-rivus siccus - i primi Sanniti difendevano i
loro insediamenti e i territori interni.
La
rocca di Castelluccia - una statio naturalmente fortificata in funzione
della viabilità si è visto - si configura come uno di questi punti strategici
sanniti. Essa, che con Chiancarola17 completa il sistema difensivo
della conca, la trasformava in un rifugio per quelli che provenivano dalle
pianure dell’Irno e del Sarno molto più sicuro di
altri bacini vallivi in questa parte della Campania.
Tutto
il bacino insomma era un elemento di grande importanza strategica nel sistema
difensivo al confine meridionale del territorio sannita. Nello stesso tempo
assolveva, con il punto chiave di Castelluccia facilmente raggiungibile
dall’interno, la funzione di controllo e di protezione dei primi tentativi
sanniti di penetrazione, lungo la sua valle ben protetta, verso la pianura
campana quando dopo il VI secolo a.C. si indebolì la
presenza etrusca in Campania18. Durante tutto il V secolo infatti i Sanniti-Hirpini procedettero "in direzione
di mezzogiorno fino alla valle del Sele" in un’ampia azione di occupazione
della pianura campana fino a che tutta la regione, che va da Salerno
all’Adriatico, "fu da essi unificata più che militarmente,
linguisticamente e civilmente"19.
L’ampia
confederazione sannita della pianura ebbe infatti
legami poco solidi e ciò permise ai focolai greci ed etruschi della Campania di
influenzarne la koinè specialmente nella parte del territorio a suo più
diretto contatto20.
Il
bacino del flubio-rivus siccus, che era la parte più occidentale del
territorio degli Hirpini a contatto con le confederazioni della pianura e cioè tra i Picentes della valle dell’Irno e gli Alfhateni
della valle del Sabato, ebbe segni di questo processo di integrazione21.
Si
può a conclusione di questo tratto riassumere che il bacino considerato fu interessato in modo non sporadico dalla presenza sannita
con unità abitative in funzione della struttura difensiva naturale di
Castelluccia, a partire dal periodo delle trasmigrazioni fino all’incontro con
i Romani.
_________________________
1. I ritrovamenti
avvennero in due momenti: nella parte bassa della collina di Starza, nel
dicembre del 1975, e nella parte alta, nel settembre del 1976. Cfr. "Il
Campanile", VI, 12(1975) e VII, 2(1976). I due giacimenti insieme
disegnano sul luogo una necropoli che doveva occupare parte della collina. Il
termine starza, ricorrente nella toponomastica sannita, indica un luogo
di stazionamento. V. tra tutti l’importante stazione sannita
2. T. Salmon, op.
cit., pp.56 e sgg.
3. Ibidem.
L’arx veniva scelta in base alle possibilità di
difesa che offriva.
4. La posizione di
Castelluccia e il suo toponimo richiamano un’analoga località sulla riva destra
del Sabato ad essa opposta - Castelluccio di S.
Stefano del Sole - dove sono venute alla luce testimonianze arcaiche (Cfr. G.
Colucci Pescatori, Il mondo italico in Il museo irpino,Avellino,1984, p.31).
5. Cfr. IGM. V.
pure PII, par.2.
6. Ibidem.
"Aterrana" da a priv.
greca e teerum attestato in area italica e celtica (O. Pianigiani,
op. cit., p. 1424). Anche l’area di Montoro ha restituito testimonianze di età preromana.
7. Cfr. AD, 32. V.
pure Dizionario di toponomastica, Torino, 1980, s. v.
8. Anche la
denominazione dei monti a sud, le creste dei Mai, richiamano
la ninfa italica Maia che rappresenta il principio della vita e la primavera.
Restando nel campo della toponomastica e tenendo presente il culto italico
delle piante, attestato in età storica, si possono considerare i toponimi sorbo
e balsami indicanti antichi casali alti, cerro (un tipo di
quercia) e balle de la mela, documentati in età altomedioevale, e ancora
cerzeta e sambuco; tenendo invece presente il culto italico degli
animali c’è in loco il toponimo volpi.
9. L’uso di abitare
distribuiti in casali, vicatim, è descritto da Livio (IX, 13.7) e da
Strabone (V, 4.11).
10. Livio,
Storie, IX, 13.7, Torino, 1979, p. 449.
11. Cfr. PII, p.1 e
ASA B6522 e sgg. Il toponimo caprai, indicante un luogo sulle
prime falde ad est, dimostra l’impianto in loco di un’attività di allevamento. Vale la pena qui considerare che la
struttura economica prevalentemente pastorale portava
i Sanniti a usare la lana e a commerciarla. Essi altresì adoperavano il cuoio
per i bisogni quotidiani e le necessità di guerra per cui
dovevano conoscere la pratica di fermare la decomposizione della pelle. Nei
tempi antichi infatti "ciascun individuo
preparava il cuoio per il proprio uso e con esso confezionava per sé e per la
famiglia calzature, vestiti, legacci, scudi , ecc." (G. A. Bravo, Storia del cuoio e della concia,
Torino, 1936, p. 104). Una traccia di questa attività
può individuarsi in un toponimo di una località non distante da caprai,
"campo del lontro" essendo il lontro un termine usato nel
napoletano per indicare una vasca per la concia delle pelli (Cfr. S. De Renzi, Guida
medica per la città di Napoli e pel regno, Napoli,
1838, p. 266).
12. Anche se uno studio sistematico sul materiale restituito
dalle tombe non è stato ancora fatto, i ritrovamenti misero in risalto due
modalità di sepoltura: le prime atte a ricevere un corpo in posizione
supino-rattratta e quindi più antiche, le seconde più ricche col corpo in
posizione supino-distesa.
13. Il termine
deriva dall’umbro turu (O. Pianigiani, op. cit.,
s.v.). Il linguista Alessio osserva come au nell’Italia meridionale si
conservi e non dia o, ciò consente di assegnare il toponimo toro
a torus e non a tauro (Dizionario di toponomastica, cit.,
p. 658 alla v. toro). Le fonti storiche chiamano con varie derivazioni i
territori occupati dai Sanniti e protetti da questo animale
sacro.
14. Era il fenomeno
della transumanza regolato anche religiosamente (Cfr. M. Puglisi, La civiltà
appenninica. Origini delle comunità pastorali in Italia, Firenze, 1959, pp.
31-41; G. Devoto, op. cit.,
pp.109 e sgg.).
15. Bisogna tenere
presente che quando questi gruppi si stabilivano in una nuova regione non
costituivano unità sociali chiuse né il loro numero era alto (T. Salmon, op.
cit., p. 31) per cui può essere corretta l’ipotesi
di un gruppo sannita, stabilitosi nella zona dominata da Castelluccia,
precedente quello irpino.
16. T. Salmon, op
.cit. ,pp. 37-46; G. Devoto, op. cit., pp.109 e sgg. "Nel V secolo a.C. scesero i
Sanniti nella pianura fino alle rive del Sarno dove dominarono la loro lingua e
i loro costumi fino alla latinizzazione" (Cfr., J. Beloch, Campania,
Roma, 1964, p. 274).
17. Cfr. IGM.
Questo toponimo richiama altri in territorio sannita: Chianche di
Cesinali e nella valle del Miscano sulla via Traiana
tra Beneventum e Aequum Tuticum e Chianchetelle, un posto di guardia sul
Sabato.
18. Cfr. M.
Pallottino, Etruscologia, Milano, 1955, pp. 50-70.
20. Il centro
etrusco più vicino era Hyrna (Fratte) (Cfr. "Rassegna storica salernitana",
I, 6, 1937, pp. 181-182; B. D’Agostino, Il mondo
periferico della Magna Grecia in Popoli e civiltà, II, Roma, 1974,
pp. 177-271).
21. Gli elementi
ricavati dall’analisi del materiale tombaceo restituito dai giacimenti di Starza
di Solofra aggiunti alle modalità di inumazione e a
quelle di altri ritrovamenti più a valle insieme ad considerazioni di ordine
generale connotano la zona nell’area di influenza greco-etrusca.
|
3.
Alla metà del IV secolo a.C. i Sanniti avevano raggiunto
una tale compattezza che fu inevitabile lo scontro con Roma protrattosi per
tutto il III secolo.
Le
guerre sannitiche furono in parte combattute in Irpinia, interessando tra
l’altro le sue zone di confine con
Definita
la realtà sannita del territorio, si cercherà di inquadrarlo negli avvenimenti
che videro i Sanniti contro i Romani.
Se
la prima guerra sannitica (343-
Con la terza guerra sannitica o prima guerra italica (298-
Il
territorio che si sta considerando dovette poi essere
colpito dalle distruzioni che seguirono: Livio parla di più di cento villaggi
fortificati devastati e di molti luoghi conquistati da Postumio Megello per
controllare, tra gli altri, proprio il territorio degli Hirpini6.
Certo è che gli Abellinates, alleati nella lega sannitica contro Roma, subirono
le conseguenze delle sconfitte per cui furono
costretti a cedere parte delle terre che diventarono ager romanus e a
subire l’alleanza con Roma (
Con
la guerra a fianco di Pirro (280-
In
seguito a questa profonda ristrutturazione i territori irpini furono
ulteriormente spinti nell’ambito dell’influenza campana cosa che si evidenzia nella divisione del territorio italiano, ormai
sottomesso, fatta da Augusto, quando gli Hirpini furono inclusi nella I Regio,
il Latium et Campania, e non nella IV, il Samnium11.
Anche le vicende della seconda guerra punica (
Come
si è visto le vie di accesso al territorio irpino sul
confine campano erano Nola e Castelluccia. Di queste, poiché la prima fu presa
dal console M. Marcello Claudio, che attraverso di essa
fece varie puntate contro gli Hirpini14, si deve pensare che la
seconda, Castelluccia, posta su di una via più protetta e disagevole sia
rimasta in mano al generale cartaginese, per poi essere abbandonata quando,
come dice Appiano, costui distrusse i centri che non potette difendere15.
Conseguentemente
si può collocare il territorio del flubio-rivus siccus in quell’agrum
hirpinum attraversato e devastato dal console Fulvio come ritorsione romana16.
Dopo
questa ulteriore prova di spirito di autonomia da
parte degli Hirpini, le confische territoriali romane si estesero a quasi tutto
il territorio e iniziò la vera colonizzazione. Roma infatti
occupò un vasto "ager publicus populi Romani" appartenente
soprattutto a quelle popolazioni che si erano date ad Annibale. In questo
"ager" bisogna considerare i territori degli
Abellinates17. Nell’agro picentino fu invece istituita, vicino
all’etrusca Hirna, l’importante colonia marittima di Salernum (
Bisogna
sottolineare l’importanza che acquistava
questo centro allo sbocco della valle dell’Irno a cui i Romani dettero
l’impronta di un castrum ma vi posero pure una stazione doganale
trasformandola in un'avanzata sentinella dal carattere economico e militare.
D’allora iniziò la floridezza di Salernum che non dipese solo dalla sua
posizione sul mare ma dall’essere allo sbocco delle comunicazioni con l’Irpinia
oltre che con
__________________
1. Cfr. G. Colucci
Pescatori, Osservazioni...,
pp. 125 e sgg. Per la prima volta è Plinio a citare la tribù irpina degli
"Abellinates cognomine Protropi" (Naturalis historia, III,
105) oggi identificati con gli abitanti di Abellinum.
2. Cfr. T. Salmon,
op. cit.,
pp. 229-270. Lo storico inglese fa una lucida analisi delle fonti,
razionalmente inquadrando gli avvenimenti anche alla luce degli studi seguenti,
perciò in questa parte si utilizza tale importante contributo.
3. Si sa che
durante questa guerra i consoli T. Vetrurio Calvino e Spurio
Postumio Albino penetrarono separatamente dalla Campania meridionale verso
Maleventum e che il condottiero sannita Gavio Ponzio pose i suoi uomini sulle
fortezze che dominavano il cammino dei Romani (Livio, IX e X). Non si conosce
il percorso fatto dai consoli, si può considerare solo che Roma aveva posto sotto il suo controllo Napoli quindi non aveva
da temere da questa parte della pianura campana.
4. Queste opere di
rinforzo, di cui parla Dionigi di Alicarnaso (XV, 55),
si resero necessarie sia per rispondere ai trattati di alleanza stipulati da
Roma con Neapolis, Capua e Nuceria sia per sostenere le conquiste intraprese
dai Sanniti in Lucania. Il loro mancato ritrovamento in tutto il territorio
sannita è dovuto al materiale riutilizzabile e
facilmente reperibile (T. Salmon, ivi).
5. Anche per questa
marcia le fonti citano località non identificate (T. Salmon, op. cit., pp. 271-296).
6. Livio, X, 15 e
17.
7. Tutte le tribù
sannite furono incorporate nello stato romano come civitas foederate
così pure Abellinum (Cfr. T. Salmon, op. cit., pp. 218-219 e 286-287).
8. T. Salmon,
op. cit., pp. 297-309. Livio scrive: "Fummo
dapprima [...] noi [Irpini] da soli nemici del popolo
romano poiché le nostre armi, le nostre forze potevano difenderci. In seguito
[...] ci unimmo al re Pirro..." (XXIII, 42.2, p. 523) e ancora: "Ormai non potevano
(gli Irpini) reggersi [...] ciò
nonostante non desistevano dalla lotta: con tanta tenacia difendevano la
libertà [...] e preferivano essere vinti piuttosto che
rinunziare a tentare la vittoria" (X, 31.14, p. 651). Risalta qui, pure se
attraverso il filtro liviano, il carattere di questa tribù austera ed
orgogliosa che fa leva sulle proprie forze né si annulla nell’azione degli altri
e si ha la possibilità di dare un’altra interpretazione a quanti parlano della
disposizione del popolo irpino alla ribellione, poiché la caratteristica degli
Hirpini qui appare essere invece un forte senso della propria individualità.
9. Livio, Storie,
XV e XIV.
10. Il
trasferimento avvenne per sedare una ribellione di questa tribù. L’agro picentino si estendeva dal Sele al Sarno quindi per
un tratto confinava con la valle di cui si sta parlando (Strabone, V, 4.13;
Plinio, III, 7).
11. Plinio, III, 62
e 105.
12. Livio, XXIII,
1. Dice Livio in altro luogo: "Defecere ad poenas
hi populi: Atellani, Calatini, Hirpini ecc." (XXII,
61). Da notare che in questo passo gli Hirpini sono citati come un popolo a sé.
14. Livio, XXIII,
42.
15. Appiano, Lybica,
63. Si tratta proprio di quelle piccole fortezze sulle colline di cui abbondava
il territorio sannita e irpino poiché lo storico alessandrino dice che Annibale ne distrusse ben quattrocento.
16. Livio (XXVII,
43) dice che gli Hirpini consegnarono ai Romani i
presidi cartaginesi che avevano nei loro centri.
17. Nelle Inscriptiones
Latinae liberae rei publicae a cura di A. De
Grassi (Firenze, 1963, p. 473) sono riportati i cippi indicanti le terre
assunte da Roma tra cui uno rinvenuto nei pressi di Abellinum. Nel descrivere
le terre occupate, Livio parla di rifugi sulle zone montagnose circondati da
palizzate e muri a secco - oppida et castella -, asso importante che
richiama ciò che dovette essere Castelluccia (X, 18.8).
18. Tale compito fu
dato alla colonia cittadina di Salernum dalla "Lex Atinia de coloniis
deducendis" (Cfr. livio, XXXII, 29.3; XXXIV,
45.1-2). V. pure U. Panebianco, La colonia romana
di Salernum, Salerno, 1978.
19. Cfr. U.
Panebianco, Salerno nell’antichità dalla protostoria all’età bizantina
in Aa. Vv., Profilo storico di una città
meridionale: Salerno, Salerno, 1979, pp. 25-27.
20. Cfr. W. Johannowsky,
Testimonianze materiali del modo di produzione schiavistico in Campania e
nel Sannio Irpino in L’Italia, insediamenti e forme economiche, Roma,
1981, v. I, p. 304.
|
4.
Questa situazione cambiò nel II secolo a.C. con la riforma
agraria dei Gracchi che ridimensionò il latifondo. La legge agraria permise una
graduale occupazione dell’ager publicus da parte di cittadini romani che
insediandosi nei nuovi territori ne agevolarono il
processo di romanizzazione ma nocque alle popolazioni italiche che non avendo
la cittadinanza romana non potettero godere della distribuzione gratuita delle
terre1. Di qui la guerra sociale (90-
La
colonia militare sillana di Abellinum interessa
direttamente il territorio del flubio-rivus siccus infatti il suo
confine giungeva ai monti Picentini e alla piana di Montoro5.
Parallelamente
alla trasformazione dell’Abellinum romana in una vera e propria città6,
si deve collocare lo sviluppo abitativo del bacino che si sta studiando
documentato da una serie di villae rusticae dislocate lungo la via del rivus
siccus - la più importante in località Tofola ai piedi del passo di
Castelluccia - e sparse nella parte bassa della conca
solofrana e nella piana montorese7. Esse sono legate al decollo di Abellinum come centro di traffici commerciali dei
prodotti dell’agricoltura e allo sviluppo, notevole in loco, delle attività
agricole e della pastorizia esercitata quest’ultima, come si è visto, nella
parte alta della conca. La colonia estese la sua amministrazione su una vasta
area con vici e pagi distribuiti lungo le sponde dei corsi
d'acqua e lungo le vie di comunicazione. Tra questi il pagus di Montoro
che fu dotato di personalità giuridica con compiti allargati alle vicende
edilizie e religiose8.
In
questo periodo si può ascrivere al territorio un primo abbozzo culturale infatti la conduzione della colonia innestò quelle modalità
che entreranno a far parte delle consuetudini locali9.
La
massima espansione insediativa del bacino del flubio-rivus siccus si ha
col periodo augusteo e dura fino al II secolo d.C.10.
La colonia infatti fu ristrutturata da Augusto con l’immissione di nuovi
veterani e con la sua trasformazione in colonia imperiale col nome Livia,
la moglie dell’imperatore che fu proprietaria di gran parte dell'agro irpino11.
In questo periodo si colloca nella zona un'intensa attività edilizia con il
conseguente sviluppo dell’industria laterizia della quale si hanno
testimonianze anche sul passo di Castelluccia12.
La
via di Taverna-Castelluccia entra poi nell’ampio sistema di comunicazioni
potenziato da Domiziano. Lungo il suo percorso sorgono
le romane Tabernae sia nel tratto Rota-Montoro che sul passo e oltre, fino
ad Agellum e Cesinali, attestate da dati documentari e toponomastici13.
Tutto ciò fa emergere una viva attività commerciale che si rapporta ad
Abellinum e alla funzione di collegamento, già sottolineata,
che il territorio venne ad assumere. Di conseguenza l’area fu interessata da
una vasta integrazione culturale tra elementi della pianura e dell’interno che
la ricerca archeologica e gli studi hanno messo in
rilievo14.
___________________
1. Cfr. E. Pais, Storia
della colonizzazione di Roma, Roma, 1904, pp.
10-15.
2. Questa tribù non
è nell’elenco che Appiano fece degli insorti dove sono invece citati i
Samnites-Hirpini (B.C.,
39, 175).
3. La colonia
inglobò
4. E. Pais, Le colonie militari e le assegnazioni agrarie di Silla
e dei pompeiani in "Atti della Reale Acc. di
Arch., Lett. e Belle Arti", VIII, Napoli, 1924,
pp.3 e sgg. Gli Abellinati non godevano la pienezza del ius quiritum per
cui furono politicamente inferiori ai coloni ma potettero convivere
pacificamente con essi come "incole" con i loro antichi diritti.
Abellinum ebbe un assetto costituzionale e ciò potrebbe
significare che ottenne lo status di municipio romano prima delle altre
comunità irpine (Cfr. F. Sartori, Problemi di storia
costituzionale italiana, Roma, 1945, p. 114 n. 26).
6. Cfr. E. Gabba, op.
cit., pp. 73-112; F. Barra, Atripalda. Profilo
storico, Atripalda, 1985, p.14.
7. Cfr. G. Colucci
Pescatori, L’alta valle...,
p. 139; F. Scandone, Storia..., I, I, pp. 42 e sgg.
8. Cfr. F.
Scandone, Storia...,
I, I, pp. 34-65. Molte testimonianze dimostrano la realtà romana di
Montoro del cui pagus facevano parte le villae di S. Agata, il che
spiega il costituirsi del polo di gravitazione su questo centro. Vale la pena
ricordare che Montoro ha restituito importanti iscrizioni fra cui proprio
quella della colonia Ven(eria) Livia Aug(usta) Alexandrian(a) Abellinatium
(Cfr. T. Mommsen, Corpus Inscriptionum Latinorum, X, n. 1117).
9. Sarebbe utile
approfondire i regolamenti per i pascoli del demanio, istituiti dalla Lex
agraria (di cui parla Varrone), i tentativi di sfruttare i conduttori di
greggi (di cui parla Cicerone nel Por Cluentio), i tributi dell’a-rationibus
(di cui parla Stazio nelle Silvae) e la loro ripartizione con
anticipo dei pagamenti per cogliere l'influsso romano sulla comunità locale. Comunque si deve considerare fin da ora quell’attività,
individuata tra i pastori sanniti e legata all’uso antico del cuoio, che nel
mondo romano divenne la materia prima essenziale per l’abbigliamento militare
oltre che per la confezione di quasi tutti i tipi di calzature (Cfr. G. A.
Bravo, op. cit., p. 107), attività che
costituirà l’uniformità culturale dell’area solofrana.
10. Cfr. G. Colucci
Pescatori, L’alta valle...,
p. 140.
11. Cfr. A. Sirago,
12. Cfr. G. Colucci
Pescatori, Osservazioni...;
Id., L’alta valle..., p. 140. Il toponimo fornaci del passo di
Castelluccia, indicante un luogo antico per la cottura dei mattoni, si collega
all’abitudine dei Romani di impiantare l’industria laterizia nei pressi dei
loro insediamenti.
13. Citazioni delle
tabernae in territorio montorese sono in F. Scandone, Documenti per
la storia dei comuni dell'Irpinia, Avellino, 1956, pp. 376, 383, 385, 388,
391. Si considerino inoltre i menzionati toponimi del passo e quello di Tavernola
di Aiello (Cfr. IGM).
14. Cfr. O.
Onorato, op. cit.;
G. Colucci Pescatori, Osservazioni..., p. 132 n. 6; G. Devoto,
Scripta minora, I, Roma, 1958, pp. 287 sgg.; E.
Gabba, Mercati e fiere nell’Italia romana in Aa. Vv.,
Studi classici e orientali, Pisa, 1975.
|
Notevoli
furono le conseguenze culturali ed economiche di questi innesti soprattutto ad
Abellinum dove si creò "un ambiente religiosamente evoluto e
cosmopolita" aperto a nuove immissioni e maturo
per "recepire il messaggio evangelico" da farne "la prima città
ad avere una cospicua comunità cristiana"4.
Tra
le famiglie impiantate dall’Oriente c’era quella di S. Ippolisto, il primo
predicatore e martire abellinate5. L’eco delle sue predicazioni e
del suo martirio durante la grande persecuzione
diocleziana, che travagliò tutta l’area dell’alto corso del Sabato, non potette
non giungere al di qua di Castelluccia anche in relazione al rinnovamento
religioso che la sopraggiunta comunità ebraica aveva determinato a Salernum6.
Gli
eventi del sempre crescente cristianesimo abellinate, le persecuzioni pagane
che arricchiranno di martiri le cantine di una villa sulla riva destra del
Sabato fuori le mura di Abellinum, la sua apertura
alla venerazione del pubblico col nome di Specus martyrum alla fine
delle persecuzioni (313 d. C.)7, furono eventi così incisivi e pervasivi
per una comunità in piena espansione, che fece della città una delle prime
diocesi della cristianità8, che non potettero non avere una vasta
eco.
In
questo quadro può spiegarsi l’impianto ai piedi della rocca di Castelluccia del culto di S. Agata9 che potrebbe essere giunto
portato dagli Orientali, amici, parenti delle famiglie trasferite da Alessandro
Severo o anche dai veterani di Diocleziano o soltanto da proseliti. Tutti
costoro nel tragitto verso l’Italia sbarcavano nel Brutium per risalire
poi la penisola. Qui questi primi cristiani, che fuggivano alle persecuzioni
orientali senza rinunziare all’opera di diffusione della nuova religione,
vennero a contatto con la martirologia limitrofa - in questo caso il martirio
della vergine catanese - portandosene il ricordo e la venerazione nei loro
spostamenti10.
Quando
con la fine delle persecuzioni lo Specus martyrum fu aperto al pubblico si diffuse, nell’ampio territorio facente capo alla
"prospera" e "popolosa" città di Abellinum, non solo il
culto dei martiri abellinati ma anche quello dei martiri dell’epoca. La città infatti fu sede diocesana di tutto il suo territorio11.
In
questo periodo la colonia fu interessata al restauro dell’acquedotto romano12
quindi mantenne vitalità e presenza. Se si considera la partecipazione del vescovo abellinate Timoteo al
Sinodo di Roma nel 499 d. C.13, la figura di S. Sabino14,
le epigrafi e le lapidi che dimostrano Abellinum attiva fino alla prima metà
del secolo seguente15, il fatto che l’Irpinia rimase fuori dalle rotte dei Visigoti e dei Vandali, si può
considerare la colonia vitale anche durante la dominazione degli Eruli
(476-493) e degli Ostrogoti (493-526) che non recarono danni nel Mezzogiorno16
quindi fino al VI secolo17, cioè alle distruzioni di Totila e alla conseguente
guerra greco-gotica.
Il
territorio delle villae rustiche di S. Agata e Montoro durante questo
periodo risentì del generale cedimento della economia
con la rarefazione della popolazione ma la vita non scomparve, si ridusse solo,
come in tutte le aree romane, alla sussistenza della curtis che con
l’avanzare della crisi divenne sempre più autonoma fino a definirsi come
sistema economico, che si chiamò curtense.
In
seguito alle distruzioni di Totila, quando le genti della zona trovarono scampo
sui monti, anche nella conca del flubio-rivus siccus si ebbe l’abbandono
delle villae la cui tipologia trasmigrò sulle balze pedemontane come
dimostrano le cortine dei due arroccamenti dalle significative
denominazioni di Cortina del cerro e Le cortine, quest’ultima
posta su una balza del monte S. Marco poco distante, ma in posizione
naturalmente difesa, dalla villa di Tofola e come dimostra la pieve
di S. Maria e S. Angelo del locum Solofre, una chiesa rurale
dell’alto medioevo, sorta negli anni bui per sostenere i bisogni religiosi
delle popolazioni sparse e che nel territorio alle spalle di Salerno ebbe una
caratterizzazione propria, come si vedrà18.
Tali
arroccamenti furono in grado di attraversare i lunghi anni della guerra
greco-gotica (535-555), combattuta proprio sulla pianura tra Salerno e il
Sarno, fino ad aprirsi alla nuova vita che veniva dalla Salerno bizantina prima
e longobarda poi e a riversare su di essa la ricchezza
del proprio portato.
_____________________
1. Cfr. F. Scandone,
Storia...,
I, I, Appendice I, pp. 44-45.
2. Cfr. N. Gambino,
Culti orientali nell’Irpina romana in "Civiltà Altirpina", VI
(1981), pp. 21-30; Id., La presenza di orientali
nell’Irpinia romana, ivi, VII (1982), f. 1-2, pp. 31-40; Id., Culti
orientali nella valle di Ansanto, ivi; v. pure F. Cumont, Le religioni
orientali nel paganesimo romano, Bari, 1967, p. 158. Non solo l’emigrazione
coloniale ma anche le vie del commercio con la vicina Salernum determinarono la
presenza di Orientali in Irpinia.
3. Il sole, come
simbolo di Solofra, presente non solo nella tradizione popolare, da tempo
antichissimo è elemento essenziale dello stemma della cittadina. Sulle colline
di Montoro il toponimo lunara testimonia un culto alla luna anch’esso,
come tutti quelli legati agli astri, di origine
orientale.
5. Ibidem.
V, pure G. A. Galante, Il cemetero di S. Ippolisto
martire in Atripalda, Napoli, 1893. Educato in Oriente
Ippolisto viaggiò spesso tra Antiochia ed Abellinum (Acta Sanctorum,
Maii, I, 41).
6. Cfr. U.
Panebianco, Salerno nell'antichità..., pp. 25 e
sgg.
7. Cfr. L. Cassese,
Lo "Specus martyrum" di Atripalda,
Avellino, 1930; F. Scandone, Storia..., I, pp. 95 e sgg. Furono
seppelliti nello Specus martyrum Ippolisto, Sabino e Romolo.
8. Cfr. G. Lanzoni, Le diocesi d'Italia dalle origini al principio del sec.
VII (a.604), Faenza, 1927, II, pp. 239-242.
9. Vale la pena
ricordare l'impianto toponomastico del termine sancta Agathe (v. infra)
attestato in seguito e non riferito al solo abitato, infatti
il radicamento evidenzia una caratteristica religiosa di tutta la zona.
10. Cfr. F. Barra,
op. cit., pp. 21 e sgg.; S. Borsari,
La bizantinizzazione religiosa del Mezzogiorno d’Italia in
"Archivio storico per
11. Cfr. F. Barra, op.
cit., pp.21-24; G. Lanzoni, op. cit.
12. Cfr. G. Colucci
Pescatori, L’Alta valle...,
p. 141.
13. Cfr. F.
Ughelli, Italia sacra, VIII, 191.
14. Cfr. F. Barra, S.
Sabino vescovo: un santo tra la gente in "Atripalda oggi", 16-9-89. Discendente da una delle più antiche e importanti
famiglie di Abellinum Sabino visse tra la fine del V e
gli inizi del VI secolo d.C. Fu vescovo della città evangelizzata già alla fine
del III secolo.
15. Cfr. F.
Scandone, Storia.., I, II, Appendice II,
XIX, pp. 149-151.
16. Cfr. F.
Bartolini, Storia delle dominazioni barbariche in Italia dal 395 al 1024, I, Milano, 1878.
17. "Emissioni
monetali e classi ceramiche documentano Abellinum attiva fino al VI secolo
(553-558)" (G. Colucci Pescatore, L'alta valle..., p. 141. V. pure F. Scandone, Storia..., I, II,
Appendice II).
18. I temi qui
citati sono definiti al cap. II.
|
Per
continuare la lettura vai al
Capitolo
secondo
Influssi bizantini e realtà
longobarda.
Capitolo
terzo
Parte
seconda
La conca del flubio-rivus
siccus nella carte di Cava e di Montevergine.
Appendice documentaria: documenti longobardi
Per
approfondire vai a
|
Abbreviazioni
ABC |
Archivio della Badia di Cava. |
AD |
Appendice documentaria. |
ASA |
Archivio di Stato di Avellino (Protocolli notarili). |
ASPN |
Archivio Storico delle Province Napoletane. |
ASPS |
Archivio Storico Province Salernitane. |
CB |
Catalogus Baronum, Commentario a c. di E. Cuozzo, 1984. |
CDC |
Codex Diplomaticus Cavensis, I-VIII, 1873-1893; IX,1984; X, 1990. |
CDS |
Codice Diplomatico Salernitano, Salerno, 1931 |
CDV |
Codice Diplomatico Verginiano, 1977-1993. |
HB |
Huillard-Bréholles, J-L.-Alphonse, Historia diplomatica Friderici secundi, I-VI, 1852-1861. |
IGM |
Istituto Geografico Militare, Carta Topografica programma-tica regionale, Campania, tvv. 25 e 33 quadrante 185 I e II. |
PII |
Parte seconda: La conca del flubio-rivus siccus nelle carte di Cava e di Montevergine. |
RNAM |
Regii Neapolitani Archivii Monumenta, I-VI, 1845-1861. |
|
|