Lettura di
Alle
radici di Solofra
di
Mimma De Maio
CAPITOLO TERZO
IL PERIODO NORMANNO-SVEVO
1.
I Normanni1, venuti a gruppi nell'Italia meridionale come cavalieri
di ventura2si trovarono coinvolti nelle lotte del particolarismo
meridionale, combattettero infatti sia contro i
Bizantini che contro i Saraceni ma anche con l'uno o con l'altro dei principi
al cui servizio si erano messi3. Furono vassalli
dei Longobardi4e, a causa della debolezza degli stessi capi
longobardi, usarono questa condizione come base per l'unificazione dei
loro possedimenti in uno stato unitario5.
Tra
i principi di cui i Normanni furono sudditi troviamo quelli di Salerno a
cominciare da Guaimario V nella cui politica il normanno Roberto d'Hauteville, detto il Guiscardo, entrò così profondamente
che la presa di Salerno, avvenuta nel 1077, al di là dei
sette mesi di assedio, fu quasi un passaggio del potere da Gisulfo II, ultimo
principe longobardo, al Guiscardo. Costui si era anche imparentato con la
famiglia regnante avendo sposato Sighelgaita, figlia di Guaimario e sorella di
Gisulfo6.
Il
nuovo principe di Salerno si presentava come una forza giovane in grado di
difendere la città dai Saraceni che minacciavano la sua floridezza. Né bisogna dimenticare che anche il papa Gregorio VII, nella
lotta contro l'imperatore Enrico IV, si poggiò sulla forza militare dei
Normanni di Salerno dove si rifugiò e dove morì7.
Il
passaggio fu sostanzialmente indolore perché la città continuò ad essere una grande capitale a capo dei vasti domini normanni almeno fino
all'unione di tutto il meridione nel Regno di Sicilia con Ruggero II (1130)8.
Nel
periodo a cavallo tra la venuta di questi guerrieri nel Principato di Salerno9
e la caduta dello stesso, la pianura di Rota-Montoro subì, come tutte le
terre del Principato, profondi rivolgimenti sia perché soffrì i danni delle
incursioni normanne sia e soprattutto perché il principe Gisulfo attuò nel
retroterra salernitano, proprio per far fronte a quelle incursioni, opere di
rinforzo. Al centro di queste c'è il potenziamento del castello di Rota10,
né furono esenti i castelli di Forino e Montoro posti
a difesa della pianura attraversata dalla via di comunicazione con Avellino. Si
deve considerare interessato a questa opera anche il
complesso difensivo del Pergola-S. Marco intorno al quale si coglie un
rivolgimento viario. Il passo di Taverna-Castelluccia diventa sempre più al
servizio di Montoro attraverso Banzano mentre
l'arroccamento di S. Agata sarà sempre meno accessibile per via degli
straripamenti nella zona di Chiusa11. Nello stesso tempo acquista
maggiore sviluppo, protetta dai castelli del Pergola-S. Marco, la via di Turci
che pone in comunicazione la conca di Solofra con la valle del Sabato. I
Normanni al seguito del Guiscardo prima della
conquista di Salerno sottrassero ai Longobardi questi capisaldi che vennero ad
aggiungersi alle "nuove terre" avute dai principi12.
Tra
questi guerrieri c'era Troisio13che fu presente a Salerno fin dal
1045, periodo in cui iniziarono per opera sua le
usurpazioni e le distruzioni che interessarono le terre del gastaldato di Rota.
Esse portarono, in seguito ad una guerra contro quel gastaldo
combattuta sulla linea Montoro-Serino, alla presa del castello di Rota e
al possesso di tutto il territorio. Fu quindi nominato dal Guiscardo conte di
Rota nel 1061 prima cioè della caduta di Salerno.
Nel
nuovo possesso di Troisio c'erano però terre
appartenenti alla chiesa salernitana - tra cui quelle della pieve - che
ugualmente Troisio usurpò subendo la scomunica del papa in seguito alla quale
sarà costretto a restituirle14.
Tra
i saccheggi e le violenze dei primi anni della conquista quelli di Troisio
furono più volte denunziati tanto che i guerrieri
normanni di Salerno furono considerati peggiori dei Saraceni. A ciò si deve il
dissesto del territorio e l'impaludamento di parte della pianura che ne mise in
pericolo la floridezza. L'alto bacino del flubio-rivus siccus restò
tagliato dalla grande pianura assumendo una nuova
definizione che lo fece gravitare non più su Montoro, da cui, si vedrà, sarà
diviso anche amministrativamente, ma su Serino intorno cioè all'agglomerato
difensivo del Pergola-S. Marco15.
Caduta
Salerno Troisio fu confermato nella contea di Rota.
Essa - una delle dodici in cui fu diviso il territorio normanno - comprese
l'intero gastaldato omonimo fino ai contrafforti che ne avevano
segnato il confine tra i principati di Salerno e Benevento. Qui subì un arresto
la vivacità mercantile e si bloccò, se pur momentaneamente, il felice rapporto
tra la grande città e la sua immediata campagna. Su
queste terre, dove c'era stata la libera proprietà di piccoli conduttori, il comes
Troisio stabilì un governo di tipo aristocratico ed indipendente arrogandosi
tutti i diritti feudali, tra cui quelli di regalia che gli permettevano di
estorcere quanto più poteva e che bloccarono la ricchezza produttiva della
zona. Siamo infatti nel periodo di anarchia feudale
che caratterizzò il primo tempo della conquista normanna16.
____________
1.
I Normanni
("uomini del nord", termine con cui venivano
indicati tutti i popoli scandinavi che si avventuravano sui mari poi ristretto
ai soli norvegesi detti anche Vichinghi) dalla Normandia vennero in Italia nei
primi decenni dell'XI secolo. Erano guerrieri dotati di spirito di intraprendenza, forza fisica e capacità di difendere le
conquiste. Legati da saldi vincoli di famiglia e di amicizia,
avevano un concetto di organizzazione statale che dava potere a chi li guidava
alla vittoria. Cfr. E. Pontieri, La meravigliosa avventura della "Gens
Normannorum", in Divagazioni storiche e storiografiche, Napoli, 1960, pp.21-99.
2.
Alcuni storici
li considerano avventurieri, altri li dicono pellegrini di ritorno dalla terra
santa, il fatto è che l'Italia meridionale li attirò con le sue terre ubertose
e le sue lotte locali.
3.
L'Italia
meridionale, divisa in ben nove parti in profonda crisi, favorì l'occupazione
normanna, in seguito sostenuta anche dal papato che vide in loro una forza
fresca da utilizzare contro il diffondersi della chiesa greca.
4.
Il duca di
Napoli favorì il loro insediamento a Capua, con Rainulfo di Drengot che fu
conte di Aversa (1030), e il principe di Salerno in
Puglia, con Guglielmo d'Hauteville (Altavilla) detto Braccio di ferro che fu
conte di Melfi (1042). Guglielmo, Dragone e Umfredo furono i primi fratelli
Altavilla, figli di Tancredi, a venire in Italia.
5.
I Normanni non
erano venuti con propositi di fondare uno stato ma solo di inserirsi nella
società meridionale. Fu per la personalità di altri
figli di Tancredi, Roberto e Ruggero, che si giunse all'unificazione.
6.
Cfr. M.
Schipa, Il principato di Salerno..., p. 561.
Sarà questa posizione a permettere a Roberto di unire le terre del Principato con quelle della Puglia tenute dai fratelli. In Salerno
c'era un accentuato spirito filo-normanno che portava a vedere nel Guiscardo un continuatore della politica del suocero e a
sperare nella liberazione dalla tirannia di Gisulfo.
7.
La politica
della Chiesa nei riguardi dei Normanni, all'inizio di opposizione
(Leone IX), cambiò col Concordato di Melfi (1059) quando Niccolò II riconobbe
le conquiste di Roberto affidandogli le guerre contro i Bizantini e i Saraceni.
Gregorio VII, assediato in Roma dall'imperatore - siamo nel pieno della lotta
per le investiture - , fu liberato da Roberto il Guiscardo
(1084)
8.
Cfr. C.
Carucci, La provincia di Salerno... pp.304 e sgg. In questo frangente
molto importante fu l'opera del vescovo di Salerno, Alfano, che si adoperò
affinché il passaggio avvenisse senza traumi.
9.
A Salerno i
Normanni giunsero tra il 1015 e il 1016 (cfr. F. Hirch-M Schipa, Langobardia
meridionale, Roma, 1968, p.180 e sgg.).
10.
Cfr. G.
Portanova, I Sanseverino e l'Abbazia cavense (1061-1384), Cava, 1977,
pp. 22 e 31 e sgg. In questa pianura il vescovo Alfano dette
a Gisulfo alcune fortificazioni ed ebbe in cambio delle chiese che entrarono
nell'opera di ristrutturazione messa in atto dalla chiesa di Salerno in questo
periodo di passaggio di cui si parlerà (Cfr. G. Crisci, op. cit., pp.192-193).
11.
Cfr. AD,
12.
Cfr. S.
Tramontana, I Normanni in Italia: Linee di ricerca sui primi insediamenti,
I, Messina, 1970. Vale la pena ricordare il grande rivolgimento subito dalle terre del bacino che si sta
studiando di cui si è parlato nel cap. II.
13.
Cfr. G.
Portanova, op. cit.,
pp.31-43. Troisio, che venne a Salerno insieme al fratello Angerio (capostipite
dei Filangieri), dette inizio alla famiglia dei Sanseverino sulla quale il
Portanova ha condotto un pregevole studio che si tiene presente in questo
tratto
14.
Ibidem. Anche in questo frangente
rilevante fu l'azione del vescovo Alfano che ottenne da Alessandro II la
scomunica per i guerrieri normanni (Cfr. P. F. Kehr, Italia Pontificia,
VIII, 14 e 351; F. Ughelli, Trogisius..., VII, pp. 382-384 e 571; G.
Crisci, op. cit., pp. 187-212).
15.
Questo
agglomerato - si è visto chiamato "Serrina de ripilea" - coll'abitato
naturalmente difeso, essendo un punto fortificato sulla valle del Sabato, anche
in questo periodo acquisterà una valenza particolare. V. infra.
16.
Cfr. G.
Portanova, op. cit.,
pp.31-42. Bisogna considerare che in questa fase iniziale le terre, divise in
contee di grandi estensioni, erano tenute come proedia bellica e che
questi primi conquistatori-feudatari potevano tenere uomini armati.
|
Il
sistema plebano, che aveva caratterizzato l'organizzazione territoriale
religiosa della pianura di Salerno, si mostrava ora inadeguato ai bisogni delle
popolazioni. Esse divenute più numerose erano alla ricerca di una loro identità
intorno ad un nucleo religioso che fosse il segno
distintivo di un determinato territorio. Si sentì perciò la necessità di creare
entità territoriali più ristrette a cui le popolazioni si potessero rapportare
direttamente e che furono le parrocchie2. A ciò si aggiunse
l'esigenza di ripristinare il servizio nelle chiese e nei benefici sottratti
all'episcopio, di regolamentare l'ingerenza laica nella vita ecclesiastica e di
ricostruire le diocesi là dove si erano estinte, interventi che dovevano sanare
il degrado che la rottura di delicati equilibri aveva prodotto3.
In
questo quadro trova ragione la ristrutturazione che fece il vescovo Alfano
dell'intero territorio della diocesi che fu diviso in
13 distretti in rapporto al popolamento. Era necessario, per supplire alla
debolezza del controllo politico, mantenere la giurisdizione ecclesiastica
legata al territorio e assicurare su di esso un clero
gerarchicamente subordinato ai poteri dell'ordinario.
Nella
pianura a nord-nord-est di Salerno ci furono ben
cinque distretti tra cui quelli di "Montorii" e di "Furini et
Sirini"4. Quest'ultimo, unico distretto molto
più grande degli altri, si spiega col fatto che, approfittando del
disordine causato dall'occupazione normanna, l'arcivescovo di Benevento Roffrit
aveva rivendicato proprio i territori di Serino e di Forino posti sulla linea
di confine tra i due ex-principati longobardi. Alfano li unì per sottolineare la loro appartenenza, anche territoriale e
amministrativa, a Salerno5.
In
questo distretto, che si configura come un polo territoriale-religioso, è
inglobata la chiesa di S. Angelo e S. Maria del locum Solofre che, non
più punto di riferimento di un territorio spopolato, è diventata sede di una
parrocchia6.
A
tale prima ristrutturazione ne seguirà un'altra nella seconda metà del XII
secolo in "archipresbiterati", cioè in
nuclei di parrocchie organizzate intorno ad un centro religioso preminente.
Questa divisione, che si era resa necessaria per il proliferare di nuove
chiese, portò alla scissione del distretto di "Furini et Sirini" in
due archipresbiterati facenti capo uno a Forino e
l'altro a Serino. Quest'ultimo si estendeva a tutto l'alto bacino del flubio-rivus
siccus e comprendeva le parrocchie di S. Agata e di Solofra7.
Bisogna tener presente, per considerare il valore territoriale-religioso
dell'ordinamento ecclesiastico nell'organizzazione del contado, che la nuova
realtà rispecchia la suddivisione feudale che aveva subito l'intera zona8.
La corrispondenza tra l'organizzazione ecclesiale e quella politica permetterà
ai gruppi che abitano sullo stesso territorio intorno ad una chiesa, uniti da
fini e interessi comuni, di amalgamare le norme della vita ecclesiale con gli
usi e i costumi propri agevolando il processo di maturazione verso forme più
complesse di vita comunitaria.
L'opera
di riforma della Chiesa di Salerno tenne presente la nuova realtà venutasi a
creare nella pianura alle spalle di Salerno e cioè la
crescita del cenobio di Cava a cui erano state donate chiese e terre. Verso
l'abbazia metelliana la politica dell'episcopio salernitano, prima ostile,
cambiò visto che essa si affermava come punto di riferimento per l'encardement
delle campagne e come recupero delle popolazioni rurali alla vita liturgica9.
Si
venne a creare un intenso rapporto tra organizzazione ecclesiastica del contado
e monachesimo il tutto legato al fenomeno dell'incastellamento per la difesa
delle terre e alle istanze economiche dello
sfruttamento intensivo di esse.
Le
terre della chiesa di Salerno e di Cava furono governate da ciascuna di queste
autorità e ciò fu sancito e agevolato da vari privilegi, soprattutto di natura
economica, sia al tempo di re Ruggiero che di Federico II10.
Poiché
le terre di Solofra dipendevano parte da Cava e parte da Salerno la comunità ebbe rapporti con entrambi i centri religiosi
che furono importanti poli di sviluppo socio-economico11.
________________
1.
Importante fu
il Sinodo di Salerno del
2.
La parrocchia
è il centro di un distretto ove si esercita una giurisdizione ecclesiastica, la
cura animorum sulle popolazioni. Le parrocchie furono organizzate alla
fine dell'XI secolo per una più ordinata
amministrazione dei beni dell'episcopio salernitano in un periodo di disordine
politico (Cfr. B. Ruggiero, Parrochia..., pp.176 e sgg.).
3.
Cfr. G.
Crisci, op. cit.,
pp. 180-181. Fin dalla fine del X secolo il papato
aveva cercato di controllare i fermenti di autonomia dall'autorità del vescovo,
che portavano al lassismo spirituale e morale, con la concessione al vescovo
Amato della facoltà di reggere e governare le chiese e i monasteri fondati da
principi e gastaldi. Leone IX inoltre fu a Salerno per sanare, col Sinodo del
1050, la piaga della simonia.
4.
B. Ruggero,
Per una storia...,
pp.64-65. Gli altri distretti furono quelli di "Nuceria",
"Sancti Georgi" e "Sancti Severini".
5.
B. Ruggero,
Per una storia...,
pp.64-65. Gli altri distretti furono quelli di "Nuceria",
"Sancti Georgi" e "Sancti Severini"
6.
Ibidem. La trasformazione della pieve di Solofra in parrocchia
portò alla caduta dell'intestazione a S. Maria. La parrocchia avrà, come la
chiesa, la sola denominazione di S. Angelo a completamento della trasformazione
individuata fin dal secolo prima (V. cap. II). La caduta della seconda
intestazione è dimostrata anche dal fatto che sul retro della pergamena della
pieve "con una beneventana molto calligrafica", databile in questo
periodo, si legge "brebe di S. Angelo" (Cfr. B. Ruggiero, Potere..., p. 88).
7.
P. F. Kehr, op.
cit., 45, 358. Nel 1169 Alessandro III confermò
all'Arc. di Salerno la divisione. Nel frattempo la parrocchia di S. Agata si
era arricchita della chiesa di S. Andrea, quella di Solofra della chiesa di S. Croce. V. PII
8.
V. infra. Nella
divisione territoriale normanna Solofra graviterà su Serino.
9.
Lo sviluppo
del cenobio cavense, a cui non furono estranei gli ultimi principi di Salerno,
Guaimario e Gisulfo, che concessero immunità e poteri giurisdizionali, comincia
nel 1025 (CDC, V, n. 754) ma si intensifica nella
seconda metà del secolo quando tutte le terre di S. Massimo e la stessa chiesa venne assorbita da Cava. Cfr. B. Ruggero, Per una
storia...,
pp. 65 e sgg.; Id., Principi nobiltà..., pp. 81 e sgg., 197 e sgg.
10.
Importante fu
il Sinodo di Salerno del
|
3.
Da Troisio, che si chiamò di Rota, la contea nel 1081 passò
al figlio Ruggiero I col quale inizia la dinastia dei Sanseverino, nome che
avrà da questo momento il castello di Rota1.
Ruggiero
I, che aveva sposato una principessa longobarda,
governò nella contea fino al 11252. Le terre del bacino del flubio-rivus
siccus ne costituirono la zona orientale che giungeva fino a Serino (usque
Serrina de Ripilea)3 e che ebbe come centro Montoro, sede di un
suffeudo in mano al figlio Roberto I4.
Nella
parte occidentale della contea, che aveva come centro il castello di Rota,
Ruggiero si associò Enrico5 che alla morte
prematura del fratello Roberto, avvenuta nel 1119, pretese, vivente ancora il
padre, il governo delle terre di costui a scapito del nipote Roberto II6,
ancora minorenne e affidato alla madre Sarracena7.
La
rivendicazione, all'inizio contenuta - Ruggiero fu infatti
presente agli atti riguardanti tali possedimenti fino al 11218 - ,
portò, morto il genitore, alla divisione della contea. Ad Enrico andò S.
Severino e una parte di Montoro, quella pianeggiante col castello9.
A Roberto II, col quale si formerà il ramo dei Caserta-Tricarico, andò
Serino-Solofra e l'altra metà di Montoro - il vico di S. Agata - che formeranno una nuova realtà territoriale, intorno al
Pergola-S.Marco10.
Le
traversie della contea di Rota si inquadrano nel
travagliato periodo di anarchia - una parte del quale si è visto con Troisio -
che precedette l'unificazione dei territori normanni e in cui il sistema
feudale non si era ancora irrigidito nelle forme stabilite dalla monarchia di
re Ruggiero II11. In questo periodo infatti
chiese, monasteri e signori laici esercitavano ancora sulle masse rurali,
direttamente e a vari livelli, larghissimi poteri fiscali e militari a cui si
aggiungeva il controllo sul territorio. C'era una precarietà diffusa circa il
diritto di giudicare gli abitanti, visto che le terre erano sottoposte a vari
proprietari, che fece avvertire la necessità di riorganizzarle e il bisogno di
precisare chi fosse titolare di tali diritti. Questo fu l'impegno dei principi
normanni e della Chiesa di Salerno che continuò la già intrapresa azione a
favore delle popolazioni.
Nella
contea di Rota in questo periodo di disordine spicca il buon governo di
Ruggiero I Sanseverino, che amministrò con saggezza le
sue terre nominando suoi adepti a reggerle o garantendo il possesso fondiario12.
Soprattutto iniziò quella politica a favore di chiese13 e monasteri
che sarà la caratteristica del governo normanno. Il comes
Ruggiero si qualifica altresì per le elargizioni fatte al cenobio di Cava di
cui sarà strenuo difensore14 ponendosi in quella linea di accorta politica a sostegno delle popolazioni di cui si è
detto.
L'incardinamento
religioso dell'entroterra salernitano a favore del monastero di Cava, poi anche
di Montevergine, se era una risposta alle necessità del suo popolamento e alla
conseguente maggiore vivacità, dall'altra introduceva un sistema che diverrà una tendenza generalizzata - si assiste a donazioni
anche da parte di piccoli proprietari15 - , quella cioè di porre le
terre sotto la protezione del grande ente religioso all'ombra delle cui
immunità le forze locali, accanto alla mutua dipendenza di occupazioni e
rapporti, potevano dare più fecondo incremento alle attività produttive. Basti
pensare al grande significato che ebbe la donazione
del porto di Vietri fatta da Ruggiero al cenobio perchè ne sottolinea le
capacità e ne indica le prospettive connotando comunque la valenza economica
dell'Abbazia16.
Ruggiero
inoltre non disdegnò di favorire l'aristocrazia longobarda a cui i Normanni si
affiancarono, laddove non si sostituirono, e a cui dettero
incarichi di fiducia portandoli a far parte della nuova burocrazia17.
Con
Ruggiero si ha un ritorno della situazione socio-econo-mica
ai valori precedenti la conquista. Riprende il moto dalla campagna alla città,
riprende la vocazione alla integrazione tra questi due
elementi che erano stati la caratteristica del periodo precedente.
_________
1.
G. Portanova, op.
cit., pp.
23-27. Il territorio della contea continuò a chia-marsi "rotense
finibus" o "di Rota" fino a perdere gradatamente l'antica
denominazione.
2.
Ibidem, pp. 44 e sgg.; GB, p. 573. Ruggiero,
che è chiammato "Rogerius senior de castello Lauri, qui de Sancto
Severino", è presente nei documenti dal 1081 al 1125 quando
si ritirò a Cava dove si fece monaco e dove morì nel 1129. Dalla moglie
Sikelgarda, figlia di Landolfo, fratello dello spodestato Gisulfo II, ebbe molti figli dei quali qui interessano Roberto ed
Enrico.
3.
A. Di Meo, V,
943. Il tenimento che qui si indica col nome di
Serino ("usque Serrina de Ripilea") comprendeva il complesso montuoso
del Pergola-S. Marco e il castello "que vulgo Serino dicitur" (AD,
29), che era l'estremo punto del gastaldato di Rota.
4.
Cfr. G.
Portanova, op. cit., pp. 47 e sgg. ; F. Scandone,
L'alta valle del Calore, I, Napoli, 1911, pp.21-23; G. Tescione, Caserta medievale e i suoi conti e signori,
Marcianise, 1965, p. 17. Roberto I, chiamato
"dominus et habitator castelli qui dicitur Laure" è presente nei
documenti tra il 1109 e il 1119 quando si ha notizia del matrimonio con
Sarracena e della sua morte. Si sa di un'investitura da lui fatta nel castello
di Montoro a Guglielmo Carbone di Monteforte (1109) alla quale era presente il
padre Ruggiero e varie persone della corte di Ruggiero e di Roberto: Petrone de
Raimone, i fratelli Robert, Erberto e Ugo chiamati "caput
asini", Ugo de Silla, Roberto de Sessa, Roberto de Salerno, Falco de
Marancio, Giovanni presbiter de Banzano, Petro presbiter de Maraldo (alcuni di
questi nomi si riscontrano anche a Solofra e a S. Agata, v. PII). Roberto ebbe
un vicecomes, Giovanni, anche a Montoro.
5.
Enrico è
presente nei documenti fino al 1150. Tra i suoi discendenti, che non
interessano il tenimento di cui si sta parlando, ci sono i più importanti
rappresentanti dei Sanseverino (Cfr. CB, pp. 120, 271, 509).
6.
In un
documento del 1121 (AD, 20) si coglie chiaramente la sottolineatura di Enrico che si firma "filius et heres predicti domini
Roggerii".
7.
Sarracena è la prima feudataria del tenimento di Serino-Solofra dopo il
distacco dall'ampia contea di Rota (Cfr. AD, 23 e 24).
8.
La raccolta
documentaria di F. Scandone (Documenti..., pp.
374-375) attesta la presenza di Ruggiero tra il 1090 e il 1121. V. pure AD, 20.
9.
Nel 1129
Enrico è chiamato "senioris filii quondam Rogerii de S. Severino" (F.
Scandone, Documenti...,
p. 372) lo si può considerare in questa data impiantato nel feudo. Con Enrico
ha inizio la dinastia dei Sanseverino-Marsico dopo l'ampliamento del feudo
primitivo. Da questo momento Solofra risulta staccata da
Montoro. Qui nel 1130 si trova un Rao de Raele, forse
usurpatore o sueffedario di Enrico che invece sarà nel castello di Montoro nel
1140 (cfr. G. Portanova, op. cit., pp. 79 e
sgg.).
10.
Cfr. G.
Tescione, Caserta..., pp. 17 e sgg; CB,
271-275; G. Portanova, op. cit., pp. 78 e sgg. Da questo momento, tranne alcuni
eventuali aggiustamenti, il territorio di S. Agata farà parte del tenimento di
Serino. In tal modo si forma la realtà autonoma di Serino che si ingrandirà con il dotario coniugale fatto a Sarracena da
Simone de Tivilla il quale era feudatario, tra l'altro, di tutto il restante
territorio di Serino. Vale la pena richiamare la citata organizzazione
ecclesiastica avvenuta in questo territorio e cioè la
formazione dell'Archipresbiterato di Serino che rispecchia la nuova dimensione
territoriale.
11.
Con Ruggiero
II di Sicilia prevalse lo spirito unitario normanno che contraddistinguerà il
Mezzogiorno con una storia sé.
12.
È il caso dei
fratelli Giovanni e Roberto fu Salerno (forse una
famiglia di S.Agata) che avevano avuto i beni confiscati da Troisio e che
furono reintegrati nei loro possedimenti (Cfr. F. Scandone, Documenti..., p. 372).
13.
Vale per tutti
citare le disposizioni a favore della chiesa del Salvatore di Montoro (AD,17).
14.
Ruggiero fece
varie donazioni tra Banzano e S. Agata (oltre a quelle nel più ampio tenimento
di Montoro) che furono confermate e integrate tra il 1102 e il 1121 e furono
protette, infatti quando nel 1114 i suoi vassalli
fecero angherie nelle terre di Cava egli garantì per loro (Cfr. G. Portanova, op.
cit., pp.
44 e sgg.; F. Scandone, Documenti..., pp. 372-373). V. pure PII.
15.
Cfr. F.
Scandone, Documenti...,
pp. 371 e sgg. e AD.
16.
Cfr. N. Cilento, Poteri e strutture nell'Italia meridionale del sud,
Salerno, 1981. Ai fini del discorso che qui si conduce vale sottolineare la donazione a Cava delle apotheche costruite
fuori la città di Salerno che farà Guglielmo di Caserta (1183), comes di
Montoro (cfr. G. Tescione, op. cit., pp. 121-122).
17.
Su questa
linea si colloca la nomina a vicecomes di Serino, di Guiso di S. Agata,
appartenente all'aristocrazia longobarda essendo il padre un gastaldo (AD, 18).
|
4.
Dopo la divisione della contea di Rota il tenimento di Serino
con S. Agata e col territorio di Solofra fu governato per un lungo
periodo da Sarracena prima per la minore età del figlio Roberto II poi per
l'assenza di costui dovuta alla sua partecipazione alla guerra in Sicilia e
alla conseguente prigionia1.
Durante
questo periodo Sarracena sposò prima Roberto Capomazza poi Simone de Tivilla,
il potente feudatario di Montella, che le costituì come dotario una parte del
territorio di Serino2 che, alla morte di costui, fu da lei unito a
quelli gestiti per il figlio3.
Il
governo di Sarracena si pone sulla linea seguita dal suocero Ruggiero infatti ella sostenne l'incardinamento religioso di Solofra
con donazioni al cenobio di Cava4 che si affiancarono o furono il
completamento di altre donazioni fatte da possidenti locali5 e che
esprimono la ricerca di un punto di riferimento sicuro in un momento in cui
L'introduzione
di Solofra nella sfera cavense risponde infatti
all'esigenza di ripresa sentita in questo periodo dalla sua comunità che
partecipa alla vivacità commerciale legata ai prodotti della terra e della
pastorizia ed ora anche, e in maggior numero, alle attività artigianali una
volta naturale complemento della vita dei fondi. Nel ripreso e benefico
rapporto di queste campagne con le zone pianeggianti e costiere la curtis
mostrava tutta la sua inadeguatezza7.
Durante
il governo di Sarracena, Ruggiero II di Sicilia, che aveva unito tutte le terre
conquistate dai Normanni in un unico regno a rigida struttura feudale ma favorevole alle popolazioni cui dava un
fondamento di potere8, indisse un parlamento generale ad Ariano dove
divise il regno in due Capitanie e 11 Giustizierati - il tenimento di Serino
con Solofra e S. Agata appartenne al Giustizierato Principato e terra
beneventana9 - che erano province amministrativo-giudiziarie10.
Ad
Ariano re Ruggiero impose ai feudatari di esibire le concessioni feudali per
regolare la vita del nuovo regno e il sistema di divisione dei feudi. In questa occasione i Sanseverino videro confermata la
costituzione dei due rami e l'assegnazione dei feudi che ad essi facevano capo.
Nei rapporti tra i signori e la popolazione le cose
cambiarono sia perché i feudatari perdettero il potere indiscriminato fino ad
allora imposto ai vassalli sia perché furono aboliti molti abusi. Essi furono
considerati usufruttuari del demanio regio infatti non
potevano disporne, inoltre non esercitavano la giustizia, fatta dai Giustizieri
in nome del re, né riscuotevano le imposte, richieste dai Camerari direttamente
alla comunità dei cittadini11.
Questa
struttura statale dette valore alle comunità dei cittadini che, sciolte dai
rapporti con i feudatari, dovettero organizzare la vita comune. Si ebbe così una forte spinta alla costituzione delle Universitas,
cioè all'organizzazione degli abitanti che vivevano sullo stesso territorio. La
loro vita comunitaria era già regolata da usi e consuetudini che ricevevano
forza dal fatto che non erano scritti ed erano riconosciuti da ogni membro come
nucleo fondante della stessa comunità. Le consuetudini delle popolazioni
costituirono la base degli Statuti delle Universitas e, poiché le regole
comuni riguardavano per la maggior parte le attività produttive, venne favorita la vita economica12.
La
comunità di Solofra, sviluppatasi intorno alla pieve di S. Angelo e S. Maria
divenuta parrocchia e dove nel periodo longobardo aveva preso corpo un sistema
di regole comuni, sotto la spinta della nuova
organizzazione amministrativo-giudiziaria, trovò nei modelli di vita che si
erano andati definendo ab antiquo, scanditi dalle feste religiose e che
soddisfacevano bisogni comuni, un corpus iuris legato al diritto ecclesiastico,
che ha maggior valore perché all'interno del ius divinum e che sarà la
base della nuova realtà civile13.
Col
nuovo sistema tributario insomma la comunità dovette procedere alla divisione
del carico fiscale e alla raccolta dei tributi, regolare i rapporti con gli
ufficiali del re. Dovette soprattutto crearsi un luogo comune dove esercitare
la giustizia infatti se pur in questo primo periodo
non ebbe giudici propri ebbe senz'altro una curia14. Essa mandava i
suoi homines idonei, cioè persone adatte allo
scopo di testimoni o di fideiussori, a rappresentare prima singole persone poi
l'intera popolazione. Da queste persone, espressione di rapporti civili legati
ad una vita semplice ma ritenuta degna, si parte nella organizzazione
della vita comune. Sono essi che rappresenteranno in seguito la comunità civile15.
La
costituzione delle autonomie locali fu favorita dunque dai Normanni che non
abolirono il diritto di proprietà, concessero franchigie e permessi, favorirono
le attività economiche e artigianali, misero cioè le
comunità in grado di autogestirsi. Persino la dipendenza personale nel campo
del lavoro favorì la vita in comune.
___________
1.
CB, 271-275.
Roberto II, che ebbe tra i figli Ruggiero, Guglielmo e Riccardo (morto nel
1183) e che fu "magister comestabulus et magister justitiarius totius
Apuliae et Terrae Laboris", rese importanti servigi sia a re Ruggiero II
di Sicilia che a Guglielmo I il Malo e a Guglielmo II
il Buono, perciò i suoi feudi si ingrandirono con Caserta e Tricarico. V. la
citata opera di G. Tescione (pp. 18-26) che corregge anche qualche errore fatto
in proposito dallo Scandone.
2.
Cfr. CB,187-191; F. Scandone, L'alta valle..., II, pp. 165 e
sgg, doc. I e II. Simone de Tivilla apparteneva ad una famiglia normanna il cui
padre, Guglielmo, teneva un feudo costituito da Nusco e Montella oltre che da
gran parte dell'alta valle del Sabato. La concessione del dotario a Sarracena -
Serino fu l'unico territorio che non passò al fratello del Tivilla - si spiega
col fatto che costei possedeva la parte di Serino più importante perchè
fortificata (quella intorno al Pergola-San Marco).
3.
Con Sarracena
il territorio di Serino raggiungerà la sua configurazione naturale e sarà il
centro del tenimento (Cfr. A. Di Meo, X, p. 252; F. Scandone,
L'alta valle del Calore, II, pp. 165 e sgg.).
4.
Si ha
testimonianza di una prima donazione fatta nel 1159, confermata nel 1164 dalla
stessa Sarracena e nel 1178 dal figlio Roberto. Il documento è importante
perché conferma Serino come centro del feudo (è anche centro
dell'Archipresbiterato) nel cui castello ha sede la corte, soprattutto attesta
a Solofra una vita comune organizzata secondo usi e costumi propri infatti le terre sono donate cum omni eorum jure (AD,23).
5.
Nel 1132
Guglielmo di Maginulfo (figlio di Romualdo) donò una delle sue terre tra S.
Agata e Solofra al monastero riservandosene l'usufrutto (AD, 16). Altro
possidente locale che pose le sue terre sotto la protezione di Cava fu Martino
de Urso de Sasso (AD, 24). V. pure A. Di Meo, X,
p. 284.
6.
Salerno fu al
centro dello scisma di Anacleto II che lottava contro
Innocenzo II e che ebbe come alleati molti conti normanni mentre i Sanseverino
di Solofra-Serino si tennero lontani.
7. Cfr. PII, par.3.
8.
Nel 1127
Ruggiero d'Altavilla, unendo sotto un'unica corona l'intero Meridione,
trasformò i feudatari in suoi dipendenti.
9.
Tale
Giustizierato comprendeva le terre dei due principati senza Salerno e senza
gran parte del territorio di Benevento inglobato nello Stato della
Chiesa.
10.
Le Capitanie,
una per l'Italia peninsulare (dal Tronto a Roseto
calabro) l'altra per l'Italia insulare (da Roseto alla Sicilia), erano rette da
un Capitano o Maestro-giustiziere. I Giustizierati, retti da un
giustiziere (a cui erano sottoposti anche i feudatari) assistito da giudici e
da notai, impedivano la disgregazione feudale. Il nuovo regno ebbe un quadro di
leggi che uniformavano l'amministrazione della giustizia ed avrebbero dovuto
eliminare gli abusi feudali. Organo supremo era
11.
Cfr. D.
Winspeare, Storia degli abusi feudali, Napoli, 1888, pp. 15 e sgg. Ogni
feudo fu sottoposto inoltre ad un servizio militare.
12.
Cfr. F.
Calasso, La legislazione statuaria dell' Italia
meridionale, I, Bologna, 1929. La forza delle consuetudini nasceva anche
dal fatto che erano legate alla vita comune sviluppatasi intorno alla chiesa
che è il nucleo primitivo e forte di ogni comunità. Il
lasciare le antiche consuetudini permise il consolidarsi dell'identità delle
popolazioni. (Il governo cittadino esisteva fin dal
tempo dei Romani ma allora si estendeva a tutta la colonia, con i Longobardi a
tutto il Gastaldato, con i Normanni, prima della riforma, si riferiva al centro
del feudo).
13.
V. i documenti
in AD dove è chiara la base consuetudinaria che regola
la vita degli abitanti del luogo.
14.
Cfr. AD, 26.
Si può porre in questo periodo la maturazione della Universitas
solofrana sia per l'esistenza della curia sia poiché al tempo di Federico II si
ha di essa un atto che mostra una consolidata maturazione del concetto di
comunità organizzata. Vale la pena anche considerare che in questo periodo
tanto Solofra quanto S. Agata sono chiamate vico il cui termine indica
che la località è diventata una unità tributaria. Cfr.
F. Faraglia, Il comune nell'Italia meridionale,
Napoli, 1881; A. Alianelli, Delle consuetudini e degli Statuti municipali
delle province napoletane, Napoli, 1783.
15.
Per gli homines
idoneis di Solofra v. PII e AD. V. pure G. Galasso, Le città campane.... cit., pp. 39 e sgg.
|
5.
Nonostante le leggi di Ruggiero, gli accaparramenti e i soprusi tra i feudatari
normanni ripresero con i successori, soprattutto sotto il governo di Guglielmo I il Malo (1154-1166).
In
questo periodo riesplose il contrasto tra i Sanseverino di Caserta - e ora
anche di Tricarico - , e quelli di Sanseverino-Marsico
quando un discendente di quest'ultimo ramo, il figlio di Enrico, Guglielmo, per
aver partecipato ad una congiura contro il re, ebbe confiscati i beni che
furono incamerati dalla corona e dati proprio al cugino Roberto II di
Caserta-Tricarico che li aveva a lungo rivendicati inutilmente e che era
rimasto fedele al re1. Ma alla morte di Guglielmo il Malo però il
Sanseverino di Marsico fu reintegrato nei suoi beni dal successore Guglielmo II
il Buono (1166-1189) per cui Roberto II, insieme al
primogenito Ruggiero II, si recò a Messina - siamo nel 1168 - per ripetere la
rivendicazione2. I due Sanseverino di Caserta-Tricarico non ebbero ragione, si videro solo confermati nei loro possessi
con l'aggiunta del restante territorio di Montoro3. Alla morte di
Roberto II di Caserta-Tricarico (1183) i suoi figli si divisero il feudo more
Langobardorum. A Ruggero II andò Tricarico con Serino (e quindi S. Agata e
il territorio di Solofra)
Di
Ruggiero II, che morì intorno al 11896, si
conosce il figlio Giacomo7e si sa che assegnò a Giordano molto
probabilmente il suo secondogenito, il casale di Solofra8. Giordano
però morì presto9 per cui il feudo ritornò
a Giacomo il quale dovette affrontare un'inchiesta della Magna Curia in seguito
alla richiesta dell'Universitas di Solofra di decadenza del potere feudale sul
casale10.
Inizia
alla fine del XII secolo il periodo più difficile della monarchia normanna di
Sicilia infatti, morto Guglielmo II il Buono senza
eredi, il trono, che sarebbe passato a Costanza, ultima degli Altavilla ma
sposa dell'imperatore di Germania Enrico VI figlio di Federico Barbarossa, fu
conteso tra Tancredi, un fratello naturale di Costanza, preferito dai Normanni,
e lo stesso imperatore11. Di questo scontro fece le spese Salerno
dove si era rifugiata Costanza che fu tradita e consegnata a Tancredi
suscitando le ire dell'imperatore. Costui scese in Italia (1191) ven-dicandosi
con deportazioni, saccheggi e distruzioni che toccarono profondamente la piana
di Rota-Montoro12.
Le
cose peggiorarono durante la minore età di Federico II, sotto la tutela della
madre Costanza (1197-1198) e poi del papa Innocenzo III (1198-1208)
quando si aprì un periodo di anarchia di cui approfittarono sia i
militari tedeschi, che presero a scorrazzare per il regno, che i feudatari che
imposero vessazioni e soprusi. Anche le terre dell'episcopio di Salerno per
l'assenza dell'arcivescovo, nonostante i privilegi di cui godevano, furono teatro
di arbìtri e manomissioni di beni per cui quando
l'arcivescovo ritornò, nel 1200, dovette riorganizzare profondamente la
disciplina delle parrocchie13. Le terre dipendenti da Cava,
garantite anch'esse da diplomi e privilegi ma più protette dalla fama della grande Abbazia, godettero invece di una relativa pace che
favorì il processo di sviluppo economico.
Quando
Federico II uscì dalla minore età e fu eletto re
(1201-1202) dovette ristabilire l'autorità della monarchia e potette farlo
meglio di re Ruggiero le cui Costituzioni erano rimaste in gran parte
inascoltate. Soprattutto dovette mettere ordine nell'anarchia feudale degli
ultimi anni. Per far ciò convocò a Capua un parlamento generale (1220) dove
esaminò tutti gli atti deliberati durante la sua minore età e dove ascoltò sia
le lamentele dei rappresentanti delle Universitas contro i feudatari sia
le pretese dei feudatari14.
Due
anni dopo a Melfi l'imperatore svevo emanò le Costituzioni in cui ridefinì i
rapporti tra i feudatari e i vassalli e ristrutturò l'amministrazione dei
Giustizierati che furono diretti da funzionari da lui nominati e stipendiati
con l'obbligo di controllare l'amministrazione delle cause minori che si
svolgevano nelle corti locali15. Le cause maggiori furono invece
avocate alla Corte reale dove c'era
L'opera
riformatrice delle Costituzioni federiciane non toccò le comunità cittadine che
Federico preferì chiamare Universitas per distinguerle dai Comuni centro-settentrionali con cui avevano una
sostanziale differenza. Egli rispettò le autonomie amministrative che si erano
andate instaurando, lasciò infatti che le comunità si
governassero secondo le antiche consuetudini, riconobbe loro la personalità
giuridica, promosse la costituzione degli Statuta, spingendo quelle che
non avevano ancora leggi scritte a farlo, ma non permise che si affermassero le
aspirazioni autonomistiche19.
Questo
successe all'Universitas di Solofra20che si
vide respinta la pretesa decadenza del potere feudale di Giacomo
Tricarico21. Il re svevo dette ragione al
Tricarico mostrando un aspetto della sua politica che si bilanciava tra le
esigenze delle Universitas e quelle dei feudatari. Bisogna infatti tenere presente che in questo periodo l'Universitas
di Montoro era entrata nel demanio e Federico non poteva permettere un
eccessivo ridimensionamento del potere feudale nella zona22.
Con
Federico II dunque l'Universitas di Solofra acquista la piena autonomia
amministrativa23. Ed è verosimile porne in
questo momento o legare a questo fatto anche l'autonomia territoriale, operata
sicuramente da Giacomo quando assegnò il vico alla figlia Giordana da
lei portato in dote ad Alduino Filangieri24, nel senso che Giacomo
vide nella comunità una capacità che non doveva essere mortificata25.
Con l'autonomia territoriale l'Universitas acquistò la
pienezza della vita amministrativa e giudiziaria e dovette per forza crearsi
una base legislativa che ne regolasse la vita. Non oltre questo periodo deve
porsi la scrittura dei primi articoli degli Statuta26.
La
comunità di Solofra portava a maturazione piena il moto di aggregazione
attorno ai possessores che usavano i proventi delle terre e della
pastorizia per il commercio. Questa compagine, prima incerta poi sempre più
salda, si mostra in grado di risolvere i problemi tributari, di avanzare la
richiesta di sovranità territoriale stringendosi in una comune azione, che è un
pactum in cui non c'è solo il desiderio di scuotere il giogo feudale
quanto l'esigenza di autonomia avvertita di più dalle
popolazioni rurali. La società solofrana si poggiava sul sostegno che le veniva
dalle attività economiche che si sono viste emergere nel miglior periodo
longobardo e che si vedranno ora prendere consistenza27.
______________
1.
Cfr. G.
Portanova, op. cit. pp. 85-88; CB, pp. 271-275.
Negli anni della confisca del feudo di Rota il castello di Montoro (tra il 1166
e il 1169) fu in mano al feudatario di Atripalda (Cfr.
F. Scandone, Storia...,
II, I, p. 177).
2.
A. Di Meo, V,
319.
3.
Evidentemente
il re non volle inimicarsi i sue Sanseverino. Dopo il
1168 e sicuramente fino al 1187, quando entrambi stilano
un atto riguardante le terre di Montoro e di Solofra, i figli di Roberto II di
Caserta-Tricarico, Ruggiero II e Guglielmo, sono in possesso di beni del
castello fdi Montoro. Da questo momento il territorio di Montoro sarà diviso da Rota (A. Di Meo, XI, 15; G. Tescione, op.
cit., pp. 22-26).
4.
Cfr. G. Tescione,
op. cit.,
p.26; AD, 24, 25, 31. Ruggiero II governò il tenimento di Solofra, facente
parte del feudo di Serino, tra il 1162 e il 1189 e fu capostipite del ramo dei
Sanseverino di Serino-Tricarico (Cfr. F. Della Marra, Discorso
delle famiglie nobili, Napoli, 1641, p. 416).
5.
Si è visto che
parte del territorio di Montoro (il vico di S. Agata) apparteneva ai Tricarico
di Serino-Solofra (V. AD, 27 e 28). Guglielmo di Sanseverino dette inizio al
ramo dei Caserta-Stringano che governerà su Montoro (è
documentata la presenza di Guglielmo a Montoro nel 1188 e nel 1194) fino a
quando subì la confisca dei beni (fu tra i baroni che non offrirono un adeguato
servizio militare a Federico) e Montoro fu posto nel demanio. Il feudo sarà
restituito ai Sanseverino di Caserta, tramite la contessa Berardissa, che aveva sposato Pietro de Suria, solo dopo la morte di
Manfredi (HB, VI, pp. 917-918; F. Scandone, Documenti.., pp. 393-396; G.
Tescione, op. cit., pp. 26 e sgg.)
6.
CB, pp. 32-33;
G. Tescione, op. cit...,
pp. 26 e sgg.
7.
CB, p. 33; A.
Di Meo, XI, a. 1188, p. 19.
8.
Dalla lettura
attenta del documento (fatta dallo Scandone superficialmente) riguardante l'inchiesta della Magna Curia che restituì a Giacomo il casale
di Solofra, nonostante le parti mancanti, si deduce che Giordano aveva tenuto a
vita il casale di cui, a causa della morte prematura, non aveva avuto
l'investitura (Cfr. AD, 31).
9.
Nel 1194
Giacomo è a Montoro insieme allo zio Guglielmo per l'assegnazione, ciascuno per
la sua parte, di alcune terre di Torchiati (AD, 27 e
28). Non è sicuro che in questa data Giordano sia già morto visto che le terre
che Giacomo assegna sono in località Torchiati dove
cioè giungeva il tenimento di S. Agata che, appartenendo a quell'epoca a
Serino, era nei possedimenti di Giacomo (il padre Ruggiero era morto nel 1189).
La morte di Giordano potrebbe porsi anche intorno al 1220 considerando la frase
(in AD, 31):"Rogerius quam comes Jacobus
tenuerunt ea per triginta annos et amplius". I trenta anni potrebbero
riferirsi sia a Giacomo (per cui si arriva intorno al
1210) che a Giordano-Ruggiero (per cui si arriva, con 27 anni, al 1183 che è
l'anno della morte di Roberto e quindi della presa di possesso da parte di
Ruggiero del feudo di Serino-Tricarico). Secondo la prima ipotesi Giordano fu
feudatario di Solofra dal 1189 al 1194, secondo l'altra dal 1189 al 1210 c.a.
10.
AD, 31. La
richiesta di decadenza di Giacomo da parte dell'Universitas di Solofra si
deduce con sufficiente certezza poiché fu la causa del
processo.
11.
Le resistenze
da parte dei baroni e delle città che sostennero ed elessero Tancredi (1189)
nascevano dalla paura di un assoggettamento del Regno normanno all'impero
germanico.
12.
Ne fece le
spese l'aristocrazia di Salerno e lo stesso arcivescovo che fu esiliato in
Germania insieme a molti salernitani.
13.
CDS, I, 131-135. Le campagne di Salerno furono teatro delle
operazioni di Dipoldo di Hohenburg, conte di Acerra.
14.
Nella corte
capuana a Federico II non fu presentata l'assegnazione del casale di Solofra a
Giordano perché costui era, in quella data, sicuramente già morto e il casale era ritornato a Giacomo Tricarico. Il distacco da Serino del
casale di Solofra, che è segno di una evoluzione
socio-economica, all'inizio fu dunque momentanea.
15.
Le
Costituzioni Melfitane, che integrarono quelle di Ruggiero di Sicilia, insieme
alla Magna Charta inglese (1215) sancirono per la prima volta i
presupposti su cui deve basarsi uno stato moderno. Nei
Giustizierati dovevano tenersi ogni anno due parlamenti, a maggio e a
settembre, alla presenza di un nunzio imperiale che raccoglieva le querele
delle persone gravate dagli ufficiali regi e faceva inquisizioni. A Federico
interessava dare giustizia non molte libertà ai parlamenti municipali come si vedrà nel caso di Solofra (cfr. F. Faraglia, op. cit., p. 35).
16.
Questo modo di
gestire direttamente la giustizia confermò la politica accentratrice del re
svevo che toglieva ai feudatari ogni potere sui
vassalli. D'allora in poi costoro, considerati degli usufruttuari dei feudi,
dovettero avere la conferma giudiziaria del re per ogni cambiamento che
avveniva nei loro feudi.
17.
I rapporti con
questi enti religiosi, che affidarono alle curie locali la giustizia minore, fu
favorevole per le istanze che da essi venivano e per
le condizioni di cui godevano. Cava ebbe confermati i
privilegi normanni, inoltre tutta l'Abbazia con le sue terre venne dichiarata Camera
imperiale, situazione che le permise di godere l'esenzione dalle tasse
imperiali. L'Arcivescovo di Salerno, verso cui all'inizio Federico non fu
tenero, ebbe lo stesso privilegio nel 1221 con la facoltà di delegare per
questa funzione altre persone (CDS, I, p. 131-135).
18.
Vale la pena sottolineare l'importanza di questi privilegi. L'Arcivescovo
di Salerno ebbe nuove immunità che riguardavano "omnes ecclesias, homines
censiles, possessiones et omnia jura [...] in Montoro, Forino, Sirino de pertinentiis eorum" (HB,
III, p. 111) nelle cui terre si poteva esercitare il commercio senza essere
gravati da alcuna imposta.
19.
Cfr. F.
Faraglia, op. cit.,
pp. 31 e sgg.
20.
Essendo
l'Universitas l'insieme degli uomini di un tenimento, essa è un dato di fatto
là dove esiste una comunità che con la riforma dei Giustizierati avevano acquistato valenza giuridica. Si può quindi
cominciare a parlare di Universitas solo dopo il 1130
e per Solofra sicuramente con l'assegnazione del territorio a Giordano. Ciò
però non vuol dire che un'elementare forma di governo
locale non potesse esistere prima. Per Solofra il primo atto che esprime
maturità amministrativa è questo che qui si discute.
21.
Cfr. AD,
31. La rivendicazione esprimeva la speranza dell'Universitas di veder
colpito Giacomo Tricarico, come era avvenuto per gli
altri Sanseverino (tra cui lo zio Guglielmo di Caserta) che in quel periodo
avevano subito la confisca dei beni per aver partecipato senza impegno ad una
spedizione in Sicilia. Il Tricarico evidentemente riuscì a far valer le proprie
ragioni forse per i sentimenti filo imperiali del padre Ruggiero al tempo della
discesa di Enrico VI. A suo favore c'era inoltre
l'art. Ut de successionibus delle Costituzioni melfitane che stabiliva
che quando non è assicurata la trasmissione per via diretta, i fratelli possono ereditare solo se il feudo è antico, posseduto cioè
dall'avo del feudatario defunto. Di qui l'indagine sull'origine del feudo.
22.
Nella
richiesta dell'Universitas di Solofra, da porre nel quadro
della politica federiciana a favore delle comunità locali e da collegare
a parecchie altre rivendicazioni di autonomia fatte in questo periodo, bisogna
considerare la prospettiva dei vantaggi economici legati allo status di
essere demanio imperiale.
23.
Winklmann, Acta
Imperii, I, p. 776. Un atto che attesta la piena
autonomia dell'Universitas è l'imposizione a carico di
essa di un tributo per la riparazione del castello imperiale di Pimonte di
Amalfi. Il distacco di Solofra da Serino inizia da questo momento
anche se le due Universitas continueranno a restare sotto uno stesso
signore. Di li a poco, quando Giacomo darà il casale a
sua figlia Giordana, l'autonomia territoriale ne sara il compimento.
24.
I Registi della Cancelleria Angioina a c. di R. Filangieri, IV, Napoli, 1967, pp. 110-111. Giordana avrà anche il feudo di Abriola.
Serino sarà invece prima del primogenito di Giacomo, Roberto, poi, dopo la
perdita del feudo da parte di costui per poggiato Corradino (1268), passerà a
Nicola Tricarico (1268-1277) e alla morte di questi sarà rivendicato dalla
sorella Adelicia, moglie di Risone de Marra di Barolo, che ottenne il feudo nel
1284. Tra Adelicia e Giordana Tricarico avverrà l'accordo per l'assegnazione a
quest'ultima di un terzo del territorio di S. Agata
facente parte del feudo di Serino, per fornire questo vico di un posto
fortificato (Cfr. De Lellis, Notamenti, VII, f. 540,
700; IV f. 776; IX, p. 76). In questo momento nacque il casale di S.
Agata di sopra o di Solofra che andò da Turci alle Casate e a Tofola
comprendendo la collina del castello col fortilizio che farà chiamare Solofra
"castrum".
25.
Bisogna tenere
presente che il governo di Giacomo, la cui morte può porsi dopo il 1258 (CB, p.
33), come quello di tutti i Tricarico, fu favorevole
all'organizzazione civile ed allo sviluppo urbanistico (di lui è detto
"qui semper ecclesias construxit, hedificat, dilexit et diligit", Regesto
Pergamene di Montevergine a c. Mongelli, II, p. 34), cosa che si coglie nel
vico di Solofra. Giacomo non potette non considerare il valore pregnante
della rivendicazione solofrana.
26.
Il governo
dell'Universitas consisteva nell'amministrazione dei beni comuni, nella
divisione tra i cittadini dei vari balzelli e nella distribuzione delle
collette da versare alla Regia Camera o al feudatario, nell'esazione delle
somme per le opere comuni e nell'esercizio della giustizia primaria. Tutto
questo è regolato dai 54 articoli dei Capitula antiqua Universitatis terre
Solofre antiquitus edita (Cfr. C. Castellani, op. cit., pp. 34-47) che dovettero
avere una prima forma scritta nel periodo federiciano proprio perché lo Statuto
era richiesto dall'autonomia amministrativo-territoriale. L'analisi di questi
articoli, che esula dai limiti del presente lavoro, mette in risalto una
società silvo-agro-pastorale come quella che emerge
dai documenti (v. AD). Per gli elementi di antichità
degli Statuta solofrani v. R. Raccioppi, Gli
Statuti della Bagliva delle antiche comunità del napoletano in ASPN, II,
1884, pp. 347-377 e III, pp. 508.
27.
La vita
comunitaria è favorita dal fatto che tra conduttori e proprietari si erano creati vincoli stretti, dall'uso delle terre comuni
dette pertinentiae le quali seguivano le vicende del fondo conservando
il carattere di beni comuni. La delineazione di questo tipo di vita comunitaria
è in PII
|
Rispetto
alla realtà socio-economica individuata alla fine
dell'epoca longobarda si può collocare in questo periodo, e per le ragioni su
dette, una maggiore maturità di questa società agricolo-pastorale che trova nel
commercio la possibilità di uscire dalle secche dell'economia chiusa. Essa nel
primo periodo normanno, quando in un certo senso si erano rallentati i rapporti
col centro urbano di riferimento, seppe ripiegarsi in sé attingendo alle
proprie risorse per una ridefinizione delle possibilità produttive locali e
accedere ad una sorta di specializzazione che la fanno
ora emergere con una fisionomia propria. Il suo è proprio il caso di quei
"loci", di cui parla il Galasso,
"emergenti per vitalità o per vocazione dalla dominante vita rurale della
regione", insomma uno di quei centri che in questo periodo acquistano
"fisionomia artigianale propria" con strutture specifiche1.
Tutto
ciò potette avvenire perchè questa comunità si trovava in quell'entroterra
salernitano, più volte citato, che costituiva con la città un polo vitale di interazione e che, nonostante l'assottigliamento
all'epoca dell'anarchia, non aveva mai smesso di essere un elemento portante
dell'economia di Salerno. Protetto dai Normanni, che lo avevano sempre
considerato uno dei più ricchi del regno, questo entroterra
fu al centro di uno dei fenomeni economici più salienti di questo periodo.
L'economia
salernitana, che si poggiava su di un'agricoltura legata alla produzione
silvo-pastorale ed artigiana amalgamata dalle attività
mercantili, non attingeva da questa realtà solo i prodotti, vi attingeva
soprattutto il capitale creando un'interrelazione feconda fra tali elementi. Si
era prodotto insomma un fenomeno particolare legato alla peculiarità di questo entroterra. Qui la disgregazione dell'economia chiusa
non aveva provocato alcuna frattura tra le attività agro-pastorali e quelle artigiano-manifatturiere quando queste ultime si
erano trasferite in città e avevano acquisito un carattere più specialistico.
Le prime infatti fornivano a quell'artigianato uomini,
denaro e la materia prima che in più giungeva al centro artigianale anche dopo
aver subito una prima trasformazione nei luoghi di origine, il tutto agevolato
da un particolare tipo di mercatura. Ancora una volta stretti
erano i rapporti tra la città e la sua campagna2.
Questo
fenomeno è evidente per quanto riguarda il prodotto principale della pastorizia
dei monti che orlano a nord e ad est l'entroterra salernitano, sia la lana
asportata dalle pelli che le stesse pelli, le quali prima di essere lavorate
nelle botteghe di Salerno subivano, le une a Solofra le altre nei casali di
Giffoni e di Rota, un primo trattamento utilizzando le acque dell'Irno
e quelle del flubio-rivus siccus3. Il rapporto tra la città e
i centri artigianali di piccole dimensioni dell'interno si nota anche per altre
attività come la lavorazione del ferro che è presente a Montoro-S. Agata e si impianterà a Serino4.
A
determinare e a sostenere lo sviluppo artigianale della Salerno normanna
continuano ad essere gli Ebrei, che già costituivano una colonia ricca e vivace
presente anche nell'entroterra salernitano. Le loro attività legate alla
macellazione e alla lavorazione degli oggetti in pelle
li avevano messi al centro di una sorta di monopolio. Ora appaiono un gruppo
specializzato in specifiche attività artigianali: lavorano il prodotto della
pastorizia, la lana e le pelli cioè, svolgono le
attività di concia e di manganatura e tintura delle stoffe come lavori
autonomi. In più in questo periodo in cui si diffonde l'uso della moneta tendono a diventare per le possibilità che il
prestito offriva un forte gruppo finanziario 5.
Proprio
le prospettive economiche che offrivano gli Ebrei avevano spinto i re Normanni
ad affidare il controllo della giudaica, il rione salernitano con le abitazioni
e botteghe ebraiche6, all'Arcivescovo trasformandoli in suoi
vassalli. Questo fatto agevolò i rapporti tra questi
artigiani e le terre dell'episcopio donde proveniva la materia prima per le
loro attività7 e trasferì le botteghe anche fuori Salerno8.
Comunque l'artigianato ebraico al tempo di Federico II
era divenuto così ricco che l'imperatore lo farà controllare dal regio erario9.
Per
la ricchezza artigianale a Salerno erano stati confermati tutti i privilegi
goduti nel periodo longobardo a cui si erano aggiunti il
ius funducariorum e poi il ius tintoriae10 e, tra i iura
nova di Federico II, il ius auripellis11. Questi ultimi
attestano la diffusione di un artigianato di lusso - tessuti preziosi e
oropelle - che fu una voce importante del commercio di Salerno e di Amalfi12. In special modo a Salerno dovevano
esserci molte botteghe specializzate nell'arte di impreziosire le pelli con
fogli di oro e di argento se l'imperatore svevo ne
concesse alla città, unica dopo Napoli, la privativa13. Tali
privilegi economici, tutti legati ai prodotti delle montagne dell'entroterra
salernitano, confermano l'esistenza di un polo in questa area
di produzione e indicano dove affondano le radici dell'attività artigianale -
la concia delle pelli appunto - che caratterizzerà l'alto corso del flubio-rivus
siccus.
Il
grande re svevo pose estrema cura nel proteggere
questa realtà e si adoperò affinché il terzo elemento, che è alla base del
fenomeno economico di cui si discute, e cioè il commercio, fosse favorito.
La
mercatura era diventata una caratteristica di questa pianura ad opera
soprattutto degli amalfitani14 ora il suo ulteriore
sviluppo la connota profondamente - si è detto che più che dei Normanni
l'unificazione della Campania fu opera del commercio - . Si era creato un ampio
circuito di scambi sostenuto da una sottilissima ragnatela che percorreva le
campagne raccogliendo i prodotti nei mercati minori per convogliarli poi nel grande mercato di Salerno15 dando a questo tipo
di commercio, legato al mondo rurale, la caratteristica di mercatura di
raccolta che in quel periodo si riscontra anche nel piccolo cabotaggio
commerciale delle navi salernitane lungo le coste16.
Federico
II creò positive condizioni per facilitare gli scambi
con l'apertura di nuove fiere e l'impegno a tenere sicure le strade.
L'esportazione affluiva copiosa a Salerno17 dove, accanto alla ricca
colonia di amalfitani, c'erano anche gaetani ed altri
mercanti in mutua relazione di affari18.
Anche Cava aveva nel mercato salernitano i propri funzionari che la
collegavano con i suoi porti di Vietri e di Cetara. Fiorente fu pure il
commercio metelliano che raccoglieva non solo i prodotti delle terre
dell'Abbazia ma anche quelli dei fondi di liberi possessori che avevano
contratti protezionistici col grande monastero19.
Il
Meridione diventò in tal modo un posto importante per le città del centro e del
nord le cui attività industriali vi trovarono sia uno sbocco alla loro
produzione che una base di approvvigionamento. Esso fu
meta dei mercanti veneziani, genovesi, pisani, fiorentini e ragusei20
che ebbero privilegi fin dal tempo di re Ruggiero e
contro cui Federico II non fece una lotta a fondo visto che erano una spinta
all'economia locale21.
La
loro concorrenza fu però fatale per Amalfi che, pur se continuò a svolgere un
ruolo importante nel commercio, si vedrà scalzata da questi mercanti nel
periodo angioino22.
Alla
soglia dell'autonomia amministrativa e territoriale di Solofra c'è, col declino
di Amalfi, l'inizio di un ridimensionamento delle
prospettive economiche dell'entroterra salernitano dove vivrà stentatamente
l'artigianato ormai stabilizzatosi e dove se è vero che l'insediarsi di ogni
nuova signoria significò occasione di nuovo sviluppo e nuova forza23
- e fu quello che successe a Solofra col passaggio alla signoria dei Filangieri
e degli Zurlo - ma lo fu nelle forme stanche che dalla dominazione angioina in
poi caratterizzeranno il Meridione.
_____________
1.
G. Galasso, Le
città campane...,
pp. 129-130. Il Galasso individua in questo periodo una vita artigiana organizzata
a struttura familiare e concentrata in determinate contrade.
2.
Cfr. A. Sinno,
Commerci e industrie nel salernitano, Salerno, 1954; D. Cosimato,
L'arte della lana nella valle dell'Irno in Saggi
di storia minore, Salerno, 1964, pp. 12-30.
3.
Si è visto
più volte il legame tra questi centri. V. infra.
4.
L'ampia
famiglia di fabbri individuata tra Montoro e S. Agata svolge un'attività
artigianale di questo tipo prima di trasferirsi in forme più ampie nella valle
del Sabato (Cfr. PII, par. 2).
5.
Cfr. A. Marongiu, Gli Ebrei di Salerno nei documenti dei secoli X e
XIII, ASPN, 1937, pp. 238-266; A. Milano, Storia degli Ebrei in Italia,
Torino,
6.
Nel rione
ebraico di Salerno c'erano le botteghe della macellazione degli animali, della
lavorazione degli otri ed altre manifatture. Qui c'erano anche botteghe per la
concia tanto che essi usufruivano di permessi per l'uso dell'acqua (CDC, V, n.
841).
7.
Il rapporto
con Solofra è assicurato dal legame della pieve con l'episcopio e dalla
pastorizia che era una voce importante dell'economia locale. Vale la pena
considerare che le "contrarie", di cui parlano gli Statuta
solofrani, si trovano proprio nelle terre della pieve lungo il flubio
("dal ponte in bascio", ivi).
8.
A. Marongiu, op.
cit., p. 257 n. 2 ("Infra civitatem Salerni
vel pertinentiis suis"). Si possono individuare anche altri luoghi dove
sorgevano queste attività di lavorazione e primo trattamento della materia
prima. In ABC (Arca 21, n. 33) si legge della concessione, fatta da Cava agli
Ebrei, dell'acqua Volnei "pro coriis conciandis". Che fuori Salerno
ci fossero botteghe artigianali anche non ebree si coglie
in una già citata donazione a Cava, da parte del conte di Caserta e Montoro,
Guglielmo (1183), di una terra con orto e apotheche costruite fuori la
città (G. Tescione, op. cit.,
pp. 121-122).
9.
G. Paesano, op.
cit., II, p. 83.
10. Guglielmo d'Altavilla nel 1121, per proteggere la
produzione e il commercio della lana, aveva dato il ius
funducariorum, Tancredi aveva concesso (1190) all'Arcivescovo il ius
tintoriae su tutte le tintorie e le celendre esistenti nella diocesi. Federico II protesse l'uso
dei torrenti per queste attività (Cfr. G. Yver, Les commerces et les
merchands dans l'Italie au XIII° et au XIV° siècle, Paris, 1903, pp.
90-95).
11.
Cfr. HB, IV, I, pp.197-200; L. Bianchini, Storia delle finanze nel
Regno di Napoli, Napoli, 1888, pp. 57 e sgg. L'auripellis è l'arte
di impreziosire la pelle con fogli di oro o di
argento.
12.
Cfr. G.
Coniglio, Amalfi e il suo commercio nel Medioevo, in "Nuova rivista
storica", 1944-1945; A. O. Citarella, Il commercio di
Amalfi nell'Alto Medioevo, Salerno, 1977; G. Yver, op. cit.
13.
L. Bianchini, op.
cit., pp.
73-84 e 81-84. Questa produzione fa emergere il bisogno che dovette avere
Salerno di procurarsi la materia prima e indica quale sia stata la spinta a far acquistare autonomia e specificità alle prime
forme di concia solofrane e cioè di sostegno alle attività economiche
salernitane. L'arte dell'oropelle si impianterà a
Solofra con la spinta produttiva data dagli Zurlo (XV sec.) ma decollerà nel
secolo seguente fino a divenire una prerogativa dell'artigianato locale.
14.
Cfr. A. O.
Citarella, op. cit.; A. Leone-G. Del Treppo, op.
cit.; G.
Imperato, op. cit. In special modo la pianura di Rota e Forino fu
favorita dal commercio amalfitano che usava la grande
via di comunicazione di Avellino per raggiungere
15.
Cfr. G.
Galasso, Le città campane...,
pp. 87-117; G. Coniglio, op. cit; G. Yver, op. cit., pp. 1-6. La campagna di
Salerno alimentava il fabbisogno della città ma anche del suo commercio.
16.
Cfr. T.
Schaube, Storia del commercio dei popoli latini, Torino, 1915; G. Yver, op.
cit. A Solofra si coglie in questo periodo una traccia di questo tipo di mercatura (Cfr. AD, 9 e PII,
par. 1 e 3) che si conserverà tale fino ai tempi d'oro del cinquecento
solofrano.
17.
Edrisi, il
geografo arabo che alla metà del XII secolo descrisse per re Ruggiero I l'Italia, dice di Salerno: "città illustre, dai
fiorenti mercati" (Edrisi, L'Italia descritta nel "Libro del re
Ruggiero", Roma, 1883, p.90). I Normanni avevano sostenuto con
privilegi il commercio come le libertà di traffico concesse da Tancredi (Cfr.
T. Schaube, op. cit., p. 246).
18.
Cfr. A.
Leone-G. Del Treppo, op. cit. Ad Amalfi si trovava di tutto.
19.
Cfr. G.
Galasso, op. cit.,
pp. 123 e sgg. Importante sottolineare il ruolo di Cava nella definizione delle
modalità produttive e artigiane della zona. Il cenobio
promosse le attività mercantili a sostegno delle quali c'era il suo commercio
marittimo e nelle quali favorì l'immissione della ricchezza fondiaria.
Cava si qualifica come un'istituzione di ampio respiro
non solo attenta alla cura animorum. Le popolazioni vivevano in mutua
dipendenza di uffici ed occupazioni col monastero. In AD, 26 si coglie questo rapporto commerciale con Cava
(Cfr. T. Schaube, op. cit; L. Bianchini, op. cit., p. 69).
20.
Vale la pena sottolineare che i mercanti di Ragusa erano i maggiori
fruitori dei mercati della Puglia dove affluiva anche il commercio solofrano.
21.
Questi
mercanti, che si rifornivano anche di pelli e dei suoi prodotti come i genovesi
e i pisani, saranno favoriti nei loro interessi dai mercanti indigeni, che si
posero nei loro riguardi in posizione di inferiorità,
e dalla passività delle popolazioni (Cfr. D. Abulafia, Le due Italie,
Napoli, 1991, pp. 20 e sgg.; T. Schaube, op. cit., p. 614).
22.
Cfr. A .O.
Citarella, Il declino del commercio marittimo di Amalfi,
ASPN, 1975, pp. 9 e sgg.; E. Pontieri, La crisi di Amalfi
medievale, ASPN, 1934, pp. 8 e sgg.
23.
G. Galasso, Le
città campane...,
p. 130.
|
Ritorna
a
Capitolo
primo
Presenze sannitiche e
romane nel bacino del flubio-rivus siccus
Capitolo
secondo
Influssi
bizantini e realtà longobarda
Vai
a
Parte
seconda
La
conca del flubio-rivus siccus nelle carte di Cava e Montevergine
Appendice documentaria: documenti longobardi
|
ABBREVIAZIONI
ABC |
Archivio della Badia di Cava. |
AD |
Appendice documentaria. |
ASA |
Archivio di Stato di Avellino (Protocolli notarili). |
ASPN |
Archivio Storico delle Province Napoletane. |
ASPS |
Archivio Storico Province Salernitane. |
CB |
Catalogus Baronum, Commentario a c. di E. Cuozzo, 1984. |
CDC |
Codex Diplomaticus Cavensis, I-VIII, 1873-1893; IX,1984; X, 1990. |
CDS |
Codice Diplomatico Salernitano, Salerno, 1931 |
CDV |
Codice Diplomatico Verginiano, 1977-1993. |
HB |
Huillard-Bréholles, J-L.-Alphonse, Historia diplomatica Friderici secundi, I-VI, 1852-1861. |
IGM |
Istituto Geografico Militare, Carta Topografica programma-tica regionale, Campania, tvv. 25 e 33 quadrante 185 I e II. |
PII |
Parte seconda: La conca del flubio-rivus siccus nelle carte di Cava e di Montevergine. |
RNAM |
Regii Neapolitani Archivii Monumenta, I-VI, 1845-1861. |
|
|