Lettura del primo capitolo. Cinque paragrafi con note in calce. 

Alle radici di Solofra

 

Capitolo primo

 

PRESENZE SANNITICHE E ROMANE NEL BACINO DEL FLUBIO-RIVUS SICCUS.

 

1. La conca di Solofra, posta tra i contrafforti dei monti Picentini, sbocca, attraverso il raccordo di Montoro, nella piana di S. Severino, che, facendo da collegamento tra i bacini del Sarno e dell’Irno, forma un importante e vitale nodo della pianura campana, là dove si è realizzato più intensamente il rapporto tra la montagna e la pianura che ha avuto un ruolo centrale nella storia della regione1 e che è stato un paradigma costante anche nella storia di Solofra.

Il territorio idrograficamente appartiene al bacino del Sarno di cui è tributario il suo corso d’acqua - l’odierno torrente Solofrana - che nel Medioevo era chiamato flubio nel territorio di Solofra2, rivus siccus nella piana di Montoro3 e saltera da Rota (S. Severino) fino alla confluenza nel Sarno4.

Il bacino del flubio-rivus siccus5 è costituito, nella sua parte alta, dalla conca solofrana delimitata da due strutture naturali - lo sperone roccioso di Castelluccia, a nord-ovest su una balza del monte S. Marco, e la collinetta di Chiancarola, a sud-ovest6 - e aperta su uno stretto fondo vallivo che poi si allarga nella bassa pianura di Montoro. Questa conformazione morfologica ha dato al corso d’acqua il ruolo importante di via naturale di penetrazione fin da quando i greti dei fiumi venivano usati come vie di transito transumantico7.

Il fatto che tale corso d’acqua fosse nello stesso tempo una strada e un fiume è riscontrabile in una testimonianza documentale. In località Montoro infatti lo stesso è chiamato flubio riu sicchum8 con ripresa del sostantivo usato, per lo stesso, in territorio solofrano. La doppia denominazione si riferisce alla consistenza della portata d’acqua (flubio) e al fatto che esso diventava in pianura, dopo le piene primaverili, anche riu sicchum perché lasciava un vasto greto9.

Il fiume riceveva nel territorio di S. Agata l’apporto idrico del vallone dei granci che divide a nord-ovest il complesso Pergola-San Marco dalle colline di Montoro10 e dal quale si accedeva al passo di Taverna-Castelluccia. Il valico, che si trova con questa denominazione nella tradizione orale11, ha una toponomastica - fornaci, campo castello, sferracavallo, taverna dei pioppi - che lo caratterizza come tale12. Esso interessa un ampio spazio sulle colline di Montoro infatti le vie legate alla transumanza coprivano vaste estensioni.

La via del rivus siccus-vallone dei granci-passo di Taverna-Castelluccia, dominata dallo sperone roccioso di Castelluccia, insieme a questo costituiva una struttura viario-difensiva al servizio di due bacini, la valle dell’Irno e quella del Sabato, di cui era l’unico passaggio naturale13. Veniva a far parte di quel sistema di transito, determinato dalle caratteristiche morfoidrografiche dei territori che ha Û interessato in età arcaica tutta l’Italia centro-meridionale e nel quale l’Irpinia ha costituito una rotta obbligata tra le zone pianeggianti del Tirreno e quelle dell’AdriaticoÜ 14.

Il bacino del flubio-rivus siccus insomma, trovandosi su questa direttrice di transito, nel caso specifico su quella che dalla valle del Sabato portava verso la fascia costiera campana (è uno di quei casi in cui la conformazione morfologica del territorio ha determinato lo sviluppo storico), fu necessariamente interessato ai trasferimenti transumantici.

I dati archeologici di ritrovamenti di età preromana e romana in tutto il bacino che stiamo considerando15 permettono di collocare la via del rivus siccus in età sannitica16 e di identificarla con la sua successiva trasformazione nella romana "via antica, qui badit ad sancta Agathe"17 attestata nell’alto medioevo18. La via giungeva, passando per il crinale Aiello-Cesinali ad Abellinum, dove l’indagine archeologica ha individuato la traccia di una strada in direzione nord-sud proprio sulla traiettoria indicata19. La stessa denominazione del passo conserva nell’aggregato Taverna-Castelluccia l’impronta sannitico-romana20.

La strada è una parte del raccordo della Capua-Rhegium che portava a Benevento dalla valle dell’Irno tramite Abellinum citato negli Itineraria Romana21, un tratto della via istmica o greca di cui parla il Periplo dello pseudo Scilace che in due giorni e due notti congiungeva il Gargano al mar Tirreno passando per l’Irpinia22.

L’ultima sua citazione documentale la dice "incongrua ad andandum"23. Siamo nel 1102 quando il luogo ha subito le devastazioni del normanno Troisio di Rota24 per cui è facile pensare ad un suo insabbiamento. Le comunicazioni con Serino in età longobarda già avvenivano, evitando gli impaludamenti del territorio di S. Agata-Montoro, attraverso il passo di Turci mentre dalla valle del Sabato, dove nel frattempo era sorta Avellino, si giungeva in quella dell’Irno attraverso Forino25.

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1. Cfr. G. Galasso, Motivi, permanenze e sviluppi della storia regionale in Campania, Napoli, 1972.

2. AD, 9. Intenzionalmente il notaio usa, riferendosi al corso d’acqua. il termine flubio ("un corso d’acqua perenne con sostanziosa portata d’acqua", Forcellini, Lexicon, s.v.) per distinguerlo da altri apporti fluviali della conca indicati invece col termine rivus. V. anche AD, 6. Questa denominazione costituirà un toponimo indicando persino un casale sorto proprio intorno al corso d’acqua (ASA, B 6522 e sgg.).

3. I documenti del CDC permettono di seguire il corso d’acqua dal territorio di S. Agata-Montoro fino a S. Severino. Cfr. AD infra.

4. CDC, I, 204; ib., II, 268; ib., III,13; ib., IV, 66; ib,. V, 147; ib. ,VI, 172; ib., VI, 247; ib., VII, 73; ib., VII, 102-106; ib., VII, 97; ib ,VII, 141-142; ABC, Arc. I, n. 55; CDV, I, 34.

5. Cfr. IGM. Nella cartina topografica il citato corso d’acqua reca la denominazione odierna, appunto "Solofrana". Tutti gli altri elementi geografici che si citeranno sono invece individuabili in essa.

6. Ibidem. Castelluccia e Chiancarola costituiscono due importanti elementi della conca sulla piana di Montoro.

7. I Sanniti, come tutte le popolazioni italiche, avevano il costume di usare i corsi d’acqua come tratturi transumantici o vie di comunicazione (Cfr. T. Salmon, Il Sannio e i Sanniti, Torino, 1985, pp. 22-25 e 72-74; G. Devoto, Gli antichi italici, Firenze, 1931, pp. 63 e sgg. V. pure E. Pais, Ricerche storiche e geografiche dell’Italia antica, Torino, 1908).

8. Cfr. AD, 1.

9. In una pergamena dell’ABC (Arca, XXIII, 36) si legge, riferito allo stesso, "rivus per quod ver[is] tempus aqua fluit". Un’ampia documentazione testimonia, fino a tempi recenti, gli straripamenti nella zona (ASA, B 6522 e sgg.).

10. Cfr. IGM. La portata d’acqua dell’invaso doveva essere notevole se nel XVI secolo si incontra ancora la denominazione "fiume delli granci" (ASA, B6529, f.96).

11. Nei pressi del castello di Montoro (che non dista da Castelluccia) c’è una località detta a le Taberne che potrebbe spiegare tale aggregato (Cfr. F. Scandone, Documenti per la storia dei comuni dell'Irpinia, Avellino, 1956, pp, 376-377).

12. Cfr. IGM. Per l’analisi dei citati toponimi v. infra.

13. Ibidem. Fino all’utilizzo dei passi di Forino e di Turci tra le due valli non c’era altro immediato passaggio.

14. Cfr. T. Salmon, op. cit., pp. 19-32.

15. Pur se il materiale di questi ritrovamenti, che giace presso i depositi della Sovrintendenza Archeologica di Salerno e Avellino e che risalgono alla metà degli anni settanta, non ancora è stato utilmente studiato, il dato, almeno nel senso globale, viene usato negli scritti degli studiosi ai quali ci si riferisce e cioè: G. Colucci Pescatori, L’alta valle del Sabato e la colonia romana di Abellinum in Aa.Vv., L’Irpinia nella società meridionale, II, Avellino, 1987, pp. 139-141; M. Romito, I cinturoni delle necropoli sannitiche di Carife in L’Irpinia..., pp. 125-138; W. Johannowsky, Note di archeologia e topografia dell’Irpinia antica in L’Irpinia..., pp.103-108. I ritrovamenti sono stati descritti da F. Guacci (Preistoria e storia nella valle solofrana, Avellino, 1979, pp. 131-141) e V. D’Alessio (Le civiltà sepolte alle porte dell’Irpinia, Avellino, 1982, pp. 37-74).

16. Cfr. G. Colucci Pescatori, L'alta valle...; Id., Osservazioni su Abellinum tardo-antica e sull’eruzione del 472 d.C. in Tremblements de terre éruptions volcaniques et vie des hommes dans la Campanie antique, Naples, 1986, pp. 121-128; W. Johannowsky, op. cit.; G. Gangemi, Osservazioni sulla rete viaria antica in L’Irpinia ..., pp. 117-122. In questi studi la via è collocata in modo generico sulle colline di Montoro, solo la Colucci Pescatori individua il passaggio ad "ovest del monte Pergola". V. pure il precedente G. Onorato (La ricerca archeologica in Irpinia, Avellino, 1960, p. 39) che ipotizza nella zona di Serino il passaggio delle popolazioni nella loro marcia verso il salernitano e la piana di Pesto.

17. AD, 2. La via corre lungo il rivus siccus da Rota (CDC, II, 145) a Montoro (AD, 4, 5, 7, 8, 10, 27) fino a Trocclati dove la stessa "pergit ad sancte Agati" (AD, 17). Potrebbe essere la stessa via antiqua citata in ABC (Arm., I, 9) nei pressi della ecclesiam sancti Ypolisti in direzione sud.

18. Nei documenti il toponimo sancta Agathe si riferisce ad un vasto spazio comprendente sia le balze del S. Marco con le colline di Banzano (Montoro) che la zona pianeggiante fino a Chiancarola (V. PII, p. 2).

19. Cfr. G. Colucci Pescatore, Osservazioni…, p. 123. La strada, non ancora messa in luce pienamente, parte dall’antica necropoli di via Cesinali.

20. Il toponimo Castelluccia è di origine italica: dall’umbro-osco castru (O. Pianigiani, Vocabolario etimologico, Napoli, 1988, p. 250, c. II).

21. K. Miller, Itineraria Romana, Stuttgart, 1916, pp. LVII-LVIII, 371, 376-377. Nella Tabula Peutingeriana è citato il tratto Beneventum-Abellinum-Salernum come raccordo tra l’Appia e la Capua-Rhegium attraverso la valle dell’Irno. Altra citazione è nell’Itinerarium Antonini. In queste opere però non è indicato dove avveniva il passaggio dalla pianura alle spalle di Salerno alla valle del Sabato. V. pure G. Pescatore, L’alta valle…, p. 139; W. Johannowsky, Note…, cit.; G. Gangemi, Osservazioni., cit.

22. Cfr. N. Fierro, Gli stati tribali irpini in epoca sannitica e romana in "Rassegna storica irpina", 5-6(1992), p. 20.

23. Cfr. AD, 17. V. pure qui la n. 9.

24. Cfr. F. Ughelli, Trogisius de Rota, VII, c. 383. V. pure cap. 3, par. 1 e infra.

25. La dizione Taverna-Castelluccia è rimasta nel linguaggio popolare perché il passo continuò ad essere al servizio del luogo (ASA, B 6566, III, 223r).

 

 

 

 

 

 

 

2. Tra i rinvenimenti di epoca protostorica ed arcaica nell’alto corso del flubio-rivus siccus il più importante è costituito dalle tombe di Starza di Solofra1 che permettono di porvi in relazione un corrispondente abitato.

Il sito è posto al centro della conca tra due invasi in posizione dominante la confluenza degli apporti idrici dei monti circostanti ed è facilmente raggiungibile dalla via del rivus siccus. Tutto ciò richiama perfettamente l’uso sannitico di costruire insediamenti su colline protette dai fiumi e servite dalle vie naturali di transito che, come si è visto, "furono i percorsi della transumanza e saranno gli itinerari degli scambi"2 e permette di trovare anche il punto di riferimento, immancabile in ogni insediamento sannitico, e cioè quella arx che in genere è un’altura con semplici terrapieni fatti di un misto di sassi, di terra e palizzate di legno cioè una fortezza arroccata e sorta per necessità strategica e a servizio del territorio circostante3. La roccaforte naturale di Castelluccia corrisponde esattamente a questo elemento essenziale degli insediamenti sanniti4.

Altro elemento difensivo lungo il corso d’acqua, di cui si sta parlando, si può individuare sulle colline tra Montoro e S. Agata nei toponimi serra e serroni5,che richiamano tipici luoghi di difesa: le serre dislocate all’interno del territorio dei Sanniti. Lungo lo stesso fiume inoltre il toponimo Aterrana contiene al riguardo un ulteriore elemento, questa volta greco-sannita, perché in area d’influenza ellenica6. Infine il toponimo Solofra, che il glottologo Giovanni Alessio in uno studio del 1943 assegna al-l’italico affine al latino saluber-salubris7, si colloca bene in questa area culturale restando nella quale si può considerare il fatto che un gruppo che affida ad un territorio i propri cari non può non accomunarlo, almeno nel nome, alle divinità del proprio olimpo. Tra queste c’è Feronia una ninfa dei boschi e delle acque il cui culto era molto diffuso tra gli italici e i cui attributi - salus et frugifera - si ritrovano perfettamente nella conca8.

Anche la tipologia insediativa di tipo vicanico, proprio di questo popolo italico, che caratterizza ancora la valle di Montoro (come quella del Sabato), esprime l’impronta sannita che questa zona ha conservato9. La stessa economia agricolo-pastorale ("montani atque agrestes" dice Livio), quella attività cioè nello stesso tempo montanara e agreste permessa dalle dolci balze pedemontane, che davano a questi gruppi la possibilità di "abitare in villaggi sui monti"10, è facilmente collocabile nei territori medio-alti della conca dove tale doppia caratterizzazione è rimasta fino a tempi recenti11.

Se a tutti questi elementi, che sottolineano l’impronta sannita del luogo, si aggiunge la considerazione della diversa età delle tombe di Starza di Solofra12 e si tengono presenti l’etimo zoomorfo di toro13 indicante un’ampia zona a valle di Starza e la costumanza delle "primavere sacre", che permetteva alle nuove generazioni di emigrare sotto la guida di un animale sacro14, si può ipotizzare la possibilità di uno stanziamento in loco di un gruppo avente l’insegna del toro, cioè del gruppo originario citato da Strabone, prima dell’ondata trasmigratrice degli Hirpini, la tribù sannita della regione del Calore e del Sabato che aveva invece come insegna il lupo15.

Questa popolazione del ceppo italico e di parlata osco-umbra, stanziatasi tra il VI e il V secolo nell’ampia regione montuosa tra il Sangro e l’Ofanto, che si chiamerà Samnium, nei suoi spostamenti "tra l’intrico di monti e bacini inframontani alla ricerca di terre fertili", giunse fino alle ultime propaggini dell’Appennino sulla pianura campana da una parte e su quella appula dall’altra16.

Da questi contrafforti - tra i quali ad ovest si apre, sulla pianura tra Salerno e Nocera, la valle del flubio-rivus siccus - i primi Sanniti difendevano i loro insediamenti e i territori interni.

La rocca di Castelluccia - una statio naturalmente fortificata in funzione della viabilità si è visto - si configura come uno di questi punti strategici sanniti. Essa, che con Chiancarola17 completa il sistema difensivo della conca, la trasformava in un rifugio per quelli che provenivano dalle pianure dell’Irno e del Sarno molto più sicuro di altri bacini vallivi in questa parte della Campania.

Tutto il bacino insomma era un elemento di grande importanza strategica nel sistema difensivo al confine meridionale del territorio sannita. Nello stesso tempo assolveva, con il punto chiave di Castelluccia facilmente raggiungibile dall’interno, la funzione di controllo e di protezione dei primi tentativi sanniti di penetrazione, lungo la sua valle ben protetta, verso la pianura campana quando dopo il VI secolo a.C. si indebolì la presenza etrusca in Campania18. Durante tutto il V secolo infatti i Sanniti-Hirpini procedettero "in direzione di mezzogiorno fino alla valle del Sele" in un’ampia azione di occupazione della pianura campana fino a che tutta la regione, che va da Salerno all’Adriatico, "fu da essi unificata più che militarmente, linguisticamente e civilmente"19.

L’ampia confederazione sannita della pianura ebbe infatti legami poco solidi e ciò permise ai focolai greci ed etruschi della Campania di influenzarne la koinè specialmente nella parte del territorio a suo più diretto contatto20.

Il bacino del flubio-rivus siccus, che era la parte più occidentale del territorio degli Hirpini a contatto con le confederazioni della pianura e cioè tra i Picentes della valle dell’Irno e gli Alfhateni della valle del Sabato, ebbe segni di questo processo di integrazione21.

Si può a conclusione di questo tratto riassumere che il bacino considerato fu interessato in modo non sporadico dalla presenza sannita con unità abitative in funzione della struttura difensiva naturale di Castelluccia, a partire dal periodo delle trasmigrazioni fino all’incontro con i Romani.

 

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1. I ritrovamenti avvennero in due momenti: nella parte bassa della collina di Starza, nel dicembre del 1975, e nella parte alta, nel settembre del 1976. Cfr. "Il Campanile", VI, 12(1975) e VII, 2(1976). I due giacimenti insieme disegnano sul luogo una necropoli che doveva occupare parte della collina. Il termine starza, ricorrente nella toponomastica sannita, indica un luogo di stazionamento. V. tra tutti l’importante stazione sannita La Starza di Ariano Irpino.

2. T. Salmon, op. cit., pp.56 e sgg.

3. Ibidem. L’arx veniva scelta in base alle possibilità di difesa che offriva.

4. La posizione di Castelluccia e il suo toponimo richiamano un’analoga località sulla riva destra del Sabato ad essa opposta - Castelluccio di S. Stefano del Sole - dove sono venute alla luce testimonianze arcaiche (Cfr. G. Colucci Pescatori, Il mondo italico in Il museo irpino,Avellino,1984, p.31).

5. Cfr. IGM. V. pure PII, par.2.

6. Ibidem. "Aterrana" da a priv. greca e teerum attestato in area italica e celtica (O. Pianigiani, op. cit., p. 1424). Anche l’area di Montoro ha restituito testimonianze di età preromana.

7. Cfr. AD, 32. V. pure Dizionario di toponomastica, Torino, 1980, s. v.

8. Anche la denominazione dei monti a sud, le creste dei Mai, richiamano la ninfa italica Maia che rappresenta il principio della vita e la primavera. Restando nel campo della toponomastica e tenendo presente il culto italico delle piante, attestato in età storica, si possono considerare i toponimi sorbo e balsami indicanti antichi casali alti, cerro (un tipo di quercia) e balle de la mela, documentati in età altomedioevale, e ancora cerzeta e sambuco; tenendo invece presente il culto italico degli animali c’è in loco il toponimo volpi.

9. L’uso di abitare distribuiti in casali, vicatim, è descritto da Livio (IX, 13.7) e da Strabone (V, 4.11).

10. Livio, Storie, IX, 13.7, Torino, 1979, p. 449.

11. Cfr. PII, p.1 e ASA B6522 e sgg. Il toponimo caprai, indicante un luogo sulle prime falde ad est, dimostra l’impianto in loco di un’attività di allevamento. Vale la pena qui considerare che la struttura economica prevalentemente pastorale portava i Sanniti a usare la lana e a commerciarla. Essi altresì adoperavano il cuoio per i bisogni quotidiani e le necessità di guerra per cui dovevano conoscere la pratica di fermare la decomposizione della pelle. Nei tempi antichi infatti "ciascun individuo preparava il cuoio per il proprio uso e con esso confezionava per sé e per la famiglia calzature, vestiti, legacci, scudi , ecc." (G. A. Bravo, Storia del cuoio e della concia, Torino, 1936, p. 104). Una traccia di questa attività può individuarsi in un toponimo di una località non distante da caprai, "campo del lontro" essendo il lontro un termine usato nel napoletano per indicare una vasca per la concia delle pelli (Cfr. S. De Renzi, Guida medica per la città di Napoli e pel regno, Napoli, 1838, p. 266).

12. Anche se uno studio sistematico sul materiale restituito dalle tombe non è stato ancora fatto, i ritrovamenti misero in risalto due modalità di sepoltura: le prime atte a ricevere un corpo in posizione supino-rattratta e quindi più antiche, le seconde più ricche col corpo in posizione supino-distesa.

13. Il termine deriva dall’umbro turu (O. Pianigiani, op. cit., s.v.). Il linguista Alessio osserva come au nell’Italia meridionale si conservi e non dia o, ciò consente di assegnare il toponimo toro a torus e non a tauro (Dizionario di toponomastica, cit., p. 658 alla v. toro). Le fonti storiche chiamano con varie derivazioni i territori occupati dai Sanniti e protetti da questo animale sacro.

14. Era il fenomeno della transumanza regolato anche religiosamente (Cfr. M. Puglisi, La civiltà appenninica. Origini delle comunità pastorali in Italia, Firenze, 1959, pp. 31-41; G. Devoto, op. cit., pp.109 e sgg.).

15. Bisogna tenere presente che quando questi gruppi si stabilivano in una nuova regione non costituivano unità sociali chiuse né il loro numero era alto (T. Salmon, op. cit., p. 31) per cui può essere corretta l’ipotesi di un gruppo sannita, stabilitosi nella zona dominata da Castelluccia, precedente quello irpino.

16. T. Salmon, op .cit. ,pp. 37-46; G. Devoto, op. cit., pp.109 e sgg. "Nel V secolo a.C. scesero i Sanniti nella pianura fino alle rive del Sarno dove dominarono la loro lingua e i loro costumi fino alla latinizzazione" (Cfr., J. Beloch, Campania, Roma, 1964, p. 274).

17. Cfr. IGM. Questo toponimo richiama altri in territorio sannita: Chianche di Cesinali e nella valle del Miscano sulla via Traiana tra Beneventum e Aequum Tuticum e Chianchetelle, un posto di guardia sul Sabato.

18. Cfr. M. Pallottino, Etruscologia, Milano, 1955, pp. 50-70.

19. G. Devoto, op. cit., pp. 109-129; v. pure T. Salmon, op. cit., pp. 38-46.

20. Il centro etrusco più vicino era Hyrna (Fratte) (Cfr. "Rassegna storica salernitana", I, 6, 1937, pp. 181-182; B. D’Agostino, Il mondo periferico della Magna Grecia in Popoli e civiltà, II, Roma, 1974, pp. 177-271).

21. Gli elementi ricavati dall’analisi del materiale tombaceo restituito dai giacimenti di Starza di Solofra aggiunti alle modalità di inumazione e a quelle di altri ritrovamenti più a valle insieme ad considerazioni di ordine generale connotano la zona nell’area di influenza greco-etrusca.

 

 

 

 

 

 

3. Alla metà del IV secolo a.C. i Sanniti avevano raggiunto una tale compattezza che fu inevitabile lo scontro con Roma protrattosi per tutto il III secolo.

Le guerre sannitiche furono in parte combattute in Irpinia, interessando tra l’altro le sue zone di confine con la Campania, perciò esse non potettero non avere come teatro la via del rivus siccus e il punto strategico di Castelluccia attraverso cui si giungeva in quella parte del territorio della tribù sannita degli Hirpini occupata dagli Abellinates che aveva come centro fortificato l’oppidum Abellinatium1. Castelluccia era l’unico punto di difesa su questo tratto del confine e, per la sua accessibilità dall’oppidum, può configurarsi come un suo presidio difensivo. Considerando che le fonti storiche sono prive di dati topografici o citano località tuttora non identificate e tenendo presente che verso la metà del IV secolo a. C. in Campania esistevano località di cui non si conosce la sede, si può ritenere tra queste il bacino del flubio-rivus siccus.

Definita la realtà sannita del territorio, si cercherà di inquadrarlo negli avvenimenti che videro i Sanniti contro i Romani.

Se la prima guerra sannitica (343-341 a.C.) non toccò il territorio irpino fu durante il secondo conflitto (327-304 a.C.) che Roma ebbe maggiori contatti con la terra degli Hirpini quando le fortezze sannite del confine campano furono interessate agli scontri specie in occasione della battaglia di Clodio2. In questo quadro si può ragionevolmente considerare il passo di Castelluccia tenendo presente che sulla via di accesso al territorio degli Hirpini per chi veniva dalla Campania meridionale, la Capua-Rhegium, si trovava da una parte la filosannita Nola dall’altra Castelluccia3.

Con la terza guerra sannitica o prima guerra italica (298-290 a. C.), combattuta nel Sannio irpino, il fronte tirrenico fu interessato da una vasta opera di rinforzo delle fortificazioni sannite sulle zone montuose4. E durante tutto il conflitto esso fu continuamente attraversato dalle armate romane che attaccarono quelle fortezze tra cui la stessa Abellinum5.

Il territorio che si sta considerando dovette poi essere colpito dalle distruzioni che seguirono: Livio parla di più di cento villaggi fortificati devastati e di molti luoghi conquistati da Postumio Megello per controllare, tra gli altri, proprio il territorio degli Hirpini6. Certo è che gli Abellinates, alleati nella lega sannitica contro Roma, subirono le conseguenze delle sconfitte per cui furono costretti a cedere parte delle terre che diventarono ager romanus e a subire l’alleanza con Roma (290 a.C.)7.

Con la guerra a fianco di Pirro (280-275 a.C.), in cui gli Hirpini riposero nutrite speranze di riscossa, la indomita tribù sannita subì i danni maggiori sia perché il territorio irpino fu teatro di molti scontri sia perché i Romani non perdonarono il tradimento ed iniziarono una politica di isolamento della tribù rispetto alle altre secondo il principio romano, sottolineato dal Salmon, del "divide et impera"8. Da allora gli Hirpini perdettero l’antico nome di Sanniti infatti il loro territorio, ulteriormente limitato dall’ager publicus, fu separato da quello del Sannio e controllato, all’interno dalla colonia militare di Compsa, e, all’esterno, dalle nuove colonie romane di Paestum (273 a.C.) e di Beneventum (268 a.C.)9. Inoltre al confine sud-occidentale, un tratto del quale è segnato dal territorio del flubio-rivus siccus, fu istallata la colonia dei Picenti (268 a.C.)10.

In seguito a questa profonda ristrutturazione i territori irpini furono ulteriormente spinti nell’ambito dell’influenza campana cosa che si evidenzia nella divisione del territorio italiano, ormai sottomesso, fatta da Augusto, quando gli Hirpini furono inclusi nella I Regio, il Latium et Campania, e non nella IV, il Samnium11.

Anche le vicende della seconda guerra punica (209 a.C.) interessano l’Hirpinia e il bacino del flubio-rivus siccus. Dopo Canne infatti gli Hirpini si unirono ad Annibale dandogli le loro roccaforti per cui gli eserciti romani ebbero precluse le vie dell’agrum hirpinum12. Si deve ritenere che queste fossero state rinforzate dopo le distruzioni delle guerre precedenti come dimostra il fossato antistante l’oppidum in opus quadratum di Abellinum che l’indagine archeologica ha posto in luce e che è "da far risalire ad età pre-annibalica"13.

Come si è visto le vie di accesso al territorio irpino sul confine campano erano Nola e Castelluccia. Di queste, poiché la prima fu presa dal console M. Marcello Claudio, che attraverso di essa fece varie puntate contro gli Hirpini14, si deve pensare che la seconda, Castelluccia, posta su di una via più protetta e disagevole sia rimasta in mano al generale cartaginese, per poi essere abbandonata quando, come dice Appiano, costui distrusse i centri che non potette difendere15.

Conseguentemente si può collocare il territorio del flubio-rivus siccus in quell’agrum hirpinum attraversato e devastato dal console Fulvio come ritorsione romana16.

Dopo questa ulteriore prova di spirito di autonomia da parte degli Hirpini, le confische territoriali romane si estesero a quasi tutto il territorio e iniziò la vera colonizzazione. Roma infatti occupò un vasto "ager publicus populi Romani" appartenente soprattutto a quelle popolazioni che si erano date ad Annibale. In questo "ager" bisogna considerare i territori degli Abellinates17. Nell’agro picentino fu invece istituita, vicino all’etrusca Hirna, l’importante colonia marittima di Salernum (197 a.C.) che servì per un immediato controllo del territorio degli Hirpini proprio dalla parte del bacino del flubio-rivus siccus18.

Bisogna sottolineare l’importanza che acquistava questo centro allo sbocco della valle dell’Irno a cui i Romani dettero l’impronta di un castrum ma vi posero pure una stazione doganale trasformandola in un'avanzata sentinella dal carattere economico e militare. D’allora iniziò la floridezza di Salernum che non dipese solo dalla sua posizione sul mare ma dall’essere allo sbocco delle comunicazioni con l’Irpinia oltre che con la Campania centro-settentrionale e con la Lucania. Questa favorevole posizione è dimostrata dalla via Popilia che passava alle spalle della città e dal rotarico, la tassa che si pagava a Rota, che divenne un’importante stazione di valico tra la valle dell’Irno e quella del Sarno19. Verso la Salernum romana si diresse, spopolando le terre irpine, un intenso flusso migratorio causato dalla trasformazione dell’ager confiscato dai Romani in latifondo in mano ad aristocrazie locali o romane con grandi aziende - villae rustiche - gestite in prevalenza da schiavi e con la ripresa della pastorizia transumantica20.

 

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1. Cfr. G. Colucci Pescatori, Osservazioni..., pp. 125 e sgg. Per la prima volta è Plinio a citare la tribù irpina degli "Abellinates cognomine Protropi" (Naturalis historia, III, 105) oggi identificati con gli abitanti di Abellinum.

2. Cfr. T. Salmon, op. cit., pp. 229-270. Lo storico inglese fa una lucida analisi delle fonti, razionalmente inquadrando gli avvenimenti anche alla luce degli studi seguenti, perciò in questa parte si utilizza tale importante contributo. 

3. Si sa che durante questa guerra i consoli T. Vetrurio Calvino e Spurio Postumio Albino penetrarono separatamente dalla Campania meridionale verso Maleventum e che il condottiero sannita Gavio Ponzio pose i suoi uomini sulle fortezze che dominavano il cammino dei Romani (Livio, IX e X). Non si conosce il percorso fatto dai consoli, si può considerare solo che Roma aveva posto sotto il suo controllo Napoli quindi non aveva da temere da questa parte della pianura campana.

4. Queste opere di rinforzo, di cui parla Dionigi di Alicarnaso (XV, 55), si resero necessarie sia per rispondere ai trattati di alleanza stipulati da Roma con Neapolis, Capua e Nuceria sia per sostenere le conquiste intraprese dai Sanniti in Lucania. Il loro mancato ritrovamento in tutto il territorio sannita è dovuto al materiale riutilizzabile e facilmente reperibile (T. Salmon, ivi).

5. Anche per questa marcia le fonti citano località non identificate (T. Salmon, op. cit., pp. 271-296).

6. Livio, X, 15 e 17.

7. Tutte le tribù sannite furono incorporate nello stato romano come civitas foederate così pure Abellinum (Cfr. T. Salmon, op. cit., pp. 218-219 e 286-287).

8. T. Salmon, op. cit., pp. 297-309. Livio scrive: "Fummo dapprima [...] noi [Irpini] da soli nemici del popolo romano poiché le nostre armi, le nostre forze potevano difenderci. In seguito [...] ci unimmo al re Pirro..." (XXIII, 42.2, p. 523) e ancora: "Ormai non potevano (gli Irpini) reggersi [...] ciò nonostante non desistevano dalla lotta: con tanta tenacia difendevano la libertà [...] e preferivano essere vinti piuttosto che rinunziare a tentare la vittoria" (X, 31.14, p. 651). Risalta qui, pure se attraverso il filtro liviano, il carattere di questa tribù austera ed orgogliosa che fa leva sulle proprie forze né si annulla nell’azione degli altri e si ha la possibilità di dare un’altra interpretazione a quanti parlano della disposizione del popolo irpino alla ribellione, poiché la caratteristica degli Hirpini qui appare essere invece un forte senso della propria individualità.

9. Livio, Storie, XV e XIV.

10. Il trasferimento avvenne per sedare una ribellione di questa tribù. L’agro picentino si estendeva dal Sele al Sarno quindi per un tratto confinava con la valle di cui si sta parlando (Strabone, V, 4.13; Plinio, III, 7).

11. Plinio, III, 62 e 105.

12. Livio, XXIII, 1. Dice Livio in altro luogo: "Defecere ad poenas hi populi: Atellani, Calatini, Hirpini ecc." (XXII, 61). Da notare che in questo passo gli Hirpini sono citati come un popolo a sé.

13. G. Colucci Pescatori, Osservazioni..., pp.125-126; Id., Abellinum, una colonia romana. Mostra documentaria, Atripalda, 1985, pp. 10 e sgg.

14. Livio, XXIII, 42.

15. Appiano, Lybica, 63. Si tratta proprio di quelle piccole fortezze sulle colline di cui abbondava il territorio sannita e irpino poiché lo storico alessandrino dice che Annibale ne distrusse ben quattrocento.

16. Livio (XXVII, 43) dice che gli Hirpini consegnarono ai Romani i presidi cartaginesi che avevano nei loro centri.

17. Nelle Inscriptiones Latinae liberae rei publicae a cura di A. De Grassi (Firenze, 1963, p. 473) sono riportati i cippi indicanti le terre assunte da Roma tra cui uno rinvenuto nei pressi di Abellinum. Nel descrivere le terre occupate, Livio parla di rifugi sulle zone montagnose circondati da palizzate e muri a secco - oppida et castella -, asso importante che richiama ciò che dovette essere Castelluccia (X, 18.8).

18. Tale compito fu dato alla colonia cittadina di Salernum dalla "Lex Atinia de coloniis deducendis" (Cfr. livio, XXXII, 29.3; XXXIV, 45.1-2). V. pure U. Panebianco, La colonia romana di Salernum, Salerno, 1978.

19. Cfr. U. Panebianco, Salerno nell’antichità dalla protostoria all’età bizantina in Aa. Vv., Profilo storico di una città meridionale: Salerno, Salerno, 1979, pp. 25-27.

20. Cfr. W. Johannowsky, Testimonianze materiali del modo di produzione schiavistico in Campania e nel Sannio Irpino in L’Italia, insediamenti e forme economiche, Roma, 1981, v. I, p. 304.

 

 

 

 

 

 

4. Questa situazione cambiò nel II secolo a.C. con la riforma agraria dei Gracchi che ridimensionò il latifondo. La legge agraria permise una graduale occupazione dell’ager publicus da parte di cittadini romani che insediandosi nei nuovi territori ne agevolarono il processo di romanizzazione ma nocque alle popolazioni italiche che non avendo la cittadinanza romana non potettero godere della distribuzione gratuita delle terre1. Di qui la guerra sociale (90-88 a.C.) o marsica che non vide schierati contro Roma tutti gli Hirpini tra cui sicuramente la tribù degli Abellinati2. E forse fu per questo che nel territorio irpino non si abbattette la reazione di Silla, che aveva guidato la guerra, il quale al suo ritorno dall’Oriente assegnò molte terre irpine ai suoi militari. Applicando la legge "Sempronia" egli dedusse per i suoi veterani ad Abellinum la colonia Ven(eria) Abellinatum assegnata alla tribù Galeria3. Il Pais parla di una vasta occupazione di terre irpine e campane che portò ad una completa romanizzazione delle terre controllate dai coloni-soldati4.

La colonia militare sillana di Abellinum interessa direttamente il territorio del flubio-rivus siccus infatti il suo confine giungeva ai monti Picentini e alla piana di Montoro5.

Parallelamente alla trasformazione dell’Abellinum romana in una vera e propria città6, si deve collocare lo sviluppo abitativo del bacino che si sta studiando documentato da una serie di villae rusticae dislocate lungo la via del rivus siccus - la più importante in località Tofola ai piedi del passo di Castelluccia - e sparse nella parte bassa della conca solofrana e nella piana montorese7. Esse sono legate al decollo di Abellinum come centro di traffici commerciali dei prodotti dell’agricoltura e allo sviluppo, notevole in loco, delle attività agricole e della pastorizia esercitata quest’ultima, come si è visto, nella parte alta della conca. La colonia estese la sua amministrazione su una vasta area con vici e pagi distribuiti lungo le sponde dei corsi d'acqua e lungo le vie di comunicazione. Tra questi il pagus di Montoro che fu dotato di personalità giuridica con compiti allargati alle vicende edilizie e religiose8.

In questo periodo si può ascrivere al territorio un primo abbozzo culturale infatti la conduzione della colonia innestò quelle modalità che entreranno a far parte delle consuetudini locali9.

La massima espansione insediativa del bacino del flubio-rivus siccus si ha col periodo augusteo e dura fino al II secolo d.C.10. La colonia infatti fu ristrutturata da Augusto con l’immissione di nuovi veterani e con la sua trasformazione in colonia imperiale col nome Livia, la moglie dell’imperatore che fu proprietaria di gran parte dell'agro irpino11. In questo periodo si colloca nella zona un'intensa attività edilizia con il conseguente sviluppo dell’industria laterizia della quale si hanno testimonianze anche sul passo di Castelluccia12.

La via di Taverna-Castelluccia entra poi nell’ampio sistema di comunicazioni potenziato da Domiziano. Lungo il suo percorso sorgono le romane Tabernae sia nel tratto Rota-Montoro che sul passo e oltre, fino ad Agellum e Cesinali, attestate da dati documentari e toponomastici13. Tutto ciò fa emergere una viva attività commerciale che si rapporta ad Abellinum e alla funzione di collegamento, già sottolineata, che il territorio venne ad assumere. Di conseguenza l’area fu interessata da una vasta integrazione culturale tra elementi della pianura e dell’interno che la ricerca archeologica e gli studi hanno messo in rilievo14.

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1. Cfr. E. Pais, Storia della colonizzazione di Roma, Roma, 1904, pp. 10-15.

2. Questa tribù non è nell’elenco che Appiano fece degli insorti dove sono invece citati i Samnites-Hirpini (B.C., 39, 175).

3. La colonia inglobò la Abellinum sannita. La sua cinta muraria in opus reticolatum, collocata dall’indagine archeologica in età successiva alla guerra sociale (Cfr. G. Colucci Pescatore, Osservazioni..., p. 125-126 e n. 20), fa parte del processo di ricostruzione seguito alla vasta colonizzazione sillana (Cfr. E. Gabba, Urbanizzazione e rinnovamenti urbanistici nell’Italia centro-meridionale del I sec. a.C. in "Studi classici e orientali" 21, a. 1972, pp. 93-101 e 105-106). I veterani di Silla formeranno il primo nucleo di quegli orientali nel territorio irpino di cui si parlerà in seguito.

4. E. Pais, Le colonie militari e le assegnazioni agrarie di Silla e dei pompeiani in "Atti della Reale Acc. di Arch., Lett. e Belle Arti", VIII, Napoli, 1924, pp.3 e sgg. Gli Abellinati non godevano la pienezza del ius quiritum per cui furono politicamente inferiori ai coloni ma potettero convivere pacificamente con essi come "incole" con i loro antichi diritti. Abellinum ebbe un assetto costituzionale e ciò potrebbe significare che ottenne lo status di municipio romano prima delle altre comunità irpine (Cfr. F. Sartori, Problemi di storia costituzionale italiana, Roma, 1945, p. 114 n. 26).

5. F. Scandone, Storia di Avellino, I, I, Avellino, 1941, App. II, pp. 135-138

6. Cfr. E. Gabba, op. cit., pp. 73-112; F. Barra, Atripalda. Profilo storico, Atripalda, 1985, p.14.

7. Cfr. G. Colucci Pescatori, L’alta valle..., p. 139; F. Scandone, Storia..., I, I, pp. 42 e sgg.

8. Cfr. F. Scandone, Storia..., I, I, pp. 34-65. Molte testimonianze dimostrano la realtà romana di Montoro del cui pagus facevano parte le villae di S. Agata, il che spiega il costituirsi del polo di gravitazione su questo centro. Vale la pena ricordare che Montoro ha restituito importanti iscrizioni fra cui proprio quella della colonia Ven(eria) Livia Aug(usta) Alexandrian(a) Abellinatium (Cfr. T. Mommsen, Corpus Inscriptionum Latinorum, X, n. 1117).

9. Sarebbe utile approfondire i regolamenti per i pascoli del demanio, istituiti dalla Lex agraria (di cui parla Varrone), i tentativi di sfruttare i conduttori di greggi (di cui parla Cicerone nel Por Cluentio), i tributi dell’a-rationibus (di cui parla Stazio nelle Silvae) e la loro ripartizione con anticipo dei pagamenti per cogliere l'influsso romano sulla comunità locale. Comunque si deve considerare fin da ora quell’attività, individuata tra i pastori sanniti e legata all’uso antico del cuoio, che nel mondo romano divenne la materia prima essenziale per l’abbigliamento militare oltre che per la confezione di quasi tutti i tipi di calzature (Cfr. G. A. Bravo, op. cit., p. 107), attività che costituirà l’uniformità culturale dell’area solofrana.

10. Cfr. G. Colucci Pescatori, L’alta valle..., p. 140.

11. Cfr. A. Sirago, La Regio II sotto Augusto, Napoli, 1978, p. 52. V. pure F. Scandone, Storia..., I, I, pp. 43-44.

12. Cfr. G. Colucci Pescatori, Osservazioni...; Id., L’alta valle..., p. 140. Il toponimo fornaci del passo di Castelluccia, indicante un luogo antico per la cottura dei mattoni, si collega all’abitudine dei Romani di impiantare l’industria laterizia nei pressi dei loro insediamenti.

13. Citazioni delle tabernae in territorio montorese sono in F. Scandone, Documenti per la storia dei comuni dell'Irpinia, Avellino, 1956, pp. 376, 383, 385, 388, 391. Si considerino inoltre i menzionati toponimi del passo e quello di Tavernola di Aiello (Cfr. IGM).

14. Cfr. O. Onorato, op. cit.; G. Colucci Pescatori, Osservazioni..., p. 132 n. 6; G. Devoto, Scripta minora, I, Roma, 1958, pp. 287 sgg.; E. Gabba, Mercati e fiere nell’Italia romana in Aa. Vv., Studi classici e orientali, Pisa, 1975.

 

 

 

 

5. A metà del III secolo d.C. Alessandro Severo, nell’ambito della politica agraria di Roma in Campania, ampliò in modo consistente la colonia (tanto che alla sua intestazione fu aggiunto l'appellativo Alexandriana) attraverso una massiccia immissione di elementi provenienti dall'Oriente1. Ciò portò alla diffusione nell’Irpinia romana dei culti orientali tra i quali quello del Sol invictis2 che potrebbe spiegare l’elemento del sole presente nella conca solofrana3.

Notevoli furono le conseguenze culturali ed economiche di questi innesti soprattutto ad Abellinum dove si creò "un ambiente religiosamente evoluto e cosmopolita" aperto a nuove immissioni e maturo per "recepire il messaggio evangelico" da farne "la prima città ad avere una cospicua comunità cristiana"4.

Tra le famiglie impiantate dall’Oriente c’era quella di S. Ippolisto, il primo predicatore e martire abellinate5. L’eco delle sue predicazioni e del suo martirio durante la grande persecuzione diocleziana, che travagliò tutta l’area dell’alto corso del Sabato, non potette non giungere al di qua di Castelluccia anche in relazione al rinnovamento religioso che la sopraggiunta comunità ebraica aveva determinato a Salernum6.

Gli eventi del sempre crescente cristianesimo abellinate, le persecuzioni pagane che arricchiranno di martiri le cantine di una villa sulla riva destra del Sabato fuori le mura di Abellinum, la sua apertura alla venerazione del pubblico col nome di Specus martyrum alla fine delle persecuzioni (313 d. C.)7, furono eventi così incisivi e pervasivi per una comunità in piena espansione, che fece della città una delle prime diocesi della cristianità8, che non potettero non avere una vasta eco.

In questo quadro può spiegarsi l’impianto ai piedi della rocca di Castelluccia del culto di S. Agata9 che potrebbe essere giunto portato dagli Orientali, amici, parenti delle famiglie trasferite da Alessandro Severo o anche dai veterani di Diocleziano o soltanto da proseliti. Tutti costoro nel tragitto verso l’Italia sbarcavano nel Brutium per risalire poi la penisola. Qui questi primi cristiani, che fuggivano alle persecuzioni orientali senza rinunziare all’opera di diffusione della nuova religione, vennero a contatto con la martirologia limitrofa - in questo caso il martirio della vergine catanese - portandosene il ricordo e la venerazione nei loro spostamenti10.

Quando con la fine delle persecuzioni lo Specus martyrum fu aperto al pubblico si diffuse, nell’ampio territorio facente capo alla "prospera" e "popolosa" città di Abellinum, non solo il culto dei martiri abellinati ma anche quello dei martiri dell’epoca. La città infatti fu sede diocesana di tutto il suo territorio11.

In questo periodo la colonia fu interessata al restauro dell’acquedotto romano12 quindi mantenne vitalità e presenza. Se si considera la partecipazione del vescovo abellinate Timoteo al Sinodo di Roma nel 499 d. C.13, la figura di S. Sabino14, le epigrafi e le lapidi che dimostrano Abellinum attiva fino alla prima metà del secolo seguente15, il fatto che l’Irpinia rimase fuori dalle rotte dei Visigoti e dei Vandali, si può considerare la colonia vitale anche durante la dominazione degli Eruli (476-493) e degli Ostrogoti (493-526) che non recarono danni nel Mezzogiorno16 quindi fino al VI secolo17, cioè alle distruzioni di Totila e alla conseguente guerra greco-gotica.

Il territorio delle villae rustiche di S. Agata e Montoro durante questo periodo risentì del generale cedimento della economia con la rarefazione della popolazione ma la vita non scomparve, si ridusse solo, come in tutte le aree romane, alla sussistenza della curtis che con l’avanzare della crisi divenne sempre più autonoma fino a definirsi come sistema economico, che si chiamò curtense.

In seguito alle distruzioni di Totila, quando le genti della zona trovarono scampo sui monti, anche nella conca del flubio-rivus siccus si ebbe l’abbandono delle villae la cui tipologia trasmigrò sulle balze pedemontane come dimostrano le cortine dei due arroccamenti dalle significative denominazioni di Cortina del cerro e Le cortine, quest’ultima posta su una balza del monte S. Marco poco distante, ma in posizione naturalmente difesa, dalla villa di Tofola e come dimostra la pieve di S. Maria e S. Angelo del locum Solofre, una chiesa rurale dell’alto medioevo, sorta negli anni bui per sostenere i bisogni religiosi delle popolazioni sparse e che nel territorio alle spalle di Salerno ebbe una caratterizzazione propria, come si vedrà18.

Tali arroccamenti furono in grado di attraversare i lunghi anni della guerra greco-gotica (535-555), combattuta proprio sulla pianura tra Salerno e il Sarno, fino ad aprirsi alla nuova vita che veniva dalla Salerno bizantina prima e longobarda poi e a riversare su di essa la ricchezza del proprio portato.

 

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1. Cfr. F. Scandone, Storia..., I, I, Appendice I, pp. 44-45.

2. Cfr. N. Gambino, Culti orientali nell’Irpina romana in "Civiltà Altirpina", VI (1981), pp. 21-30; Id., La presenza di orientali nell’Irpinia romana, ivi, VII (1982), f. 1-2, pp. 31-40; Id., Culti orientali nella valle di Ansanto, ivi; v. pure F. Cumont, Le religioni orientali nel paganesimo romano, Bari, 1967, p. 158. Non solo l’emigrazione coloniale ma anche le vie del commercio con la vicina Salernum determinarono la presenza di Orientali in Irpinia.

3. Il sole, come simbolo di Solofra, presente non solo nella tradizione popolare, da tempo antichissimo è elemento essenziale dello stemma della cittadina. Sulle colline di Montoro il toponimo lunara testimonia un culto alla luna anch’esso, come tutti quelli legati agli astri, di origine orientale.

4. F. Barra, op. cit., pp. 18-19.

5. Ibidem. V, pure G. A. Galante, Il cemetero di S. Ippolisto martire in Atripalda, Napoli, 1893. Educato in Oriente Ippolisto viaggiò spesso tra Antiochia ed Abellinum (Acta Sanctorum, Maii, I, 41).

6. Cfr. U. Panebianco, Salerno nell'antichità..., pp. 25 e sgg.

7. Cfr. L. Cassese, Lo "Specus martyrum" di Atripalda, Avellino, 1930; F. Scandone, Storia..., I, pp. 95 e sgg. Furono seppelliti nello Specus martyrum Ippolisto, Sabino e Romolo.

8. Cfr. G. Lanzoni, Le diocesi d'Italia dalle origini al principio del sec. VII (a.604), Faenza, 1927, II, pp. 239-242.

9. Vale la pena ricordare l'impianto toponomastico del termine sancta Agathe (v. infra) attestato in seguito e non riferito al solo abitato, infatti il radicamento evidenzia una caratteristica religiosa di tutta la zona.

10. Cfr. F. Barra, op. cit., pp. 21 e sgg.; S. Borsari, La bizantinizzazione religiosa del Mezzogiorno d’Italia in "Archivio storico per la Calabria e Lucania", XIX, IV, pp. 209-225 e XX, I-IV, pp. 5-20. Il culto di S. Agata, che si diffuse fino a Roma, è collegato alle relazioni tra la capitale e la Sicilia (Cfr. Bibliotheca Sanctorum, Roma, 1961, s. v.). Intenso fu il contatto tra il Brutium e Salernum. Questa città con il riordino dell’amministrazione dell’impero era divenuta insieme con Regio sede di un "correctores Lucaniae et Brutiorum" (Cfr. U. Panebianco, Salerno nell'antichità..., pp.36-37). Bisogna ricordare anche S. Modestino che insieme ai compagni avrebbe fatto proprio la strada Brutium-Salernum prima di giungere ad Abellinum e di cadere vittima delle persecuzioni (312 d.C.). Si sa dal racconto della chiesa avellinese che egli "consacrò" vari oratori, creò molti "presbiteri" perché lo aiutassero nel celebrare i riti religiosi.

11. Cfr. F. Barra, op. cit., pp.21-24; G. Lanzoni, op. cit.

12. Cfr. G. Colucci Pescatori, L’Alta valle..., p. 141.

13. Cfr. F. Ughelli, Italia sacra, VIII, 191.

14. Cfr. F. Barra, S. Sabino vescovo: un santo tra la gente in "Atripalda oggi", 16-9-89. Discendente da una delle più antiche e importanti famiglie di Abellinum Sabino visse tra la fine del V e gli inizi del VI secolo d.C. Fu vescovo della città evangelizzata già alla fine del III secolo.

15. Cfr. F. Scandone, Storia.., I, II, Appendice II, XIX, pp. 149-151.

16. Cfr. F. Bartolini, Storia delle dominazioni barbariche in Italia dal 395 al 1024, I, Milano, 1878.

17. "Emissioni monetali e classi ceramiche documentano Abellinum attiva fino al VI secolo (553-558)" (G. Colucci Pescatore, L'alta valle..., p. 141. V. pure F. Scandone, Storia..., I, II, Appendice II).

18. I temi qui citati sono definiti al cap. II.

 

 

 

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Capitolo secondo

Influssi bizantini e realtà longobarda.

Capitolo terzo

Il periodo normanno-svevo

Parte seconda

La conca del flubio-rivus siccus nella carte di Cava e di Montevergine.

Documenti sanniti

Documenti romani

Appendice documentaria: documenti longobardi

Bibliografia

 

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Il sito sui Sanniti

 

 

 

 

Abbreviazioni

ABC

Archivio della Badia di Cava.

AD

Appendice documentaria.

ASA

Archivio di Stato di Avellino (Protocolli notarili).

ASPN

Archivio Storico delle Province Napoletane.

ASPS

Archivio Storico Province Salernitane.

CB

Catalogus Baronum, Commentario a c. di E. Cuozzo, 1984.

CDC

Codex Diplomaticus Cavensis, I-VIII, 1873-1893; IX,1984; X, 1990.

CDS

Codice Diplomatico Salernitano, Salerno, 1931

CDV

Codice Diplomatico Verginiano, 1977-1993.

HB

Huillard-Bréholles, J-L.-Alphonse, Historia diplomatica Friderici secundi, I-VI, 1852-1861.

IGM

Istituto Geografico Militare, Carta Topografica programma-tica regionale, Campania, tvv. 25 e 33 quadrante 185 I e II.

PII

Parte seconda: La conca del flubio-rivus siccus nelle carte di Cava e di Montevergine.

RNAM

Regii Neapolitani Archivii Monumenta, I-VI, 1845-1861.

 

 

 

 

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