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ALLE
RADICI DI SOLOFRA
di Mimma De Maio
PARTE
SECONDA
La conca del flubio-rivus siccus nelle carte di Cava e di Montevergine
1. Le carte di Cava e di Montevergine
che riguardano Solofra e S. Agata e di cui si posseggono
le trascrizioni che vengono riportate in appendice1, permettono
di individuare nella conca due entità territoriali: il locum
Solofre che ha una individualità propria, e
quello di S. Agata, facente invece parte del tenimento di Montoro prima2 e
di Serino poi.
Il
locum Solofre,
di estensione non molto ampia, è circoscritto a sud e
ad est dai monti, confina a nord, nella parte alta, con Serino3 e,
nella parte bassa, col territorio Montoro-S. Agata
che lo delimita anche ad ovest4. Di esso
dunque non fa parte tutto il versante del complesso Pergola-S.
Marco posto parte nel tenimento di Serino e parte occupato da S. Agata5.
Nel
locum si individua
la pieve6 con le sue terre e pertinenze che si devono porre intorno
alla chiesa, in quello che sarà il casale de li
burrelli7, e considerare risalenti, lungo il flubio,
verso la località Balsami, l’area dunque del casale Fiume 8.
Tra
le località c’è il fondo constantini con
le sue pertinenze ("cum omnibus intro se abentibus omnibusque suis pertinentiis) che, dai dati documentali - tra il flubio a sud, un vallone a nord, beni di altri proprietari ad ovest, senza confinanti ad est - ,
può collocarsi tra i Balsami e il Sorbo verso le prime falde
della montagna9. Tale collocazione trova
riscontro anche nel fatto che il fondo è un seminativo arborato con castagni e
aree da sottrarre all’incolto, queste ultime da porre verso la montagna le cui
falde saranno gradatamente conquistate alla coltura10.
Lo
stesso ad ovest è delimitato dai beni degli eredi Olperti
che quindi occupano la parte centrale del locum.
L’altro
fondo, di cui si possiede la descrizione, è in località ad
cerbitu. Esso a differenza del primo è
interamente circondato da altri poderi: ad est e a nord confina con beni di
proprietari locali, ad ovest con una via pubblica, mentre a sud c’è un rivus, cioè un vallone, ed
un vigneto che ha subito delle distruzioni alluvionali. Lo si
può pertanto collocare nella parte bassa del locum
dove si possono porre gli straripamenti e il vigneto11.
Accanto
a questo fondo se ne individuano altri due: uno a nord di Cicero
e della moglie Auria, l’altro ad est degli eredi Sparani.
Si
ha ancora menzione del possedimento castagnano
del quale, non avendo altri dati, si può dare solo un’approssimata collocazione sulle parti alte del locum
forse in località fontane sottane cioè nella parte bassa di Caposolofra12.
Infine
ci sono le res stabiles et
pertinentias del comes
Giovanni sulle quali, dalle indicazioni documentarie, non si possono trarre
dati più ampi13, e ci sono le terre, site nella parte bassa, che
Giovanni, figlio di Landoario Vallense,
e sua moglie Sichelgrima, del fu
Grimoaldo vendono a Maginolfo, figlio del fu Romualdo14.
Bisogna
tenere presente che i fondi accoglievano le case dei coloni e dei proprietari
che li coltivavano per indicare le quali si usavano i termini res o pertinentiae.
Queste si riferivano anche a tutto ciò che riguardava il lavoro dei
campi e la lavorazione dei prodotti della terra comprendendo altresì gli
animali dell’allevamento15.
Riassumendo
alla fine dell’XI secolo, cioè fino a tutto il periodo
longobardo, nel locum Solofre
si collocano, in ordine cronologico, i seguenti possedimenti: il fondo ad
cerbitu di Maione,
figlio del fu Donnello, tenuto da Falco, figlio del
fu Alessandro; i beni degli eredi Sparani; i beni dei
coniugi Cicero e Auria,
figlia del fu Giaquinto; il fondo constantini
dei fratelli Maraldo e Alcoino,
figli di Falcone, tenuto in parte dal colono Giovanni, figlio del fu Giovanni;
i beni degli eredi Olperti; le terre della pieve
tenute da Truppoaldo, figlio del fu Diletto; il fondo
castagnano di Giovanni; i beni del comes Giovanni, figlio del fu Giovanni che non è il
colono citato sopra; le terre di Giovanni Vallense
date a Maginolfo di Romualdo.
Sia
i fondi che gli individui costituiscono la prima realtà del locum
che emerge dai dati documentali. Ad essi vanno
aggiunti i testimoni Giovanni presbiter e Giaquinto, Godeni e Disio, il fideiussore Sellitto
di Andrea, mentre il giudice Romualdo e il notaio Iso possono non essere di
Solofra16. Bisogna infine considerare tutti coloro, come i
lavoratori di Truppoaldo e come quelli che a vario
titolo rendono possibile la vita di una comunità e ne costituiscono la parte
più viva ed essenziale.
I
fondi sono coltivati sia direttamente dai proprietari, che risiedono sul posto17,
che dai coloni18. Ci sono anche "possesso-res" che
risiedono altrove come sicuramente gli eredi Sparani
e Olperti e come è il caso
del comes Giovanni il cui titolo dice che è un
rappresentante dell’aristocrazia del tempo e potrebbe essere oriundo di Solofra
trasferitosi a Salerno quando questa cominciò ad attirare gli abitanti della
campagna19. E a Salerno deve essersi trasferito anche il
proprietario del fondo ad cerbitu visto che manda suoi uomini a ritirare i
prodotti della terra20 e potrebbe essersi trasferita anche la
famiglia Vallense21. Nel fondo constantini
è invece in atto questa evoluzione infatti il
proprietario Maraldo prevede un suo allontanamento
dal fondo che consegna per la sua parte al colono22.
I
contratti insieme al memoratorium della
pieve sono stati stilati sicuramente sul posto ed hanno richiesto la presenza
di testimoni, di un agrimensore oltre al notaio che scriveva l’atto e al
giudice che ne assicurava la validità. Poiché nel locum nel periodo longobardo sembra non esserci
alcuna curia, il luogo cioè delle attività
comuni, si deve pensare alla pieve come sede degli atti. Essa può essere in
questo periodo anche il luogo che accoglie le assemblee per discutere i comuni
interessi qualificandosi come centro socio-economico-religioso23.
La
chiesa è comunque il centro della vita rustica prima
che ne sorgano altri. I locali annessi alla pieve infatti
servivano, in quei tempi di marcata vita comune, ai bisogni degli abitanti24.
Si
può individuare, con i dati documentali in possesso e tenendo altresì presente
lo sviluppo abitativo di Solofra che emerge dagli atti notarili del XVI secolo, un’essenziale struttura viaria costituita da
un asse principale che attraversava il locum
da sud-ovest (provenendo da Montoro) a nord-est (passo di Turci) e lungo il
quale, ma in posizione non eccentrica, sorgeva la pieve25. La strada
doveva attraversare il fiume alla località che si chiamerà
Toppolo (di qui infatti partiva la via vecchia, il cui primo
tratto sarà poi chiamato cupa di sotto, che si immetteva
sull’asse viario principale) provenendo da passatoia. È infatti ancora presumibile che la via di accesso da Montoro
passasse per la zona alta costeggiando a sud Cortina del cerro26.
È ipotizzabile inoltre una via che veniva dalla parte bassa di S. Agata e
s’innestava su quella che saliva verso la piev27.
I
documenti del periodo normanno-svevo, in numero
minore per Solofra, mettono in risalto una evoluzione
del complesso abitativo. Solofra è chiamata vico28, ha terre
dipendenti da Cava, non mancano però liberi proprietari.
Si individuano
altri fondi: uno, Corneto, appartiene a
Rao, figlio del domini Pietro, è dato ad Osmundo,
figlio del domini Raone, e confina con i beni
di Giovanni de Fusco e quelli di Furca tenuti da
Cennamo29; l’altro è un esteso fondo che prenderà il nome, Urso
de Sasso, da un suo proprietario molto probabilmente il capostipite di una
vasta famiglia30. E si individuano altri
abitanti che sono gli homines censili che fanno parte della concessione della
feudataria Sarracena e poi di suo figlio Roberto
all'Abbazia di Cava31.
La
comunità si è ingrandita cosa che si può dedurre dalla chiesa di S. Croce,
attestata all’inizio del XII secolo32. Questa si configura come la
chiesa di un centro che si era andato formando
sull’asse viario principale di collegamento tra la pieve e i casali alti e di
comunicazione con Turci e che dimostra l’esistenza in loco di un elementare
nucleo di smistamento dei prodotti visto che le chiese erano i centri di
raccolta delle derrate e dei fedeli e che lo scambio delle merci avveniva in
occasione delle feste religiose. Su questa via si formerà infatti l’antico casale del Sortito, chiamato poi Capopiazza, entrambi, ma in epoche diverse, centri
del commercio33. C’è la curia, che è il luogo dove si risolvono le
controversie, quindi c’è attività economica perché all’inizio le liti erano
legate alle attività produttive.
Emerge
in questa parte della conca una realtà silvo-agro-pastorale
con le selve di castagni e di querce che scendono fin nella zona bassa divenendo però più rade per la presenza dell’arborato e del
seminato. Tra le colture arboree si individua inoltre
il frutteto - mele, pere, noci, avellane - diffuso è anche l’oliveto, mentre
nella parte bassa predomina la vita34.
L’agricoltura
è strettamente legata alla pastorizia, che non è oggetto di contratti e che di essa è parte integrante ed è ad essa radicata secondo la
caratteristica già individuata in tutto l’entroterra di Salerno. Tra le
pertinenze devono intendersi pertanto non solo gli animali, che permettono il
lavoro dei campi, ma anche quelli dell’allevamento, che sostengono e
arricchiscono l’agricoltura. Nella conca di Solofra il legame
pastorizia-agricoltura, d’impronta sannita si è visto, emerge dai dati documentali
nella cura con cui si prescrive la buona tenuta delle siepi intorno ai campi
per non farvi entrare buoi e cavalli35, nei prodotti di cui
la pieve è tributaria alla curia salernitan36
e si coglie nei Capitula degli Statuti
che trasporteranno avanti nei secoli questo che è l’elemento base della
economia solofrana37.
Si
allevano dunque equini, pollame, api, bovini questi
ultimi usati come mezzo di pagamento. Già in questo periodo inoltre acquista
specificità l’allevamento dei maiali favorito dall’abbondanza dell’alimento
primo, la ghianda, e che diverrà una voce importante della produzione locale.
La lavorazione della carne di maiale per la produzione di
"ossa persupta" e "longa38,
che saranno i successivi "salsicchini,
soppressate, ventresche" e in genere "carne salata"39,
è già praticata e anch’essa fornisce prodotti per il pagamento dei tributi.
___________
1.
Per seguire
questo tratto è necessario tenere presente i documenti in AD
e le cartine. La trascrizione delle pergamene dell'Archivio di
Cava (CDC), in X volumi, giunge fino al 1080. Delle altre pergamene si ha solo l'indice (Cfr. F. Scandone, Documenti..., pp. 370 e sgg.) dal quale si deduce che molte interessano
sia Solofra che S. Agata-Montoro. Alcune di queste sono trascritte in Purdgavine (Avellino, s. d., anonimo aperto
da una dedica di A. Graziani), in A. Colombo (Memorie
di Montoro in Principato Ultra, Napoli, 1883) e in G. Tescione
(Caserta medievale...cit,).
La trascrizione del CDV, in dieci volumi, giunge fino al 1196. Le altre carte
esistenti nell' Arch. di Montevergine, di cui si ha il regesto (a c. di A. Mongelli), non interessano i luoghi e il periodo preso in
considerazione.
2.
Cfr. i docc. dei
secc. XI e XII in AD. Il territorio dominato dal castro di Montoro
confinava con quello dominato dal castro di Serino. V.
il cap. III della prima parte e qui il par. 2.
3.
Il versante
sud del Pergola-S Marco, quello sulla
conca di Solofra, è circoscritto dal vallone Cantarelle
(chiamato anche Ficocelle) che costituisce una
naturale delimitazione del complesso montuoso appartenente in questo periodo a
Serino.
4.
La
delimitazione a settentrione tra il territorio di Solofra e quello di Montoro-S. Agata non è individuabile, ma, considerando il
ruolo degli elementi naturali nel definire i confini, si può ritenere che essi seguissero lo stesso vallone Cantarelle
fino alla confluenza nell'alveo del rivus siccus.
5.
Di questo
gruppo montuoso si sono seguite le vicende nel presente studio. Poiché si è
visto che all'epoca dei documenti (XI-XII secc.) esso costituiva un complesso
difensivo composto da due fortilizi uno dei quali,
quello sul versante della conca di Solofra, era un semplice rinforzo
dell'altro, si deve senz'altro pensare ad un collegamento tra loro attraverso
il passo di Turci alle cui acque si attingeva per i bisogni del castello (ASA, Fondo
Grimaldi, n. 4) e quello di Vadora o
passo di S. Marco come era chiamato nel XVI secolo il passaggio a
nord-ovest (ASA, B6566, III, 223r).
6.
Cfr. AD,
11. V. pure il cap. II della prima parte.
7.
De li burrelli è l'antico nome del casale chiamato nel XVIII secolo pie' S. Angelo, la cui sostituzione comincia
nel XVI secolo - i protocolli notarili lo documentano (ASA, B 6522\bis, f. 78)
- per giungere a definizione in seguito (nel Catasto onciario del 1754
infatti dell'antico nome non c'è traccia). La denominazione potrebbe derivare
dalle fosse dette burri e quindi essere
legato al primo impianto in loco del processo di concia che aveva come elemento
essenziale le fosse di macerazione. Bisogna infatti considerare che le prime forme di concia erano
molto elementari, tese solo a fermare il processo di putrefazione, una pseudoconcia, e che le "contrarie" di cui parla
l'art. 50 dei Capitula antiqua degli
Statuti solofrani avevano un simile tipo di vasca.
8.
Il nome di
questo casale, legato alla denominazione con la quale si indicava
il corso d'acqua (Cfr. AD, 1 e 9 e cap. I par. 1),
giunge fino a tempi recenti. Era il casale delle concerie che occupava le due
sponde del fiume comprendendo varie località a cominciare da li
burrelli (poi pie'
S. Angelo) fino a Isca (poi Forna),
Toppolo, Campi e fino ai Balsami e lungo le quali
si contano nel XVI secolo una quarantina di apoteche
de consaria e, al tempo dei primi Capitula degli Statuti, le citate
"contrarie" poste da lo ponte in bascio (ivi).
Vale la pena considerare anche il toponimo "balsami" che potrebbe
riferirsi agli oli e alle sostanze resinose che nei processi di pseudoconcia si usavano per ammorbidire le pelli (Cfr. A. Bravo, op. cit., p. 27).
9.
Cfr. AD,
9. La denominazione "constantini",
che si è poi perduta per i predominanti Balsami o Sorbo, conferma
l'influsso greco-bizantino nella zona.
Per il casale Sorbo vale la pena ricordare che dinanzi alla chiesa di S.
Giacomo, posta nelle sue pertinenze (al confine col Sortito o Capo
piazza), c'era un sorbo sotto cui si riuniva
l'assemblea dei cittadini (ASA, B
10.
Nei protocolli
notarili del XVI sec. nella località qui individuata è
descritta la stessa situazione silvo-agricola che si
coglie nel documento longobardo.
11.
Cfr. AD,
6. Il toponimo ad cerbitu
potrebbe derivare da voce dialettale "cerbaia"
cioè "bosco di cerri, cerreto" (Cfr. S.
Battaglia, Grande dizionario della lingua
italiana, II, Torino, 1980, s. v.). Nel dialetto locale "cierro" indica un tipo di quercia dei terreni rocciosi
(Cfr. S. Giliberti, Dizionario dialettale,
Solofra, 1982, s. v.) e si trova nell'aggregato Cortina del cerro.
12.
Cfr. A. Di
Meo, VII, 207. Castagnito (ASA, B6528\2, f.131) o castagnano (ASA,
B6524\2, f. 216) era denominato nel XVI secolo un
vigneto nel casale fontane sottane.
13.
Cfr. AD,
15.
14.
Cfr. AD,
16. Il documento parla di cinque terre nelle località Solofra e S. Agata i cui confini sono segnati in parte dal rivus
siccus.
15.
Cfr. P. Rasi, Le cose accessorie e le pertinenze nel diritto
germanico con speciale riguardo al diritto longobardo in "Atti del
primo convegno di Studi longobardi", Spoleto, 1952, pp. 465-467.
Devono intendersi per "pertinenze", che negli atti sono indicate con
dizioni generiche (cfr. vari
docc. in AD), "quel
complesso di beni necessari per lo sfruttamento economico della res e
cioè fontane, ruscelli, canali, pozzi, fosse, stalle, forni, locali per il
deposito dei prodotti, per la vendemmia e la conservazione del vino, per la
spremitura delle olive" (ivi). Per gli animali v. infram.
16.
Per i relativi
riscontri v. i docc. in AD.
17.
È il caso di Maraldo e Alcoino, proprietari
longobardi, il primo dei quali cita gli avi e i genitori da cui ha avuto la metà del fondo che è stato da questi abitato e
lavorato, cosa che fa ancora il fratello. Quest'ultimo
è presente all'atto ma non partecipa alla locazione
che interessa solo la metà del fratello. Altri "possessores"
residenti sono Maginolfo, Cicero
e la moglie Auria, di quest'ultima,
sicuramente una libera, c'è da dire che le donne
prendevano parte ai contratti - è il caso anche di Sichelgrima
- pur essendo, secondo il diritto longobardo, sotto la tutela del marito.
18.
Giovanni e
Falco sono coloni. Il primo è però indigeno l'altro
longobardo il che dimostra l'avvenuto assorbimento della divisione tra possessores longobardi e coloni indigeni
caratteristica della prima dominazione longobarda.
19.
Il nome ebraico-latino di questo comes
lo dice appartenente a quei locali che si erano riscattati
affiancando l'aristocrazia longobarda. Si può seguire lo sviluppo di questa
famiglia, che è molto ampia, in CDC, X, infra.
20. Maione di Donnello, anch'esso
longobardo, come gli altri non può non essere nella
città che è il punto di riferimento di questo entroterra. Il vino dei suoi
campi, prodotto di pregio nel Medioevo, lo qualifica come un appartenente a
quella classe salernitana che traeva la sua ricchezza dalla produzione agricola
delle campagne. V. cap. II, par. 6 e n. 48.
21.
Landoario Vallense, che vende le terre a Maginolfo,
appartiene ad una famiglia di possidenti molto diffusa nella zona e a Salerno (cfr. CDC, X, infra ).
22.
Egli nomina un
mediatore che curi i suoi interessi regolando il contratto in questo senso.
23.
Intorno alle pievi
c'era un'accentuata vita comune da cui nascevano accordi e in cui si formavano
le consuetudini. Ogni chiesa d'altra parte era un centro economico-religioso (Cfr. P. S. Leicht, Operai,
artigiani, agricoltori in Italia dal secolo V al XVI,
Milano, 1946, pp. 40 e sgg.).
24.
Cfr. il cap. II.
25.
Ibidem.
26.
Cfr. ASA,
B6522 infra. Nella seconda metà del XVI secolo, con la costruzione del Palazzo Orsini, del
monastero di S. Maria delle Grazie (poi di S. Chiara) e delle sue botteghe e
con l'ultimazione della Collegiata (ASA, B6537 infra),
si ha una ristrutturazione del casale de li burrelli
dove sarà costruita una via nova (ASA, B6564, f.326v)
e al di là del fiume la cappella dello Spirito Santo. Si può pensare
anche ad un attraversamento del fiume da questa parte magari da collocare nel
periodo seguente.
27.
La
comunicazione con S. Agata era costituita dall'antica via che attraversava la
zona delle Celentane.
28.
AD, 23.
29.
AD, 29. V. infra.
30.
AD, 23 e 24.
Urso è il padre di Alfano che insieme ai suoi figli
fece parte della concessione di Sarracena al
monastero di Cava (1159). Di questa famiglia, che probabilmente è originaria di
S. Agata, si conosce anche Martino che aggiungerà altri possedimenti a Cava
confermati da Roberto Tricarico (1178). Tra i
toponimi solofrani del XVI secolo c’è una località
"sasso" (ASA, B6524/2, f. 31r) che potrebbe essere un residuo di
questo toponimo.
31.
AD, 23, 24 e
25. Sono Accetto con i figli (di cui Giovanni) e Tristano e Giovanni di domno Doferio. A questi bisogna aggiungere i vari testimoni necessari per i
contratti dell'epoca.
32.
G. Crisci-A. Campagna, op. cit., p. 376. Di
questa chiesa, di cui parla anche un manoscritto presso
33.
"Sortito"
è il luogo dal quale si esce magari pagando un pedaggio (Forcellini,
Lexicon, s. v.). L'antico casale del
sortito (nel XVI secolo c'era in questo casale un
"magno introito"), dove giungeva la strada che portava al
fiume e quindi alle contrarie e che si qualifica come il primo centro
commerciale, era chiamato anche platea (ASA, B6524/2, ff. 120 e 129v).
Le "platee", che non erano piazze ma strade
che conducevano verso luoghi precisi per lo più porte, costituivano l'ossatura
della rete viaria urbana e corrispondevano ad attraversamenti che ponevano in
comunicazione l'interno verso l'esterno divenendo quindi le strade dove si
svolgevano le attività commerciali (esattamente questa era la platea di
Solofra nel Cinquecento). In questa zona e lungo questa strada per Turci, che
passava per la via S. Giacomo-Afflitta, sorgerà la
chiesa di S. Giacomo che fu la sede del governo dell'Universitas
e del Collegio di S. Angelo durante la costruzione della Collegiata (ASA, B6525
infra).
34.
Il fondo ad cerbitu si
qualifica per la produzione del vino regolata dal contratto agrario. Producono
vino anche le terre della pieve e il fondo "constantini".
35.
AD, 6.
36.
Truppoaldo,
il presbitero della pieve, gode dei proventi
dell'allevamento una parte dei quali andranno all'episcopio e a S. Massimo (Cfr. AD,11).
37.
La maggior
parte di questi Capitula regolano l'allevamento e proteggono i campi dai danni che
gli animali possono arrecare.
38.
AD, 11. Sono
tra i prodotti che Truppoaldo periodicamente consegna
all'episcopio salernitano.
39.
Sono questi
alcuni prodotti del ricco commercio solofrano nel XVI
secolo.
|
2. La denominazione Sancta
Agathe indicava un ampio spazio che comprendeva
le balze del S. Marco, il passo di Castelluccia, le
colline di Montoro fino a Banzano e che si estendeva
in pianura fino a Chiangarola. Ad est giungeva alle
falde meridionali del Pergola fin sotto il fortilizio
che, come si è visto, faceva parte del complesso difensivo di Serino.
Questo
locum, chiamato nel periodo normanno vico, è
chiaramente definito. Si individuano, nella zona
pianeggiante tra Torchiati e Solofra, due ampi territori che occupano tutto il
seno vallivo e che sono il galdo1 e il fondo a la selba 2.
Si individuano
ancora l’arroccamento di Le cortine con la corte di Fronda, un
fondo con alberi da frutta e querce3; la corte Alamanni con un vigneto e un frutteto4; la corte
garofari con vigna e frutteto5; un
fondo detto la sidilia6 ed uno detto la balle de la mela7.
Quest’ultimo è il seno vallivo, ora denominato
Melito, che giungeva fino alla collina del castello, appartenente alla
famiglia più cospicua del posto. Tale insediamento è senza dubbio collegato,
nella parte alta, al castello e a Turci8.
Possedimenti
si trovano sul passo di Castelluccia che si conferma
una zona di collegamento con Montoro e con Serino. Qui ci sono il fondo croci con piante di querce e pertinenz9,
il fondo supta ipsa
gripta con castagni e pertinenza10.
Altri
possedimenti, detti in "territorio di Montoro", sono un abellaneto in località cesina
longa11, e un fondo, Serrone
o Serra12, che sono beni dei Sanseverino,
della chiesa di Salerno e di privati. E ancora ci sono
i luoghi carpino13, carrara o
carrano14.
La
denominazione ricorrente di questi fondi di S. Agata, quella di
"corte", delinea un insediamento più
articolato ed intensivo cosa che è dimostrata dal maggior numero di proprietà e
di liberi possessores e dal fatto che
qui già è presente un’attività artigianale a conduzione familiare.
L’attività
specifica è la produzione del vino, che lo si ripete
era un prodotto pregiato, non manca quella dell’olio. Si raccolgono i frutti
propri del luogo tra cui predominano le mele.
Appare
impiantata, con modalità diverse da quelle curtensi, la citata attività
artigianale, e precisamente quella della lavorazione del ferro con la
produzione delle centrelle.
Essa esce dalla sussistenza della curtis e diventa
specifica di una famiglia per poi costituire un dato distintivo della località
e trasferirsi anche altrove. Abitano infatti a S.
Agata, ma provengono da Montoro, Malfredo e i figli,
una famiglia di fabbri che ha possedimenti in altre località di Montoro oltre
che nella stessa S. Agata. La medesima attività è svolta dalla famiglia di
Salerno faber, anche questa un ceppo esteso
nella zona, e da Graffio fabro15.
I
documenti ampiamente fanno emergere il legame tra l’insediamento di S. Agata e
quelli di Montoro, specie Banzano, tutti sviluppati
intorno al passo e tutti legati da uno stretto rapporto di scambi di fondi e di
persone e dal fatto che essi sono abitati da ampie e ricche famiglie di coloni
e proprietari. È il caso di Urso de Inca, un proprietario locale figlio di Falcone, i cui beni
si estendono sul crinale che va da Banzano a S.
Agata, scendono nella zona pianeggiante e comprendono diverse cortine. Di
questa famiglia, che si qualifica come una delle più cospicue, si riesce a
seguire lo sviluppo per tutto il XII secolo16. Ed
è anche il caso della famiglia di Maraldo, un nucleo
di coloni che percorre un intero secolo17.
Altro
proprietario i cui beni si trovano sia a Banzano che a S. Agata è un tale Alamanno che ha dato il nome al suo
fondo e che quindi è uno di quei possessores
di cui si è discusso18.
Devono
infine essere presi in considerazione il gastaldo Lando e il figlio Guiso che è "vicecomes"
del castello di Serino il che si spiega col fatto che questi territori facevano
parte di un'unica contea, quella di Rota, e che il castello di Serino era in
una località limitrofa di essa. Si è nel periodo del
governo di Ruggiero Sanseverino, che possedeva dei
beni sul posto, e che assegna alla classe emergente locale la custodia del
centro fortificato19.
La
realtà individuata tra Banzano e S. Agata, che è
ricca e feconda20, spiega perché l’intero vico di S. Agata fu
staccato dal tenimento di Montoro allorquando si costituì
il feudo di Serino e andò a far parte di questo nuovo nucleo territoriale21.
La
vitalità socio-economica di S. Agata è dimostrata
dalla chiesa di S. Andrea, la cui costruzione, già avvenuta nel 119522,
evidenzia quel bisogno, di cui si è detto, avvertito dalle popolazioni di
trovare una propria identità intorno ad una chiesa23. La parte alta
di questo vico comincia a distinguersi dalla zona pianeggiante per cui, quando nel secolo seguente avverrà la scissione in
due casali (uno, il più esteso, resterà a Serino e sarà chiamato "S. Agata
di sotto o di Serino" l’altro andrà a far parte di Solofra e sarà chiamato
"S. Agata di sopra o di Solofra"), essa troverà una base su cui
poggiarsi24.
___________
1.
AD, 13. Nel
periodo longobardo apparteneva, insieme ad altri fondi
di Mon-toro, alla famiglia del principe Gisulfo. Divenuto feudo di Cava, entrerà
a far parte del tenimento di Solofra forse in seguito alle vicende territoriali
al tempo dei Tricarico. V. AD, 27 e 28. Nel secolo
XVI il galdo apparterrà a Solofra (ASA,
B6522/2, f.16; B6523/2, f.96r
e infra).
2.
AD, 12, 13,
22, 30. Col nome selba si indicava
un vasto territorio, appartenente in parte alla famiglia dei principi
longobardi in parte a S. Massimo. Diviso in "selva grande" e
"selva piccola", giungeva fino a Le
cortine. Nel 1043 una parte era tenuta dal colono Roregrimo,
figlio di Maraldo, nel 1158 era lavorato dai coloni
Alfonso e Giovanni di Maraldo e ne era
proprietaria Marotta figlia di Urso. Nel 1195 un
fondo su Le cortine era denominato Silva o Corte Ramanni.
Nel XVI sec. nella stessa località si trovano i
toponimi "selva grande" e "selvetella"
(ASA, B6522/bis, f. 60; B6522/2, f. 31 e B6547/I, f. 46r).
3.
AD, 18. Il
fondo deve essere ricco ed ampio infatti è posseduto
da Urso de Inga, figlio di Falco, poi da Musando,
figlio di Pietro, e da Sica, figlia di Lando. Confina con altri beni di Urso, di Musando e di Sica, con
beni di Guiso di Lando e con vie vicinali.
4.
AD, 21.
Anch'esso di proprietà di Urso de Inca
di Falco, è ceduto, in una divisione, al figlio di questi, Urso. Confina con i
beni di Giovanni Montorese, con altri possedimenti di Urso in località balle de la mela, con un
castagneto e col fondo la sidilia. V. infra.
5.
F. Scandone, Documenti..., p. 386. È un fondo dato dal
monastero di Cava a Rogerio e Giovanni, coloni di
Solofra. Nel 1528 è un fondo arborato in S. Agata di Solofra (ASA,
B6522/bis, f. 115v).
6.
AD, 21. Il
toponimo indica un luogo abitato "cum fundamentis super et suptus terra" (Forcellini, Lexicon, 280).
7.
Ibidem. Il toponimo "valle della mela" giunge fino al XVI secolo (Cfr. ASA, B6531,
8.
All'innesto
della via proveniente da Le Cortine sulla
strada di Turci sorgerà il casale Fontane soprane (poi Caposolofra).
Tale collegamento era molto usato nel XVI secolo.
9.
AD, 19.
Appartenne nel
10.
AD, 14.
Appartenente, insieme ad altri beni con esso
confinanti, a Citro figlio di Giaquinto, era tenuto da
Falcone, figlio di Falcone.
11.
F. Scandone, Documenti..., pp. 373 e 376. Tenuto dal colono
Giovanni, figlio di Ademario
a sua volta figlio di Costi, apparteneva a Urso detto Pulania
o Pausania, figlio naturale di Doferio,
confinava con beni della chiesa di Salerno tenuti da Maraldo,
il medesimo proprietario del fondo a la selba.
Nel XVI secolo tale toponimo indicherà un territorio
in località S. Agata di Serino.
12.
Ibidem, p. 374. Nel 1117 apparteneva a Ruggiero Sanseverino ed era tenuto dal chierico e notaio Albaliano, andrà poi a Cava. Nel
1192 il figlio di Doferio, Ruggiero
Spina, ricette un castagneto chiamato serra e detto in località
Montoro (AD, 30). Serroni e Serra indicano terreni di S. Agata di Serino nel XVI secolo (V.
per serroni ASA, B6522/bis, f.118v e per serra ASA, B6522/bis, f. 65v. Entrambi sono arborati vitati). C'è poi la
località a li serruni con un querceto (ASA,
B6522, f. 142r/v). Un luogo chiamato serra piccola e uno
serra sono anche nel tenimento di Montoro (F. Scandone, Documenti...,
pp. 379, 380).
13.
F. Scandone, Documenti..., p.
381. È un terreno detto nelle pertinenze di Montoro dato da Cava a Pietro di Maione, detto Anatre. Nel 1527 sarà in territorio di
Solofra al confine con Montoro (ASA, B6522/1, f. 31r) e sarà indicato come una
zona paludosa (ASA, B6534, f. 254r).
14.
Ibidem, p. 382. È un arborato vitato dato a Giovanni, figlio di
Gervaso giudice, ed appartenente all'Abbazia di Cava. Nel 1531 sarà detto anche
cioppolo di S. Vito (ASA, B6525, f.
203).
15.
Cfr. AD,
19; V. pure F. Scandone, Documenti..., pp. 374,
390-391.
16.
Cfr. AD,
18, 19, 21. Questa famiglia, di cui si è ipotizzato il
trasferimento a Solofra, forma il nucleo del casale. Anche
le famiglie Vallense e Maginolfo
che hanno possedimenti tra Solofra e S. Agata, possono attestare il medesimo
fenomeno ed anche di queste famiglie si può seguire lo sviluppo fino al secolo
seguente (AD, 16 e CDC, X, infra).
17.
Cfr. AD,
22; F. Scandone, Documenti..., pp. 366-389.
18.
Cfr. AD,
21 e 18.
19.
Cfr. AD,
18.
20.
Essa
emergerebbe più ampiamente se si potesse attingere alle pergamene non
pubblicate dell'Archivio di Cava.
21.
Cfr. cap. III. Bisogna ricordare che questo feudo, prima del
matrimonio di Sarracena con Simone de Tivilla, comprendeva i territori a nord del Pergola-S.Marco forse fino alla riva sinistra del Sabato e
tutta la conca di Solofra.
22.
AD,
23. V. cap. III, par. 2.
24.
Cfr. cap. III, par.5 e n.85. Il casale di "S. Agata di sopra o di Solofra",
che comprendeva il castello, giungeva fino a Turci (qui nel
XVI secolo si trova un fondo detto "santagati a
Turci" ASA, B6568, f. 220v). Vale la pena sottolineare
che la divisione tra i due casali non contemplò una precisa delimitazione tanto
che nei più volte citati protocolli notarili alcuni luoghi si trovano indicati
nell'uno e nell'altro casale e che alla fine del XVI secolo si giunse ad un
contrasto tra i feudatari di Solofra e di Serino e ad un'inchiesta a cui
parteciparono molti cittadini e che ebbe la finalità di dimostrare che il
casale di "S. Agata di Solofra" era ad essa appartenuto ab antiquo (ASA, fondo Grimaldi, n.
4).
|
3. Emerge nella conca del flubio-rivus
siccus quella piccola proprietà terriera che si è
visto essere alla base dell’economia di Salerno1. La classe che sostiene questa economia aveva le sue radici nella pianura
alle spalle della città che considerava come una sua emanazione, perché da essa
una buona parte proveniva e con la quale manteneva stretti rapporti2.
Tutta la conca è tributaria di uomini e di prodotti,
frutto della cura e dell’amore per la terra che porta a proteggere il lavoro e
il colono che la fa produrre3.
Anche
da questi fondi, che non fornivano più solo i mezzi di sussistenza, provenivano
i prodotti che avevano trasformato il mercato di Salerno in un magazzino di
raccolta per le merci che poi partivano da Amalfi dirette
in tutto il Mediterraneo. Ed erano anche questi fondi
a permettere quell’investimento dei proventi della
terra nel commercio che caratterizzava l’economia salernitan4.
Ancora
anche da questi fondi provenivano altri prodotti dell’economia rurale. La carne salata di maiale per esempio che non era un elemento di
sussistenza della pastorizia e dell’artigianato locale, ma che si riversava sul
mercato di Salerno. E provenivano gli animali
dell’allevamento, che fin dal periodo longobardo dovevano essere venduti solo
su quel mercato. Tra essi ci sono "i buoi e i
cavalli" che alimentavano una non limitata attività locale e che sono gli
animali di cui gli amalfitani si fornivano a Salerno5.
Tutti
questi prodotti giungevano dietro i missi di Truppoaldo che si recavano a Salerno per lo meno quattro
volte in un anno e che non vi andavano solo per i bisogni e gli obblighi della
chiesa6. Gli stessi missi,
mandati periodicamente nelle loro terre dai proprietari residenti a Salerno, si
trasformavano in corrieri di prodotti7. Una tale attività di
raccolta si individua nella figura del portarum, il genitore di Giovanni, colono del fondo constantini. Il "portarum"
è infatti colui che dopo aver raccolto i prodotti li
porta al mercato o è un doganiere8.
Si
può qui configurare un abbozzo di quella mercatura di raccolta che,
caratteristica dell’entroterra salernitano, sarà base e sostegno della economia locale9 e che si poggia
sull’attività solidale tra chi lavora i campi e chi provvede a smistare il
prodotto sul mercato. Giovanni cita l’attività del padre non inutilmente ma per
sottolineare proprio questa prospettiva. E ciò si chiarisce quando Rao di Solofra chiama socio il
colono Osmundo a cui affida la cura del proprio fondo10
facendo emergere un’altra caratteristica dell’attività di commercio e cioè il
rapporto societario che è articolazione comunitaria nello svolgimento di
un’attività ed è qualcosa di più ampio della "comunità di intenti"
che lega i soggetti dell’economia in questo periodo perché sottintende non solo
una comunione di beni ma anche l’uso comune di uno stesso bene. Tutto questo
costituirà l’asse portante della mercatura nel cinquecento solofrano11.
Già
in questo periodo la produzione silvo-agro-pastorale,
si è visto, può dirsi sostenuta ed affiancata da quella più specifica della
concia dei prodotti dell’allevamento che si stabilisce sul posto sotto la spinta delle stesse istanze che avevano favorito lo
stabilizzarsi sulle rive dell’Irno della lavorazione della lana dei pascoli
delle montagne dei casali di Giffoni e di Rota12. Unito da un unico
prodotto il polo Solofra-Rota-Giffoni
forniva al mercato di Salerno quella materia prima che, impreziosita da un
artigianato fiorente e ricco, alimentava un mercato ricercato del quale gli amalfitani erano padrone13.
Si
è già visto come Salerno ed Amalfi si trovavano unite
dalla rete di affari che la città marinara aveva costruito nel Mediterraneo,
qui bisogna sottolineare i rapporti che gli amalfitani
avevano coll’entroterra salernitano dove anche
direttamente traevano i loro prodotti14.
Vale
la pena ricordare alcune voci del commercio amalfitano che possono avere
rapporti con la zona che si sta studiando e cioè le centrelle, la noce di galla che, si è visto, è un prodotto
delle querce solofrane, e le pelli che Amalfi forniva a Genova. E vale la pena
ricordare le industrie amalfitane di questo periodo,
molte delle quali sono anche concerie e a struttura familiare con attrezzi
posseduti in società, che si possono mettere in
relazione con le strutture che stavano sorgendo a Solofra la quale potette
avere rapporti con Amalfi non solo per ragioni da ricavare induttivamente ma
perché le due famiglie di possidenti locali, Olperti
e Sparani, sono, all’epoca, ceppi ben impiantati su
quella costiera15.
Le
attività economiche solofrane, direttamente legate al mer-cato di Salerno, che è il maggior coefficiente del benessere di questa città e
dove giungevano i mercanti dell’epoca cum
magno negotio16, si giovavano del regolare e rettilineo rapporto
della pieve con l’episcopio salernitano anzi l’aspetto dinamico della pieve
deve essere considerato un elemento costante, positivo e stimolante della
economia locale.
I prodotti
solofrani però non giungevano solo a Salerno perché si determina
in questo periodo un’altra direttrice di traffico sulla via di comunicazione
con
In
conclusione si può dire che queste argomentazioni che
si poggiano sulle tracce della documentazione in possesso e si inquadrano nella
situazione socio-economica dell’entroterra salernitano, trovano ulteriore
sostegno nella evoluzione successiva che, pur nelle secche del periodo angioino-aragonese, giunge all’inizio del XVI secolo quando
una ricca produzione notarile20 delinea a Solofra una realtà
artigiano-commerciale di rilevante spessor21. Essa permise alla
società solofrana di abbattere l’antica pieve di S. Angelo per costruire un
tempio che meglio la rappresentasse, la futura
Collegiata, e alla Universitas di concepire il
disegno di accedere al demanio comprando i diritti feudali.
____________
1.
Proprietari
erano i membri della famiglia del principe, le chiese o i beneficiari
ecclesiastici e l'aristocrazia salernitana. Si è visto che questa classe basava
il suo potere su questi beni dell'entroterra.
3. Si noti la cura
con cui sono assicurati i lavori agricoli dai contratti che non si limitano a
sottrarre all'incolto le terre e a bonificarle (ad
pastinandum) ma che si preoccupano di accrescerne
la produttività (ad meliorandum ) e di
lavorarla in modo intensivo ("cultate de super et de subter"). Si consideri il fatto che il colono ha il pieno e completo
possesso della terra, ne è gratificato, può sul fondo impiantare l'opera dei
servi e soprattutto ne può diventare proprietario. Anche il colono non libero, cioè senza il diritto di proprietà, pur sempre godeva di
libertà personale infatti poteva allontanarsi per un certo tempo dal fondo
senza perdere il diritto di coltivarlo.
4. Tutte le aree
pianeggianti del Principato fornivano al mercato di Salerno i
prodotti agricoli e tutti i prodotti dei fondi solofrani devono
intendersi affluire in quel mercato (v. cap. III, parr.
6 e sgg.).
6. Cfr. AD, 11. I tributi di Truppoaldo
scadevano a Natale, a Pasqua, alla festa di S. Angelo dell'8
maggio e a quella della Madonna del 15 agosto. Nel documento è chiaramente
sottolineato questo obbligato rapporto con la città
("demus ad ipsum presbiter vel ad missum eius").
7. Cfr. AD, 6.
8. Forcellini, Lexicon, p.769. "Hominum ex uno in alium locum qui fructus pecuniarias conducit" oppure
"est qui exigit a viatoribus
pro transitu mercium". È poco probabile che il portarum
solofrano fosse un doganiere poiché per Solofra in
quel periodo non passava un commercio tale da giustificare una funzione
specifica comunque un'attività di passo senz'altro c'era e allora potrebbe,
questa figura, assommare entrambe.
9. Dai protocolli
notarili del XVI sec. si ha una chiara delineazione
del tipo di mercatura solofrana. Il mercante solofrano, la classe più ricca
della fiorente attività produttiva locale, è colui che
raccoglie i prodotti legati alla concia (pelli, coire,
suole, scarpe, pergamene, funi e spago, oropelle,
ecc.), quelli dell'allevamento (tra cui la carne di maiale salata, voce
"forte" del commercio solofrano) e di tutte le altre attività
artigianali.
10. Cfr. AD, 29.
11. Il mercante
solofrano del cinquecento ha uno stretto rapporto con il conciapelli
e con gli altri artigiani locali (battiloro, scarparo,
cordaro) sia nel fornirgli la materia prima che nel
porla sul mercato. Tale rapporto, spesso oggetto di regolari contratti, è così
intenso e estremamente articolato da creare una fitta
rete che lega i due elementi della economia locale - l'artigiano e il mercante
-, dove emerge il possesso comunitario dei beni e dove più concerie vengono a
configurarsi come un'unica grande conceria che risponde alle richieste e alle
possibilità del mercato.
12. Si richiamano
qui i già citati legami tra Solofra, Rota e Giffoni che formano un polo di
produzione di un'unica materia prima e che portarono all'impianto a Solofra di
famiglie originarie dei due centri. V. cap. III, par. 6.
13. Cfr. cap. III, par. 6. Vale la pena ricordare lo spregiudicato commercio
amalfitano, amico dei Saraceni dai quali era protetto, e citare l'accorto ceto
di mercanti-marinai che si muovevano liberamente sul Mediterraneo orientale, superando
l'angustia territoriale con l'apertura commerciale (Cfr.
N. Cilento, I Saraceni nell'Italia meridionale nei secoli IX e X, pp.105-122; A. Citarella, Il
commercio di Amalfi.., cit.).
14. La penetrazione
degli amalfitani nella pianura del Sarno fino a Montoro avviene con gli abitanti di Atrani.
15. Cfr. M. Camera, Memoria storico
diplomatica dell'antica città e ducato di Amalfi, 1879, II,
Napoli, p. 375.
16. Cfr. Ibidem. V. pure G. Galasso, Le città..., pp. 116 e sgg.
17 I solofrani
avranno a Trani, a Barletta, e in altri porti
pugliesi scali per il deposito delle merci come sarà
18. Il rapporto tra
Solofra e i ragusei, che nel
XVI secolo sarà intenso e definito di antica data, si può collocare nelle forme
iniziali in questo periodo.
20. I protocolli
notarili di Solofra partono dal 1521. Per avere un'idea della ricchezza
archivistica basti pensare che da questa data fino al 1555 si hanno 24 buste
comprensive di 4402 fogli con 8793 atti di cui 3564 contratti di compra-vendita
e 311 contratti di lavoro.
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Capitolo
primo
Presenze
sannitiche e romane nel bacino del flubio-rivus siccus.
Capitolo
secondo
Influssi
bizantini e realtà longobarda
Capitolo
terzo
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Appendice documentaria: documenti longobardi
|
ABBREVIAZIONI
ABC |
Archivio della Badia di Cava. |
AD |
Appendice documentaria. |
ASA |
Archivio di Stato di Avellino (Protocolli notarili). |
ASPN |
Archivio Storico delle Province Napoletane. |
ASPS |
Archivio Storico Province Salernitane. |
CB |
Catalogus Baronum, Commentario a c. di E. Cuozzo, 1984. |
CDC |
Codex Diplomaticus Cavensis, I-VIII, 1873-1893; IX,1984; X, 1990. |
CDS |
Codice Diplomatico Salernitano, Salerno, 1931 |
CDV |
Codice Diplomatico Verginiano, 1977-1993. |
HB |
Huillard-Bréholles, J-L.-Alphonse, Historia diplomatica Friderici secundi, I-VI, 1852-1861. |
IGM |
Istituto Geografico Militare, Carta Topografica programma-tica regionale, Campania, tvv. 25 e 33 quadrante 185 I e II. |
PII |
Parte seconda: La conca del flubio-rivus siccus nelle carte di Cava e di Montevergine. |
RNAM |
Regii Neapolitani Archivii Monumenta, I-VI, 1845-1861. |
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