Leggi il secondo capitolo.
Nove paragrafi con note in calce
Alle radici di Solofra
Capitolo secondo
Influssi bizantini e realtà longobarda
1.
Con lo scoppio della guerra greco-gotica (535-553) il territorio di Abellinum
fu conquistato da Belisario (536-539) poi preso da Totila (543), che distrusse
tutte le opere di difesa in esso esistenti per impedirne ai Bizantini la
rioccupazione1, e infine fu definitivamente sottomesso da Narsete
(553), il generale bizantino che sostò per più di un anno nella pianura tra il
Sarno e Montoro2.
Tali
distruzioni, tra cui quelle della stessa Abellinum3, dettero inizio
ai tempi bui della dominazione bizantina (555-571) nelle contrade irpine che,
sottoposte ad un esoso fiscalismo, col-pite da pestilenze e carestie e da due
rovinose eruzioni del Vesuvio, non si ripresero più4.
In
questo quadro si colloca l’abbandono delle villae
rusticae del bacino del flubio-rivus
siccus5 che però, per la conformazione morfologica della sua
parte interna - una conca, si è visto, con marcati elementi difensivi - si
prestò al fenomeno degli arroccamenti. È questo un vasto processo altomedievale
che interessò tutti i territori romani all’indomani delle invasioni e che si
ebbe in seguito all’abbandono delle pianure, divenute insicure, e delle coste,
esposte alle incursioni saracene, a favore delle zone alte - colline
pedemontane, balze naturalmente difese - . Nella
fattispecie esso si verificò sia nella valle del Sabato
che nei bacini interni del Sarno e dell’Irno6.
Come
in tutte le zone ad insediamento romano gli arroccamenti attestano nel luogo la
continuità abitativa ad opera degli inermi possessores
che si improvvisarono defensores sfociando
nella logica dell’autodifesa. La villa rustica della pianura, che aveva
permesso la sussistenza nell’ultimo periodo dell’impero definendosi, come si è
visto, in curtis, dette a questo nuovo tipo di
insediamento oltre al modello economico anche quello costruttivo. Si giunse
cioè alla trasformazione della tipologia abitativa propria della curtis in quella della cortina medievale7.
Il
fenomeno degli arroccamenti è testimoniato nella parte alta del bacino del flubio-rivus siccus
da due agglomerati siti in luoghi elevati che hanno conservato fino ai nostri
tempi la strut-tura difensiva medievale e le tipiche abitazioni, le cortine
appunto. Queste hanno dato origine ai due citati toponimi: Cortina del cerro
e Le cortine. Il primo indica un casale a sud, su una balza del
complesso dei Mai, difeso dalla collinetta di Chiancarola,
il secondo si riferisce ad un identico abitato a nord, sui fianchi del monte S.
Marco. Quest’ultimo è direttamente legato a Castelluccia
entra quindi a far parte di quel blocco strategico-difensivo di rivelante
valenza già preso in considerazione nell'analizzare il periodo sannita-romano.
Essendo questi insediamenti privi di fortificazioni murarie sia per l’esiguità
del nucleo abitativo che per la difficoltà di accesso, la stessa
abitazione-cortina divenne un fortilizio8.
Il
restringersi della vita negli arroccamenti portò al mancato controllo delle
acque e al loro insabbiamento nella pianura che divenne impenetrabile il che
accentuò la sicurezza della conca, ma anche l’isolamento9.
_____________
1. Le popolazioni
stremate dal fiscalismo bizantino della prima occupazione si erano date a
Totila che era riuscito ad avere il loro appoggio ma che poi operò radicali
distruzioni lasciando fortificate solo Napoli e Cuma
(cfr. O. Bertolini, La guerra greco-gotica in Storia delle
dominazioni barbariche in Italia, Milano, 1878, IV, pp. 100 e sgg.).
2. Di questo evento
è rimasto nella zona di Montoro il toponimo campo dei greci (cfr. IGM).
3. Cfr. F. Scandone, Storia..., I, II, pp. 10-15. La città fu
abbandonata e non più ricostruita. Essa perdette anche la diocesi (F. Lanzoni, op.
cit., p. 250).
4. La regione fu
devastata anche dall'esercito bizantino vincente per la feroce opposizione
fatta dalle popolazioni (cfr. E. Pontieri, Le invasioni..., pp. 47 e
sgg. e 145 e sgg.).
6. Gli eventi
bellici e le distruzioni di cui si sta parlando provocarono l'abbandono delle
zone più esposte ciò avvenne anche per Salernum che
aveva subito l'invasione di Alarico e Genserico e che durante la guerra
greco-gotica fu in mano sia a Belisario che a Totila. Anche la sosta di Narsete
e di Teia nel bacino del Sarno provocò la fuga degli
abitanti sui luoghi alti (cfr. C. Carucci, La provincia di Salerno dai tempi
più remoti al tramonto della fortuna normanna, Salerno, 1922, pp. 132 e
sgg.).
7. Le cortine
sono pluriabitazioni che si sviluppano intorno ad un
cortile a cui si accede attraverso un solo passaggio sotto le abitazioni,
facilmente isolabile e difendibile, chiamato in loco con voce longobarda, di
evidente assunzione posteriore, "wafio". V.
infra.
8. Il primo
arroccamento si trova in territorio di Solofra il secondo in territorio di S.
Agata, quest'ultimo sovrasta la romana villa rustica di Tofola sottolineando il citato rapporto di insediamento.
Altri luoghi che nella conca si sarebbero potuti prestare agli arroccamenti
sono quelli occupati dagli antichi casali di Caprai, Sorbo e Balsami dove
sino a tempi recenti era diffuso il termine corte (ASA, B 6522 e sgg.).
V. infra..
10. Degli
straripamenti del flubio-rivus siccus che interessavano la strettoia di Chiusa allo
sbocco nella pianura di Montoro si è detto. V. infra.
|
2.
Per la scomparsa di Abellinum e per la peculiarità difensiva del bacino a
vantaggio di chi cercava scampo dalla pianura e dalla costa, lo stesso entrò
nell’orbita di Salerno1. Venne cioè a far parte di quell'area
gravitante sulla città che visse per lungo tempo una simbiosi particolare con
essa e che vide in questo periodo la costituzione dei distretti pievani che
sono territori organizzati intorno ad una chiesa matrice2.
Negli
angoli più riposti di quest'area il cristianesimo delle origini non scomparve
anzi tra il fallimento del mondo romano e gli sconvolgimenti delle invasioni fu
l’unico sostegno per le popolazioni isolate nelle campagne3. E fu in
questi ambienti che andò formandosi, come in tutte le comunità postcristiane,
quel sincretismo di cristianesimo e paganesimo che è il substrato della
religiosità popolare in cui i comportamenti pagani, depurati dall’aspetto
religioso, si trasformarono in atti consuetudinari permettendo al cristianesimo
di assorbirli in sè. Ciò avvenne per il culto dei
santi e degli angeli che sostituì il bisogno pagano di quella serie di dei
minori che accompagnavano l’uomo dalla nascita alla morte e portò alla pratica
di porre croci o piccole cappelle nei luoghi della vita quotidiana - campi o
case - per porli sotto la protezione divina4.
In
questo territorio ad ampia diffusione romana, in cui non potettero non esserci
luoghi di culto pagano secondo un'esigenza fortemente avvertita dalla realtà
rurale e in cui si era introdotto il cristianesimo delle origini, avvenne la
trasformazione dei sacelli romani in luoghi di preghiera cristiani5.
Di essi fu matrice e nucleo la pieve che è una chiesa di campagna che esiste là
dove ci sono questi semplici luoghi di culto sparsi e che dette origine al
distretto pievano. In un territorio ad insediamento romano, dunque, il
distretto pievano attesta una tale evoluzione e ne conferma la continuità
abitativa6.
In
queste zone di diffusa cristianità, cominciarono a giungere fin dal V secolo le
periodiche visite degli inviati del vescovo di Salerno - la città fu un attivo
centro di evangelizzazione delle campagne7- per i bisogni religiosi
delle popolazioni fino a quando fu sentita l'esigenza della presenza stabile
sul luogo di un presbitero che esercitasse la cura animorum8
raccogliendo i fedeli sparsi in una chiesa dove gradatamente si
stabilizzarono le funzioni liturgico-sacramentali più importanti quali il
battesimo, la sepoltura e le celebrazioni del Natale e della Pasqua.
Questa
chiesa - la pieve appunto - divenne il centro di un distretto
abitativo-religioso che fu una caratteristica dell'organizzazione del
territorio compreso tra l'Irno e il Sarno operata dall'episcopio di Salerno9.
Le pievi del locum Solofre,
di S. Cesareo, di Rota e di Nocera furono i quattro centri di questa nuova
realtà dell'entroterra salernitano10.
________________
1. Bisogna
considerare la grande valenza della gravitazione del bacino sulla pianura di
Rota per la funzione che questa ebbe di valico tra le valli dell'Irno e del
Sarno e di polmone vitale per Salerno. Essa favorì le vicende storiche di tutta
l'area a cominciare da quelle del periodo di cui si parla.
2. La realtà pievana di questa parte della pianura alle spalle di
Salerno è stata studiata da Bruno Ruggiero (Per una storia della pieve
rurale nel Mezzogiorno medievale e "Parrochia" e "plebs"
in alcune fonti del Mezzogiorno normanno in Potere, istituzioni, chiese
locali. Aspetti e motivi del Mezzogiorno medievale dai Longobardi agli Angioini,
Bologna, 1977, pp. 179 e sgg.) che ha sistemato in un importante studio tutta
la questione.
3. È dimostrato che
la soppressione delle diocesi e la riduzione della vita negli ex-territori
romani non significò la fine del cristianesimo (cfr. A. Fliche-V.
Martin, Storia della Chiesa, Torino, 1941; O. Bertolini, Roma di
fronte a Bisanzio e ai Longobardi, Bologna, 1941).
4. R. Manselli, Storicità e astoricità
della religione popolare in Rappresentazioni arcaiche della tradizione
popolare, Viterbo, 1985, pp. 25-42. Anche nelle campagne dell'entroterra
salernitano ci fu un lento scomparire dei segni del paganesimo cosa che si
coglie a Forino dove uno sculdascio firma un atto
pubblico facendo precedere il suo nome da un triangolo e non dal segno di croce
come avveniva nei territori cristiani (CDC, I, 1).
5. È molto
probabile che nell'arroccamento di Le cortine sia rimasto il culto a S.
Agata tanto che il nome fu usato nell'indicazione toponomastica in modo
generico come si è visto e come risulta dalla sua prima citazione
alto-medievale quando il processo di impianto si era già consolidato (Cfr. AD,2). Vale la pena citare in proposito una indicazione
locativa del luogo "supta ipsa
gripta" (gripta
può indicare tanto una grotta quanto un rifugio del cristianesimo delle
origini. Cfr. Forcellini, op. cit., s.v.) e il toponimo croci sul
passo di Castelluccia tra S. Agata e Montoro (AD,19).
6. Il problema
della continuità tra insediamenti romani e distretto pievano è stato
approfondito nelle settimane di studio sull'alto medioevo di Spoleto. Gli studiosi
hanno dimostrato che nelle aree a diffusione romana un pagus,
una strada e una pieve assegnano ad esse la continuità abitativa
(cfr. Aa. Vv., Cristianizzazione e organizzazione
ecclesiastica nelle campagne dell'alto medioevo, Spoleto, 1982, pp. 19-46,
277-280, 301-332).
7. Dinanzi al
decadimento delle magistrature ordinarie i vescovi ampliarono le loro funzioni.
In special modo il preposto all'episcopio di Salerno diventò il rappresentante
della comunità, unica autorità stabile e punto di riferimento. Egli promosse
l'avvicinamento e la fusione tra i dominatori e la popolazione, organizzò e
diresse le ambascerie. Salerno fu l'unico centro da cui si irradiò
l'evangelizzazione delle campagne, delle quali quelle vicino alla città
subirono per prima l'azione di penetrazione (cfr. G. Crisci-A. Campagna, Salerno
sa-cra, Salerno, 1962, p. 139 e sgg.; G. Crisci, Il
cammino della Chiesa salernitana nell'opera dei suoi vescovi, I,
Napoli-Roma, 1976, pp. 55-72; A. Fliche-V. Martin, op.
cit., IV, pp. 6118-6122). È importante seguire la formazione del rapporto
con Salerno che è alla base del concetto, che più volte si richiamerà, di entroterra
salernitano
8. La cura delle
anime si presentò come un compito necessario in un mondo non più romano con
forti spinte di elementi stranieri. Il Crisci afferma che la necessità di porre
in modo stabile a capo di queste comunità di fedeli un presbitero trovò pratica
realizzazione - tra il 499 e il 535 quando il vescovo Gaudenzio si assentò per
partecipare al Sinodo romano e al Concilio di Costantinopoli - per agevolare i
cristiani costretti a recarsi a Salerno per le funzioni religiose più
importanti (G. Crisci, op. cit., I, pp. 36 e sgg.).
9. Cfr. B.
Ruggiero, Per una storia..., pp. 59-87. Tutta l'opera del
Ruggiero chiarisce l'importante problema dell'organizzazione ecclesiastica del
territorio sottoposto all'episcopio di Salerno.
10. Ibidem.
|
3.
La pieve di S. Angelo e S. Maria del locum Solofre, di cui si ha un articolato ed interessante documento,
dimostra il passaggio avvenuto nella zona dalla dimensione abitativa romana a
quella curtense, nello stesso tempo ne sottolinea il carattere di marcato
arretramento proprio delle espressioni abitative altomedievali. Essa, pur
essendo matrice di un'area più vasta, acquistò modalità proprie perchè a
servizio di un territorio a limitata densità abitativa e altamente conservativo
e isolato. Tale peculiarità è data dalla collocazione della chiesa - in
posizione alta lungo la riva destra del flubio
non lontano dall’arroccamento di Cortina del cerro - e dal fatto che
essa non ebbe un collegio di chierici, come le altre pievi, tutte poste in
pianura. E si coglie nelle cellae della pieve
per la raccolta delle derrate e nelle sue pertinenze, entrambe a servizio della
comunità, che legarono alla chiesa le funzioni comuni non solo religiose e
dettero al locum l'impronta di un territorio
elementarmente organizzato intorno alla chiesa1. Questa chiesa in
sostanza fu più radicata al locum. Ad
ulteriore sottolineatura di questa caratteristica c’è il fatto che il toponimo sala,
che nel primo periodo longobardo indicava il magazzino per la raccolta da parte
della comunità delle terze parti dei prodotti2 e che è presente a
Serino e a Montoro dove ha dato luogo addirittura a due casali, non esiste a
Solofra proprio perchè qui la chiesa assunse una funzione anche civile.
C’è
infine un ultimo elemento dal forte potere coagulante per questa comunità,
elemento che accompagna la sua continuità, cioè il cimitero. Esso lega insieme
i momenti insediativi precedenti con quello altomedievale nel medesimo luogo,
quella collina di Starza, che aveva
accolto sul suo lato nord-occidentale la necropoli sannito-romana
e che nell'alto medioevo vide, nel ius cimiterii della pieve, posta sul suo lato meridionale,
la cifra del radicamento di un gruppo al suo territorio3.
La
pieve del locum Solofre
diventa dunque un importante punto di riferimento perché ingloba in sé due
componenti di base di ogni vita comunitaria, quella religiosa e quella economica.
Diventa un fattore di sicurezza nella precarietà dei tempi, un vincolo della
solidarietà nell’isolamento del lavoro e negli ampi spazi di allora, unitaria
testimone delle vicende della comunità e suo elemento di continuità favorendo
l'instaurarsi di modalità particolari e distintive rispetto al resto del
bacino.
Essa
dipendeva direttamente dall’episcopio di Salerno e ciò, si è visto, fa parte
della presa di possesso delle campagne operata da quei vescovi. Si deve qui
sottolineare l'importanza di questo dato perchè tutto il territorio del
distretto pievano si legò alla città agevolando lo svilupparsi di quei legami
che costantemente si ritroveranno nei vari momenti della vita dell'intero
bacino.
Da
Salerno nei secoli VI e VII si irradiò la civiltà bizantina in un processo
importantissimo di "riappropriazione" che caratterizzò tutto il
periodo che va dalla guerra gotica alla conquista longobarda4.
Testimonianze
dell'impronta bizantina nel bacino del flubio-rivus
siccus si colgono sui monti di Montoro nel
toponimo laura che indica una serie di celle monastiche in luoghi
montuosi con una chiesa comune5; nella non lontana grotta di S.
Michele che richiama la forma ingrottata del culto micaelo introdotto in Italia dai Bizantini il cui esempio
più forte è nella grotta del Gargano6; in un monastero citato in
località Sala di Montoro7; a Solofra nella intestazione della
pieve a S. Maria che si collega alle tante chiese che i bizantini dedicarono alla
Vergine "de mense augusto" mentre ne diffondevano il culto, infine
nello stesso culto mariano - una vera festa bizantina - documentato nella pieve
con particolare solennità8.
______________
1. AD, 11. Oltre
alle cellae e alle case de applicta (per ospitare i chierici in occasione delle
funzioni religiose o per altri bisogni) la pieve aveva tra le sue pertinenze le
attrezzature per la molitura e la panificazione e per la produzione del vino e
dell'olio. Questa chiesa è stata studiata in M. De Maio, La pieve di S.
Angelo e S. Maria del "locum Solofre"
in "Rassegna storica irpina", 1992, pp. 87-
2. Cfr. G. P. Bognetti, Storia, archeologia e diritto nel problema dei
Longobardi in Aa. Vv., Cristianizzazione...,
pp. 98-
3. Cfr. PII e AD.
Anche il ius baptisterii,
di cui egualmente era titolare la pieve, ha una forte valenza fondante perché
attraverso questo sacramento si entrava nella comunità dei cristiani.
4. Salerno fu
bizantina fino alla caduta in mano ai Longobardi. La città, che nel periodo
romano aveva avuto minore rilievo, divenne un importante centro e ciò permise
la continuità abitativa nella sua pianura di riferimento (Cfr. G. Galasso, Considerazioni
intorno alla storia del Mezzogiorno d'Italia in Mezzogiorno medievale e
moderno, Torino, 1965, pp. 63 e sgg.; Id, Le
città campane nell'alto medioevo, Napoli, 1972). Il Galasso
sottolinea questa continuità in tutta la pianura campana legata alle città
della costa. Per la diffusione della civiltà bizantina da Salerno v. C.
Carucci, op. cit., pp. 50 e sgg.
5. Cfr. P. Ebner, Monasteri bizantini, Roma, 1970, p. 93 e nn. 28 e 29; S. Borsari, Monasteri bizantini nell'Italia
meridionale longobarda, ASPN, 1950-1951, pp. 1-16. I monaci
divennero sostegni formidabili nella guida degli uomini e nella custodia della
religione in questo periodo di transizione.
6. Su questa
grotta, che ha molti richiami con quella del Gargano e con quelle dell'area
bizantino-longobarda, G. D'Alessio (Il culto di San Michele Arcangelo,
santuari tra Salerno e Avellino, Solofra, 1993, pp. 26-37) ha prodotto
interessanti documenti fotografici.
8. Fu l'imperatore
bizantino Maurizio, dopo che il Concilio di Efeso (431) aveva promulgato il
culto della Vergine, a prescriverne la celebrazione in tutto l'impero alla data
del 15 agosto. Le comunità di monaci ciciliani, greci
e siriani, fuggendo dalle invasioni persiana e araba e dalle persecuzioni
ripararono in Italia dove propagarono l'iconografia mariana (Cfr. Enciclopedia
cattolica, s.v.; F. Heiler,
La madre di Dio nella fede e nella preghiera dei primi secoli in
"Ricerche religiose", VII, 1931). In tale data si svolgevano
particolari riti, come si rileva dai libri in dotazione della chiesa, ed era
prescritto alla comunità di Solofra di destinare precisi tributi all'episcopio
di Salerno (Cfr. AD,11).
|
4
. Tale realtà trovarono i Longobardi quando penetrarono nelle regioni interne
del Mezzogiorno dietro Zottone (570-571) e, cacciati
i Bizantini, formarono il ducato di Benevento che. a sud giungeva fino ai monti
Mai e a Rota1. Da questa parte dell'Irpinia quindi i primi
Longobardi si affacciarono sulla pianura alle spalle di Salerno.
Questo
popolo, che aveva perduto la ferocia dei primi tempi, conservò per lungo tempo
un'organizzazione prettamente militare, pertanto i gruppi familiari in cui
erano divisi - le fare, entità accentuate nel ducato
beneventano - si trasformarono in gruppi armati permanenti ognuno dei quali
tese a divenire una signoria locale in un preciso territorio, il gastaldato. La fara ricalcò
l'organizzazione comunitaria trovata nei territori occupati, furono pertanto
lasciati gli insediamenti fortificati, e fu favorito, ma ciò avvenne in un
secondo momento, un processo analogo a quello che aveva portato agli
arroccamenti, l'incastellamento, cioè la ricerca della difesa, ma intorno ad un
castello2.
I gastaldati furono quindi circoscrizioni territoriali
autonome espresse anche nella toponomastica - ad esempio rotense
finibus indicava il territorio del gastaldato di Rota - e centri di una iudicaria
in cui il gastaldo, il vero capo, era presente agli atti legali ed aveva propri
ufficiali - gli sculdasci - residenti nei centri
minori3.
Nella
prima fase della loro conquista i Longobardi non costruirono nuovi punti
fortificati, rinforzarono solo quelli esistenti. Ciò avvenne anche nella valle
del Sabato dove nel territorio di Abellinum distrutta
fu utilizzato un luogo parzialmente e naturalmente difeso, la collina
"Terra", che divenne il centro dell'insediamento più meridionale del
ducato beneventano e che sarà sede della contea di Avellino4.
Particolarmente
adatto al carattere offensivo-difensivo dei primi insediamenti dovette
presentarsi il bacino del flubio-rivus siccus che rispondeva alla tendenza di questi primi
gruppi a mantenersi arroccati sulle zone alte. Bisogna perciò pensare ad un
utilizzo in funzione militare di Castelluccia, col
suo abitato, e di Chiancarola, con la non lontana Cortina
del cerro, che si affacciavano su una pianura solo in parte in loro
possesso e bisogna pensare anche ad un pedaggio sulla strada5 secondo
il sistema tributario longobardo.
Per
attingere ai bisogni di sussistenza e a quelli militari la fara
si poggiò sul sistema curtense elementarmente organizzato, come si è visto,
negli arroccamenti intorno alla pieve. Fu mantenuta l'organizzazione delle
funzioni collettive che agevolava la produzione agraria, fu sostenuto lo
sviluppo delle terre e l'allevamento per cui in questa epoca deve porsi, per la
possibilità di visione retrospettiva che i documenti in possesso permettono,
una prima opera di dissodamento e recinzione dei fondi con la conseguente
limitazione delle aree incolte. Poichè però i nuovi
arrivati non si curarono dello stato giuridico dei ceti rustici e rimasero
lontani dai bisogni degli abitanti, permase nella conca la logica dell'autodifesa
che continuò a trovare nella pieve, pure in questa nuova temperie, un sostegno
alle carenze dei tempi6.
Nel
frattempo i Longobardi erano diventati fedeli dell'arcangelo Michele, figura
rispondente al loro spirito guerriero7. Nella diffusione del culto micaelo, già esistente nelle zone d'influsso bizantino,
essi lo aggiunsero alle realtà religiose preesistenti senza stravolgerle,
ripetendo in questo il già individuato comportamento di rispetto delle realtà
locali. Ciò portò alla pratica della doppia intitolazione delle chiese nelle
contrade occupate. Essi in sostanza aggiungevano il nuovo culto, segno di un
sigillo religioso proprio, a quello precedente dando però anche inizio ad un
graduale processo di sostituzione del culto antico8.
Questa
pratica si riscontra nella doppia intestazione della pieve di S. Angelo e S.
Maria, confermata dal documento nel quale è chiara l'origine longobarda di quel
"S. Angelo" che si aggiunge alla precedente titolazione "S.
Maria", perchè la festa del santo Angelo, che è quella centrale celebrata
nella chiesa, cade l'8 maggio, è cioè la festa longobarda, quella di S. Maria
cade invece il 15 agosto, è cioè la festa bizantina9.
Nel
documento in più si individua anche il processo di sostituzione che porterà al
sopravvento della intestazione all'Angelo, infatti in occasione della festa
dell'8 maggio cade l'obbligo per la chiesa del censo di ricognizione che è il
tributo più importante perchè indicativo del possesso della chiesa e
costitutivo della sua stessa realtà10.
____________________
2. Cfr. F. Hirsh, op. cit., ivi.
3. I gastaldi nel
ducato di Benevento ebbero una fisionomia diversa dagli altri. La loro maggiore
autonomia li portò a considerare la proprietà ereditaria. Furono in effetti dei
feudatari senza le specifiche caratteristiche di questi mentre il duca, il capo
che risiedeva nella capitale del ducato, si chiamò vir
gloriosissimus dominus gentis
Langobardorum summus dux. L'individualità spiccata di questi gastaldati, che è d'influsso romano, portò il ducato a
legarsi al territorio e fece acquistare valore ad una caratteristica
longobarda, l'assemblea, elementi che caratterizzarono fortemente la vis
culturale delle popolazioni (Cfr. G. P. Bognetti, L'influsso
delle istituzioni militari romane sulle istituzioni longobarde del secolo VI e
la natura della "fara" in L'età
longobarda, Milano, 1966, III, pp. 35 e sgg.).
4. Cfr. F. Scandone, Storia…, I, II, pp. 10-18; E. Cuozzo, Avellino medievale in Storia di Avellino,
Avellino, 1992, pp. 11.14.
6. Non si instaurò
subito un processo di integrazione i dominatori infatti si consideravano gentiles e ritenevano libero solo l'arimannus (Cfr. G. P. Bognetti,
Vita sociale e politica in op. cit., II, pp. 109 e sgg.).
7. Nella battaglia
di Siponto dell'8 maggio del 625 i Longobardi, attribuendo la vittoria
all'aiuto dell'arcangelo che dominava dall'alto del Gargano, ne adottarono il
culto - la figura del santo che pesava le anime trovò rispondenza nelle loro
credenze - e la festa (Cfr. P. Diacono, Historia Langobardorum, V, 1, IV, 46; G. P. Bognetti,
I Longobardi e i loro rapporti col cristianesimo in op. cit., pp.
31 e sgg.). I Longobardi dettero un forte impulso alla costruzione e alla
restaurazione di chiese (Cfr. G. Crisci, op. cit., I, p. 89).
8. Cfr. A. Crivellucci, Le chiese cattoliche e i Longobardi ariani
in Italia in "Studi storici", VI, 4, 1897, pp. 93-115 e pp.
589-604.
9. Cfr. AD, 11.
10. Ibidem. Nel
documento appare chiaro il ruolo secondario della festa di S. Maria del
mese di agosto. Pur se la chiesa perdette l'intitolazione a S. Maria, rimase
naturalmente in essa la cappella dedicata alla Vergine come si evince da un
atto notarile dell'XVI secolo quando, abbattuta la chiesa dell'Angelo per far
posto ad un nuovo e più ampio tempio - la futura Collegiata - si dovettero
sostituire le cappelle in essa esistenti: tra queste c'era "ab antiquo"
"la cappella a S. Maria de mezzo agosto" (ASA, B 6574, II, ff. 73v e
74r).
|
5.
Con Arechi I iniziò da questo territorio
l'occupazione dell'intero bacino del Sarno e dell'Irno in preparazione della
presa di Salerno. Essa infatti fu preceduta da una consistente opera di
potenziamento militare delle zone interne e fu sostenuta da una spinta alla
messa a coltura delle terre.
Nel
contesto delle fortificazioni operate da Arechi I c'è
il rinforzo dell'antico "oppidum Rota" e
può collocarsi la costruzione dei fortilizi di Forino e Montoro che portarono
all'incastellamento della pianura e ne sostennero la sua messa a coltura1,
e potrebbe porsi anche il rinforzo del passo di Taverna-Castellucia
con uno dei due castelli del Pergola-S. Marco. Bisogna infatti considerare che
questi fortilizi, posti sul lato settentrionale e meridionale del monte e uniti
sia a Castelluccia che a Turci, costituivano un
essenziale complesso difensivo sul bacino e per chi veniva dall'interno2.
La
presa di Salerno fu agevolata e resa pacifica proprio dal fatto che Arechi poteva contare sul territorio interno fortemente in
sua mano dove fin da questo periodo può porsi la costituzione del gastaldato di Rota. È da tenere presente infatti che il
castello di Rota presto ebbe un'autonomia militare tanto che il suo gastaldo
ebbe il potere dell'horibannum e un legame
personale di fiducia col duca3.
Col
risveglio delle attività in pianura, Montoro e Forino divennero punti di
riferimento per la raccolta dei dazi del mercato e dei tributi curata dallo
"sculdascio" e per la difesa dei territori
che, pur conservando l'impronta militare, subirono una radicale trasformazione4.
In
questo contesto di precarietà ma anche di sviluppo, in cui si rafforza il
rapporto di Salerno con la pianura retrostante, il sistema pievano continua a
svolgere l'importante funzione di auto-organizzazione del territorio sostenuta
dalla Chiesa infatti le sue pievi divennero sedi curiali dove cioè si
risolvevano le controversie5.
Siamo
ancora in un periodo in cui i Longobardi concepivano il nucleo familiare come
unità patrimoniale per cui il possesso terriero procedeva di pari passo con la
occupazione del territorio che però, si è visto, conservava la sua
organizzazione. Questo processo avvenne senza contrasti perchè fu graduale e perché
nelle aree disabitate l'opera di limitazione dell'incolto appariva proficua per
tutti. Di conseguenza da una fase di non interferenza con le tradizioni locali
si passò ad una fase di feconda apertura in cui le consuetudini locali (usus loci), acquisite o tenute presenti,
vennero a far parte di tutta quella serie di norme non scritte che favorirono
una profonda amalgama culturale6.
Nell'opera
di integrazione e fusione con la popolazione locale ebbe un ruolo determinante
_______________
1. Si può far risalire
il ripristino di Rota al tempo dell'attacco fatto da Zottone
a Napoli (581) quando il duca ebbe bisogno di un punto avanzato sulla pianura
(F. Hirsh, op. cit., ivi). Del castello
di Forino invece si sa che fu assalito da truppe bizantine a pochi anni dalla
presa di Salerno (A. Di Meo, II, p. 105).
2. È attendibile
porre in questo frangente la costruzione del castello di Serino, rilevando la
necessità di difesa del sistema di comunicazione tra i due bacini. Vale la pena
tenere presente il già citato toponimo campo castello, indicante un
luogo sotto Castelluccia, il cui impianto può porsi
solo in relazione al complesso difensivo e al periodo longobardo non essendoci
altra occasione in cui si sia potuto istallare. È bene fin da ora tener
presente la morfologia del complesso Pergola-San Marco. Esso è delimitato,
dalla parte di S. Agata, dal vallone Cantarelle che divideva tutto l'ampio
spazio, indicato in questo periodo col toponimo sancta Agathe,
dal territorio che invece faceva parte del locum
Solofre (i confini erano segnati in
quei tempi da elementi naturali e il vallone Cantarelle è l'alveo che circonda
e difende la collina del castello) e dalla parte di Serino dal "vallone
scuro" in località canale (da considerare che lungo il vallone
Cantarelle c'è un sito chiamato anch'esso canale il che sottolinea il
collegamento su cui si vuol portare l'attenzione). Ciò contribuisce a spiegare
perché questa parte alta del territorio di S. Agata col castello apparterrà a
Serino mentre l'altra parte sarà di Montoro (V. infra specie il cap. III
e PII) .
3. Cfr. F. Hirsh, op. cit., p. 23; M. Schipa,
Storia del Principato longobardo di Salerno, ASPN, XII, 1887, pp. 81 e sgg.
La presa della città avvenne pacificamente grazie all'intervento del vescovo
Gaudioso. Sulla data gli studiosi non sono d'accordo comunque è certo che
quando il vescovo Luminoso partecipò al Sinodo romano del 649 Salerno già era
stata presa da Arechi (F. Kehr,
Italia Pontificia, Berlin, 1935, VIII, p.
340).
4. È testimoniata
nella zona l'attività notarile, la gestione fiscale, l'esistenza di proprietari
terrieri che curano e vendono i loro possedimenti (Cfr. CDC, I).
5. Ciò non avvenne
per Solofra per le caratteristiche della sua pieve. V. infra.
6. Ampiamente è
testimoniato il rispetto delle consuetudini locali codificato nella formula
"secundum usus
loci", il non esoso rapporto con i contadini (V. infra).
L'integrazione è dimostrata dal fatto che il concetto di "longobardo"
perdette presto il carattere etnico per assumere un significato giuridico.
7.
|
La
forte presenza di elementi germanici unita al citato processo di integrazione
con gli elementi greci e romani, il fatto che queste terre rimasero immuni
dalla civilizzazione carolingia determinarono una configurazione culturale che
andò sotto il nome di Longobardia minore2.
Per
opera di Arechi II, che fu l'ultimo grande principe
longobardo di Benevento, questa entità culturale si consolidò nell'ultimo
principato longobardo, un fiorente stato dove brillava Salerno divenuta una
fortezza sul mare che permetteva all'antica capitale, Benevento, di aprirsi al
fiorente commercio mediterraneo e che diverrà presto sua rivale anche perché Arechi vi trasferì la corte pur lasciando alla città
interna il nome del Principato3.
Durante
il governo di Arechi II tutta la pianura tra Salerno
e Nocera fino a Rota e Montoro fu interessata ad un consistente popolamento con
la messa a coltura di nuove terre. Essa, che si giovò dell'intenso traffico con
Benevento, diventò ancora più incisivamente il sostegno della città rivelandosi
come sua parte integrante.
Intenso
fu il movimento tra Salerno e la sua campagna dove si stavano formando grandi
proprietà laiche ed ecclesiastiche ma dove c'erano anche proprietà minori
autosufficienti che scoprivano le prospettive dell'inurbamento, dove dunque
l'economia urbana trovava la spinta per il suo sviluppo4.
È
necessario sottolineare la valenza di questa simbiosi tra la città e la
campagna perchè essa favorirà e sosterrà la trasformazione dell'attività
agricola in senso produttivo e perchè a questo processo parteciperà il locum Solofre il
cui mondo agro-silvo-pastorale darà nuova linfa alla
vitalità della pianura5.
Nel
mercato di Salerno cominciavano ad affluire i prodotti della terra e
dell'allevamento delle zone interne. Ed è proprio il mercato, dove si
trasferiranno le attività fino ad allora chiuse nell'economia curtense, a
sottolineare l'utilizzo del retroterra e ad agevolare la costituzione di quello
che sarà un paradigma dell'economia di Salerno longobarda prima e normanna poi.
Questo entroterra, destinato a divenire un fattore di ricchezza e di potere,
vincolerà a sè le due classi sociali cittadine che si
andavano formando, quella legata alle attività produttive e commerciali e
l'aristocrazia della terra.
Furono
queste due classi, desiderose l'una di partecipare alla vita politica l'altra
di trarne giovamento, a sostenere il principe Siccardo
contro Benevento quando tra le due città - Arechi era
morto da poco - scoppiò la guerra che portò alla divisione del principato. Essa
infatti non fu altro che la presa d'atto di un nuovo assetto che il territorio
era venuto acquistando proprio con lo sviluppo economico di Salerno6.
Questo
processo però non fu indolore perché prima e dopo la divisione la Longobardia minore fu dilaniata da lotte
intestine e discordie che spinsero agguerrite bande saracene a percorrere la
pianura alle spalle di Salerno e le vie di comunicazione con Benevento. I
contatti tra le due città ora avvenivano sulla grande via che, partendo da
Avellino longobarda attraverso il passo di Forino, raggiungeva la piana di Rota
il cui potenziamento deve collocarsi durante il principato di Arechi II. Neanche il bacino del flubio
rivus-siccus fu però immune da tali devastazioni.
Importante
fu, anche in questa situazione, l'azione dei vescovi che ebbero - come autorità
religiose di una città principesca - prestigio e potere esercitato sia nella
città che nelle campagne.
_____________
1. Arechi II, che era genero di Desiderio ed era stato cognato
di Carlo, si oppose, come ultimo rappresentante dei Longobardi, al re franco
che aveva assunto il titolo di Rex Langobardorum.
Carlo, dopo vari tentativi di occupare il ducato ribelle, desistette da
un'effettiva conquista. Contribuì a ciò la posizione del Principato troppo
vicino alle terre occupate dai Bizantini. Il principe longobardo quindi venne a
trovarsi in una posizione diversa dagli altri duchi sottomessi da Carlo Magno e
suoi vassalli. Egli faceva precedere il suo nome dall'espressione "vir eccellentissimus" che presso
i Longobardi apparteneva a chi era investito di dignità reale (Cfr. N. Cilento,
Italia meridionale longobarda, Milano-Napoli, 1966; O. Bertolini, Studi
per la cronologia dei Principi longobardi di Benevento, 787-739, Napoli,
1926).
3. Cfr. M. Schipa, Storia..., pp. 85 e sgg.
4. Cfr. G. Galasso,
Le città campane..., pp. 71-72. Lo storico sottolinea che l'autonomia di
Salerno è l'autonomia di tutto il territorio circostante e che l'a-scesa della
città dipende proprio dal suo entroterra e dall'opera di un'aristocrazia
ordinata intorno ai capi più ricchi.
5. Un fattore che
sosterrà la fusione tra la città e il circondario fu la coltivazione della
vite. Il vino infatti fu un elemento strutturale del mondo economico medioevale
non solo per il suo alto valore commerciale ma perché era un genere che
qualificava chi lo produceva, uno status simbol
che differenziava chi viveva nella città dal rustico del contado (Cfr. A. I.
Pini, La viticoltura italiana nel Medioevo in Studi sull'alto
Medioevo, Spoleto, 1974, pp. 801-803; I. Imbarciadori,
Vita e vigna nell'Alto Medioevo in Agricoltura e mondo rurale in
Occidente nell'Alto Medioevo, Spoleto, 1966, pp. 307-342). I documenti del
CDC pongono in evidenza sia la diffusione di questa coltura che il processo di
inurbamento che si concluderà alla fine dell'XI secolo.
6. Col Galasso si
sottolinea il ruolo dei centri arroccati dove la vita era rimasta autonoma
quando la città perdette forza e dai quali essa prese
la linfa per il suo sviluppo. Il popolarsi della pianura non potette non
determinare un incremento abitativo anche nell'alto bacino del flubio-rivus siccus
una traccia del quale può cogliersi in alcuni termini locali come "wafio" dato all'androne di accesso alla cortina e il
fatto che le stesse in loco sono chiamate "longobarde" ponendo in
questo periodo uno sviluppo della tipologia abitativa esistente.
7. Cfr. N. Cilento,
Le origini della Signoria capuana nella Longobardia
minore, Roma, 1966. Alla morte di Arechi II,
avvenuta il 26 agosto del 787, dopo un periodo torbido scoppiò la guerra civile
finita con l'intervento dell'imperatore Ludovico il Pio che divise in due il
Principato: quello di Salerno e quello di Benevento.
|
7.
La divisione del Principato longobardo di Benevento (849) portò ad una
modificazione del gastaldato di Rota che venne a
trovarsi sulla linea di confine1. Essa infatti passava sui monti di
Forino-Montoro toccando la località "alle Fenestrelle"2 e
il territorio di Aiello-Tavernola3 e giungeva al Sabato
in località "ad Peregrinos" dove c'era
l'immissione sulla via di comunicazione con
Il
gastaldato, per questo e perchè
costituiva quell'hinterland salernitano di cui si è detto, diventò un delicato
territorio di con-fine per cui furono rinforzati i castelli già esistenti che
formarono un'importante linea difensiva5.
Questo
territorio infatti fu interessato alle successive lotte tra i due principati e
fu esposto al costante e concreto pericolo saraceno6. Emerse dunque
la necessità di porre in esso una presenza forte che controllasse e nello
stesso tempo proteggesse la fertile campagna alle spalle di Salerno.
Per
realizzare ciò i principi si poggiarono sulla Chiesa, per la sua funzione di
elemento ordinatore delle energie del mondo contadino, e collaborarono con essa
alla creazione di un vasto patrimonio ecclesiastico che permettesse una
penetrazione in esso ancora più capillare. Fu sostenuto insomma, da parte
dell'autorità politica, quel controllo che l'episcopio già aveva in questa
pianura e ciò fu fatto attraverso la presenza di una realtà economico-religiosa
di tipo aristocratico7.
Fu
questa la chiesa palatina di S. Massimo fondata all'indomani della costituzione
del principato e dotata di terre arborate e seminative non solo nel territorio
del gastaldato di Rota ma in tutto il bacino dal
Sarno fino a Nocera tanto che divenne uno dei più cospicui patrimoni fondiari
del tempo8. Essa fu un formidabile strumento di potere e di
controllo nelle mani della famiglia regnante, centro di vita religioso,
economico e politico. Intorno alla chiesa gravitarono, accanto agli interessi
dell'aristocrazia fondiaria, quelli di un gran numero di rustici e di liberi
che con varie forme di contratto coltivavano le terre, le dissodavano, le
mettevano a coltura all'ombra della protezione della potente istituzione9.
In questo modo il principe fondatore di S. Massimo, Guaiferio,
legò a sè le genti delle campagne e i membri
dell'aristocrazia fondiaria cittadina.
La
collaborazione tra le due massime autorità di Salerno, quella religiosa e
quella politica, si coglie nel razionale sfruttamento sia dei beni di S.
Massimo sia di quelli dell'episcopio salernitano che in larga parte erano
contigui nella pianura tra Salerno e il Sarno10. La stessa famiglia
dei principi ebbe vasti possedimenti fin sotto il Pergola-S. Marco accanto ai
beni di S. Massimo ma non confusi con essi11.
La
collaborazione diventava strettissima nel locum
Solofre dove la pieve di S. Maria e S. Angelo,
pur facente parte dell'episcopio, era tenuta in beneficio dall'abate di S.
Massimo, quindi da un'autorità religiosa dipendente dal principe. Proprio la
comune gestione della chiesa e delle sue terre fa comprendere l'attenzione di
entrambe le autorità al controllo di questa parte dell'entroterra di Salerno
che giungeva fino ai contrafforti dell'Irpinia ed era attraversata da una via
di comunicazione col Principato di Benevento ma soprattutto offriva
interessanti prospettive12.
________________
1. Radelgisi et Siginulfi principum divisio ducatus Beneventani, ed. Fr. Bluhme
in MGH, LL, IV, Hannoverae, 1868, pp. 221-225, c.1. I
territori posti in questo gastaldato, definiti col sintagma
rotense finibus,
si individuano facilmente nei documenti di questo periodo. V. pure A. Di Meo,
V, p. 285.
2. CDC, I, 869. Il
luogo fenestrelle si trova sulle pendici del
monte Faliero dal versante di Avellino.
3. CDC, I, 229. Il
tenimento di Avellino si ridusse dalla parte meridionale poiché perdette i
territori sulle colline di Montoro. Alcuni possessori di queste terre infatti
si dicono abitanti "civitatem Abellini" (AD, 2).
4. CDC, I,
5. Cfr. B.
Ruggiero, Per una storia..., pp. 77 e sgg. Anche in questo periodo si
può porre la costruzione dei castelli del Pergola-S. Marco. Ciò può essere
avvenuto per lo meno per uno di essi, quello del versante sud, il che
entrerebbe nella logica del "rinforzo" e risponderebbe alle caratteristiche
di questo fortilizio. V. infra.
6. Cfr. M. Schipa, Storia.., pp.
84-106. Di questi episodi (A. Di Meo, III, 842; IV, 44-66 e 252-353) basta
citare l'attacco del duca Sergio di Napoli che con l'aiuto dei Saraceni seminò
distruzioni proprio tra Rota e Montoro coinvolgendo il comes
di Montoro Guaiferio. La situazione cambiò quando,
donati da Carlo il Calvo al Papato i ducati in lotta, iniziò una più diretta
penetrazione della Chiesa di Roma nelle lotte che travagliarono la vita del
Meridione.
7. I rapporti tra
potere laico e potere ecclesiastico, che si determinarono nel Principato di
Salerno, furono possibili data la ristrettezza del suo territorio e
l'importanza della pianura di Salerno (Cfr. G. Galasso, Le città campane...,
p. 31; G. Crisci -A. Campagna, op. cit., p. 121).
8. Questa
istituzione è stata studiata da B. Ruggiero in Principi, Nobiltà e Chiesa
nel Mezzogiorno longobardo. L'esempio di S. Massimo di Salerno, Napoli,
1973.
9. Nel CDC si
possono individuare nel bacino del flubio-rivus
siccus i possedimenti di S. Massimo, che
arrivavano fino ad Aiello (CDC, I, 229).
10. Questa
contiguità di interessi si coglie in un documento dove viene data a
coltivazione una terra definita "domini Sichenolfi
et Ermenandi episcopi" (CDC, I, 86), legami che
dimostrano che il ceto vescovile è espressione piena del gruppo dominante
laico. L'autorità dell'episcopio di Salerno però non fu mai messa in
discussione dai principi a cominciare da Guaiferio
che, per non turbare la preesistente struttura plebana della pianura, definì
col preposto clausole ben chiare per impedire ingerenze e conflitti di
competenza fino a Gisulfo che concesse alla cattedrale di Salerno tutti i beni
degli ecclesiastici che morivano senza eredi (RNAM, XLV, I, 160-165).
11. Cfr. AD, 13 e infra.
All'indomani della costituzione del Principato di Salerno la famiglia del
principe aveva comprato vaste terre nel gastaldato di
Rota che venne controllato direttamente dal potere politico. Gisulfo lo
affiderà, con le terre di Montoro usque Serrina de Ripilea, ad una
persona di sua fiducia, il conte di Giffoni (A. Di Meo, V, p. 285). Vale
la pena sottolineare questo legame che sarà una definizione anche economica.
12. Cfr. AD, 11. Il
documento della pieve, che è l'atto conclusivo di una precedente
collaborazione, è importante ai fini del discorso che si sta conducendo perché
evidenzia una modalità di gestione che non si riscontra nelle altre pievi della
pianura. Sono infatti presenti all'atto l'Arcivescovo Amato e l'abate Adelferio di S. Massimo il quale nel sottolineare le
funzioni plebane della chiesa ne riconosce la proprietà all'episcopio
salernitano.
|
8.
Nel periodo più fecondo del Principato di Salerno il rapporto tra la grande città
e la sua campagna - per il bacino del flubio-rivus
siccus anche altri dati documentali lo confermano
- è diventato così intenso tanto che i due spazi vivono "in una continuità
senza soluzione di interessi e di occupazioni", si può dire col Galasso,
"e in cui la città prosegue le occupazioni della campagna ne affianca ad
essa di altre"1.
A
Salerno ora non ci sono solo i possessores, si
trovano, affluiti dalle campagne, anche quelli che esercitano le arti che le
danno una spiccata impronta artigianale con la molitura del grano e la
produzione del sale, con botteghe di tessitura e tintura delle stoffe, con
conciatori di cuoio e con la produzione di otri da trasporto, le auricelle, e ci sono ancora fabbri, calderari, armieri.
Sono
questi a determinare lo sviluppo di tipo artigianale delle attività curtensi,
domestiche e servili, divenute libere e private2. Trasformazione
agevolata dal fatto che essi erano alle dipendenze tanto dei principi quanto
dei vescovi - è il caso della pieve - , dal fatto che
a Salerno si trovavano i più intraprendenti mercanti amalfitani e una
consistente colonia di Ebrei dedita alle attività artigianali e dal fatto che
queste attività erano protette da particolari privilegi3. Si era
creata insomma nella città una ricca ed attiva classe mercantile che insieme
alla oligarchia amalfitana e a quella delle altre città mercantili della
Campania aveva rapporti con l'oriente bizantino e arabo ma anche con l'economia
silvo-pastorale e agraria delle zone interne del
Principato4.
In
questo quadro di contatti artigiano-mercantili tra la città e il suo entroterra
- assicurati per il locum Solofre dagli obbligati rapporti tributari e religiosi
con la chiesa di Salerno, individuabili anche in altri settori della società
solofrana e messi in evidenza dal rapporto coloni-possessori gli uni a Solofra
gli altri a Salerno o dal trasferimento di possessori locali nella città5-
, si può coinvolgere in un'attività di scambio la produzione locale.
E poichè ogni società elementarmente organizzata risolve il fabbisogno
quotidiano con l'utilizzo di ciò che offre l'ambiente, l'economia del locum Solofre deve
considerarsi legata alla produzione silvo-agro-pastorale6.
È
corretto dunque far iniziare in questo periodo, soprattutto sostenuto dal
dimostrato legame con Salerno, lo stabilizzarsi in loco di quelle forme
antiche di concia delle pelli degli animali allevati, che una volta servivano
ai bisogni interni, come in ogni comunità pastorale e curtense, e che ora erano
in grado di soddisfare richieste più ampie.
Questo
impianto è legato sia all'abbondanza dell'acqua necessaria alla concia e alla
disponibilità della materia prima sia alla presenza sul posto di un prodotto
conciante e cioè la galla di cerro di cui i boschi abbondavano e che era
un elemento essenziale per fermare la decomposizione della pelle animale, base
del processo di concia7. Nè si deve
tralasciare la lavorazione della lana, anch'esso prodotto pastorale e anch'esso
legato alla concia. Ed è possibile collegare fin da ora questa attività con
quella che si andava installando con le stesse modalità sulle rive dell'Irno,
cioè la lavorazione della lana, per i legami tra le comunità di Solofra e
quelle dei casali di Giffoni e di Rota favoriti e mantenuti anche dal fatto che
per lungo tempo questi centri furono in mano ad un unico gastaldo8.
In
conclusione si può affermare che la presenza degli Ebrei a Salerno9,
il fatto che alcune loro specifiche attività li legavano alla pastorizia, che
intorno ad essi ruotava lo sviluppo dell'attività della concia insieme agli
stretti rapporti con Amalfi indicano gli stimoli che dovettero avere le
attività solofrane legate all'allevamento - salatura delle carni suine, concia
delle pelli, produzione della lana - che uscite dalla economia curtense si
proiettarono sul mercato di Salerno10.
__________________
2. Ibidem.
Gli artigiani compaiono a Salerno nel X secolo (Cfr. CDC, II, 226-228, 231,
357, 376).
3. Cfr. G. Paesano,
Memoria per servire alla storia della Chiesa di Salerno, Salerno,
1846-1857, II, p. 72. Oltre ad essere i soli a cui era permessa la macellazione
degli animali, gli Ebrei erano gli unici che potevano lavorare e vendere "auricellam". Essi però erano esclusi dalle attività
mercantili cittadine per cui si dedicavano a quelle extraurbane.
4. Ibidem, pp.
106 e sgg.; A. Lizier, L'economia
rurale dell'età prenormanna nell'Italia meridionale.
Studi su documenti editi dai secoli IX-XI, Palermo,1907, pp. 149-150. Alla
fine dell'XI secolo i mercanti amalfitani e salernitani, che avevano rapporti
con i mercati africani, furono favoriti dalla crisi bizantina che trasformò il
Mediterraneo in una grande area di smercio. Gli amalfitani stabilirono una rete
di traffici in tutto il Meridione che sosteneva la produzione agricola dove
investivano i proventi dei loro affari (Cfr. A. Leone-G. Del Treppo, Amalfi
medievale, Napoli, 1977; G. Imperato, Amalfi e il suo commercio,
Salerno, 1980).
5. Cfr. PII e AD
6. Ibidem.
7. Galla è
il nome antico della ghianda del cerro, frutto molto più grosso delle normali
querce ed eccellente e molto usato prodotto conciante (Cfr. A. Bravo, Storia
della concia..., p. 163). Il cerro, un tipo di quercia caratteristico dei
terreni sassosi e diffuso a Solofra, ha dato il toponimo all'arroccamento di Cortina
del cerro ai piedi del quale, in località de li burrelli,
sono documentate ai primi del XVI secolo le potechelle
di pie' S. Angelo (ASA, B 6522 e 6523 infra.
I protocolli documentano non meno di cinquanta apoteche de consarie non solo ai casali Fiume-Balsami ma
anche nelle località Fontane sottane e Fontane soprane) che sono antiche
botteghe con le sole vasche per la concia. Vale la pena ricordare che le contrarie,
oggetto di un articolo degli Statuta
antiqua dell'Universitas (v. cap. III), avevano
questo tipo di vasche e che gli stessi articoli regolavano anche il pascolo
nelle selve di cerri permettendolo solo dopo la raccolta del frutto (Cfr. C.
Castellani, Statuta Universitatis
terre Solofre, Galatina, 1989, pp. 44,45).
8. Cfr. A. Di Meo,
V, p. 285. V. pure la n. 61. Tali legami sono ampiamente ed in modo netto
documentati nei protocolli notarili dell'XVI secolo che danno anche la
possibilità di individuare un antico impianto a Solofra di famiglie provenienti
dall'area di Giffoni-Rota verso la quale è diretta in modo esclusivo tutta la
produzione solofrana della lana. V. infra specie cap. III e PII.
9. Ai fini del
discorso che qui si sta facendo vale la pena sottolineare che lo sviluppo di
Salerno come centro artigianale e mercantile è legato alla colonia ebrea, che
subì un incremento nel periodo bizantino e che si estendeva fino a Rota (Cfr.
C. Carucci, Ebrei a Salerno nei secc. IX e XII in ASPS, 21-22, pp.
74-75; T. Tamassia, Stranieri ed Ebrei nell'Italia
meridionale dall'età romana alla sveva, Venezia, 1904).
10. La vicinanza
con Amalfi influenzò molto l'economia di Salerno che si uniformò alla
monetazione di quel centro commerciale e dove gli Ebrei amalfitani potevano
vivere liberamente secondo il diritto romano (Cfr. A. Marongiu, Gli Ebrei di
Salerno nei documenti dei secc. X-XIII in ASPN, 1937, 23, pp. 240 e sgg. V.
infra e cap. III).
|
9.
La vivacità economica di Salerno fu la causa principale della trasformazione
socio-politica che visse la città negli anni del suo maggiore splendore le cui
conseguenze si avranno nell'assetto della sua immediata campagna e che si
rifletteranno anche nella gestione della pieve del locum
Solofre.
Il
ceto aristocratico di Salerno, infatti, preso nella morsa di lotte e intrighi,
alla fine del X secolo si era spaccato portando a capo del Principato il ramo
dei principi Guaimarii. Questi fondarono una nuova
chiesa palatina, S. Maria de Domno, in opposizione a
S. Massimo. Si venne così a creare una lotta aperta tra le due istituzioni che
si estese anche nelle campagne a danno di S. Massimo1. L'antica
istituzione infatti vide i suoi beni accaparrati dagli stessi domini - i
possessori della chiesa - , altri ceduti all'episcopio
salernitano, altri all'Abbazia di Cava, fino a finire essa stessa nel patrimonio
dell'emergente cenobio metelliano2.
Questa
spaccatura, che metteva in evidenza la debolezza della classe politica, fece
crescere di potenza
L'emergere
dell'episcopio salernitano come punto di riferimento per la classe
borghese-mercantile e la rottura dell'equilibrio tra il potere ecclesiastico e
quello politico, che aveva caratterizzato la stagione di S. Massimo, si coglie
nel citato documento della pieve di S. Angelo e S. Maria. In esso l'abate e il
vescovo consegnano la chiesa a Truppoaldo, presbitero
solofrano, atto che è la restituzione della chiesa al suo territorio e la
rinunzia di S. Massimo alla sua gestione politica4. Pochi anni dopo
infatti la chiesa palatina sarà assorbita da Cava.
L'episcopio
di Salerno riprende dunque il controllo del territorio alla vigilia
dell'occupazione di Salerno da parte dei Normanni.
Alla
metà dell'XI secolo Salerno viveva gli ultimi bagliori del suo splendore sotto
la guida dell'illuminato Guaimario V, l'ultimo grande
rappresentante dell'aristocrazia salernitana prima del tracollo ad opera di
guerrieri normanni che lo avevano aiutato a fare del Principato il più grande
stato dell'Italia meridionale.
Se
però tramontò la classe politica restò la realtà della città nodo di traffici,
fonte di ricchezza e di centro culturale con la scuola salernitana5,
soprattutto restò
Fu
il potere religioso in questo frangente a gestire l'elemento che aveva
determinato il rigoglio di Salerno e cioè il popolamento delle sue campagne che
riversando sulla città i prodotti dei campi e dell'artigianato, si è visto, la
rendevano ricca.
L'incremento
demografico aveva reso inadeguato il distretto pievano, che esiste là dove ci
sono popolazioni sparse. L'episcopio salernitano nell'assenza di una direzione
politica vi sostituì, come si vedrà meglio in seguito, una divisione
territoriale più piccola, la parrocchia, che pose la chiesa più vicina alle
popolazioni e che restrinse ad uno specifico territorio le sue caratteristiche
di chiesa che gestisce un patrimonio6.
I
prodomi di questa trasformazione si colgono nel documento della pieve:
l'assegnazione della chiesa al presbitero solofrano crea i presupposti per
questo legame. La meticolosa precisione nel citare gli obblighi di Truppoaldo, sia nella gestione delle terre che nella cura
delle anime, manifesta la volontà di preservare per il futuro la chiesa stessa
e il suo patrimonio, entrambi "con-segnati" agli abitanti del locum tramite il loro presbitero.
Truppoaldo e i suoi eredi possono legare con regolari contratti
agrari alla terra i coloni e i loro eredi. Questo citare gli eredi, elemento
richiesto dai contratti dell'epoca che permetteva lo stabilizzarsi di un gruppo
a lungo sul fondo per curarne la fruttificazione, trattandosi di una chiesa
matrice di un territorio, acquista una diversa valenza. Gli edifici di
pertinenza, che accolgono le attività degli uomini, i campi, che insieme alla
chiesa costituiscono il beneficium di Truppoaldo, le assegnano la cifra di centro economico
intorno a cui gravitano gli interessi del presbitero e dei suoi eredi insieme a
quelli degli uomini che vi lavorano ma anche della intera cominutà7.
La
chiesa insomma assolve, in questa realtà non ancora organizzata
amministrativamente, a funzioni comuni, come si è detto e come meglio si vedrà,
non solo per i bisogni religiosi. L'atto di consegna deve vedersi allora come
il segno di una presa di possesso del territorio da parte della popolazione e,
tramite la chiesa matrice, della organizzazione di esso.
Prima
di avere autonomia amministrativa la comunità del locum
Solofre è già organizzata comunitariamente. Alle
origini di Solofra c'è dunque un percorso che è un archetipo della costituzione
di una comunità e che contribuisce a determinare l'identità culturale di essa.
_____________
1. Cfr. B.
Ruggiero, Principi..., pp. 45 e sgg. I documenti del CDC mettono in
evidenza questo passaggio. In CDC, I, 297-298 ad es. il principe Giovanni donò
alla chiesa di S. Maria de Domno varie terre in
"loco Muntorum".
3. Per la funzione
che andava acquistando l'episcopio di Salerno in un periodo delicatissimo della
sua storia fu incardinato direttamente alla Sede apostolica ed ebbe la
giurisdizione metropolita su tutte le sedi vescovili. Anche l'imperatore le
dette privilegi e donazioni.
4. Cfr. AD, 11. Da
pochi anni (1019) Guaimario aveva concesso
all'Arcivescovo la licenza di usare le terre "et omnes
curtis" e i fiumi nel miglior modo possibile per
il loro sfruttamento (Cfr. M. Schipa, Storia...,
p. 259).
5. Le prime tracce
dell'esistenza a Salerno di una scuola di medicina, che toccherà il culmine nei
secoli XI-XIII, compaiono nel X secolo (Cfr. P. O. Kristeller,
La scuola di Salerno. Il suo sviluppo e il suo contributo alla storia della
scienza, Salerno, 1955, pp. 11 e sgg. ; S. De
Renzi, Storia documentata della scuola medica di Salerno, Napoli, 1857).
6. Cfr. B.
Ruggiero, Per una storia…, pp. 80 e sgg.
7. Cfr. PII e AD,11.
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Capitolo primo
Presenze
sannitiche e romane nel bacino del flubio-rivus siccus
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Capitolo terzo
Parte seconda
La
conca del flubio-rivus siccus
nelle carte di Cava e di Montevergine
Appendice documentaria: documenti longobardi
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ABBREVIAZIONI
ABC |
Archivio della Badia di Cava. |
AD |
Appendice documentaria. |
ASA |
Archivio di Stato di Avellino (Protocolli notarili). |
ASPN |
Archivio Storico delle Province Napoletane. |
ASPS |
Archivio Storico Province Salernitane. |
CB |
Catalogus Baronum, Commentario a c. di E. Cuozzo, 1984. |
CDC |
Codex Diplomaticus Cavensis, I-VIII, 1873-1893; IX,1984; X, 1990. |
CDS |
Codice Diplomatico Salernitano, Salerno, 1931 |
CDV |
Codice Diplomatico Verginiano, 1977-1993. |
HB |
Huillard-Bréholles, J-L.-Alphonse, Historia diplomatica Friderici secundi, I-VI, 1852-1861. |
IGM |
Istituto Geografico Militare, Carta Topografica programma-tica regionale, Campania, tvv. 25 e 33 quadrante 185 I e II. |
PII |
Parte seconda: La conca del flubio-rivus siccus nelle carte di Cava e di Montevergine. |
RNAM |
Regii Neapolitani Archivii Monumenta, I-VI, 1845-1861. |
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