Gregorio Ronca
Dalle Antille alle Gujane e all’Amazzonia
("Rivista Marittima", Roma, 1908)
N. B. Sono state eliminate solo alcune parti relative alle tabelle presenti nel testo che vengono indicate di volta in volta. |
Avvertenza: Nel pubblicare queste mie note
particolari intorno al viaggio della R. nave "Dogali" da me comandata
dal febbraio del 104 al luglio del 1905, desidero richiamare l’attenzione del
lettore sulla qualifica particolare che ho dato alle note stesse, perché esse
nulla hanno, né possono avere di comune con i miei rapporti ufficiali, onde io
espongo le mie impressioni o le mie osservazioni come le sentii sui luoghi e
come un qualsiasi viaggiatore. Gregorio Ronca (Capitano di Vascello)
VERSO LE
ANTILLE
Armai
il "Dogali" a Venezia alla fine del febbraio 1904 e nell'aprile
seguente portai il Ministro degli Affari esteri, S. E. Tittoni, al Convegno di
Abbazia.
Lo
scopo ed i risultati politici di questo breve viaggio del nostro Ministro degli
esteri ormai sono troppi noti, perché io abbia ad occuparmene qui: dirò
solamente che le mie impressioni del momento si possono facilmente riassumere.
Il Ministro, nello scendere a terra, per visitare il collega austriaco, aveva
l'aria di chi, recandosi ad uno scontro, ha piena coscienza delle sue forze, ma
è pur compreso del grave atto che sta per compiere: al ritorno a bordo appariva
sereno come persona che ha compiuto con soddisfazione cosa di grande
importanza. Ora parmi che queste impressioni non fossero errate.
Finito
lo scambio delle visite politiche, lasciammo l’incantevole rada, in cui ci
eravamo fermati meno di due giorni, e ci recammo prima ad Ancona per sbarcare
il Ministro, e poi a Gaeta e a Napoli per riunirci alla squadra. Avemmo così
occasione di assistere alle mirabili feste che Napoli, col suo nobile e
schietto entusiasmo, aveva preparato per dire ai vecchi amici di Francia, da
qualche tempo perduti di vista, ma mai dimenticati, la gioia di rivederli. E ci
fu dato di ascoltare anche le nobili parole che S. M. il Re rivolse al capo
della repubblica amica, che suonarono nel mondo come un giulivo inno di pace, e
che per noi, marinai del "Dogali", significarono, data la sicurezza
di lasciare la patria in piena tranquillità, la possibilità di dedicarci interamente
alla nostra campagna all’estero, a quelle missioni civili che incombono alle
navi da guerra nel fecondo periodo della pace.
Prima
però di partire avemmo l’alto onore di ricevere sulla nostra nave la visita di
S: M: e di sentirci augurare la Lui fortuna per il nostro viaggio. E
quell’augurio ci rimase impresso nel cuore come il più caro ricordo della
patria nelle lunghe, lontane peregrinazioni, ed in ogni circostanza ci ispirò
sicurezza nel successo e ci fu di incitamento al dovere.
Lasciammo
quindi l’Italia con l’animo pieno di speranze, ed a Gibilterra, dove prima
approdammo, ci si presentò l’occasione di assistere all’arrivo della Squadra
inglese ammirevole per ordine e potenza, e composta di ben 67 navi.
Le
principali di queste passarono a poca distanza dalla mia, e mi fu possibile
leggere i loro nomi scritti a grandi lettere d’oro sulle poppe. Ognuno di quei
nomi ricordava un eroe od una vittoria, onde mi pareva di vedere passare la
gloria dell’Inghilterra, e che la sua storia grandiosa si svolgesse dinanzi ai
miei occhi. Chiuso negli stretti confini delle sue isole il popolo inglese
visse, quasi povero e poco temuto, finché per spontaneo impulsi si slanciò sul
mare, e col potere navale conquistò gloria, grandezza e potenza meravigliose.
Nel mondo infatti, è sempre prevalente chi sul mare sa affermarsi, ed in quel
momento sognai con più entusiasmo il giorno in cui questo giovane e forte
popolo d’Italia, che seppe imporre all’Europa attonita le sue aspirazioni alla
libertà, saprà imporre a se stesso la volontà di raggiungere una grandezza pari
al suo valore, e quindi vorrà possedere e possederà una marina capace di fargli
acquistare nel mondo l’influenza cui ha diritto.
Mentre
le ultime navi pigliavano il loro posto cadeva la sera, e nella incerta luce
tutte quelle navi, serrate pressi i piedi del vecchio monte turrito di
Gibilterra, acquistavano forme fantastiche ed ispiravano confusi pensieri di
fragorose battaglie e di splendidi trionfi. Ed appena l’oscurità fu piena,
parve che la lotta fosse lì per impegnarsi, perché vidi passare sulle navi i
bagliori di una luce lontana come canne di cannonate.
Erano
i bagliori del fanale di Ceuta che arrivavano fin lì, quasi a rammentare che
uno dei più grandi pericoli per la pace è in quell’Africa misteriosa, che
vedevo perdersi nel fosco orizzonte di quella suggestionante notte. Invero
allora già si destavano a Tangeri i prodromi dei fatti che tennero recentemente
assai agitata l'Europa, la cattura dell'inglese Varley e dell'americano
Perticaris per opera del brigante Raissuli, teneva molto agitati gli animi, e
la politica se ne avvantaggiava per mille svariati interessi. Notevole, fra gli
altri era il fatto che una forte Squadra americana si trovava sul posto, assai
lieta forse di aver qualcosa da fare nel vecchio mondo, ed il brigante, conscio
dell’agitarsi delle nazioni, acquistava ogni giorno maggiore baldanza.
L’arrivo
quindi di ogni nuova nave faceva crescere le sue pretese, e più gli Americani
diventavano esigenti più egli si persuadeva che a chiedere e a pretendere aveva
buon giuoco.. Noi però non facilitammo questo giuoco, perché, dopo Gibilterra,
ci fermammo a Tangeri, per poco tempo, e proseguimmo per l'arcipelago delle
Canarie, dove, fatta una breve sosta a Las Palmas, intraprendemmo la traversata
dell’Oceano, diretti a Barbados.
A
questo punto è bene che io tracci brevemente il mio itinerario.
Le
istruzioni che mi furono consegnate al momento della partenza, e che, se mi
fosse lecito, vorrei definire un modello di sapienza civile e militare, mi
ingiungevano, fra le altre cose, di visitare le Antille e l'America centrale,
regolando però l'itinerario e scegliendo, i porti da toccare, in modo che le
visite ad essi, oltre a soddisfare anche alle nostre esigenze e ai nostri interessi
generali, riuscissero utili alla prosperità nazionale.
Lusinghiero
era quindi il compito che mi si assegnava, ma grave assai, e nel tentare la
soluzione del difficile problema, pensai che tra i fatti che concorrono a
formare la nostra prosperità e di cui io poteva occuparmi, erano da annoverare
il commercio e quella meravigliosa attività emigratrice della nostra gente;
mercé la quale la nuova Italia ha potuto spargere per il mondo 4 milioni dei
suoi figli senza risentirne danni anzi. traendone benefizi. Ma più che altro mi
parve di dover studiare gli interessi della emigrazione, perché nel maggior
numero dei casi avviene che la espansione del nostro commercio si manifesta
dove essa si è stabilita. Noi quindi non possiamo dire come gli Inglesi che il
commercio segua la bandiera e per ciò ci conviene cercare nobilissimo compito
questo tra quelli che competono alle navi da guerra che l’emigrante segua la
bandiera, perché ad essa possa poi utilmente seguire il commercio.
Si
suole sostenere che non è possibile sottomettere l'emigrazione a regole
stabilite; ma se ci limitassimo ad indirizzare i migliori verso le terre più
propizie, sarebbe facile far sparire la detta impossibilità, perché i loro
successi invoglierebbero gli altri a seguirne l'esempio. E ciò avverrebbe tanto
più facilmente in: che è un fatto dimostrato che gli emigranti (se gli
speculatori non li attraggono altrove) seguono le vie prese dai loro
compaesani. Si potrebbe quindi raggiungere il gran risultato di sommare le
forze e gli sforzi dei nostri coloni e farle tendere verso scopi determinati,
mentre ora sono spesso in contrasto fra loro E così facendo in un tempo non
lontano potremmo avere al di là dell’Oceano interi paesi, come S. Paolo,
colonizzati quasi esclusivamente dai nostri, e quindi uniti a noi con legami
indissolubili di interesse e di sangue. Si avrebbe perciò in essi una vera
ricchezza per noi e si compirebbe col lavoro una conquista civile non meno
gloriosa. di quelle che l'Italia nostra compì prima con la spada e poi con
l'ingegno, nelle sue precedenti manifestazioni.
Mi
parve però, a priori, ed ebbi occasione di convincermene poi, che l'America
centrale ed il Venezuela, troppo insalubri per l'infierire di malattie letali
ed esotiche, non possano interessare, dal punto di vista dell'emigrazione
nostra e che similmente non interessano le Antille, per le speciali condizioni
del lavoro locale, onde i paesi veramente da studiare, perché mai, o assai
scarsamente, tentati, erano le Guiane e l'Amazzonia. Delle Antille quindi mi
bastava visitare solamente qualcuna per vedere se vi potesse essere un poco di
posto per il nostro commercio, e per osservarne le differenze dipendenti dalla
loro varia nazionalità.
Scelsi
perciò, nelle piccole Antille inglesi, Barbados e Santa Lucia, ed in quelle francesi
la Martinica. Tralasciai le Antille danesi, perché ora in decadenza, e nelle
grandi Antille, scelsi Ponce nell'Isola di Portorico, o nel nuovo possesso
nordamericano, Port-au-Prince nelle Repubbliche nere, Santiago e Avana nella
giovane repubblica di Cuba, e Kingston nell'isola di Giamaica. E tutto ciò
stabilii di fare rapidamente, perché il mio programma mi spingeva a tornare a
Sud al più presto, per rifornirmi a Trinidad ed iniziare subito la visita alle
Guiane e all’Amazzonia, risalendo l’Orenoco (Guyana venezuelana), il Demerara
(Guyana inglese), il Surinam (Guyana olandese) e finalmente, poiché nei fiumi
della Guyana francese non c'era acqua per la mia nave, l'Amazzonia. E verso
l’immenso bacino di quest'ultimo mi sentivo attratto maggiormente, perché su di
esso presto si porterà l'attenzione di tutto il mondo civile, e mi parve un
bene che fra le prime ad arrivarci fosse la nostra bandiera.
Premesso
così il mio programma che fortunatamente ebbi modo di svolgere per intero,
salvo per ciò che riguarda l’Orenoco, perché quando vi arrivai la stagione era
troppo inoltrata, e non c’era più fondo sufficiente pel "Dogali",
ritorno senz’altro al racconto del viaggio a cominciare da Barbados.
Barbados
Quest’isola
ha la forma di una pera, con la base (larga al massimo 12 miglia circa) a Sud,
e va assottigliandosi gradatamente verso Nord fino a 'ridursi ad una larghezza
di 5 miglia. La massima lunghezza compresa fra South Point e North, Point è di
28 miglia, e la sua superficie è di 106,470 acri inglesi (un acre vale circa
0,004 kmq), di cui 32,470 coltivati a frutteti, orti, ecc.; 10.000 tenuti a
pastura, 35.000 piantati annualmente a canna di. zucchero ed i rimanenti tenuti
in riposo o in via di avere la canna, tagliata, oppure di essere preparati per
la raccolta del prossimo anno. Si può quindi dire che tutta l'isola è
co1tivata, onde essa é una delusione per il navigante che sogna, le
meravigliose foreste del tropico. Ed, invero. sono oramai trascorsi dei secoli
dacché furono abbattuti i suoi alberi giganteschi, ornati da. lunghe frange di
liane, quasi ricche barbe cadenti da esse, e che suggerirono agli immaginosi
marinai portoghesi, che primi. li videro,. il nome attuale dell'isola.
Questa
solerte opera di coltivazione fu iniziata dagli Inglesi perché gli Spagnoli,
che seguirono i Portoghesi, rispettarono gli alberi, ma distrussero gli
abitanti, con. quella politica. che fece segnare col sangue di 15.000.000 di
Indiani il loro cammino. Gl'Inglesi perciò, nel 1605 la trovarono disabitata, e
ciò fu causa che vi si potessero stabilire senza spargimento di sangue. Questo
fatto, abbastanza notevole nella storia coloniale, fu auspicio di fortuna per
la nuova colonia, che prosperò rapidamente ; ma col volgere degli anni le lotte
interne ed esterne non mancarono anche ad essa. Le prime ebbero origine dalle
rivalità dei Lords che se ne contesero il possesso, dalle guerre civili della
madre patria che si ripercossero anche nel suo seno, e dalle agitazioni degli
schiavi; le seconde derivarono dalle guerre inglesi, perché i coloni fedeli
sempre alla Corona, vi concorsero come meglio poterono, e videro spesso nella
loro baia di Carlisle poderose squadre. Vi fece sosta anche Nelson, quando
compì la famosa crociera delle Antille, ed i coloni memori forse di quella
visita, eressero una statua al glorioso ammiraglio, e chiamarono Trafalgar la
piazza in cui sorse. Ma ciò menoma, a mio giudizio, l'importanza del ricordo.
Nelson fu grande a Trafalgar, ma la Storia ricorda ammiragli che lo valgono in
imprese simili, e non può sostenersi che la tattica, da lui vittoriosamente
applicata, fosse, nel suo concetto fondamentale, sorta unicamente dal suo
cervello. Nella crociera delle Antille, invece, egli si rivelò in tutta la
grandiosità del nome di ammiraglio, ed al suo spirito d'iniziativa dovranno
ispirarsi i marini di tutti i tempi. Bellissimo quindi sarebbe stato, se la
semplice data della visita avesse ornata la statua, e la piazza si fosse
chiamata Nelson; la Little England - come i coloni orgogliosamente chiamano .
l'isola - avrebbe così, con meravigliosa saviezza, elevato il monumento,
all'atto più geniale dell'ammiraglio.
La
mancanza di nativi costrinse gli Inglesi - che non resistevano al lavoro dei
campi - a requisire fuori dell'isola la gente per coltivarla, e fino dal 1636
la schiavitù vi fu ufficialmente istituita; la popolazione allora crebbe
rapidamente, ed ora si contano 198.792 abitanti, né potrebbe starcene
comodamente un numero maggiore, perché ciò equivale già a circa 1200 persone
per kmq. Di questa popolazione, 15.000 sono bianchi, 50.000 di mezzo colore e
130.792 neri.
Come
in tutto il resto d'America, questi ultimi furono tratti da una delle razze più
basse dell'umanità, e non sembrano suscettibili di grandi progressi. I loro
fanciulli spesso appaiono intelligenti e precoci ma, giunti alla pubertà, si
determina un arresto subitaneo nel loro sviluppo intellettuale, onde assai
pochi sono gli individui neri che riescono ad emergere e spesso, quando ciò
avviene, si scopre che è entrato nella loro famiglia, più o meno direttamente,
del sangue de bianchi.
Quando
dalle nazioni d'Europa - più preoccupate di sfruttare le Antille che di farle
progredire - furono strappati dal loro paese in generale occupavano delle
posizioni inferiori e più spesso erano già schiavi; quindi col mutar paese non
fecero che mutar padrone, e spesso non peggiorarono molto. Ma il nuovo ambiente
valse a far loro intendere meglio la miseria in cui vivevano, e questa nuova
cognizione e differenza di razza, inasprirono loro un sentimento di odio verso bianchi
che nulla varrà ad estinguere. L'educazione non è riuscita a modificare i
caratteri predominanti della loro razza, e resta sempre in essi l'assenza di
sentimento morale e di ogni nobile ambizione, la paura, ma non il rispetto
della legge, la superstizione, la brutalità, l'indolenza fisica e morale, la
tendenza irresistibile all’ozio. Ed infatti appena fu abolita la schiavitù,
avvantaggiandosi del fatto che le terre erano a disposizione di tutti, ed è
facile trarne quasi senza fatica frutta e farine, si abbandonarono in generale
al dolce far niente.
Ciò
condusse a danni non pochi ed a grandi squilibri finanziari dei padroni delle
piantagioni; a Barbados però, essendo l’isola quasi tutta coltivata e quindi le
terre divise tra i proprietari che ne esercitavano il regolare possesso, i neri
furono costretti, per quanto di mali voglia, a seguitare a lavorare. Ma per
quanto le mercedi sieno basse (tra uno scellino o uno scellino e mezzo) essi ne
hanno abbastanza per vivere se in una settimana lavoravano solamente per
qualche giorno. Però anche ridotti cosi i giorni lavorativi, dato il numero
degli operai, i padroni riescono a far coltivare le piantagioni, come dimostra
la tabella seguente delle produzioni di alcuni anni, tra i quali è segnato il
1840,ossia quello in cui ebbe termine qualsiasi involontaria schiavitù
personale.
[…]
Ben
diversamente andarono in generale le cose nelle altre isole; l'ozio oltre
l'abbandono delle terre determinò. altri grossi mali: ne sono prova le cattive
condizioni della Martinica, i dolorosi casi di alcuni Stati del Nord-America
dopo le guerre di secessione, e le miserie di Haiti.
I
50 o 60 anni di libertà che hanno goduto gli antichi schiavi, non sono stati
capaci di metterli in grado di governare un paese dove vivono in società coi
bianchi; anzi si può affermare che mai acquisteranno le attitudini a ciò
necessarie. Se quindi fossero messi alla pari coi bianchi, e grazie al
suffragio universale, con essi concorressero alla conquista del potere in un
governo autonomo e indipendente di queste isole, per la supremazia del numero
diventerebbero i veri padroni, ed in poco tempo (se ne sono avuti degli esempi)
farebbero delle leggi tali da costringere i bianchi a disertare. Allora da per
tutto ed anche in una isola come Barbados, troverebbero le terre necessarie
senza lavorare, le Indie occidentali tornerebbero alla barbarie e bisognerebbe
riacquistarle tutte alla civiltà, come sarebbe purtroppo tempo di fare per
Haiti.
Questi
pericoli sono sentiti da tutti i bianchi si pare si vadano accentuando, e ne
sono prova, i torbidi che si verificano di tratto in tratto. Per esempio,
quattro anni fa la rivolta di Trinidad fu assai grave, se non ci fosse stata in
un porto una nave da guerra, e se non fosse presto, arrivato da Barbados un
reggimento inglese, si sarebbe avuto assai probabilmente un eccidio di bianchi.
Occorrono quindi seri provvedimenti per risolvere il grave problema dei neri,
perché se è necessario che i bianchi restino la razza predominante è necessario
pure ai neri condizioni tali da impedire una reazione che porterebbe ad una
lotta di razza con terribili conseguenze.
Oltre
i neri, come ho detto, vi sono a Barbados individui di mezzo colore provenienti
da ogni sorta di incrociamenti, ed anche dai discendenti (ormai anche essi incrociati)
dei poveri Indi strappati in malo modo dalle vicine Guiane. E finalmente vi è
un numero abbastanza rilevante. di bianchi, tra i quali bisogna annoverare da
una parte i nipoti di quei disgraziati che gli odi politici durante la guerra
civile inglese, fecero deportare nelle Indie occidentali, e vendere - benché
alcuni fossero nobili e preti - come servi, il che, triste a dirsi, li metteva
in condizioni peggiori degli schiavi, e d'altra parte i degni: discendenti dei
primi arditi coloni, o di quegli uomini pieni di forza e d'iniziativa, amanti
del lavoro e della libertà, che senza lasciarsi snervare dal clima tropicale,
resero Barbados la perla delle Indie occidentali inglesi.
Dato
il gran numero anzidetto di abitanti, risulta che nell'Isola non vi è posto per
gli stranieri, ed. è perciò fortuna che non vi sieno lavoratori italiani, ed
importa che i nostri emigranti sappiano che devono tenersi lontani anche dalle
altre Antille e dalla Guyana inglese, perché anche dove necessitano le braccia,
non, sarebbero né graditi, né pagati. Gl'Inglesi non amano di veder lavorare i
bianchi insieme con la gente di colore, e provvedono ai bisogni specialmente
dell'agricoltura con la immigrazione dei coolies. Qualche operaio o qualche
pescatore bianco potrebbe trovare ancora da fare, ma non troverebbe mai
condizioni molto propizie, e tutto ciò può ripetersi anche per le Antille di
altre nazionalità: il lavoratore bianco, si trova da per tutto, con gran
disagio, confuso ai: neri, e fin d'ora posso dire in generale che i nostri
emigranti (non parlo di quelli che hanno un capitale) è necessario che
seguitino a tenersi lontani da tutte le isole in parola.
***
I
primi coloni trassero dalle isole indaco, zenzero, aloe, legno e specialmente
cotone; ma presto si diedero alla coltivazione quasi esclusiva della canna da
zucchero, e ciò ci appare subito anche dal mare, perché vedemmo le colline
tagliate a terrazze, e tutte coperte dal verde tenue della detta canna.
Queste
colline sono allineate da Est ad Ovest ed elevate al massimo 130 m. Al Nord di
esse vi è un’estesa vallata, poi la terra sale verso la sommità centrale, e si
mantiene per parecchie miglia abbastanza elevata, con creste che raggiungono
anche i 400 m. La base di tali elevazioni è corallina, ma il terreno che le
ricopre è molto fertile e la sua coltivazione è facilitata dai molti corsi.
d'acqua sotterranei.
L'opera
quindi del colono è assai facile, e noi, seguendo la costa Sud, ammiriamo,
magnifiche piantagioni, rese più ridenti da molte case e ville, che si fanno
assai più spesse a misura che ci avviciniamo alla punta Needham, estremità S.O.
dell'Isola. Girata questa, raggiungiamo rapidamente la baia dì Carlisle - la
principale dell'isola - e diamo fondo nella parte meridionale di essa, al Sud
cioè della boa della Royal Mail, perché quel posto suole essere riservato alle
navi da guerra.
Vediamo
nella rada parecchie navi mercantili, tra vapori e velieri, ed altri velieri
s’intravedono nel piccolo bacino interno, o nel Carenage, come al solito
sogliono chiamarsi nelle Indie occidentali queste piccole darsene di poco
fondo, che si trovano un po' dappertutto e che servivano un tempo per abbattere
i bastimenti in carena e per tenerli a ridosso nella pericolosa stagione degli
uragani.
L'ancoraggio
nella stagione secca, da novembre a giugno, è abbastanza sicuro, ma diventa
pericoloso in quella degli uragani, e spesso nei forti cicloni i velieri
mercantili, se non provvedono in tempo, hanno strappater le ancore e sono
sbattuti sulla costa della vicina S. Vincenzo.
L’isola
ha una posizione assai fortunata rispetto al mar Caraibico, e non è lontano il
tempo in cui i velieri accorrevano nel suo porto per cercarvi contratto per
tutto il detto mare; ora però, causa l’estensione presa dalla navigazione a
vapore, il movimento di Carlisle è assai diminuito, e come avviene per tutte
quelle isole, si nutrono, non su con quanta giustezza, grandi speranze
sull’apertura del canale di Panama. Però anche adesso le condizioni sono assai
buone come appare dalle cifre seguenti […].
Date
queste condizioni, è chiaro che una nave trova facilmente a Barbados di che
rifornirsi, e può anche ottenere legumi e vegetali freschi, acqua dalla buona
conduttura della città e fare qualche piccola riparazione (con grande spesa
però) in una officina ivi esistente: solamente la qualità di carbone, quando
c'ero io almeno, lasciava molto a desiderare. Non credo però si trattasse di un
fatto eccezionale, perché, tolta la Martinica, dove, per cortesia, ebbi delle
ottime mattonelle della marina militare francese, e Kingston, dove trovai del
carbone discreto, nelle altre Antille ho sempre avuto da lagnarmi.
Per
quanto ho detto sopra, lo zucchero costituisce la principale merce di
esportazione, e quindi anche Barbados ha risentita la grave crisi economica che
ultimamente colpì i paesi che si occupavano unicamente della sua coltivazione.
0ra grazie ai patti stipulati a Bruxelles, le cose sono migliorate, ma
nell'isola si pensa seriamente di ritornare alle vecchie colture del cotone, ed
a ciò forse spinge anche il Governo, preoccupato dal colpo che l’americano
Sully portò ai cotonieri inglesi con l’aver accaparrato tutto il cotone
americano. E benché il Sully sia fallito, l’idea di mutar cultura si è estesa
anche ad altre isole; intanto però si seguita a produrre molto zucchero e
quello di Barbados va quasi tutto nell’America del Nord, sia perché, grazie
alla differenza dei noli, i produttori possono ottenere migliori patti, sia
perché lo zucchero di Barbados è della qualità che si chiama moscovado,
ossia è ricco di melassa, e cala assai nel peso durante il viaggio, onde
conviene mandarlo il più vicino possibile. A tal proposito bisogna rammentare
che in generale i coltivatori di Barbados non hanno trovato conveniente, non so
con quanti giustezza, di sottomettersi alle spese di un macchinario molto
costoso, e si servono ancora di mezzi assai primitivi, compresi i mulini a
vento, per estrarre lo zucchero, onde i loro prodotti non sono fra i migliori.
Sarà
bene ora, per mostrare le vere condizioni economiche dell'Isola e del suo
commercio di fornire qualche cifra a cominciare dal bilancio del Governo della
colonia.
[…]
(pp. 14-16)
Noi
quindi non figuriamo nel commercio di Barbados, ma per la via d’Inghilterra
qualche articolo nostro, e principalmente cappelli e telerie, vi arriva. Anche
i Tedeschi non vi appaiono in condizioni prospere, ma essi solamente da poco
tempo hanno rivolto gli occhi su questa isola, e con la loro abituale serietà,
per ora si limitano a studiare la piazza, e già vi hanno assunto una posizione
molto stimata. Noi invece seguitiamo a far nulla o quasi nulla, e se mandiamo
in giro un commesso viaggiatore, lo facciamo seguire da un campionario già
bello e preparato. Questo a mio giudizio, è uno degli errori del nostro
commercio di esportazione; e che questo errore sia profondamente radicato lo
dimostra il fatto che si è pensato e si pensa seriamente a mandare in giro per
il mondo un bastimento avente a bordo una esposizione dei nostri principali
prodotti. Ma non si comprende come si possa seriamente pretendere d'introdurre
in un mercato, dove siamo sconosciuti, delle cose nuove, solamente perché ci
prendiamo l’incomodo di mostrarle, come in una fiera.
Chi
già possiede il dominio di un- mercato e non teme la concorrenza può imporre la
sua produzione, ma, chi vuol conquistare un mercato, è necessario, che cominci
col provvedere le merci che nel mercato sono maggiormente richieste. E’
necessario perciò istituire Case di rappresentanze o d'inviare sul luogo
persone competenti che , invece di portare con loro un campionario, vadano sul
posto a formarsene uno con le cose che il mercato richiede e che i loro
rappresentati sono al caso di provvedere a prezzi di concorrenza, tenuto conto
dei mezzi di comunicazione tra i paesi che si considerano e l'Italia. Solamente
quando il campionario stesso è stato riprodotto nelle. condizioni, economiche
sopraddette, si può tentare la piazza; ma non vi sono cure che bastino per
riuscire bene, ed oltre una grande esattezza. nelle spedizioni, occorrono
speciali attitudini per immedesimarsi nel vero. stato locale e dei relativi
bisogni. Così, per citare un esempio semplicissimo, dirò che se un negoziante
dei nostri oli andasse a Manaos con la speranza di battere facilmente ì
Portoghesi con l'offrire a prezzi minori di quelli correnti i nostri migliori
oli, limpidi e perfettamente inodori, certamente sbaglierebbe, perché i
Brasileri sono abituati ad un olio che per noi puzza, ma che ad. essi
piace.
Si
suole dire poi che il nostro commercio è scarso in tutte le .Antille, perché
non abbiamo comunicazioni dirette con esse; viceversa, poi le Compagnie di
navigazione sostengono che non torna conto di stabilire quelle comunicazioni,
perché non c'è commercio, e così restiamo in un circolo vizioso. Ma è chiaro
che l'iniziativa spetta ai commercianti, e per cominciare gli affari potrebbero
utilizzare la linea esistente Genova-Trinidad, istituendo in questa ultima
isola la base della nostra importazione, e distribuendo poi le mercanzie nelle
altre mediante le linee locali. La cosa forse è più semplice di quello che non
possa apparire, e quando il commercio fosse avviato, le linee nostre di
navigazione aumenterebbero naturalmente.
Per
fare meglio apparire come potrebbe esserci posto anche per i nostri prodotti
nel commercio di Barbados, ricorderò i principali articoli di esportazione e
specificherò meglio gli. articoli di importazione, facendo, presente che le
steste cose su per giù si importano anche nelle altre Antille, perché scarse o
nulle sono le industrie. locali e bisogna portarvi tutto quello che occorre
alla vita.
[…]
(pp. 18-20)
Tutto
il movimento commerciale sopraddetto si svolge nella baia di Carlisle che è il
vero porto dell’isola, e quindi nella città di Bridgetown che ivi sorge.
Come
avviene in tutte le Indie occidentali, salvo le bellezze naturali, questa città
non ha, nulla di notevole: le costruzioni predominanti sono in legno, o legno e
ferro, poche in pietra; solamente si possono ricordare, come di una certa
importanza, i palazzi del governatore, del Municipio, del Parlamento, del club
principale, del Marine-Hotel (situato nelle. vicinanze della città e che attira
molta gente durante l'inverno), del Sea View-Hotel e del Ice-House, una
istituzione speciale delle Indie occidentali. trattandosi di una Casa che ha al
piano terreno una vendita di ogni sorta di conserve alimentari, ed al primo
piano un bar, un restaurant, ed un albergo frequentato specialmente dagli
uomini di mare.
Le
vie cittadine sono discrete, le comunicazioni con l'interno sono buone. (vi
sono trams a cavalli nella città e sobborghi, una ferrovia e buone strade tra
la città e i punti più importanti dell'isola); le linee di comunicazione con
l'Europa e con le Americhe sono rapide e frequenti, ed i servizi telegrafici e
telefonici sono bene stabiliti; anzi questi ultimi rendono molto, perché costa
pochissimo l'abbonamento. Finalmente la città, come tutta l'isola, é sana, e le
nuove condutture di acque potabili hanno quasi fatto sparire le infezioni
tifose. Ciò non ostante, essendo questo il primo porto delle Antille che
toccavo, volli si cominciasse senz'altro l'applicazione a bordo di alcune
speciali norme d'igiene che avevo fatto preparare per i climi tropicali, e
siccome ne ebbi grandi vantaggi, cosi credo opportuno rammentarle facendo
presente che nella loro essenza sono state tolte dall’ottimo e notevole libro
sulle Malattie tropicali del mio carissimo amico tenente colonnello medico
della R. Marina. prof. F. Rho.
1°.
Tutti i mezzi disponibili devono essere messi in atto per una buona
ventilazione di tutti gli ambienti.. In porto gli osteriggi, i boccaporti, i
portelli, glo oblò devono essere tenuti costantemente aperti e spalancati anche
di notte. Il massimo numero di manicaventi di tela, di metallo ed elettrici
deve essere impiegato in modo da ottenere la massima efficienza;
2°.
le tende devono essere sollevate od imbrogliate per qualche tempo ogni mattina.
e così pure un'ora prima del tramonto per ventilare la nave, ma si devono
rimettere poi a posto insieme alle cortine per evitare di giorno il sole e di
notte per gli effetti della rugiada. Quando il tempo è piovoso le tende devono
essere fatte in modo da tenere il bastimento più secco che sia, possibile;
3°.
I ponti devono essere accuratamente lavati, ma anche accuratamente asciugati, e
subito dopo la lavanda vi si devono. distendere appositi sferzi di tela.
Occorre evitare l'umidità nei locali inferiori e perciò non vi si terrà alcun
oggetto suscettibile di assorbire umidità, e si asciugheranno bene tutte le
volte che, per una ragione qualsiasi potranno bagnarsi;
4°
. In. porto la gente prenderà il primo pasto subìto dopo la formazione delle
pavesate. La lancia ai viveri non si scosterà da bordo prima che l’ufficiale di
guardia si sia assicurato che tutti coloro che s'imbarcano abbiano preso
qualche alimento;
5°.
L'acqua ottenuta dal distillatore sarà la sola impiegata per bere e per. le
cucine; quella presa a terra deve servire unicamente, per la lavanda e per la
macchina, e non si deve mai depositarla nella stiva ordinaria. Le casse di
questa devono essere pulite e lavate spesso e con la massima cura, e finché è
possibile si deve distribuire acqua alla gente con molta larghezza;
6°.
Il battello dei fruttaioli deve essere visitato ogni giorno dal medico, per
assicurarsi che le frutta vendute all'equipaggio siano mature e. di buona
qualità. Prima della visita del medico, quindi, nessun battello da fruttaiolo
dovrà accostare;
7°.
La gente di giorno, deve vestire la tenuta. dei climi tropicali (tela), ma
quando la temperatura sarà molto alta si ordinerà di fare a meno del camisaccio
di tela. La notte però deve sempre indossare la tenuta di fatica di mezza
stagione (camicia di lana), e sempre porterà la maglia di cotone sulla pelle e
la fascia addominale. Dopo eseguiti lavori faticosi i marinai devono cambiarsi
avendo cura di lavarsi e di asciugarsi bene;
8°.
Ogni giorno e prima della cena tutti gli individui devono prendere la doccia
con acqua di mare, ed al mattino, quando è possibile, devono fare lavande
complete con sufficiente acqua dolce;
9°.
Durante i pasti deve essere fatta alla gente una distribuzione di ghiaccio e di
acqua fresca;
10°.
Il vino deve essere quello che le norme regolamentari stabiliscono per i climi
tropicali, anche. per i paesi ai tropici vicini, e che in queste regioni hanno
temperature elevate e cattive condizioni sanitarie. A tal proposito devesi
tenere presente che è pericoloso mutare il regime dietetico a cui si è
abituati; ciò che occorre è di essere moderati in tutto, e si deve spiegarlo
alla gente perché si regoli quando va a terra ed eviti le bevande spiritose, ed
ogni sorta di stravizi;
11°.
La gente deve imparare dai graduati la necessità alla pulizia personale e
l'indispensabile pulizia dei locali e del materiale;
12°.
Le latrine devono essere lavate continuamente e disinfettate con latte di calce
od altro;
13°.
Qualsiasi individuo dell'equipaggio (personale borghese compreso) non deve
rimanere a terra dopo il tramonto. Per le ore dei permessi diurni della gente
si sceglieranno quelle del mattino o quelle pomeridiane secondo che nelle varie
località meglio conviene al loro svago, ma in ogni caso non si manderà gente a
diporto prima di aver raccolte serie e veritiere informazioni sanitarie del
luogo, e bisognerà sospendere in massima i permessi appena le dette
informazioni risultano dubbie o poco soddisfacenti;
14°.
Devesi spiegare alla gente che al minimo cenno di cefalalgia, di diarrea o di
altro disturbo gastrointestinale, devono ricorrere al medico per evitare gravi
pericoli personali.
L'attenta
applicazione di queste regole, e la lodevole sobrietà della gente (in 18 mesi
una sola volta si ubriacò un individuo), hanno fatto mantenere ottime sempre le
condizioni, sanitarie della nave in tutta la campagna e finanche nell'Amazzone,
dove c'erano manifestazioni delle più gravi malattie, tutto andò benissimo,
anzi proprio sul detto fiume, per parecchi giorni non ebbi, caso eccezionale
sulle navi neanche un uomo esente di servizio. Ciò dimostra di quanta utilità
possano, essere le misure profilattiche, e come sia più facile prevenire anziché
curare le malattie, e specialmente le epidemie.
Santa
Lucia
Il
2 luglio di buon mattino lascia Barbados, e nel pomeriggio ero già in vicinanza
della costa Sud di Santa Lucia (120 miglia da Carlisle a Castries). Se Barbados
è una delusione per chi ama le terre tropicali, Santa Lucia è invece una festa.
Di
origine vulcanica, deve avere acquistato il suo assetto attuale in seguito ad
una serie di cataclismi e di convulsioni che l'hanno resa molto varia ed
accidentata. Al centro si eleva una catena di montagne che supera i 1000 m. e
manda diramazioni in ogni direzione, è un succedersi continuo di valli profonde
e di colline dirupate si spingono fino alla spiaggia anche essa rotta e
frastagliata.
Attratto
dal meraviglioso spettacolo, segui assai da vicino la, costa meridionale
dell'isola e presto, girata la sua punta occidentale, intravidi i famosi
Pitoni, due immensi coni che hanno la loro base quasi a livello del mare e si
elevano arditamente fino a 800 m., coperti da una magnifica foresta vergine.
Oltre la Soufière, il famoso vulcano continuamente in ebollizione, essi sono a
buon diritto ritenuti la meraviglia dell’isola e meritano che chi passa da
queste parti faccia, occorrendo, una piccola deviazione dalla rotta per
vederli.
Il
fondo delle valli che sboccano verso il mare ci appare coltivato ed abitato, e
vediamo graziosi paeselli nelle varie insenature che si succedono. Primo tra
questi ci appare a ponente di Moul a Chique (la punta più meridionale
dell'isola), Vieux Fort, villaggio di 1700 abitanti circa, circondato da un
piano abbastanza esteso, tutto coltivato a canna da zucchero e con una fattoria
che è la più antica ed una delle più importanti dell’isola; seguono Salarie con
800 abitanti Choiseul con 400, con terre molto fertili e con buone coltivazioni
di cacao e legumi, e la Soufrière, circa un miglio al nord del Piccolo Pitone
ed a 20 minuti di cavalcata dal vulcano. Ha 2400 abitanti e fino ad una ventina
d'anni fa era molto importante per il commercio dello zucchero, ma ora è
decaduta. Nel 1774 ebbe anche uno stabilimento termale assai noto, distrutto
poi nelle guerre seguenti, e mai più riedificato : ora però si cerca di
utilizzare un'altra sorgente che dicono abbia proprietà analoghe alle famose
acque di Aix-les-Bains.
Intanto,
proseguendo sempre a nord, vediamo le belle caserme delle truppe bianche
costruite recentemente sul Morne Fortune o sulle colline vicino a Castries e
poi il piccolo promontorio della Vigie, che finisce ad ovest come la prora di
una corazzata e limita al nord la entrata del porto di Castries. Il limite sud
invece dell'entrata stessa, Tapion Rock, ed il relativo fanale, si distinguono
malamente, perché questa punta è più bassa della prima, e, per chi, viene da. sud,
si proietta. su di essa. Ma la Vigie è sufficiente per atterrare, salvo ad
avere l'avvertenza di mantenersi un poco larghi, per presentarsi bene
sull’allineamento di entrata che passa assai vicino a Tapion Rock, ed è
costituito da due piccole piramidi bianche e nere messe all'estremità di due
armature metalliche: l'una ben in vista sulla banchina, innanzi alle case della
città; l'altra più alta ed un po’ confusa sul verde della montagna. Prima di
giungere a Tapion Rock, passiamo ancora innanzi all'insenatura di Roye ed al
villaggio omonimo, ed a quella del Gran Cul de Sac (che ha una buona fattoria
di zucchero e due villaggi).
***
La
differenza tra la natura di Barbados e quella di Santa Lucia, decise i destini
delle due isole. La prima, poco accidentata, con porti aperti, ma in posizione
fortunata per il commercio del mar Caraibico, ma fu sfruttata economicamente, e
fu fonte, di grande prosperità; la seconda, rotta, accidentata, ma provvista dì
un buon porto ed in posizione strategicamente importante, fu molto stimata
militarmente, e divenne il teatro di fiere guerre, prima tra i bianchi ed i
nativi Caraibi che difesero strenuamente la loro terra, e poi tra Francia ed
Inghilterra, che se ne disputarono il possesso per 160 anni. L’isola, quindi,
benchè abbia una superficie di 238 miglia quadrate ed un suolo fertilissimo e
bene irrigato da numerosi ruscelli, non fu mai molto coltivata, nè molto
abitata. La popolazione, compresi gli emigranti dalle Indie orientali, è
cresciuta invero assai lentamente […] e buona parte delle terre sono ancora
incolte. Nelle poche coltivate si cominciò col mettere tabacco, zenzero e
cotone; ma, verso il 1700 si passò allo zucchero, al caffè e al cacao, e questi
sono. anche i prodotti odierni, benchè ora si curino pure con vantaggio i
legumi e le frutta. I sistemi agricoli però sono sempre imperfetti, ma si cerca
di migliorare le cose, ed a tal uopo sono state messe in vendita, a condizioni
vantaggiose per i coloni, le terre della Corona, o quasi un quarto della
superficie totale dell'isola, e si nota un sensibile aumento di capitali
inglesi impiegati nella coltivazione.
[…]
(pp. 25-26)
La
baia di Gran Cul de Sacm, dove Rodney esegui uno sbarco nel 1778, Morne
Fortune, che serba le ruine della cittadella intorno alla quale furono combattute
tante battaglie fino al 1803, le alture del Tapion e della Vigie, su cui si
ergevano i- forti tante volte attaccati dalle squadre inglesi, l’isola Pigeon,
dai cui bastioni Rodney sorvegliò De Grasse ancorato a Martinica, e vistolo
partire l'inseguì e lo vinse, e mille altri luoghi che sarebbe lungo
rammentare, dicono quante guerre costarono le Indie Occidentali e mostrano
l’importanza che assegnavano i rivali a Santa Lucia.
"È
sempre stata intenzione di Francia - scriveva un ufficiale a Napoleone - fare
di Santa Lucia la capita le delle Antille e la Gibilterra del Golfo del
Messico"; dall'altra parte fin dal 1772 Rodney aveva scritto: "una di
queste isole (Martinica o Santi Lucia) nelle mani dell'Inghilterra, deve,
finché questa rimane una grande potenza navale, farla sovrana delle Indie
Occidentali". Non è strano quindi che ad ogni rottura di ostilità dal 1660
in poi (il primo stabilimento francese nell'isola fu impiantato nel 1651),
gl'Inglesi attaccassero S. Lucia; ma è strano che, pur riuscendo sempre
sfortunati i loro sforzi, alla fine della guerra restituissero sempre la nuova
conquista, cosicché ogni volta la Francia riaveva per un colpo di penna l'isola
che l'Inghilterra le strappava a colpi di cannone. Ciò avvenne per ben sei
volte; ma dopo l'ultima conquista (1803) rimase definitivamente all'Inghilterra
e recentemente questa ha voluto fare di Castries una stazione di rifornimento
protetta, riedificando nuovi forti (pare abbastanza potenti e certo molto ben
mascherati) sulle ruine dei vecchi. Ma nelle mutate condizioni della marina,
mentre è cessata per gli Inglesi la necessità di avere dei forti eretti in
faccia dì quelli di Martinica, é diminuita anche l'importanza militare di S.
Lucia, e si deve credere che, prima di aver completate, tutte le opere, gli
Inglesi stessi ne abbiano convenuto e si siano decisi e non proseguirle. Sul
posto si diceva che li avesse arrestati il pericolo dell’imbottigliamento, ma
non era necessario che dopo l’episodio di Santiago si inventasse la parola
sopraddetta, per intendere che delle navi sorprese nell'angusto porto di
Castries da un nemico intraprendente, si sarebbero trovate a mal partito. La
ideata stazione di carbone doveva servire per una flotta in essere e
predominante, come si suppone sempre nel concetto inglese, e le opere e gli
sbarramenti dovevano, ed a ciò sono sufficienti, difenderla e conservarla in
assenza delle navi. L'arresto dei lavori deve quindi più logicamente ascriversi
da una parte alla ragione detta qui innanzi e dall’altra ad un nuovo indirizzo
della politica inglese.
La
difesa delle Indie Occidentali inglesi potrebbe invero appoggiarsi
indipendentemente da S. Lucia, a due grandi basi: Giamaica e Trinidad. Forti,
sbarramenti, ostruzioni, tutto un sistema difensivo ed un arsenale esistono nella
prima, ma la Trinidad è indifesa, eppure essa ha un golfo meravigliosamente
disposto per la guerra. Nelson stesso accennò alla sua importanza, e devesi
ritenere che questa non è sconosciuta neanche oggi, altrimenti non si
comprenderebbe perché gli Inglesi abbiano contrastato al Venezuela il possesso
del piccolo scoglio di Goos. Infatti tutti i passi (Bocche dei Dragoni) che dal
Nord immettono nel golfo di Paria possono facilmente essere difesi, salvo
l’ultimo (Bocca Grande), perché uno degli estremi (Capo Penas) è venezuelano.
Ma l'isoletta di Goos, dove potrebbe sorgere un forte corazzato
all'inconveniente perché non può pensarsi, date le condizioni del Venezuela
stesso, che questo eriga a Penas delle opere a contrasto, né può preoccupare il
fatto che pure venezuelana è tutta la costa ovest del golfo stesso perché non
esistono comunicazioni interne tra essa e il resto del paese, e la foresta è
barriera insuperabile.
Difese
le bocche dei Dragoni, eretti dei forti a dominio dell’ancoraggio, costruito un
bacino, delle officine di riparazione, dei depositi di carbone e delle banchise
verso il Carenage, legata questa località a Port-of-Spain con la ferrovia, resi
facili alla navigazione i passi del Sud (Bocche dei Serpenti) ed a loro volta
difesi, si avrebbe a Trinidad una magnifica base di operazione. E di tutto ciò
si avvantaggerebbe anche il commercio, perché ora le navi sono costrette ad
ancorare, per il poco fondo, molto lontano dalla città, mentre al Carenage ed a
Chaguaramas potrebbero accostarsi ai pontili. Ma ora si pensa solamente alla
parte commerciale, e l’attuale governatore, Sir E. Jackson, che molto se ne
occupava, sperava di ottenere il bacino, le officine e le banchine per le
operazioni di carico e scarico in breve tempo e di avere così modo di attirare
a Trinidad le navi che si dirigeranno verso il nuovo canale di Panama. Di forti
nessuno parla, anzi anche l’arsenale di Giamaica è stato chiuso, ma ciò si
riferisce ad un fatto generale di alta politica. Una difesa attiva è in essere
di tutte le colonie inglesi costerebbe enormemente, e, nonostante i sacrifici,
dipenderebbe le forze della madre patria; quindi si è saggiamente pensato che
aumentando queste forze, col concentrarle, si sarebbero economizzati denari, e
si sarebbe provveduto con una politica forte, perché fortemente sostenuta, alla
difesa dei possessi lontani assai meglio che con disposizioni militari locali.
Ecco
quindi spiegato perché l'incantevole porto di Castries d’ora in poi dovrà
cercare una nuova forma di fortuna nel commercio. Benché sia molto ristretto,
le navi, data la costanza del vento dominante, senza inconvenienti possono
ancorare a breve distanza fra loro, onde vi è più posto di quel che non pare.
Ma per accrescere questo posto é stata costruita una estesa banchina, presso la
quale possono accostare anche vapori di 26 piedi di pescagione, ed inoltre
parallelamente alla parte Est-0vest della banchina stessa è stata sistemata una
fila di boe su cui le navi possono ormeggiarsi poppa e prora. Così fu possibile
nel 1899 alla squadra dell'ammiraglio Sampson (3 corazzate e 5 incrociatori)
insieme ad un bastimento tedesco di stare contemporaneamente nel porto, e di
fare acqua e carbone, senza, e lo dicono con vanto i negozianti locali,
interrompere il movimento ordinario del porto, perché nei tre giorni che
durarono le operazioni, poterono rifornire successivamente altri 10 vapori.
Facile invero è il rifornimento, ciò che non avviene a Barbados, specialmente
per la svogliatezza dei mori, e la qualità del combustibile stesso se non è la
migliore, certo non è la peggiore di quella delle altre Antille. Il porto poi è
tanto chiuso e sicuro che durante il forte ciclone del 1898 (che fece gravi
danni nella parte orientale dell'isola stessa) si poté seguitare a lavorare e
compiere il rifornimento di due vapori. L'acqua si ha a 1 buon mercato, si
possono avere anche viveri freschi e provviste, e fare piccole riparazioni.
Grazie a tutto ciò il movimento delle navi é sempre in aumento: nel 1891 ve ne
entrarono 651, e 930 nel 1900.
[…]
(p. 29)
Dietro
la banchina dianzi citata, nell’angolo sud-est del porto su di un piccolo piano
ed ai piedi delle scoscese montagne è edificata la città. E’ assai semplice e
poco interessante: le costruzioni predominanti sono in legno, le strade si
tagliano ad angolo retto, vi sono un ospedale, due Banche, degli Asili per i
poveri ed uno per i pazzi, una libreria, dei Clubs, delle Associazioni per le
corse ed altri Sports (immancabili dove sono gl'Inglesi), delle Società di
mutuo soccorso, un Comitato e varie istituzioni per l'incremento
dell'agricoltura, scuole per il primo insegnamento ed una scuola agricola con
numerosi allievi. Ma la parete più ricca della popolazione abita, giusto il
saggio e comodo uso inglese, in graziose ville nascoste tra i boschi delle vicine
colline, e tra queste ville , notevole per bellezza ed eleganza è quella del
Governatore, situata sul versante settentrionale di Morne Fortune. Tutte oi
tanto qui che nelle altre Antille britanniche, sono costruite con quella
meravigliosa conoscenza che hanno gli Inglesi dei bisogni e delle necessità dei
paesi intertropicali, onde i loro padroni trovano nelle case veramente il
riposo, e si agguerriscono, direi, per la dura lotta contro il clima
snervante.. Ma a Santa Lucia vi è un clima abbastanza tollerabile, la
temperatura media non supera i 26° C. e le condizioni generali sono discrete e
abbastanza facili per i bianchi. Esistono poi le condizioni necessarie per
determinare lo sviluppo di una flora lussureggiante e meravigliosa, ma, come in
tutte quelle isole, la fauna è invece assai povera, e solo numerosi sono i
serpenti, compreso tra essi il "Fer de lance", che ha costituito, più
o meno con ragione, per tanto tempo lo spavento di quest'isola e della vicina
Martinica. Ora però hanno introdotto per combatterlo la mangusta, e l’ardita e
graziosa bestiolina ha impegnato una guerra a fondo con il terribile rettile e
lo ha relegato, si può dire nell’interno delle montagne.
Tra
poco s'incomincerà a dar la caccia anche alla mangusta, perché questa, spariti
i serpenti, comincia a non disprezzare le galline.
MARTINICA
Un
breve tratto di mare separa S. Lucia dalla Martinica, onde, nel lasciare la
prima di queste isole (5 luglio 1904), già ci appare la seconda e in poco tempo
la raggiungiamo.
La
costa Sud è frastagliata e, mentre ci avviciniamo, vediamo staccarsi da
staccarsi da essa lo scoglio Diamante, quasi alta colonna che si erge
arditamente sul mare, e che è celebre nella storia delle guerre franco-inglesi,
perché l'Ammiraglio Hood trovò il mezzo di farvi arrampicare degli uomini e di
provvederli di armi, di viveri, di munizioni e di una bandiera che essi
spiegarono con grande meraviglia dei Francesi di Martinica. Dopo ciò le navi
inglesi si allontanarono; l’Ammiraglio dispose che lo scoglio, così armato fosse
iscritto nel ruolo delle navi da guerra sotto il nome di H. M. Sloop of war
"Diamond Rock" ed i marinai, compreso il significato di quest'ordine,
si difesero come se veramente fosse loro affidata la difesa e l'onore di una
nave della patria, e, pur costretti dalla fame, si arresero solamente quando
ottennero tutti gli onori di guerra.
Proseguendo
la nostra rotta, corriamo lungo la montagnosa penisola che forma l'angolo SW
della Martinica, e poi penetriamo nella rada che ora si chiama di Fort de
France, ma che sotto i Governi monarchici si chiamava di Port Royal, perché
tanto essa quanto la città omonima hanno avuto la strana prerogativa di
cambiare nome al mutare della forma di governo della madre patria.
Bella
è questa rada e comprende molte insenature che offrono in generale buoni
ancoraggi. Il più frequentato è quello dei Flamands, a ponente di Fort France;
ma più sicuro specialmente nella parte Nord, benché assai angusto, è quello di
Carenage, separato dal primo da una stretta lingua di terra su cui si elevavo
il vecchio forte di S. Louis.
Siccome
al mio arrivo era prossima la stagione dei cicloni, mi ormeggiai nel secondo;
ma a questo proposito è bene rammentare, per non far perdere tempo a chi
arriva, che non vi si può entrare senza il permesso delle autorità e senza
prima pigliare pratica dell’ancoraggio di Flamands.
Nella
parte settentrionale del Carenage stesso vi è un bacino […], l’arsenale di
riparazione dello Stato, il cantiere ed il dock della Compagnia transatlantica,
i depositi di carbone del commercio (di qualità assai scadente), e quelli
militari costituiti essenzialmente di ottime mattonelle.
Nei
due porti in parola vi è un movimento di 100 a 1200 navi all’anno, vi capitano
anche molti velieri nostri, ed al mio arrivo fui salutato da una vera
flottiglia di essi.
Tutte
quelle bandiere italiane, alzatesi ad un tratto, ci rallegrarono molto, ma quel
momento di soddisfazione mi procurò in seguito molta amarezza, perché mi diede
occasione di accertare parecchi mali di una parte della nostra marina
mercantile a vela.
Dopo
la visita dei capitani, chiesero e vennero da me parecchi marinai a reclamare,
qualcuno per maltrattamenti, altri per contratti non regolari, altri perché non
ricevevano le paghe. Aggiustai le cose come meglio potei, ma tutto ciò mi diede
occasione di notare che capitani e marinai sono trattati poco bene; che se i
marinai dei velieri reclamavano perché non ricevevano la paga mensile, i
capitani non ci avevano colpa perché non ricevevano i denari, e che molte navi
mancavano degli strumenti più indispensabili per la navigazione, fino al punto,
mi fu assicurato, , che certe volte hanno un orologio di poche lire invece di
un cronometro! E ciò accresce i pericoli a cui sono esposte queste navi,
pericoli tanto più gravi quanti che alcune sono così vecchie e malandate che
non trovano in generale chi le assicura. Da ciò si trae profitto per fare i
noli assai bassi e mille altre speculazioni, che certo non valgono a far buon
nome alla nostra marina a vela, onde, confondendo il buono col cattivo,
purtroppo avviene di sentirne parlar male nelle Antille.
Fra
i due porti citati si estende Forte de France, assai importante anche per il
suo movimento commerciale, benché questo non progredisca come dovrebbe ed abbia
avuto dannosi arresti […].
Anche
qui dunque lo zucchero è il principale prodotto dell'isola, e la coltivazione
della sua canna è fatta sia dai proprietari delle fabbriche, sia dai coloni, i
quali poi la vendono alle fabbriche stesse.
La
produzione è buona, ma occorre concimare la terra; le piantagioni più estese si
trovano al Nord, le principali fabbriche (ve ne sono in tutto 28) si trovano
presso Fort de France, la Trinité e les Francais, ecc. Come conseguenza della
lavorazione dello zucchero, le fabbriche producono anche rhum e quelle della
Martinica sono tra le più stimate.
Il
caffè è buono, ma è stato colpito da malattia e la produzione quindi è scarsa;
il cacao, benché favorito da premi, si è poco esteso; gli altri generi di
esportazione sono di poco conto, ma il suolo fertilissimo favorisce gran
quantità di altri prodotti che si consumano in paese, come manioca, ogni specie
di frutta dei climi tropicali ed anche dei nostri, ottimi legumi e verdure
trapiantati dall'Europa.
Siccome
industrie locali non ve ne sono (eccetto gli zuccherifici, le distillerie di
rhum, una segheria, una tonnara, una fabbrica di ghiaccio. un'officina per la
luce elettrica di Fort de France), si deve, come per le isole precedentemente
considerate, far venire di fuori quanto occorre alla vita; e la Francia provvede
quasi a tutto, e solamente gli Stati Uniti e l'Inghilterra vi concorrono in
parte.
Questo
mercato quindi non ci può interessare, come l'isola non c'interessa in nessuna
maniera per l’emigrazione.
Fort
de France è centro principale del movimento commerciale, ed è anche la capitale
dell'isola. E’ costruita in piano e le sue case sono basse ed abbastanza
robuste per cercare di resistere ai cicloni: una volta erano quasi tutte in
legno, ma dopo l'incendio del 1890 s'incominciò ad usare su più larga scala la
costruzione in legno e ferro.
Le
strade sono abbastanza regolari; mancano però le fognature, e perciò sui loro
margini scorrono in appositi canali dei rivoletti (alimentati dall'acqua che
viene dalla montagna), in cui gli abitanti gettano le lordure.
Vi
è una savana, o piazza pubblica, abbastanza bella, con terreno erboso ed
intorno viali alberati, ma non vi sono edifizi o monumenti importanti. Tuttavia
si possono ricordare la biblioteca, la residenza dei Governatore, situata in
una località bellissima, la fontana Gueydan che appare assai graziosa,
addossata, com'è, alla rupe che chiude la strada principale, tre ospedali ed
una casa che si suol far notare perché edificata sulle rovine di quella in cui
nacque l'imperatrice Giuseppina. La città poi ha scuole per l'insegnamento
superiore (si può avere la licenza di diritto), per l'insegnamento secondario
(liceo), per l'insegnamento elementare (in tutta l'isola vi sono circa 11.000
allievi), per le arti ed i mestieri e per gli operai meccanici; vi sono inoltre
due Banche, varie Compagnie di assicurazioni, diversi Circoli e Società e vi si
pubblicano sei bollettini e giornali.
I
dintorni di Fort de France sono assai belli e pittoreschi; per la squisita
cortesia del Governatore ebbi occasione di visitarne alcuni e specialmente i
campi di Balata e di Colson. Questi sono situati molto in alto ed in mezzo a
boschi magnifici, e posseggono belle caserme per alloggiare i soldati
nell'estate o durante le epidemie (1). Vi conduce un'ottima strada militare che
passa vicino alla Fontana Calda (una delle sorgenti termali dell'isola più
frequentate), e che dopo Colson, procede verso l'interno superando la montagna
a traverso la foresta. La vegetazione, a misura che si procede nell'interno,
diventa sempre più florida e rigogliosa, e le foreste, che acquistano tutto lo
splendore tropicale, sono bene conservate, perché una provvida legge limita il
diboscamento. Come però accade in tutte le isole vulcaniche, anche qui i boschi
sono abitati da pochi animali, quindi, per quanto è ricca la flora, altrettanto
è povera la fauna terrestre (i pesci invece sono numerosi), vi sono numerosi
serpi e specialmente il Fer de Lance (Bothrops lanccolatus, vipera gialla della
Martinica), tanto temuto, ma che ora si combatte con le manguste.
_________
(1)
1 Francesi tengono nell'isola un buon numero di truppe; la divisione navale
dell'Atlantico con 4 navi vi ha la sua base; anche recentemente sono state
costruite delle opere di difesa in terra e sono stati messi dei buoni cannoni
sui vecchi forti come quello di S. Louis. Quest'ultimo provvedimento può parere
strano, ma giustamente dicono gli ufficiali: noi non fondiamo la difesa su quei
forti; ci è costato poco l'armamento (forse sono stati impiegati cannoni usati)
e potranno esserci utili al principio dell'attacco. Se i loro colpi, in quel
periodo iniziale, saranno ben diretti, la nostra spesa sarà largamente
ricompensata, altrimenti ritireremo la gente ed il nemico farà per noi la spesa
di demolirli.
___________
L'isola
è amministrata quasi come un dipartimento della Francia, e costituisce un
gouvernement diviso in due arrondissements: il Governatore è contemporaneamente
il capo della Colonia ed il rappresentante del Governo centrale. A sua volta
l'isola è rappresentata nelle assemblee nazionali francesi da due senatori e da
un deputato; inoltre ha un Consiglio generale che, tra le altre cose, compila i
bilanci, ed in ogni Comune vi è un Consiglio municipale ed un maire. Come in
Francia, i rappresentanti ed i membri dei Consigli citati sono eletti col
suffragio universale, e vi sono 43.000 elettori su di un complesso di 147.700
abitanti; ma siccome la maggioranza di questi sono neri, quasi tutti gli eletti
appartengono a quest'ultima razza. Ci troviamo così innanzi ad un esempio
rilevante dell'azione dei neri nel Governo locale delle colonie e pur troppo
appare che la prosperità dell'isola ne soffra.
Gl'Inglesi
invece, pur avendo date molte franchigie ai neri di Barbados, hanno saputo
conservarsi abbastanza diritti per mantenere, almeno per ora, l'amministrazione
nelle mani dei bianchi, e grazie alle loro speciali attitudini, le cose vanno
ancora bene. Ciò stabilisce la differenza fra le due colonie, e persone assai
elevate mi dicevano che con l'aver dichiarato i neri cittadini francesi,
mancano non solo i mezzi legali per ben governare l'isola e metterla sulla via
del progresso, ma forse anche per impedire che vada perduta per la Francia,
come avvenne di Haiti.
Per
meglio intendere lo stato delle cose, importa tener presente che l'isola (lunga
8o km. e larga 3 1) ha una superficie di 987 kmq, di cui un terzo è coltivato,
un suolo di una grande fertilità, una densità di popolazione di 150 individui
per kmq, compresi i lavoratori fatti venire dalla Cina e dalle Indie orientali,
un clima abbastanza buono per le Antille (stagione fresca da dicembre a marzo,
temperatura media 24°,5; stagione calda, ma sana, da aprile a luglio,
temperatura media 26°; stagione calda e piovosa, hivernage, dalla metà di
luglio a novembre, temperatura media 27.5°), condizioni sanitarie relativamente
buone (vi è poca malaria, la dissenteria si mantiene nei limiti delle isole
vicine, e la febbre gialla è in diminuzione), abitazioni molto salubri nei
punti elevati, facilità ed economia di vita materiale, una rete di buone strade
(600 km. circa di strade coloniali oltre quelle comunali e 182 km. di linee
ferroviarie per l'uso interno delle piantagioni), telefono e telegrafo tra i
vari punti dell'isola, due canali navigabili che uniscono i Comuni di Lamantin
e della " Rivière salée " col mare, servizi marittimi locali con i
punti più importanti delle coste, ed infine linee di navigazione e telegrafiche
che la mettono in comunicazione con l'Europa, l'America del Nord ed il
rimanente delle Antille. In queste condizioni potrebbe progredire assai più di
quello che fa, né vale ricordare le lunghe serie di disgrazie sofferte
recentemente (l'immane catastrofe di S. Pierre, l'incendio del i 1890, e
l'uragano del 1898), perché l'isola ha grande vitalità, e se i neri non
intralciassero l'opera dei bianchi, sarebbe almeno possibile far diminuire
l'attuale malessere. Invece molte piantagioni sono man mano abbandonate, o
vendute all'asta, e, per decisione del Consiglio generale, si suddividono in
piccoli lotti e si concedono a condizioni anche troppo vantaggiose. Ciò
permette ai neri di diventare proprietari con le conseguenze che dissi, la
coltura ne scapita ed i mali generali e le difficoltà dei bianchi vanno sempre
crescendo.
La
Martinica, dunque, che ha moltissimi elementi per essere felice, è contristata
da molti mali derivanti dalle amministrazioni indigene, e pur troppo un triste
fato la colpisce sovente con grandi disastri: cicloni, incendi, terremoti,
eruzioni.
Ma
più dolorosamente vivo tra queste sciagure è il ricordo dell'immenso disastro
di S. Pierre, e non potrò mai descrivere la mestizia che provai quando ci
recammo, quasi per doveroso pellegrinaggio, sul punto dove pochi anni prima
sorgeva piena di vita e di ricchezza la graziosa cittadina. Ed allora non
pensavo che più tardi avrei dovuto rivivere più fortemente quella tristezza,
visitando, poco dopo il mio ritorno in patria, le terre incantate che
circondano la mia Napoli, che un altro mostro dì fuoco aveva devastate.
Mentre
mi avvicinavo a S. Pierre, il vento soffiava forte da terra e la copriva di uno
strato pesante di vapori che andavano mano mano addensandosi a misura che si
elevavano, fino a formare un nero strato di nuvole che gravava sulle montagne e
nascondeva il vulcano onde il paesaggio invece di rifulgere nei vivi colori del
tropico, appariva ammantato di un denso e triste velo grigio, quasi rivestisse
ancora il lutto della grande disgrazia.
Son
noti ormai a tutti i particolari del disastro: il vulcano da molti anni taceva
e nel suo cratere si era formato il grazioso lago des Palmites, sulle cui rive
i touristes andavano a godere la fresca brezza dell’Oceano e a deliziarsi nel
meraviglioso panorama che corre dai Pitoni di S. Lucia alle coste della
Dominica. Ma un giorno il mostro, stanco forse del lungo riposo, ebbe
un’inaspettata agitazione e seppellì la ricca fattoria di Guerine. Gli abitanti
delle terre circostanti ne ebbero un grande spavento, e si affollarono in S.
Pierre, ma non si credette ad un pericolo imminente, ed il Governatore accorse
sul posto a calmare gli animi. Però era un chiedere continuo ed affannosos di
notizie da tutti i luoghi dell’isola, e ripeto le parole di un signore di Port
de France: "L’8 maggio 1902 chiesi col telefono ad un mio amico di S.
Pierre come andavano le cose. Oggi non c’è male mi rispose, pare che… ma
s’interruppe e subito dopo, attraverso il telefono stesso l’intesi gridare in
modo straziante: Dio, siamo perduti…" : Poi più nulla. Vi fu un istante
angoscioso di silenzio e poscia un rombo strano, immenso terrificante percosse
l’aria: S. Pierre era distrutta; pochi secondi erano bastati per uccidere
40.000 uomini e seppellirli sotto le loro case. Mai forse la Morte, oa grande
livellatrice, aveva agito tanto rapidamente e con maggiore precisione. Un piano
immenso si era formato dove prima esisteva una fiorente città, ma ora con
l’esuberante vita dei tropici, di già la natura trionfa con sulla morte, e
cominciano a spuntare le pianticelle che presto si trasformeranno nella foresta
che coprirà per sempre la grande tomba.
Intanto
il silenzio regna sovrano sul quel piano di morte; solo di tratto in tratto
s’incontrano dei neri che scavano svogliatamente sotto la sorveglianza di
qualche bianco salvato per miracolo, e che si ostina a cercare nella sabbia che
seppellì i suoi beni e i suoi cari qualche avanzo delle antiche ricchezze. Ma
il mostro compì l’intera opera sua: nulla, proprio nulla è restato; tutto,
uomini e cose, furono confusi e trasformati in polvere: più disgraziata di
Pompei, S. Pierre è sparita per sempre senza lasciar traccia di sé.
Una
tristezza infinita mi spinse a lasciare quel luogo di morte al più presto
possibile, ma la mia nave mi conduceva a vedere altre distruzioni.
Qui.
avevo visto una città distrutta, a Portorico, avrei visto distrutto il secolare
dominio di Spagna e non so quale dei due spettacoli mi parve più miserando:
preziosissima è la vita degli uomini, ma la natura ricolma i vuoti; sommo bene
e meta suprema della vita è la gloria, ma essa non torna a chi se la lasciò
sfuggire.
PORTORICO
Resto
in mare dal 10 al 12 luglio, ed il mattino di quest'ultimo giorno, avendo
percorso le 360 miglia che separano S. Pierre da Portorico, atterro all'isola
Muertos, e riconosciuti i segnali dei secchi che appaiono molto in ordine,
entro nel porto di Ponce e mi ancoro vicino al paese stesso dalla parte S. W.,
dove si ha un buon ridosso pure nei cattivi tempi, rimanendo anche coperto, dal
secco che parte da punta Penoncillo.
Lo
stato del porto lascia a desiderare, perché presso la banchina vi è poco fondo
e le barche che devono lavorare per caricare e scaricare i vapori, stentano,
assai spesso, ad accostare. Inoltre le comunicazioni con l'estero sono poche e
lasciano a desiderare, perché essendo le linee di navigazione col Nord America,
o col principale mercato dell'isola, considerate come linee di cabotaggio degli
Stati Uniti, tutto deve essere trasportato in American bottoms, ed una sola
Compagnia ne ha assunto il monopolio. Manca quindi la concorrenza, i prezzi
sono alti ed il servizio scarso e difettoso.
Questi
inconvenienti non sono sfuggiti agli Americani; ma nei rapporti dei Governatori
ho visto solamente la proposta di scavare il fondo tanto qui che a Maiaguez e
S. Juan. Eppure urgenti invero sarebbero questi ed altri lavori e
provvedimenti, perchè Ponce è uno dei migliori e più importanti porti
dell'isola ed ha buona ragione per contare sopra un prossimo sviluppo, tanto
più che ricco assai é il suo territorio.
Presso
il porto vi è solamente la parte della città (Playa) più specialmente destinata
al commercio e che contiene molte case che trafficano nel caffè; l'altra parte,
la più popolata, dista dalla prima circa 2 miglia ed è riunita ad essa da un
tram elettrico. La città fu fondata nel 1692; fino al 1824, compreso il circondario,
ebbe appena 9.868 abitanti, ma in seguito si sviluppò, ed ora ne ha 78.000, di
cui 25.000 in città.
Le
costruzioni cittadine sono molto semplici, benché gli abitanti facciano notare,
con qualche soddisfazione, alcune chiese, il palazzo del Municipio ed un
teatro, a cui cercano di accrescere gloria col ricordare che è opera di un
artista italiano. Manca ancora un sistema di fognatura e le strade lasciano a
desiderare rispetto ad alcune di campagna recentemente costruite, e che erano
invece assai ben tenute.
Vi
sono: un buon condotto d'acqua (alla pressione di 25 0 3o lib.), delle
fabbriche di sigari fini, una Camera di commercio, delle Case bancarie e
diverse Società di beneficenza, di mutuo soccorso ed operaie; le navi possono
fornirsi di viveri e di acqua pigliando questa (gratis per le navi da guerra)
da uno sbocco presso la banchina, ma non trovano, o almeno non trovavano nel
1904, carbone, e non potevano fare riparazioni.
Noi
arrivammo nella stagione morta, ossia quando il porto di Ponce è quasi vuoto,
ma il suo movimento ed il suo commercio risultano dai seguenti specchi, nei
quali, per quei prodotti che ho potuto, ho indicato anche il loro rapporto,
rispetto a quelli di tutta l’isola
[…]
(p. 38).
Ma
non solamente il distretto i Ponce, bensì tutta l'isola di Portorico, come
fertilità e ricchezza di terra, non ha nulla da invidiare alle sue fortunate
vicine, ed ha buone condizioni per sviluppare e progredire. Vi sono città di
una certa come S. Juan, Ponce, Maiagúez, Arecibo e Humacao, ha clima sano e
buono per le Antille, una popolazione di 953.243 abitanti (589.426 bianchi e
363.817 di colore), di cui l'80% abitano la campagna, ed una superficie di
3668. miglia q. di cui il 20% sono coltivate, il 22% sono occupate da strade,
città, fiumi, foreste, il 51 % é coperto da boschi o utilizzato dalla
pastorizia, ed il 7 % solamente è costituito da terre inadatte alla
coltivazione. Delle terre coltivate 1/5 è devoluto allo zucchero, un poco più
di 1/3 al caffè, 1/10 al tabacco, un poco meno di 1/3 al riso, ai fagioli,
ecc., 1/18 alle frutta, ma molta parte della terra boschiva o occupata per
pastorizia potrebbe essere coltivata.
I
principali prodotti sono lo zucchero, il caffè, il tabacco, e nei 4 anni che
seguirono l'occupazione americana rappresentarono un'esportazione annuale media
rispettivamente di dollari: 4.520.740, 2.916.000, 3.676.200. Ma si esporta
anche frutta con buoni guadagni, vegetali, verdura, ecc., ed il suo sottosuolo,
benché in quantità non rilevanti, ha ricchezze minerarie (sabbia aurifera, rame
e piombo) e guano di discreta qualità.
[…]
(p. 39)
Importa
però notare che il principale dei prodotti dell'isola era ultimamente il caffè;
ma il ciclone del 1899 distrusse, specialmente nelle vicinanze di Ponce, dove è
maggiormente coltivato, molte piantagioni, arrecando danni gravissimi, da cui
l'isola non ha ancora potuto rilevarsi. Ciò é causa di malessere e di vera
miseria ed è difficile rimediarvi, perché mancano i capitali e gli Stati Uniti
non pare mettano troppo buona voglia nei provvedimenti.
Gl'isolani,
invero, vedendo questa rimunerativa industria minacciata di morte, hanno
chiesto agli Stati Uniti di avvantaggiarsi delle loro leggi protettive anche
per il caffè. A tal uopo sostengono che se politicamente non sono cittadini
americani, economicamente lo sono, in quanto ché, provvedendosi essi per la
maggior parte sui mercati americani, subiscono i gravami delle loro leggi
protettive e quindi possono pretendere di goderne anche i benefizi. E ciò pare
loro tanto necessario, in quanto ché hanno bisogno di rimediare alla perdita
del mercato spagnolo e di resistere alla concorrenza del Sud America, dove, per
le vicende del cambio, la mano d'opera costa assai meno.
E
la protezione in generale, già per qualche articolo concessa, si imporrebbe
anche se si dovesse mutare la coltivazione del caffè in qualche altra,
altrimenti non si avrà modo di resistere alle inevitabili ristrettezze a cui si
andrebbe incontro nel periodo transitorio, visto che la maggior parte
dell'isola viveva quasi sul caffè. Ma, fino al momento in cui lasciai quel
luogo, non pareva che gli Americani fossero disposti ad ascoltare queste
domande, e non ho trovato nei rapporti dei Governatori alcun cenno ad esse
favorevole. Anzi nei rapporti stessi si nota una certa tendenza a ricordare che
in altri tempi (10 anni prima del ciclone) era lo zucchero che teneva il primo
posto, invece del caffè, che oggi tende a riguadagnarlo, e anche che i capitali
americani, nell'agricoltura in genere e nella sistemazione in particolare di
fabbriche di zucchero (erette in nuove piantagioni o in sostituzione dei
primitivi mulini), troverebbero ottimi impieghi. Ed in vero i principali
zuccherifici dell'isola, recentemente impiantati, funzionano con capitali
americani, e si diceva dunque, benché io non possa affermarlo, che gli
Americani fanno di tutto per trasformare la coltura dell'isola. Comunque sia,
questa versava in tristi condizioni economiche, la gente non trovava lavoro e
cercava di emigrare, ed i nostri coloni, sia ben noto agli emigranti, si trovavano
in grandi strettezze e non desideravano che di andarsene. Erano essi in
generale operai stagnini e venditori ambulanti, che al tempo degli Spagnoli
stavano abbastanza bene.
Naturalmente
il partito anti-americano fa risalire agli Americani la colpa di questa crisi
economica, ed ho letto molti articoli e pubblicazioni in cui era sostenuto che
i risultati della guerra sono stati dannosi ai Portoricheni, che questi non
hanno fatto altro che mutar padrone, e che col cambio hanno perdute molte
libertà politiche. Sono note infatti le vicende storiche dell'isola: nel 1809
la "Junta Central " spagnola dichiarò che le colonie formavano parte
integrale della nazione e con le loro rappresentanze al Parlamento nazionale
dovevano concorrere al governo popolare della patria comune. Da allora le
libertà politiche dell’isola subirono le vicende di quelle della madre patria,
ed i suoi rappresentanti andarono in Ispagna, oltre che nel 1812, dopo le
rivoluzioni del ’20 e del ’33. Ma nel ’37 le Cortes li esclusero insieme a quelli
di tutte le altre colonie, sostenendo che occorrevano alla loro felicità leggi
speciali, e solamente nel ’68 furono richiamati, e vi restarono finché nel '97
fu concessa l'autonomia..
In
tutti questi avvenimenti, non spiegarono i Portoricheni grandi energie, e non
fecero sforzi notevoli per la conquista della loro libertà e per conservarla
dopo l'occupazione americana.
Ceduta,
non conquistata, l'isola, perché di poco valore furono i fatti d'arme ivi
svoltisi, gli Americani dichiararono (strana coincidenza con quanto aveva
dichiarato Ferdinando VII) che i Portoricheni non erano pronti alla libertà,
perchè erano poveri ed ignoranti, e che conveniva, per la loro felicità, che
fossero governati da altri. Un Governo militare fu allora, istituito nell'isola;
il Governatore ammoni gli abitanti che il miglior cittadino di Portorico era
quello che non si occupava di politica, e facendo astrazione da ogni
considerazione politica, le condizioni generali migliorarono.
Si
ripararono le vecchie strade, se ne aprirono delle nuove (vi sono anche
ferrovie che partono da Ponce e da S. Juan e che dovranno congiungersi
circondando tutta l'isola, e servizi regolari di vapori costieri), si fondarono
istituzioni di beneficenza e di pubblica utilità, si aprirono nuove scuole (da
539 che erano prima della guerra, nel 1902 erano salite a 939 con 45.000
alunni) e si migliorarono le condizioni igieniche. Inoltre una onesta
amministrazione e la sana amministrazione della giustizia, provvidero non solo
al bene economico, ma anche alla educazione morale e civile del popolo, ed il
progresso fu così sensibile che il. 25 luglio 1901 l’isola si trovava in
condizioni di sopperire alle sue spese, onde gli Americani poterono mantenere
le promesse di concedere, nel 1900, il Self-Governement e nel 1901 il libero
commercio con l’America.
Secondo
la legge Foraker, l'isola ha un Governatore, assistito da un Consiglio
esecutivo di 11 membri di cui 6 sono a capo delle varie amministrazioni e 5 non
hanno incarichi. I membri di questo Consiglio, di cui una parte può essere
americana, sono nominati dal Presidente degli Stati Uniti e costituiscono la
Camera alta, che amministra le rendite da essa votate, e per la sua
costituzione riunisce le attribuzioni del potere esecutivo e di quello
legislativo, ossia regna e governa. Vi è però una Camera elettiva, con 35
membri, ma non ha diritto a molte iniziative; le imposte non hanno origine da
essa, e la Camera alta si fa da essa, per cortesia, aiutare nella compilazione
dei bilanci. Gli Stati Uniti, infine, si riservano il diritto di annullare
tutte quelle leggi votate dal Governo locale che non crede utili all’isola o
non opportune. Date queste istituzioni, molti Portoricani sostengono che la
loro non é libertà, e si sono formati due partiti: l’uno repubblicano, che è al
Governo, favorevole agli Americani; l’altro di opposizione (federale) agli
America contrario, ma, per ora almeno, questo secondo si limita a semplici
declamazioni e, data l’apatia dei Portoricheni, benché molti malumori vi sieno,
non credo esagerata l'opinione dei Governatori che il popolo rispetta le leggi
e le nuove istituzioni, che è gentile e ben disposto, che l'isola è in
progresso e che le sue condizioni morali ed intellettuali hanno molto
migliorato. Mi parve perciò come di sentire i prodromi di una vita nuova,
promettente un prossimo avvenire fecondo di progresso e di libertà, onde ben
diverse furono le impressioni che provai nella vicina Haiti.
HAITI
Lasciai
Ponce la mattina del 14 luglio, ed il 16 ero a Capo Tiburon. Nella notte
raggiunsi l'isola di Gonave, e, passando nel canale al sud di essa, dopo un
percorso di 135 miglia, andai a far fondo a Port au Prince nel pomeriggio del
17.
Il
porto è sicuro, e la città, disposta ad anfiteatro, con ricca vegetazione tutta
intorno, ha bell'aspetto, ma guai a vederla da vicino! Le case sono mezzo
corrose, le strade in completo abbandono ed ogni specie d'immondizie e di
rifiuti è abbandonato in mezzo ad esse, lasciando al sole l’incarico di
dissolvere ogni cosa, ed al vento ed ai corvi quello di portar via ciò che
possono.
I
bianchi sono pochi e vivono fuori città; anche la nostra colonia fortunatamente
è poco numerosa, e sarebbe utile dire a tutti di guardarsi da questa isola
disgraziata.
Le
navi poi, tolti i viveri freschi, è meglio non facciamo affidamento nelle
risorse di Port au Prince, e per avere dell’acqua da lavanda. ben inteso,
devono mandare un'imbarcazione al fiumicello, che è al sud della città,
provvista di pompa e lunga manichetta, perché il fondo è poco, e bisogna
stabilire la presa a monte del posto occupato dalle lavandaie.
Non
fornisco dati economici od industriali per questo porto e per tutta la
repubblica di Haiti, perché la confusione è tale che nulla di preciso potei
appurare. Posso solo dire che la Germania tende ad assorbirne la maggior parte
del traffico e che i prodotti principali sono il caffè, il cacao ed il
campeggio, ma in quantità assai esigua rispetto a quelle che I' isola potrebbe
produrre. Essa infatti non rivali per varietà di suolo, di produzione e di
clima e per bellezza di paesaggio, onde devesi annoverare tra le più fertili
delle Antille. Il caffè viene in abbondanza e cosi pure lo zucchero, il cacao,
il cotone, la vainiglia, i banani ed ogni specie di frutta. Il suolo è ricco di
minerali, ed una buona coltivazione ed un razionale sfruttamento renderebbe
questa terra un vero paradiso terrestre.
Al
tempo dei Francesi (le conquiste dei buccaneers furono riconosciute nel 1696)
v'erano infatti moltissime piantagioni, e nel 1779 si esportarono 161.000.000
di libbre di zucchero; 8.000.000 di libbre di cotone, e 88.630.502 di libbre di
caffè; ora invece lo zucchero è quasi abbandonato, la produzione del cotone non
arriva a 1.000.000 di libbre ed il caffè è poco e cattivo, per la nessuna cura
con cui si raccoglie. Il paese allora aveva strade e buone comunicazioni, ma
adesso ogni traccia di viabilità è quasi sparita tra le varie città, e non sono
neanche degni di menzione i 45 km. di ferrovia esistenti.
I
bianchi una volta possedevano grandi ricchezze, e la città di Capo Haitien, che
allora era la più florida, si vantava di gareggiare con Parigi per la
magnificenza dei suoi equipaggi, nei quali si adagiavano le belle creole,
mettendo in mostra il loro lusso notevolissimo; oggi invece la miseria é tale
che 100 dollari americani ne valgono 530 del paese.
Tutto
è distrutto; Jacmel, Cayes, Gonaive, Capo Haitien e la capitale Port au
Prince.si fanno solamente notare per la loro sporcizia ed il loro disordine.
Quando
il nero Toussaint Louverture levò la bandiera della rivolta in nome dei
principi di libertà proclamati in Francia dalla Rivoluzione allora vittoriosa,
i neri percorsero il bel paese come una valanga terribile, spargendo da per
tutto l’incendio, la distruzione e la morte. I bianchi che non riuscirono a
sfuggire furono uccisi, i vincitori si assisero al loro posto, ancora sporchi
di sangue, e, scimmiottando gli usi e le vanità degli Europei, giunsero fino a
creare tutoli nobiliari come quello di Principe della Marmellata e di Duca
della Limonata; costituirono quello strano esercito che un francese di spirito
chiamò dei generali, perché questi sono quasi più numerosi dei soldati ed
iniziarono, pur avendo in t4eoria istituzioni modellate su quelle di Francia,
quel mal governo che ha prodotti i mali e le miserie attuali.
E, a
compiere l'enumerazione delle miserie di Haiti, ricorderò esser credenza assai
diffusa tra i viaggiatori e gli scrittori che il misterioso culto di Vandoux
domini sempre nell’isola e che annualmente si compiano in suo onore sacrifici
umani e scene di cannibalismo. Io ho sempre esitato a prestar fede a questi
racconti, ma il direttore della Polizia di un'isola inglese, persona
naturalmente assai colta e seria, mi affermava che ciò constava a lui
personalmente.
Cuba
Lasciai
quindi (20 luglio) Port Prince, senza rimpianti, e l'indomani (220 miglia fino
a Santiago ero a Cuba.
Quest'isola
ha forma molto allungata da levante versoi ponente, con una lunghezza massima
da Capo Maisi a Capo S. Antonio di 730 miglia, una larghezza massima di 110
miglia nella provincia di Santiago ed una minima di 25 miglia presso Avana. Ha
ottimi porti naturali perfettamente chiusi tra le terre, ma con anguste entrate
come Guantamano, Santiago, Cienfuego, Bahia-Honda, Habana, Porto Padre, Nipe,
ecc., e la sua costa sud tra Capo Maysi e Capo Cruz è libera da ogni pericolo
ed è assai elevata. Tutta la provincia di Santiago del resto è molto
accidentata per le montagne che la attraversano, e notevoli tra esse e visibílì
dal mare sono la Sierra del Cobre, presso la città di Santiago stessa, e quella
Maestra più a ponente, con parecchie montagne di 5000 piedi ed alcune di 8300.
Ma dal Capo Cruz quasi fino a Capo S. Antonio la costa diventa in generale
bassa e paludosa (eccetto presso Cienfuegos dove si eleva una catetia di
montagne e sorge una foresta quasi impenetrabile (1) ed è circondata, da una
lunga serie di banchi e di isole tra le quali l’ampia isola di Pinas.
_____
1.
Altre elevazioni notevoli sono quelle di Pinon del Rio (2500 piedi) ed il terreno
ondulato delle province di Matanzas ed Avana.
_________
Parecchi
corsi d'acqua irrigano l'isola, tra i quali il più notevole è il Cauto, con un
corso di 150 miglia, e l'isola in generale non difetta di acqua potabile. Il
clima è caldo, la temperatura media è di 26°, ma è poco variabile, tanto che le
oscillazioni medie risultano di 6°, le temperature estreme però notate
eccezionalmente all’Avana sono 11° e 44°.
Una
volta l’isola era poco salubre, e terribili risultavano specialmente le
epidemie di febbre gialla; ora le condizioni sono molto cambiate ed il paese
può dirsi in genere risanato ed è certo molto più sano del. Brasile.
Fertilissima
è la terra e grandissima la varietà delle sue piante tanto che oltre le
esotiche se ne contano fino a 3500 specie, ma molta parte del suolo (quasi la
metà). non è coltivata. Scarsa invece è la fauna: molti animali come cervi,
conigli, ecc., sono stati importati; una certa varietà solamente si nota negli
uccelli e nei rettili, e tra questi molte specie di coccodrilli, camaleonti,
serpi, ecc. Ma di animali velenosi quasi non ce ne sono, anzi si può dire che,
fatta eccezione di una specie di scorpione, che non produce però ferite
mortali, non esistono nell’isola animali pericolosi.
All’epoca
della scoperta si valuta vi fossero tra uno o due milioni di Indiani,
appartenenti ad una razza superiore a quella delle altre Antille; ma al solito
furono distrutti dagli Spagnoli tanto che non rimangono superstiti. Presto
quindi cominciò la importazione degli schiavi africani e quando si promulgò
l’abolizione della tratta, si. ricorse ai cinesi, dei quali pochi ora sono
rimasti. Tra bianchi e gente di colore, la popolazione si faceva ascendere
prima della ultima guerra ad 1.800.000 abitanti occupati principalmente
nell’agricoltura, ma vi sono anche miniere di ferro, di rame, di argento, di
oro, di asfalto, ecc.… I prodotti, principali dell’isola sono lo zucchero ed il
tabacco e poi frutta, legumi, vegetali, granturco, riso, caffè (di questo però
solamente quanto basta al consumo interno) e piante tessili. Prima della guerra
v'erano circa 100.000 piantagioni tra. grandi e piccole (a cui corrispondevano
numerosi zuccherifici) orti e pascoli e nell’anno 1894-95 si ebbero i massimi
prodotti di zucchero e tabacco, e cioè 1.054.000 tonn. del primo e 62.000.000
di libbre del secondo, ma si potrebbe avere almeno 5 volte tanto, e c’è posto
per una popolazione molto più fitta (almeno 5 o 8 milioni). Occorre però molto
tempo ancora per giungere a questa prosperità, perché la Spagna non provvide al
benessere dell’isola, e le guerre per l’indipendenza hanno prodotto grandissimi
mali. Queste guerre durarono moltissimo. Le concessioni fatte ai Cubani dagli
Spagnoli subirono vicende analoghe a quelle ricordate per Portorico, ma i
Cubani mostrarono maggior energia nel cercare di conservarle La prima
rivoluzione il ristabilimento dell’assolutismo scoppiò nel 1823,1 e poiché la
Spagna non seppe trovare altri mezzi per calmare il giusto risentimento del
popolo che le violenti repressioni, si formarono Società segrete e crebbero i
malcontenti. Seguirono i moti del 1830, e poscia le agitazioni, oltre che sul
posto, furono preparate nella vicina America. Si ebbero così tentativi di
sbarco di insorti tra il '49 e il ’51, e molti moti "nel '52 e '59, e poiché
le tentate riforme delle commissioni del 1865 a poco approdarono, scopiò nel
1865 la guerra dei 10 anni. In seguito ad essa furono concesse libertà e
facilitazioni ed i rappresentanti di Cuba riebbero il posto nelle Camere
spagnole, ma le applicazioni pratiche delle concessioni, furono assai
difettose, e ad accrescere il malcontento concorsero i disagi economici
derivanti dall'abbassamento del prezzo dello zucchero, dalla abolizione della
schiavitù, dalle gravi imposte e dall'enorme debito pubblico (400.000.000 di
pesos nel 1897).
Osservano
perciò i Cubani che poco potevano fare i loro rappresentanti alle Camere,
perché la maggioranza apparteneva alla Spagna propriamente detta, onde essi
erano sfruttati a beneficio di questa, ed a prova ricordavano che dei 25.000.000
di pesos che da essi si pagavano, solo il decimo era speso sul posto. Tutto ciò
doveva condurre, ed infatti condusse, ad una nuova rivoluzione e nel 1895 alla
guerra per l'indipendenza.
Gli
Stati Uniti fin dal 1825 avevano dimostrato le loro simpatie per la causa
cubana: col manifesto di Ostenda offrirono alla Spagna venti milioni di
dollari, perché lasciasse l’isola e durante la guerra dei 10 anni il presidente
Grant minacciò l’intervento a favore dei Cubani. Ma più attivi si mostrarono
fin dall'inizio della nuova guerra, subito offrirono i loro. buoni uffici,
intervennero amichevolmente a favore dei reconcentrados e, dopo lo scoppio del
Maine, iniziarono la guerra. Allora gli avvenimenti precipitarono: il 14 giugno
1898 sbarcarono le prime truppe, il 3 luglio fu distrutta la flotta spagnola,
il 16 capitolò Santiago ed il 10 dicembre si firmò, la pace di Parigi. Ogni
dominio spagnolo cessò così nell'isola ma infelici assai erano le sue
condizioni quando gli antichi padroni la lasciarono.
La
popolazione (censimento fatto, dagli Americani nel 1899) era scesa ad 1.572.797
abitanti, ma già durante la guerra dei 10 anni si era ridotta del 12%; la
proprietà era quasi tutta gravata da ipoteche, e le tasse enormi, oltre ad
avere esaurite le risorse locali, erano state causa di corruzioni, perché lo
sperpero e le male appropriazioni della pubblica ricchezza avevano fatto
penetrare la disonestà dappertutto. E’ incredibile quello che sì racconta circa
le irregolarità che si commettevano anche nelle dogane e pare, secondo quanto
dicono sul luogo (ripeto non affermo) che si facessero passare per merci vili
quelle che maggiormente erano gravate di dazio (i1 caffè era spesso sdoganato
come granturco, lo strutto come patate, lo champagne come acqua minerale) e che
si alterassero le fatture delle merci. Negli ultimi anni un gran disordine
regnava in ogni ordine politico, economico e sociale; tutte le pubbliche
istituzioni erano in completo abbandono; le prigioni riboccavano di arrestati,
senza che giustizia si facesse; nei tristi fossi del Castello d’Avana si
eseguivano le fucilazioni; i reconcentrados aumentavano con le loro miserie la
desolazione, molti zuccherifici furono distrutti, e quelli che si salvarono
pagarono spesso assai cara la loro immunità; i campi di canna furono bruciati
in gran parte e le campagne, salvo in qualche punto dove dei soldati
dell'esercito rivoluzionario erano incaricati di coltivare un po’ di terra
nell’interesse dell'esercito, erano state abbandonate. Anarchia dovunque e
miseria da per tutto; molti non uscivano di casa perché non avevano da vestirsi
e molti morivano di fame.
Eppure,
esempio mirabilissimo, la partenza delle truppe spagnole e l'insediamento del
Governo americano avvennero senza incidenti notevoli, nonostante le enormi
difficoltà provenienti non solo dalle dette condizioni, ma anche dalla naturale
diffidenza del popolo, dalle guerriglie spagnole rimaste nelle montagne e
dall'esercito libertador, ancora in armi, minaccioso e turbolento. Occorreva
quindi impedire che i componenti di quest'ultimo, da tanto tempo disabituati al
lavoro, si dessero al brigantaggio e dovevasi provvedere ai bisogni più urgenti
del paese. Si pensò, prima di ogni altro, a rimediare al flagello della fame,
distribuendo gran quantità di viveri, e procurando lavoro ai bisognosi, e così
facendo si ebbero anche le braccia necessarie accudire bai pubblici bisogni e
migliorare le condizioni igieniche del paese.
L’isola
fu quasi sottomessa ad un bagno di sublimato; si pulì, si disinfettò, si
tolsero le fonti dei miasmi e delle infezioni, si riaprirono gli ospedali, si
distribuirono vesti e medicine, e si fecero veri miracoli che presto fecero
diminuire le malattie ed i flagelli. Ed intanto si provvide a che la gente
tornasse alla terra, perché il lavoro risanasse anche le anime e migliorasse lo
stato economico del paese.
Furono:
condonate le tasse arretrate, sfollate le prigioni, ripristinato l'ingranaggio
della giustizia (ché le leggi non mancavano, ma i metodi per la loro
applicazione erano difettosi) e concesse più libertà ai Municipi (ché la
centralizzazione eccessiva rendeva lenta la macchina dello Stato). Grande
saviezza dimostrarono sempre i governatori militari e si fecero in generate
guidare, dal principio, purtroppo in altri paesi trascurato, che anche le migliori
leggi possono riuscire dannose quando sono applicate con fretta e non sono
adatte all’indole dei popoli. Prima quindi di qualsiasi modifica o mutamento,
esaminarono sempre la storia e lo svolgimento delle leggi esistenti, studiarono
quelle in progetto in relazione col carattere del popolo, e, salvo casi
urgenti, mai abolirono una legge o fecero una radicale modifica se prima non si
furono convinti. che anche con una buona applicazione questa legge era
imperfetta, oppure che quella modifica era imposta dai tempi ed adatta ai
caratteri delle popolazioni ed ai bisogni locali. Ed invero un serio studio
essi fecero di ogni località, rinunziando spesso ad escogitare provvedimenti
generali, che non sarebbero riusciti adatti dappertutto.
Per
rimediare al pericolo che presentavano le genti armate, da una parte trovarono
il modo di far sparire le guerrillas, e dall’altra con vari pretesti tennero
l'esercito liberatore occupato. per un corto tempo, salvo a concedere licenza a
tutti quelli che la chiedevano. Quando poi le cose apparvero un po’ più
regolate, mandarono tutti a casa, avendo però avuto prima l'avvertenza di
distribuir loro la ingente somma di 3.000.000 di dollari, ossia una media di
circa 750 dollari per persona, onde metterli in grado di poter riprendere le
loro occupazioni. In seguito poi, perché questi liberatori non diventassero
sanguisughe sulle carni vive dello Stato, il Governo cubano s’impegnò di fare
un'altra larga distribuzione di denaro fino alla concorrenza di 35 milioni di
dollari, in modo che ognuno, per il tempo che aveva servito, percepisse le
adeguate paghe supposte arretrate. Questi provvedimenti rifuggono alle nostre
idealità, ma si sono dimostrati utili, perché il paese si è liberato una volta
per sempre dai liberatori che non eran tutti pasta di eroi. Ed i benefici non
si arrestarono a quelli descritti, ché furono distribuiti impieghi a tutti
quelli delle classi elevate che avevano più o meno cooperato nella rivoluzione
e nella guerra, onde, con una di quelle notevoli soluzioni della pratica
America, il paese si trovò di non dover materialmente più nulla ad alcuno. Non
è a credere però che il denaro distribuito sia andato tutto a vantaggio dei
soldati, ché anzi molti speculatori, i quali, secondo mi dicevano, in
maggioranza erano americani, ne trassero profitto. Questi speculatori,
profittando della miseria dei soldati e della poca fiducia che il popolo
seguitava ad avere in ogni promessa governativa, si affrettarono a proporre
degli anticipi, o meglio degli acquisti dei crediti di ognuno di essi, alle
gravissime condizioni di anche meno del 40%. Ed, incredibile a dirsi, questi
disonesti affari seguitavano quando già era cominciato il pagamento, ed ho
conservato un giornale di Santiago in cui in una parte è annunciato il 5°
arrivo dall'America del denaro destinato ai pagamenti dell'esercito, ed in
un'altra si proponeva l'acquisto dei crediti dei soldati al 45%.
Altro
problema grave che s'imponeva al Governo era quello di far rifiorire
l'agricoltura. I piccoli, coltivatori di canna e di tabacco si rifecero
abbastanza facilmente; ma per le grandi coltivazioni della canna, e per creare
i nuovi e rifare i vecchi zuccherifici, occorrevano capitali che difettavano
ancora quando io era sul posto, benché molti Americani cominciassero a
concorrervi. Ed a questo proposito importa. ricordare, che nelle grandi
piantagioni spesso i padroni fanno ai contadini facilitazioni e concedono
mezzadrie, purché assumano la coltivazione per conto loro di piccole estensioni
di terreno. Se questo sistema e quello di cedere da parte del Governo a facili
condizioni. le terre intorno ai nuovi zuccherifici si estendessero in un modo
razionale, si faciliterebbe l'immigrazione dei coloni europei, perché sì
offrirebbero a questi dei buoni ed onesti vantaggi. Devonsi però notare due
fatti importanti: una certa tendenza dei piccoli agricoltori ad abbandonare la
coltivazione della canna per darsi a quella più facile delle frutta e dei
tabacco, ed il graduale assorbimento dell'industria da parte degli Americani.
Subito
dopo la guerra i grandi coltivatori locali si rivolsero ai governatori
Americani per avere danaro; ma fu loro saggiamene risposto che non sarebbero
bastate tutte le risorse dell’isola per far ciò e che un simile sistema sarebbe
stato economicamente e politicamente dannoso, perché avrebbe le utili
iniziative ed avrebbe creato gelosie e malcontenti. Essere quindi solo dovere
del Governo accudire e provvedere a quei pubblici lavori che allo sviluppo
dell'agricoltura sono necessari, e facilitare la formazione di quegli istituti
bancari che sono sorgenti di ricchezze nazionali ed impediscono il monopolio
del denaro. E queste promesse, almeno per ciò che riguarda la prima parte,
furono assai ben mantenute, ed ho visto io stesso delle magnifiche strade
aperte durante il Governo degli Americani, ed importantissima fra tutte la
strada ferrata, costruita in pochissimo tempo, tra l'Avana e Santiago. Questa
grande e vitale arteria traversa tutta l’isola nella parte centrale, passando
in località dove l'uomo mai era penetrato, e sarà fonte di nuova vita e di
civiltà. Eppure essa era stata studiata, progettata ed approvata non so quante
volte dagli Spagnoli, ma i proprietari dei vapori costieri trovavano sempre
modo di non far incominciare i lavori.
Importava
finalmente educare il popolo; ed a ciò si provvide col buon esempio e col sano
governo, perché apprendessero se non lo spirito devotionis, o la rinuncia di se
stessi al bene comune, almeno il sentimento che i pubblici uffici sono posti di
fiducia e non di speculazione. Inoltre si aprirono molte scuole (più dell’80%
della popolazione rurale era analfabeta) e si cercò di far intendere a tutti
che in essa devonsi formare i buoni cittadini invece dei cattivi politicanti
che prima creava la piazza. E da quello che ho visto e sentito, mi pare che gli
Americani sieno riusciti ad infondere nella maggioranza il concetto che le
scuole sono la salute della nazione, ed importa devolvere ad esse i denari che
occorrerebbero per istituire milizie cittadine, imperocchè alla protezione
esterna provvederanno sempre gli Stati Uniti e per l’ordine interno bastano i
5000 uomini di milizia rurale, come son chiamate le forze armate della nuova
Repubblica. Il principio ora detto non é completamente vero, e non si può
accettare in tutte le sue parti, ma risponde agli interessi degli Americani ed
è completato dalle parole di uno dei loro capi, il quale affermò in un rapporto
che sarebbe stato meglio lasciar l’isola alla Spagna, se prima di andarsene gli
Americani non avessero stabiliti per essi dei vantaggi capaci di formare legami
indissolubili di amicizia tra i due paesi, di assicurare la forma repubblicana
in Cuba, di facilitare il loro commercio nell'isola, di permettere il loro
intervento per mantenere l'ordine pubblico, la pubblica igiene, la pubblica economia
e la indipendenza dell'isola dagli stranieri. E tutto ciò in vero fu inserito
nella carta fondamentale della costituzione dello Stato di Cuba, ed a me pare
che non convenisse agli Americani chiedere di più. Infatti essi non potevano
della Perla delle Antille fare un loro possesso, né potevano incorporarla nella
Federazione, perché sarebbe stata per loro una causa di debolezza in caso di
guerra.
L'acquisto
invece della stazione navale di Guantamano, che insieme a Culebra domina sul
Mar Caraibico, e di quella di Babia Ronda che concorre alla difesa del Golfo
del Messico, erano utilissime ai loro progetti imperialisti. L'isola di Cuba
quindi apparentemente è libera, ma in realtà dipendente da essi economicamente
e politicamente: era quello che loro più conveniva e l'hanno ottenuto. Ogni
giorno invero essi stringono nuovi legami economici con l'isola e vi si
stabiliscono con più larghezza i loro interessi e la loro influenza politica.
Ciò però non piace ad una parte dei Cubani, onde un partito va formandosi
contro di essi tanto più facilmente che, in causa del carattere instabile e
turbolento del paese, quasi non esiste alcun sentimento di riconoscenza per la
benefica opera degli Americani e si dimentica che essi trovarono il paese
desolato, indisciplinato e in piena anarchia e dopo breve tempo seppero
consegnarlo al Governo locale pulito ed ordinato, con tutte le pubbliche
amministrazioni in regolare funzione, ed avviato verso la prosperità.
I
Cubani, appena lasciati a loro stessi, si mostrarono assai saggi, ubbidienti
alle leggi ed alieni dalle turbolenti lotte politiche, onde le prime elezioni
riuscirono abbastanza ordinate, e, sia per la minaccia dell'intervento, sia per
una maggiore saviezza politica acquistata, le cose andarono bene, per un pezzo.
Ma al tempo in cui io era laggiù già le lotte si accentuavano, e per certe
lamentate irregolarità nelle elezioni, i deputati uscenti credettero di non
lasciar il loro posto, e si determinò una. specie di sciopero di nuovo genere,
per il quale le Camere non si trovarono per lungo tempo in numero e non
potettero funzionare.
Nei
primi tempi si astennero dalle urne quelli che non avevano preso parte alla
rivoluzione e perciò non vi era, a vero dire, che un sol partito ben
costituito, non potendosi dare il nome di partiti ai gruppi degli scontenti,
dei turbolenti e di tutti quelli che odiavano l'ordine; ma per errori dei capi
del partito, dirò, legale, cominciarono le scissioni, onde tra i gruppi ora
detti cominciarono ad entrare elementi che li accreditarono, e che li elevarono
a loro volta all'onore di partiti politici. Si ebbero così presto due partiti
divergenti principalmente sulla convenienza oppur no di stabilire leggi
protettive e di accentrare i servizi nella capitale. Ma, siccome i vecchi mali
non sono completamente sanati e sotto la maschera della politica spesso si
nasconde il desiderio smodato del potere per interessi personali, i partiti
crebbero in numero perdendo in chiarezza, anche perché difettano di capi di
grande energia e levatura, capaci di riunire le forze nei due grandi gruppi che
al tempo del mio passaggio si tentava di formare col nome di liberale e
moderato. Apparivano quindi fin da allora i prodromi quei mali che condussero
al conseguente intervento americano, benché le condizioni generali fossero
buone, i pubblici servizi organizzati, le leggi rispettate, la moralità in
rialzo, le scuole in
grande sviluppo, l'agricoltura e le industrie in progresso, le spese ben
commisurate alle entrate (il tesoro aveva 7 milioni di dollari di economia), le
animosità contro gli Spagnoli in sensibile diminuzione.
Il
progresso però del paese richiede un aumento di abitanti (la densità della
popolazione rurale è appena di 1,1 per kmq.); per coltivare le terre ora
bisogna far venire lavoratori da fuori almeno durante la raccolta dello
zucchero, e quindi il problema della immigrazione preoccupa i governanti. Ed a
questo proposito importa ricordare che nel 1904 si formò nella Camera una forte
corrente contro l'immigrazione italiana, e che quel partito impose al Governo
di fare un esperimento di immigrazione unicamente con coloni spagnoli e delle
Canarie.
Questi
ultimi in particolare sono i preferiti, ma. non so con quanto criterio si possa
sperare di trarne il numero sufficiente da un così piccolo arcipelago. La discussione
che si fece in proposito fu poco seria e la gente di buon senso non si
dissimulava che alcuni dei focosi oratori erano spinti dalla preoccupazione che
le terre governative fossero distribuite agli emigranti e quindi sfuggissero
alle loro brame. È un fatto però che molti Cubani ignorano che cosa sia
l’Italia, e come conseguenza di questa ignoranza tengono in poco conto gli
Italiani, tanto più che scarsi assai sono i nostri connazionali stabiliti
nell’isola. Quando io era laggiù, mi assicurarono che ve ne erano un migliaio
circa, ma il solo documento ufficiale che allora si poteva invocare in
proposito (il censimento del 1899) riduceva questo numero, già piccolo, alla
metà. Tolti alcuni professionisti e qualche commerciante, in generale erano
povera gente, tra cui predominavano, i merciai ambulanti ed i figurinai
lucchesi, onde i Cubani si sono formati il concetto che il nostro è un paese di
affamati e che come cavallette si riverserebbero sull’isola se ce ne aprissero
le porte. Non sarebbe difficile rettificare queste idee e dimostrare i grandi
vantaggi che potrebbe ritrarre l'isola dal lavoro dei nostri concittadini; ma
forse gli Americani stessi ci ostacolerebbero, perché essi hanno invece
interesse a che una forte corrente di immigrazione italiana si avvii verso i
loro Stati del Sud. Quindi, per quanto Cuba possa presentare dei vantaggi per
la nostra immigrazione, e per quanto, grazie al trattato di commercio, potremmo
ottenere tutto quanto ad altri fosse concesso, ho molte ragioni per dire che non
abbiamo convenienza ad avviare colà i nostri emigranti.
Ed
invero attualmente i coloni hanno paghe assai basse rispetto al costo generale
della vita nell'isola stessa, ed un vitto che non si confá alla nostra gente.
Perché l’immigrazione potesse risultare utile agli emigranti agricoli ed
all'isola, bisognerebbe fare a quelli distribuzione di terre e facilitazioni
analoghe a quelle, per esempio, che mi propose più tardi il Governatore della
Guyana Olandese; ma per ottenere ciò, avremmo dovuto essere pregati di andare.
Nelle condizioni attuali invece gli emigranti sarebbero unicamente sfruttati a
vanta degli ingordi proprietari, ed io saprei appena indicare l'isola a qualche
professionista che cerca lavoro all'estero, e specialmente agli ingegneri che
hanno fatto studi relativi alla fabbricazione dello zucchero. Più vantaggioso
invece sarebbe mirare al commercio dell'isola, ed a questo proposito fornisco
alcune notizie sulle sue condizioni economiche, e comincio col ricordare che il
bilancio preventivo pel 1903-04, compresi i nuovi lavori pubblici, supponeva:
Entrate . . . . doll. 18.899.500; Spese . . . . . . . . . .doll. 17.,924.013.
Delle
terre disponibili (900.000 caballerie; una caballeria è uguale a 151.000 mq.),
meno della metà (400.000 caballerie) è coltivata; e secondo la relazione della
Segreteria dì agricoltura, industria e commercio, nel 1903 erano in lavoro 160
zuccherifici […] (pp. 53-54).
Da
queste ultime cifre si deducono, per ciò che riguarda l’Italia (la quale
rappresenta il 3% degli affari), considerazioni analoghe a quelle fatte per le
altre isole; ma si deve osservare che i pochi viaggiatori di commercio, mandati
dalle nostre Case, fecero, in generale, buoni affari, perché il mercato è assai
adatto alle nostre produzioni. Né si può opporre che gli Americani cercheranno
di assorbire tutto il commercio, perché vi sono cose che essi non producono o
non hanno convenienza ad esportare, e l'Inghilterra (il 17% degli affari), la
Francia (il 6%) e la Germania (il 6.4%) fanno ogni sforzo per cercare di
occupare il posto lasciato dalla Spagna. Noi potremo fare loro concorrenza
almeno con le merci altre volte da me citate, e con un poco di abilità e di
lavoro potremmo impedire lo sconcio che le merci italiane arrivino qui da porti
esteri. Ma per fare ciò occorrerebbero delle linee di navigazione e queste
potrebbero facilmente stabilirsi, perché ricaverebbero profitti anche nel
grande movimento passeggeri ricchi che vanno a passare l'estate in Europa. Per
quanto i Cubani conoscano poco l'Italia, non ignorano però che essa possiede
grandi bellezze naturali ed innumerevoli e gloriose maraviglie, e desiderano
visitarla, almeno per soddisfare la moda. Se, quindi, ci fosse qui una linea
nostra di grandi vapori, comodi, veloci ed a due eliche, un buon numero di essi
ne profitterebbe, perché i nostri vapori hanno buona fama. Cosi le loro visite
all'Italia avverrebbero più spesso e più facilmente, molte lagnanze sarebbero
sanate ed il nostro paese sarebbe meglio conosciuto ed apprezzato.
***
La
prima parte dell’isola che vidi fu la costa intorno a Santiago che, come dissi,
è coronata da montagne alte, scoscese e verdi per folti boschi.
Un
buon punto di riconoscimento a levante di Santiago è la piccola insenatura di
Daiquiri, bene individuata da un molo di ferro, al quale, quando il tempo lo
permette, accostano i vapori per imbarcare il minerale di ferro che vi arriva
da una vicina miniera. L'entrata poi del porto è situata 13 miglia più a
ponente ed è riconoscibile pel promontorio scosceso che sorge a levante di
essa, sormontato dalle vecchie costruzioni dei Castello spagnolo del Morro, da
un albero da segnali e dal fanale. Le colline invece, che sono a ponente
dell'entrata stessa, hanno un declivio più dolce, e degradano verso di essa.
Mentre
mi avvicinavo, il tempo era magnifico ed i primi raggi del sole nascente
indoravano la nuova bandiera cubana sventolante sul Castello del Morro, mentre
la massa nera e pesante di questo rimaneva ancora nell'ombra e mi parve che
quel contrasto tra la luce le tenebre simboleggiasse il contrasto tra il
presente ed il passato e facesse apparire la piccola bandiera rappresentante il
paese e risplendente nella gloria del sole, come un aquilotto che provasse le
giovani ali agli alti voli.
Ma
tosto verso ponente, sulla spiaggia solitaria e selvaggia, scopersi un'informe
carcassa abbandonata senza sepoltura all’ira dell'Oceano ed alla rapacità degli
uomini che ne avevano strappato, con meschino lucro, i pochi ornamenti di
qualche valore. Ed una grande pietà si fece nell’animo mio, perché quelli erano
i resti di una delle corazzate spagnole, l’Almirante Oquedo", e poiché il
sole già alto aveva fatto sparire i contrasti, eguagliando nella sua luce
benefica tutte le cose, sentii come quella carcassa di nave, abbandonata al
dileggio, forse legata come un enorme peso ai piedi dell’aquilotto, splendente
là su, e ne fermasse il volo.
Più
tardi, dissi ad un cubano, assai influente in politica di quella grande pietà,
ed egli mi promise che avrebbe :pensato a far cessare quello sconcio, ma lo
fece per pura cortesia, perché mi parve non afferrasse il mio sentimento e
rimanesse attonito come chi sente le parole di una lingua nuova. E così pure
non riuscii mai a strappare ad un cubano un racconto vivo e palpitante della
guerra svoltasi nelle sue terre tra Spagna ed America, ed ebbi l'impressione
che essi fossero stati spettatori anziché gli attori e gli ispiratori del
grande dramma, che ebbe il suo epilogo presso Santiago, sotto l'albero della
pace, dove si firmarono i patti che assicuravano a Cuba la libertà.
Dovetti
perciò ricorrere agli stranieri per avere le notizie che cercavo, e che
confermavano il mio concetto di non essere state cioè anche le operazioni degli
Americani scevre di errori. E’ notevole invero che le mura del Morro ed i due
cannoni tolti dalla " Reina Mercedes ", e sistemati su di una collina
di Caie Smith per battere di infilata il passo di Santiago, siano rimasti
incolumi nonostante le migliaia di colpi che gli Americani spararono contro dì
essi. Pare anche provato che una notte gli Americani cannoneggiassero le
proprie torpediniere, onde si disse che se Cervera fosse uscito di notte
coperto da un attacco delle siluranti, grandi danni avrebbe potuto arrecare al
nemico, e salvare qualcuna delle sue navi . Altri sostenne invece che uscì di
giorno, perché a quell’ora il blocco si rallentava molto: ma perché seguitare a
discutere, a fare ipotesi e ad inacerbire i vinti? A me piace pensare che
l’Ammiraglio Cervera, giudicando la sua squadra irrimediabilmente perduta, volle,
memore dell’antica grandezza, avere un bel gesto da eroe ed andare a morire in
pieno sole e con tutte le bandiere spiegate, nel grande mare infinito che aveva
visto passare la gloria di Spagna. Pace dunque e non guai ai vinti!…
Questi
pensieri si affollavano alla mia mente mentre mi avvicinavo al passo. Angista
assai è la sua entrata e con mare grosso è pericolosa perché bisogna
randeggiare la base del Morro, e vi è un momento in cui mentre la prora resta
al ridosso e la poppa è ancora
colpita dai marosi, la nave deve manovrare. I secchi però sono ben segnati e si
trovano sempre piloti dall'alba alle 22; ma anche dopo quest’ora facendo gli
opportuni segnali od anche sparando un colpo di cannone, una nave da guerra può
sperare d’averne uno dopo una certa attesa.
Mentre
imboccavo il passo ebbi a domandarmi come mai il Merimac non riuscisse nella
sua impresa, perché, arrivato fin là, gli bastava mettere il timone alla banda
per incagliare nel secco Diamond e chiudere l'entrata. Esso invece affondò
molto più in dietro e per far ciò dovette manovrare bene per girare il secco
ora nominato vare presso punta Churruca, ossia fin quasi a Caie Smith dove,
come ho accennato, gli Spagnoli costruirono una batteria con due cannoni della
Reina Mercedes e che vidi, passando, intatti al loro posto.
Dopo
Caie Smith il bacino si allarga, ma il canale seguita sempre tortuoso e
difficile, finché non si arriva nelle acque dell’ampio magnifico porto, dove le
navi possono stare al sicuro di ogni cattivo tempo. E poiché le campagne
intorno cominciano a riacquistare la loro floridezza, e molti zuccherifici
hanno ripreso il lavoro e le miniere vicino al paese tornano ad essere
sfruttate, si nota nel porto stesso abbastanza movimento (10 a 15 vapori al
mese).
Le
navi portano mercanzie generali, perché non essendovi industrie in paese, si
importa tutto quello che occorre alla vita, ed esportano zucchero, caffè,
cacao, tabacco, ferro e rame. A proposito di questi ultimi prodotti sarà bene
ricordare che la provincia di Santiago è quella che ha più ricchezze minerarie
ed è anche in essa che si trovano le miniere in maggior lavorazione, e cioè
quelle di Daiquiri e di Firmezo (di ferro), quella di Pompo (manganese) e
quella di Cobre (rame, come dice il nome).
I
grossi vapori fanno le loro operazioni in rada. ma per i minori parecchi moli
in legno ai quali possono accostare, ed altri moli sono sistemati dove sboccano
le strade delle vicine miniere. La città poi offre il mezzo di rifornirsi
discretamente, eccetto per ciò che riguarda il carbone che è poco e cattivo.
L'acqua arriva presso la banchina con apposita conduttura ma è fangosa e deve
essere filtrata.
La
provincia di Santiago ha un complesso di 327.716 abitanti di cui 45.478 vivono
nella città dello stesso nome. Questa è addossata in gran pate ad una graziosa
collina, ha bell’aspetto, e la prima volta che vi giunsi la trovai assai
pulita. Qualche mese dopo però mi parve, tornandoci, che le cose fossero
peggiorate e benché i cittadini ne incolpassero i cicloni ed i cattivi tempi,
gli Stati Uniti, come in seguito appresi, fecero un'osservazione in proposito
al Governo di Cuba, avvantaggiandosi dei diritti che loro concede la
convenzione sopracitata. E fecero bene, perché nell'estate il caldo è
soffocante, e se si tralasciassero le necessarie cure, presto la febbre gialla
e le altre malattie epidemiche ritornerebbero.
Risiedono
in questa città e nella provincia circa 42 secondo il censimento del 1899; ma
secondo il Console dovrebbero essere di meno. In maggioranza sono venditori
ambulanti; qualcuno lavora nelle miniere, uno ha una drogheria, due o tre sono
orefici e gioiellieri, due si occupano dell'importazione del bestiame della
vicina Haiti, due sono ingegneri.
Il
commercio nostro, però, è qui, come già accennai, assai limitato perché non vi
sono comunicazioni con l'Italia e raramente vi capita qualche nave mercantile
nostra, ma un poco di pasta, di vino, di confetti, di tessuti, di cappelli e di
ombrelli vi arrivano e sarebbe facile migliorare le cose.
Da
Santiago mi recai all'Avana (dal 27 al 3 luglio, miglia 758). Questa città non
è solo la capitale politica dell'isola, ma anche la sua capitale morale, e
l'indice delle sue condizioni generali; essa quindi è stata più delle altre
curata e più delle altre ha risentito gli utili effetti delle mutate condizioni
politiche. La prosperità comincia a tornare, perciò l'Avana si è molto
abbellita e giornalmente aumentano le comodità, gli agi ed i mezzi di
trasporto. È bene illuminata a luce elettrica, ha un comodo servizio di trams
elettrici, conta 242.000 abitanti e possiede tutte le qualità di una grande
città, ma la vita vi è enormemente cara.
Notevoli
poi sono ora diventati l'ordine e la pulizia che vi regnano e, giova notarlo,
non pare quasi vero che in un così poco tempo si sia ottenuta una simile
trasformazione. Ciò ha condotto anche al risanamento igienico, e la città,
quando io la visitai, da un pezzo non offriva più il terribile flagello della
febbre gialla.
Vi
sono molte istituzioni di carità ed associazioni di beneficenza, tra cui una
spagnola molto notevo1e, che possiede un forte capitale e molti soci. Gli
Italiani volevano costituire un’Associazione di questo genere, ma, essendo
troppo pochi per riuscirvi, molto più opportunamente si sono aggregati alla
società spagnola ed hanno organizzato un piccolo circolo che serve a riunirli e
ad affratellarli tra loro.
Il
porto è bello, ha i secchi dell'entrata ben segnati, ed offre comodo e sicuro
ancoraggio per molte navi. Vi sono parecchie boe d'ormeggio, di cui le migliori
sono riservate alle navi da guerra, e conviene sempre approfittarne, quando
sono disponibili.
In
complesso, dunque, il progresso è sensibile, e per fare apparire le nuove
condizioni economiche della città credo opportuno dare qui un riassunto (in
dollari) degli introiti doganali del suo porto, a cominciare dagli ultimi anni
del governo spagnolo fino, al 1904; ma per intender bene il significato del
riassunto stesso importa tener presente che:
1°.
Precedentemente alla guerra l’isola aveva maggior ricchezza e più abitanti;
inoltre i negozianti, prevedendo le complicazioni, fecero grandi provviste dì
merci. Finita la guerra il commercio risentì le fluttuazioni del periodo
transitorio, e solamente verso il 1903 gli affari cominciarono a pigliare un
assetto regolare.
2°.
Nel 1891 fu conchiuso il trattato dì reciprocità ispano-americano che restò in
vigore fino al 1894.
3°.
Dal maggio al luglio 1898 l'Avana fu bloccata dagli Americani.
4°.
Negli ultimi due mesi del 1898 pare, ripeto non affermo, si verificassero le
maggiori irregolarità nella Dogana, ed invero le entrate diminuirono molto,
sebbene l'importazione crescesse sensibilmente.
5°.
Il 1° gennaio 1899 cominciò a funzionare la Dogana sotto l'amministrazione
degli Stati Uniti.
6°.
Il 1° aprile 1899 furono aboliti i diritti di esportazione a vantaggio
dell'agricoltura.
7°.
Il 20 maggio 1902 cominciò a funzionare la Dogana sotto il governo locale.
8°.
Il 1° novembre 1903 si cominciò ad esigere la nuova imposta per estinguere il
debito di 35 milioni di dollari destinato all’esercito liberatore.
9°.
Il 27 dicembre 1903 andò in vigore il trattato di reciprocità fra gli Stati
Uniti ed il governo della Repubblica di Cuba.
10°.
Nel 1898 le entrate raggiunsero il minimo, nel giugno 1904 raggiunsero il
massimo, tra gli anni che qui .si considerano.
[…]
(p. 60)
Anche
le condizioni industriali del porto sono migliorate gli Spagnuoli ci tenevano
un buon bacino galleggiante, capace di grosse navi, gli Americani lo portarono
a Pensacola (vi è entrato il "Dogali" nel 1905); ma l'industria
privata lo ha sostittito con uno quasi simile ed ha anche approntata
un'officina di riparazione.
Una
delle cose che prima colpiscono chi arriva all’Avana sono i resti del
"Maine", e mi prese naturale curiosità di andarli a visitare. Se il
mio giudizio non falla, il disastro fu prodotto da una esplosione interna, ed
invero senza questa ipotesi io non saprei spiegarmi come il ponte superiore
della nave si sia in parte piegato rovesciandosi su se stesso. Sono quindi
indotto ad accettare la spiegazione degli Spagnoli, anziché quella degli
Americani.
La
colonia italiana nella provincia di Avana comprende circa 334 individui: alcuni
professionisti, parecchi dedicati al commercio (tra cui molti merciai
ambulanti), il resto operai. Sono tutti in generale solerti, laboriosi e
stimati, ma non hanno fortune rilevanti.
GIAMAICA
Lasciai
l’Avana per recarmi a Kingston (8 a 12c agosto, 770 miglia), capitale dell'isola
di Giamaica. Questo nome nella vecchia lingua nativa significa: "terra
fertile, alta, boscosa, ed irrigata da molte acque", e queste sono le
caratteristiche dell'isola.
Una
catena di montagne, i cui punti più elevati si trovano verso oriente (Blue
Mountains, con altezza massima di 7300 piedi) la percorre da est ad ovest, ed
altre catene secondarie si staccano da essa, onde assai vario ed accidentato
risulta il terreno. E’ possibile quindi trovare nell’isola le temperature più
varie fino ad un minimo di 6° C., se ne è tratto profitto per costruire nelle
montagne delle case e degli alberghi che sono veri sanatori.
I
numerosi fiumicelli che scendono dai monti corrono principalmente da nord a
sud, sono abbelliti da cascate, e riescono assai utili all’agricoltura; vi sono
pure sorgenti di acque termali e minerali a cui si assegna un certo valore.
L’isola,
con una lunghezza di 144 miglia ed una larghezza massima di 49 miglia, ha una
superficie di 4207 miglia quadrate, di cui buona parte è coltivabile, ma ora
sono in lavoro solamente 644 miglia quadrate. Vi sono anche miniere di ferro,
rame, piombo, manganese, cobalto, ecc.; ma fatta eccezione della provincia di
Santa Clara. non danno, per ora almeno, risultati incoraggianti per la loro
industria isola
La
nuova popolazione dell'isola (al soliti i primitivi abitanti sono spariti) andò
sempre crescendo come qui appare […]
La
maggioranza è gente di colore, tra la quale, oltre i neri, bisogna comprendere
i coolies. L’immigrazione di questi ultimi cominciò quando cessò la tratta
(1845), e finora ne sono arrivati 28.418, ma tenuto conto dei rimpatri e delle
morti, ne restano 12.000.
Per
le solite ragioni che già enumerai, anche questa non è terra adatta alla nostra
immigrazione, e fortunatamente si può dire che Italiani quasi non ce ne sono.
Ed invero a Kingston, per quanto potetti sapere, non v'era che un vecchio
orologiaio ed un figurinaio.
Le
condizioni economiche dell’isola sono messe in rilievo dagli specchi seguenti:
[…] (pp. 61-62).
Una
buona strada circonda l’isola, e da vari suoi punti partono diramazioni che
stabiliscono le comunicazioni tra il nord ed il Sud; vi sono inoltre 1100
miglia di strade secondarie, e le linee ferroviarie da Kingston a Montego-Bay
(112 miglia), da Kingston a Porto Antonio (75 miglia) da Kingston ad Ewaston
(29 miglia).
***
Il
commercio dell’isola si svolge principalmente a Kingston. Questa città che ora
il terremoto ha devastato, è edificata in un’insenatura della costa sud, aveva
46.542 abitanti, era ricca ed importante, ed offriva alle navi il mezzo di
procurarsi ogni sorta di provviste ed anche buon carbone.
Costruita
quasi tutta in piano ha le strade ad angolo retto, trams e luce elettrica,
un’importante Società per l’incremento dell’agricoltura, molte istituzioni di
beneficenza, buoni clubs, case bancarie, due giornali, alcune riviste e molte
scuole. Il suo porto è sicuro, ma i venti, (non il mare) meridionali vi
arrivano, perché dalla parte sud è chiuso da una lunga, sottile ma bassa
striscia di terra (Palisadoes) che in qualche punto sembra quasi una diga
artificiale. Innanzi al Palisadoes si estendono molti banchi, che concorrono a
facilitare la difesa del porto tanto nel senso marinaresco che in quello
militare, e che lasciano due passi di approdo, l’uno nel senso sud-nord, l’altro
di est-ovest. Entrambi sono ben segnati da boe e segnali, e conducono
all’estremità ovest del Palisadoes o nel punto ove sorge Port.Royal.
Questa
città era molto importante prima del terremoto del 1692, tanto che si
considerava come la più bella delle Indie Occidentali, ed era rinomata per le
ricchezze che vi avevano accumulato i filibustieri. Si tentò di ricostruirla
dopo il disastro, ma fu di nuovo mezza distrutta nel 1722 da un uragano e nel
1816 da un incendio. Ora si può dire che non vi è altro che l’arsenale di
riparazione della marina inglese, un ospedale militare, la residenza del
commodoro, comandante la piazza, le caserme, e nelle vicinanze i forti, da cui
dipende tutto un sistema di difesa subacqueo.
Tra
Port Royal e Kingston, al di dentro del Palisandoes, vi sono degli altri banchi
ed il canale di comunicazione, molto stretto per una buona parte, è anch’esso
individuato da segnali, ma non si può fare molto assegnamento di trovarli
sempre tutti a posto.
***
Da
Kingston tornai a Santiago (dal 21 al 22 agosto, miglia 185) ed all'Avana (dal
9 al 13 agosto) e di qua ritornai a Santiago, (dal 27 settembre al 1° ottobre),
per proseguire poi (18 ottobre) per Trinidad.
Nell'ultima
traversata dall'Avana a Santiago ebbi a sperimentare una notevole depressione
barometrica che per altri 16 giorni si manifestò nel mare Caraibico.
A
questo proposito rammenterò che lasciai l'Avana nel forte della stagione degli
uragani, ma le apparenze del tempo alla partenza erano abbastanza buone, perché
pure essendo da un paio di giorni il barometro un poco basso, anche secondo le
opinioni dei meteorologi dei collegio di Belen (Avana) e del Weather Bureaui,
la variazione non era tale da preoccupare e le notizie generali erano buone.
Importante invece era la scelta della rotta ed a me parve conveniente di farla
in base alle leggi degli uragani delle Antille, dedotte dal padre Vinas ed ora
accettate e verificate dal Weather Bureau e da tutti i marini che frequentano
questi mari. Secondo le dette leggi, nella prima decade di ottobre gli uragani
delle Indie Occidentali seguono una rotta media che, partendo da Barbados,
tangenzia l'isola di Giamaica (costa Nord) e il Capo Sant'Antonio, e la zona
pericolosa comprende il canale di Bahama, tutta Cuba e Giarnaica fino a 100
miglia al Sud di quest'ultima. In base a ciò, e tenuto conto che un temporale
diretto verso il canale di Yucatàn è avvisato all'Avana almeno 48 ore prima, ne
segue che una nave la quale lasci quel porto con tempo buono, ha quasi sempre
la certezza di superare in buone condizioni il passo di Yucatan e di arrivare
sempre con tempo bello 200 miglia più al Sud, od a Ponente di Pedro Bank, e far
rotta per Trinidad o per il Sud America, mantenendosi sulla zona libera dai
cicloni. Ma se per economia o per costruzione non può correre molto, le rimarrà
in generale la possibilità di raggiungere in tempo utile, se ha indizio di un
uragano, i porti di Cienfuegos, Santiago o Kingston.
La
rotta invece lungo la costa settentrionale di Cuba, mentre è scartata da molti
per la rapidità delle correnti, che diventano pericolose nella nebbia di un
uragano, ha l'inconveniente di mantenere una nave, diretta al Sud fino al passo
tra Barbados e Trinidad, ossia per tutta la traversata del mar Caraibico non
solamente nella zona degli uragani tropicali, ma anche per oltre miglia 700 in
quella degli uragani che si formano al Nord del mare Caraibico stesso. E
naturalmente il detto canale non è raccomandabile neanche per chi dal Sud di
Cuba o di Giamaica si dirige all'Avana, non soltanto per le ragioni anzidette,
ma perché il guadagno derivante dalla minor distanza si perde in causa della
forte corrente contraria. E, a proposito di corrente, è opportuno aggiungere
un'osservazione che ho avuto occasione di fare all'ovest di Cuba. I portolani
accennano alla possibilità, in certe condizioni speciali, di una
controcorrente. meridionale tra la detta isola ed i Caimani, ma io ho sempre
trovato debole la grande corrente a Nord-Ovest e la controcorrente l'ho
incontrata da Giamaica a Capo Sant'Antonio, mentre le condizioni indicate dai
portolani non erano verificate. Ritengo perciò che:
a)
nell'epoca sopracitata, la rotta più sicura per una nave che dall'Avana si
dirige al Sud dei mare Caraibico, è quella a Ovest di Cuba, mantenendosi vicino
a quest'ultima;
b)
in ogni caso, una nave diretta dal Sud dei mare Caraibico verso il canale di
Yucatan farà bene a tenersi largo da Cuba ed a passare anche ad Ovest dei
Caimani, se presso Giamaica osserva degli indizi della controcorrente.
Ciò
premesso dirò che, camminando io a velocità economica, ebbi tempo discreto
nella traversata iniziata il 27 settembre, di cui sopra ho cominciato a
parlare, fino al Sud dell'isola di Pinos, ma nella notte del 29 settembre il
barometro cominciò ad abbassarsi ed il vento si stabilì da Est a Nord-Est con
abbastanza forza. Il giorno seguente l'abbassamento del barometro si accentuò
sempre, più, le sue oscillazioni diurne divennero meno ampie, il mare ed il
vento crebbero ed il cielo assunse un aspetto minaccioso. Nella notte del 30,
oltre il mare levato dal vento, si manifestò una onda (onda di fondo, come si
chiama qui) proveniente da S.S.O. ed i piovaschi diventarono forti e spessi. La
vicinanza quindi di un uragano apparve evidente e cercai subito di precisare il
lato in cui mi trovavo. Lo studio generale di tale argomento mi aveva già
appreso un principio molto semplice, che non ho mai visto citato nei trattati
di manovra, ma che può essere utile in molte circostanze e che nel caso attuale
mi permetteva dì seguitare a far cammino, pur osservando con regolarità ed
anche con più speditezza le variazioni del vento. Ma questo si manteneva
costante in direzione, quindi ad un primo esame si poteva supporre che fossimo
sulla traccia dei centro del temporale. Però nella regione in cui mi trovavo, l'uragano
doveva avanzare verso di noi, in conseguenza il barometro avrebbe dovuto
precipitare mentre scendeva solamente con lentezza e l'onda avrebbe dovuto
provenire da un rombo intorno a S.E, invece che da O.S.O; quindi, dedussi con
certezza che io mi trovavo dal lato diritto dell'uragano, e propriamente in
quella zona che alcune volte si manifesta e nella quale la circolazione del
vento non acquista la forma circolare ordinaria, ma l'aliseo conserva la sua
direzione costante salvo ad acquistare violenza temporalesca. Mi ero quindi
incontrato in quel caso che gli autori chiamano dubbio e che può dar luogo a
dannosi errori, perché, se una nave giudica erroneamente di essere sulla rotta
del centro e poggia, si va a cacciare nel pieno dell'uragano. Gli autori stessi
non studiano abbastanza, mentre dovrebbero farlo, questa circostanza,
contentandosi solamente di additarla ai naviganti.
Nel
caso mio, chiarito il dubbio, ed avendo usato anche la precauzione di restare
qualche ora alla cappa, conclusi che non era opportuno di poggiare a
Cienfuegos, perché l’onda ciclonica doveva averne quasi bloccata l'entrata, ma
che invece, facendo rotta verso levante, mi sarei allontanato dal temporale.
Così infatti feci e le mie previsioni si verificarono, il barometro cominciò a
salire ed il 1° ottobre penetrai nel canale fra Giamaica e Cuba con tempo
rimesso. Ma nel corso della giornata la colonna barometrica cominciò nuovamente
a discendere e nelle ore pomeridiane restò stazionaria con apparenza di non
voler risalire nell’ora del massimo, mentre una bianca piuma di cirri si levava
verso levante. Dovetti quindi giudicare, ed in seguito mi convinsi di aver
ragione, che mi ero allontanato da una perturbazione, ma mi avvicinavo ad
un'altra, e che era perciò importante raggiungere il ridosso dell'ottimo porto
di Santiago prima che il mare levato dalle prime raffiche ne avesse resa
pericolosa la stretta entrata. Aumentai perciò dì velocitàe nella notta ancorai
a Santiago.
L'indomani
chiesi subito notizie all’Osservatorio del Collegio di Belem, all'Avana, e mi
fu risposto che effettivamente una perturbazione (qui chiamano perturbazioni
gli uragani in formazione) si era formata presso i Caimani, che molto mare si
era levato a Cienfuegos e che un'insolita depressione si estendeva su tutto il
mare delle Antille. Nessuna notizia però si aveva di una perturbazione a
levante di Cuba, ma in seguito seppi che erano interrotte le comunicazioni con
San Domingo e quindi mancavano ì dati in proposito.
Il
barometro nei giorni seguenti ebbe sempre un andamento irregolare ed il 10
ottobre l'Osservatorio del Collegio di Belem segnalò la formazione di un
temporale in prossimità di Giamaica., mentre da questa isola telegrafavano
"tempo sospetto". Il barometro seguitò a scendere da per tutto e mi
parve chiaro ormai che la inusitata ed estesa depressione dava ed avrebbe
seguitato a dar luogo a molti temporali locali, finché una perturbazione
predominante non avesse vinte quelle parziali, e, traversando tutta la zona
depressa, ne avesse ristabilito l'equilibrio. Infatti il giorno 12, mentre il
Collegio di Belem telegrafava che la perturbazione sopraddetta era giunta al
piccolo Caimano, da Washington giungeva un altro telegramma annunziante una
grande perturbazione presso San Domingo, e da Nuova York si segnalava un
uragano presso l'Honduras. Così dopo parecchi giorni si ripeterono delle
condizioni meteorologiche analoghe a quelle da me osservate il 30 settembre, ma
più gravi, perché questa volta contemporaneamente si manifestarono tre
temporali. Di quello di Honduras non ho notizie precise, quello presso i,
Caimani si risolse senza svolgere la sua traiettoria, ma devesi ritenere che entrambi
esercitarono influenza su quello di San Domingo, perché quest'ultimo ebbe forse
una traiettoria irregolare, ed, a mio giudizio, una velocità troppo piccola.
Infatti esso passò su Cuba solamente il 17 e traversò le provincie dì Porto
Principe e Santa Clara, producendo molti danni.
Intanto
tutti i vapori ancorati a Santiago avevano sospesa la partenza ed è bene
ricordare anche che due altri ì quali furono costretti ad entrare durante il
temporale, penarono molto. Uno dovette aspettare tutta una notte alla cappa e
l'altro poco mancò non si perdesse nell'imboccare la stretta entrata. Passato
(il 17) il temporale ad Ovest di Santiago, il mare andò calmandosi e perciò le
navi, compresa la mia, presero il largo.
A
questo punto devo manifestare tutta la mia ammirazione per l'organizzazione
veramente grandiosa del servizio meteorologico dell'Ufficio Centrale di
Washington, ed anche quella più modesta, ma molto intelligente, del Collegio
Belem dell’Avana. Devo anzi dire che a Santiago quest'ultimo è molto popolare
ed il console inglese ivi residente, signor Mason (cortesissima persona che fa
da osservatore), è sempre occupato coi capitani mercantili che chiedono
notizie. E queste notizie provengano da Belem o siano quelle più complete di
Washington, sono sempre preziose. Grazie a molte cure ed alle dette notizie, ho
potuto evitare due cicloni, traversare il mare delle Antille diverse volte
nella stagione più forte degli uragani con relativa sicurezza, e si deve
ritenere che una nave a vapore può spesso fare lo stesso, onde per opera dei
detti Osservatori il mare delle Antille, cosi battuto dai temporali, è reso
meno pericoloso.
Giudico
quindi il Weather Bureau una delle più pregevoli istituzioni moderne, tanto più
che, oltre ai naviganti, rende anche grandi servigi agl’ingegneri, agli
agricoltori ed ai malati e durante la guerra fu di molta utilità alla squadra
americana. Ritengo quindi sia di grande interesse per chi viene in questi mari
di mettersi fin dal primo porto di approdo in relazione cogli osservatori sopra
citati, cosa tanto più facile in quanto che non costa spesa.
Utilissimo
è anche lo studio delle sapienti memorie Vinas che credo poco sparse fra di
noi. E a questo proposito devo anche ricordare che ho visto un grandissimo
numero di opuscoli inglesi e nord-americani, in cui sono raccolte, sotto forme
semplici e piane, le principali norme sui cicloni, specialmente nell’interesse
dei capitani dei velieri mercantili, che non hanno il modo e la preparazione
per fare uno studio profondo di questo importante argomento. A me pare quindi
che sarebbe utile e necessaria una simile pubblicazione italiana e che
converrebbe distribuirla gratuitamente ai capitani mercantili.
***
Lasciato
Santiago trovai tempo bello, come era da prevedere, tanto più che nella terza
decade di ottobre gli uragani non vengono più dall'Oceano, ma si formano nel
mar Caraibico, a ponente di Curacao.
In
vicinanza di Trinidad sperimentai una corrente molto forte verso N 0., ma
grazie a buone serie di osservazioni, specialmente di notte atterrai con grande
esattezza e, penetrando nel golfo di Paria per la bocca di Navios, mi ancorai a
Port of Spain il mattino del 23.
Restai
nel golfo di Paria fino al 20 novembre, ma nel frattempo feci una corsa a
Macuro (28 ottobre) per studiare (29 e 30 ottobre) quel porto, ed a La Brea (30
ottobre) per visitare il famoso lago di asfalto.
TRINIDAD
L'isola
di Trinidad, con una superficie di 1754 miglia quadrate ed una popolazione di
225,149 abitanti, è ricca e fertile: produce, principalmente zucchero, caffè,
cacao, cocchi, , asfalto; ha stabilimenti per l'estrazione dello zucchero,
dell'olio di cocco, e forse possiede carbone ed oli minerali; ma importa, al
solito, tutto quello che occorre alla vita.
La
sua capitale, Port of Spain, è una delle principali, se non la principale, città delle Indie Occidentali
inglesi: ha clubs ed associazioni sportive notevoli; parecchie società di
beneficenza; banche; molte scuole; otto riviste; fabbriche di ghiaccio, di
sapone, di fiammiferi, di sigari, di sigarette, di cioccolata (poco buona però)
e di paste; trams e luce elettrica. Le navi vi si possono assai ben rifornire,
fatta eccezione al solito per il carbone perché questo è di qualità assai
scadente, tanto che mi decisi, e ne fui contento, ad acquistare mattonelle
(marca corona).
L’acqua
(ripeto che mi servivo di quella di terra solamente per la macchina e le
lavande) si ha dal Governo a relativo buon mercato, se si manda a farla con le
proprie lance, ed intendendosi con la Capitaneria si può avere a tutte le ore.
Finalmente
è anche possibile fare qualche riparazione e presto grazie all’opera
intelligente dei governatore, vi sarà un grosso bacino che accrescerà di molto
l’importanza del porto.
L’isola
ha buone strade ed anche delle piccole linee di ferrovia che partendo da Port of
Spain vanno a Sangra Grande (25 miglia), a San Fernando (35 miglia), a
Tabaquite (15 miglia di diramazione dalla linea precedente) ed a Prince Town
(10 miglia di diramazione come sopra). Gli ufficiali esteri con la semplice
esibizione della loro carta da visita sono ammessi gratis su queste linee.
L'isola
ha terre accidentate e belle montagne, onde sarebbe facile preparare delle
località per godere un po' di fresco durante i mesi caldi, umidi e debilitanti
dell'estate, ma nulla è stato fatto in proposito, non ostante che in città si
siano spesi dei danari e non pochi per preparare luoghi adatti ad ogni specie
di sport. Ciò mi meravigliò, ma mi dissero che i ricchi preferivano andare a
cercare il fresco in Europa e che gli altri si astengono da quel genere di
imprese per non avere noie dai neri.
Le
seguenti cifre dimostrano le condizioni economiche dell'isola di Trinidad: […]
(pp. 70-71).
Da
queste indicazioni si possono trarre le solite conseguenze circa il nostro
commercio; ma in questo caso sono più dolorose del solito, perché qui abbiamo
una linea di navigazione e spesso i nostri vapori sono carichi di pasta ed
altre merci di Francia che potremmo con facilità mandare anche noi. Basterebbe
occuparsene per vedere immediatamente crescere il nostro commercio, ed il
console di Francia m'indicava egli stesso le cose che avremmo potuto fare e mi
faceva notare che egli era riuscito a far crescere il commercio del suo paese
di oltre un terzo in meno di due anni.
Dai
numeri precedenti appare che l'asfalto è uno dei prodotti importanti dell’isola
e perciò il Pitch Lake, oltre ad essere una fonte di ricchezza, è anche una
delle sue curiosità.
Su
di una piccola collina, presso La Brea, si allarga un esteso piano (104 acri),
incorniciato da verdi alberi e da una piccola ferrovia, e tutto coperto da
materia nera sufficientemente compatta, tanto che vi si può camminare sopra, e
che costituisce l'asfalto. Numerosi operai ogni, giorno ne portano via grande
quantità e, mediante una ferrovia aerea, lo mandano fino al mare, dove è
versato direttamente nelle stive delle navi accostate ad un apposito molo. Ma i
fori scavati per l'estrazione presto si ricolmano da loro, cosicché il piano (o
il lago come sì chiama) sembra che non perda mai niente.
Vi
è anche in vicinanza dei lago una officina per distillare l'asfalto greggio ed
a poca distanza, verso San Ferdinando, altri piccoli laghi di asfalto, ma di
natura un po’ diversa.
Del
porto di Macuro o di Cristobal Colon a cui, ho accennato sopra farò la storia,
cosi come me la raccontarono sul posto, senza aggiungerci nulla di mio e senza
far commenti.
Il
Venezuela ha stabiliti enormi diritti d'importazione: sovente con nomi diversi,
ne fa pagare parecchi su un loro oggetto e come se ciò non bastasse, ora tutte
le merci sono gravate in più di una tassa del 30% del loro valore, definita col
pomposo nome di contribuzione di guerra, perché serve per pagare il debito
europeo. Data questa enorme fiscalità, e, tenuto conto delle condizioni locali,
il contrabbando si è stabilito su scala larghissima, e lo si esercita quasi
come un mestiere. Ciò non ostante, per facilitare, dicono, i traffici con
l'Europa, si è ricorso allo strano espediente di imporre un nuovo gravame,
ossia si è stabilito che tutte le merci provenienti dalle Antille debbano pagare
un altro 30% addizionale del loro valore . Fino al 1903 però era lecito
trasbordare dai transatlantici sulle navi locali, in qualsiasi porto delle
Antille, le merci provenienti dall’Europa e mandarle nel Venezuela in esenzione
della detta imposta, e di ciò si avvantaggiavano principalmente Curacao e
Trinidad, perché offrivano gli scali più opportuni per le navi che caricavano
merci pel Venezuela. Ma il generale Castro, quando trionfò nella rivoluzione,
soppresse la detta facilitazione perché, dicevano sul posto nelle località ora
menzionate si era rifuggita la maggior parte dei suoi avversari politici, e
perché in esse si sogliono preparare le rivoluzioni del Venezuela. Ma
ufficialmente si disse che quel provvedimento aveva lo scopo dì dare un gran
colpo al contrabbando, e per non obbligare i vapori che portavano merci pel
Venezuela e che facevano gli scali di Trinidad e Curacao a cambiare i loro
itinerari, e per facilitare le cose ed evitare inconvenienti si stabili di
aprire sulla costa venezuelana i porti di Macuro o Cristobal Colon e di Tucacas
che rispettivamente sono vicinissimi agli ora nominati ancoraggi
Che
io sappia, in Europa non si fece gran casso di queste novità, eppure esse
violavano recenti patti internazionali, perché le dogane dei porti venezuelani
impegnate per pagare il debito europeo, furono ben definite e coll’aprire di
nuovi porti non compresi nei patti, si diminuivano i proventi destinati ai
creditori. Non occorre parlare del porto molto infelice di Tucacas, quello di
Cristobal Cólon o Macuro è situato a ponente della Gran . Bocca del Drago e
propriamente a 4 miglia circa all'ovest dell'isola di Goose. Ha forma
semicircolare, è profondo circa mezzo miglio, è largo alla bocca poco più di un
miglio ed è rivolto a mezzogiorno. Terre alte e scoscese con poca o quasi
niente spiaggia lo circondano e un piccolo sperone partente dalle alte colline
che sorgono a tramontana, lo divide, in due insenature, note sotto il nome di
Macuro (quella a ponente e che dà nome a tutto il porto), e di Aricagua (quella
a levante). Più fonda e più grande è la Baia di Macuro, più piccola e più
quieta è quella di Aricagua, ma entrambe sono battute in pieno dal mare di
mezzogiorno, e perciò sono poco adatte a formare un porto commerciale, e
raramente potrà utilizzarsi il molo di sbarco che vogliono costruire in un
prolungamento dello sperone anzidetto. Inoltre una corrente di marea che giunge
fino a 5 miglia all'ora, domina innanzi alla baia, rendendone più disgraziate
le condizioni.
Avanzando
colle necessarie precauzioni ancorai in circa 10 m. di fondo tra le due punte
che chiudono la baia ed a poca distanza da terra. Il fondo, come poi verificai,
decresce regolarmente senza scogli o bassi fondi, cosicché una nave a vapore
che viene da ponente (come generalmente avverrà) può correre parallelamente
alla costa mantenendosi almeno un miglio da terra (se passa al nord dell'isola
di Goose) per evitare lo scoglio che è presso la punta di levante di detta baia
(è meglio però passare al sud dell'isola di Goose), e quando rileva l’estremo
ovest dello sperone sopracitato per circa 355° può dirigere per esso, tenendo
conto della corrente, ed andare a dar fondo nella profondità d'acqua
conveniente.
Tra
tutti i grandi lavori progettati, non trovai fatte che poche baracche coi
titoli pomposi di depositi della dogana, di casa dell'Amministratore, ecc., ed
i soli abitanti erano numerosi impiegati, alcuni ingegneri, 150 soldati, e
pochi neri. Ma con la instabilità solita delle cose del Venezuela, qualche mese
dopo la mia visita l'entusiasmo per Macuro era finito, e la Trinidad aveva di
nuovo ottenuto la facoltà di eseguire trasbordi pel Venezuela, senza il gravame
del famoso 30%.
L'ORENOCO
Quando
giunsi la prima volta a Trinidad cercai in tutti i modi di organizzare una
visita all'Orenoco, sperando di potermi spingere col "Dogali" fino a
Città dì Bolivar. A questo proposito importa tener presente che il fiume ha sei
bocche in un delta di 160 miglia, ma solamente la bocca meridionale (Bocca
Grande) è adatta per le navi.
La
piena avviene in agosto, e siccome la differenza rispetto alla secca è assai
notevole, in quell'epoca dentro la barra vi sarebbe fondo anche per grosse
navi. Ma poi l’acqua si abbassa con abbastanza rapidità, e verso la fine di
ottobre od ai primi di novembre nel passo di Panapana (uno dei più pericolosi
perchè il fondo è scoglio), difficilmente si trovano 18 piedi e presto si ha
ancora meno. Gli idrografi americani perciò raccomandano i mesi di agosto,
settembre ed ottobre come i più adatti per la navigazione del fiume colle navi,
ma è chiaro che conviene, per chi può scegliere il suo tempo, di profittare del
mese in cui il fiume sta per arrivare al massimo della piena, ma non l'ha
ancora raggiunta; onde una spedizione esplorativa, con nave come il
"Dogali", dovrebbe tentarsi tra gli ultimi giorni di luglio e la
prima metà d'agosto.
Una
delle difficoltà maggiori di una simile impresa consiste nella traversata della
barra che si estende davanti a Bocca Grande. Le coste, essendo molto basse si
vedono solamente quando si è molto vicini ad esse e si è già sulla barra,
quindi le buone osservazioni astronomiche, lo scandaglio e le grandi conoscenze
locali devono essere la guida della navigazione. Le variazioni di livello del
fiume non hanno influenza sensibile sulla barra in parola e la carta americana,
che è la più recente, dimostra che vi si può trovare un canale con un fondo
minimo di 16 piedi, salvo alcuni punti in cui ve ne sono solamente 15. Esso
canale non è diritto ed è facile cadere in fondali minori, e, benché vi siano
circa tre piedi dì differenza di marea, non si può fare assegnamento su tutta
questa differenza, perché la barra è estesa naturalmente conviene attaccarla a mezza
marea. Però la differenza di un piede o poco più non deve preoccupare molto se
il mare è calmo e se si riesce a tenersi dove il fondo è molle; ma solamente la
pratica può insegnare il modo di raggiungere questo ultimo scopo. In vero i
buoni piloti, basandosi sulla natura del fango, sanno dedurre la posizione
della nave e la rotta da seguire per evitare i punti di fondo duro; il loro
sussidio quindi è indispensabile a meno di accingersi a fare un lungo rilievo
idrografico.
Tutto
ciò fa dire ai pratici che per risalire il fiume con sicurezza non bisogna
avere un pescare maggiore di. 15 piedi da maggio a dicembre, e di 11negli altri
mesi, ma ritengono che in questi ultimi resi anche con 11 piedi sia pericoloso
il passaggio della barra con mare abbastanza grosso. E il mare grosso è tanto
più da evitare in quanto che, visto lo scarso studio fatto finora della
località, una nave grande, per naturale precauzione deve farsi precedere da una
imbarcazione che scandaglia. Così infatti fece il "Dolphin" ed
impiegò due giorni nella traversata della barra non ostante che fosse di
piccola dimensione ed avesse a bordo due piloti, e propriamente i soli due che,
in quel tempo, conoscessero la barra stessa.
Invero
è difficile assai di incontrare pratici che abbiano questa qualità, perché
quelli che fanno servizio da Bolivar ai vari punti della costa venezuelana sono
abituati a navi di poco pescare; ed i pratici del fiume che stanno sul.
battello fanale, ormeggiato dentro la barra, non vanno mai fuori di essa. A
prescindere da tutto ciò, le mie ricerche ed i miei studi m'avevano convinto
che anche con 16 piedi di pescare in acqua salata (o quasi 16.5 nell'acqua
spesso dolce della barra) si può tentare il passaggio di questa (benché finora
vi sieno state solamente navi di meno di 15 piedi), quindi per passare col
"Dogali" doveva:
1°
accaparrarmi il pilota che in quel momento conosceva la barra;
2°.
arrivare presso la barra con un tempo buono, per aver modo di scandagliarla
prima e durante il passaggio;
3°.
portare il pescare del bastimento da 18 a circa 16 piedi in acqua salata, ed
assicurarmi in antecedenza che nel Passo dì Panapana ci fosse acqua
sufficiente, perché ormai la stagione propizia anzidetta era passata.
Dopo
molte promesse di alcune persone di Trinidad, che si mostrarono di dubbia fede,
e che mi fecero perdere un tempo prezioso, mandai da Trinidad stessa un
ufficiale a Bolivar per cercare il pilota ed allora scoprii che per averlo ci
voleva il permesso del presidente della repubblica, ciò che rappresentava
un’altra perdita enorme di tempo. Ma l'ufficiale ora menzionato aveva un altro
incarico, quello cioè di scandagliare, come dissi, i passi più difficili e
specialmente quello di Panapana, perché sulle informazioni dei pratici di quei
luoghi bisogna fare un assegnamento relativo.
Egli
trovò tre braccia scarse in quello di Panapana e perciò dovetti convincermi che
la stagione era troppo inoltrata per tentare l'impresa, e che bisognava
rinunciarci, perché 1’acqua presto sarebbe scesa ancora. Ma per chi volesse
tentarla è bene seguitare a dire qualche cosa.
Circa
la seconda delle condizioni sopra dette non c'era fa far altro che profittare
di una giornata di bel tempo, accompagnato da buoni auspici, per partire da
Trinidad, ma in generale i1miglior tempo sulla barra si trova in agosto ed al
principio di settembre, però anche in luglio si può sperare di trovare mare
calmo.
Finalmente
per chi, come me, fosse costretto a diminuire il carico di carbone per ridurre
il pescare e quindi si dovesse poi trovare a non averne più abbastanza per
l'andata ed il ritorno siccome non c'è da contare sulla legna, occorre
noleggiare un galleggiante che porti dentro la barra od a Barrancas una certa
quantità di combustibile. Perciò cercai una goletta da portarmi a rimorchio, ma
non mi fu possibile a Trinidad di trovarne una conveniente, e così pure
riuscirono vani tutti i tentativi per mandare, a prezzi ragionevoli, col vapore
fluviale o con dei barconi, un poco di carbone nei posti opportuni, attraverso
le bocche del fiume che corrispondono nel golfo di Paria. Estesi anche le mie
ricerche a Macuro: sul momento golette non ce n'erano, e se anche ce ne fossero
state, sarei andato incontro ad altre difficoltà provenienti dalle più strane
preoccupazioni delle autorità e dal fatto che la dogana di Macuro può solamente
mandare le navi a Barrancas.
Tutte
queste noie m'insegnarono che chi volesse risalire con una nave da guerra
l'Orenoco, dovrebbe, per quanto sia strano, combinare tutto a Caracas,
ottenendo dal presidente il pilota e le facilitazioni necessarie. Circa poi la
goletta, è sempre bene averne una con sé, non solo per il carbone, ma anche per
sbarcare pesi in caso d'incaglio, perchè sul luogo niente si trova, ma conviene
noleggiarla a Barbados.
La
risalita dell'Orenoco da parte di una nave da guerra abbastanza grande,
varrebbe a farvi accorrere molte navi del commercio che ora sono esitanti,
perché non si sa bene quali sono le vere difficoltà da vincere; l'impresa
sarebbe perciò di grande utilità per il Venezuela, ma dati i fatti sopraddetti
c'è da domandarsi se valga la pena di darsi tante noie per un paese che
ostacola anziché facilitare l'opera dei volonterosi. Ciononostante rimarrà
sempre vivo in me il rincrescimento di non aver potuto, specialmente perché la
stagione era troppo inoltrata, visitare quel fiume. Avendo avuto in seguito la
fortuna di fare gli altri fiumi delle Guiane e l'Amazzone, l'Orenoco avrebbe
completato quel ciclo che avevo tanto desiderato.
LA
GUIANA INGLESE
Perduta
dunque la speranza di risalire l'Orenoco, lasciai Trinidad diretto a Demerara
(20 a 22 novembre 1904, miglia 381).
Uscito
il mattino dal Golfo di Paria e doppiato nella sera Punta Galera, diressi,
tenendo conto della corrente, ad una ventina di miglia al nord del fanale di
Demerara, perché data la natura della costa, non è consigliabile di serrarsi a
terra con lo scopo di evitare la corrente equatoriale, e restare nel dominio
delle correnti locali di marea.
Dopo
Punta Galera l'acqua acquista presto un color limaccioso che non lascia più;
fino al largo di Caienna, il fondo è scarso anche a sufficiente distanza da
terra e dagli 8°30' di latitudine nord navigai in pr6fondità decrescente da 35
a 13 braccia. Grazie a numerose e buone serie di osservazioni ed al sussidio
dello scandaglio (che non bisogna mai abbandonare in queste località) alle ore
6 e 3o del 21 determinai la mia posizione a 18 miglia a N. N. E. dal battello
fanale, in 13 braccia di fondo (latitudine 7°15' Nord, long. 58° W) e diressi
per esso seguitando a scandagliare e tenendo conto della corrente.
Ed a
proposito di questa, bisogna notare che fino a circa 20 miglia da terra si
sente l’influenza delle correnti di marea, le quali, salvo irregolarità, vanno
in generale durante il flusso verso N.E. e tendono ad aumentare la corrente
generale equatoriale diretta a N. 0., e durante il riflusso verso S. 0.,
tendendo a ritardare la corrente equatoriale ora detta.
Alle
7 e 30 del 21 stesso avvistai dritto di prora l'albero del battello fanale di
Demerara. sormontato da una bandiera, turchina, e più tardi, mentre cominciavo
a scoprire il suo scafo, vidi anche gli alberi della costa e dietro ad essi i
numerosi fumaiuoli delle fabbriche di zucchero.
Qui
bisogna ricordare che la costa delle Guiane, compresa fra l'Orenoco e
l'Amazzone, è tanto bassa che in molti punti resta allagata dalle maree, e dal
largo si vede soltanto una lunga fila di alberi con pochi o scarsi punti di
riconoscimento, salvo presso Caienna, dove si trova qualche piccola collina. Ma
siccome la linea dei fondi di 4 o 5 braccia si estende abbastanza lontano da
terra, solamente dai suoi limiti il navigante comincia a vedere i detti alberi.
La navigazione quindi è difficile e le difficoltà sono aumentate dalle correnti
e bisogna, come dissi, fare osservazioni astronomiche e ricorrere spesso allo
scandaglio.
Nelle
località bene organizzate, come per esempio Demerara e Surinam, sono sistemati
bastimenti fanali, fanali fissi e boe per delineare le barre, ed i portolani si
sforzano a descrivere i fumaioli degli zuccherifici. Ma difficilmente lo
straniero si sa raccapezzare in quelle descrizioni, e nel caso del Demerara i
soli punti che si distinguono bene,. quando però si è abbastanza vicini a
terra, sono il faro della riva Est, il campanile della chiesa cattolica (con
guglie e statue) e 1a guglia della chiesa protestante (a piramide acuminata).
Inoltre il limite sopraddetto dei fondi di 5 braccia lungo tutte le Guiane è
suscettibile di variazioni molto sensibili per le grandi quantità di materiali
che vi trasportano i numerosi fiumi ed è notevole quindi il guadagno continuo
della costa sul mare. In grazia di questo fatto si vanno continuamente formando
nuovi terreni che risultano oltre ogni dire fertili, e che sono utilizzati per
le grandi piantagioni di zucchero, caffè e cacao. La loro cultura non richiede né
concime, né rotazione, ma solamente cura e continuità di lavoro, perché come le
buone crescono le cattive piante, ed un campo, se si tralascia di accudirlo
anche per un anno lo si vede ritornare allo stato selvaggio.
Per
difendere le dette terre di acquisto ed i paesi che sono sorti nelle località
più coltivate da una parte contro il mare e dall’altra contro le inondazioni
prodotte dall’acqua che strappa, dopo le forti piogge, dai pantani retrostanti,
occorrono dighe, lavori in terra e tutto un sistema di prosciugamento che si fa
funzionare con la marea, e che spesso, coime a Georgetown, si completa con
poderose pompe. E perciò, per preparare i terreni bassi alla cultura, occorre
prima di ogni altro fare dei lavori idraulici (i canali poi servono anche come
vie di comunicazione nelle piantagioni); non fa meraviglia quindi se gli
Olandesi furono i primi a stabilirsi su questa terra, perché essi si trovarono
qui come nella vecchia patria, e seguitarono nel tropico la lotta secolare
intrapresa dai loro padri contro l'invadente Atlantico.
Segue
da ciò che gli antichi limiti della costa apparsi ai primi esploratori si sono
sempre più allontanati dal mare, e chi si interna nella regione, osserva per
prima cosa i terreni di nuova formazione e successivamente un terreno paludoso
con isole di sabbia, una striscia di foreste e finalmente una zona (murie o
dune) coperta di sabbia bianchissima che rappresenta la vecchia costa. Dopo
ricomincia ancora la foresta fitta e spesso impenetrabile, e ad una certa
distanza dalle mura il terreno diventa ondulato, si alza, forma colline e più
tardi montagne elevate, come quella per esempio del magnifico gruppo del
Roraima, sul confine della Guyana inglese. Comincia allora la vera regione
delle foreste, regione anche essa ricchissima, perché ha alberi preziosi, oro
(sabbia aurifera e qualche accenno a quarzo aurifero) ed un suolo ottimo per la
cultura e, forse, meglio degli altri atto ad una colonizzazione bianca.
E’
notevole poi che di tratto in tratto la foresta s'interrompe lasciando larghi
campi sabbiosi, dove gli alberi non allignano, ma cresce solamente erba buona
per pascolo. Questi campi si chiamano savane; alcuni sono poco estesi, altri
invece, come quello di Pirara, nella Guyana inglese, coprono grandi estensioni
e si suppone che un tempo siano stati coperti dal mare.
Numerosissimi,
come ho detto, sono i fiumi che scendono al mare lungo le coste della Guyana, e
tra essi ricorderò come quelli che più si prestano alla navigazione i seguenti,
scrivendo accanto ad ognuno di essi, in piedi, le profondità ad alta marca (p.
a.) ed a bassa marea (p. b.) ed il pescare delle navi (p. n.) che possono
penetrarvi.
1°
Guiana venezuelana: 0renoco16 (p. n.).
2°
Guiana inglese: Berbice 17 (p. a.), 7 (p. b.), 16 (p. n.); Demerara 19 (p. a.)
10 (p. b) 19 (p. n.) ; Essequibo 19 (p. a.) 10 (p. b.) 19 (p. n.).
3°
Guiana olandese: Surinam 20 (p. a.) 12 (p. b.), 20 (p. n.); Saramacca Coppename
15:16 (p. a.), 8 (p. b.), 13 (p. n.); Correntyne 15. (p. a.), 7 (p. b.), 10 (p.
n.)
4°
Guiana francese: Oyapok 19 (p. a.) 7 (p. b.); Approuague 10 (p. n.); Cayenne 13
(p. n.); Maroni 17 (p. a.), 8 (p. b.), 16 (p. n.).
5°
Guiana brasiliana: Amazzone ~ navi grandi.
Bisogna
però tener presente che nella maggior parte dei casi il fango è così molle che
vi si può strisciare per lunghi tratti senza pericoli; così per esempio sul
Demerara i vapori sovente navigano mentre sono anche per 2.5 piedi nel fango.
Io però per non sciupare la pittura è per non mettere troppo fango nei
condensatori, regolai le cose in modo da non dragare, o almeno da non dover
dragare per oltre 7 o 8 cm. Perciò ancorai a circa 1000 m. dal battello fanale,
per aspettare l'alta marea, e ripartii alle ore 14 e 30 perché, essendo marea
alta a Georgetown alle 15 e 3 5 grazie all'anticipo che c'è sulla barra (circa
1/4 d'ora), poteva avere quasi in tutto il percorso (circa 8 miglia, con 6
effettive di barra), acque alte. Il pilota, salvo che sul tratto medio, seguì
sulla barra una rotta più a sud di quella raccomandata dal portolano e lasciò a
sinistra, anziché a dritta, le due boe che segnano la barra, perché avevano,
come egli asseriva, arato verso levante. Ma a ciò non occorre badare, perché il
fondo è talmente variabile che. senza conoscenze locali, a poco possono servire
le norme dei portolani. Lo scandaglio ci indicò sempre fondi superiori a quelli
indicati dalla carta e dal pilota, ma ciò è dovuto al fatto che il piombo
affonda per oltre un piede nel fango.
Superata
la barra diressi per girare la punta del forte William (dove c'è la batteria
che risponde al saluto) e mi presentai alla bocca del fiume, che a traverso del
fanale verde (situato sulla sponda ovest) è larga meno di un miglio.
Allora
mi apparve da una parte la riva sinistra (ponente) bassa e sormontata da una
cortina verde che ripara le piantagioni dì zucchero (estades), e dall'altra
tutto il fronte ovest di Georgetown, che si stende per circa due miglia sulla
riva destra del fiume, con una lunga, serie di pontili in legno. Questi si
spingono sul fiume quanto è necessario per permettere ai bastimenti di
ormeggiarsi lungo dì essi, sono sormontati dai magazzini dove le principali
ditte del paese accumulano le merci importate o quelle da esportare, e tutti insieme
formano un complesso impressionante, perché dimostrano a colpo d'occhio una
ricchezza commerciale assai notevole. Dominante su di essi si eleva, con
qualche pretensione artistica, la torre del mercato, ed a 200 metri dal
traverso di questo mi ancorai in circa,25 piedi di fondo. La corrente cambia
con la marea (la corrente di riflusso si stabilisce 30 minuti dopo dell'alta
marea) e tanto -il flusso quanto il riflusso sono molto forti perché
raggiungono e superano le 4 miglia; ma grazie alla vicinanza alla terra e
profittando della minore, forza della corrente verso le sponde, mi fu facile
fare il traffico a remi colle nostre imbarcazioni: la gente del luogo però usa
più opportunamente battelli che ricordano quegli classici dei Veneziani.
***
Per
avere una subita idea della città (che occupa un'area di 1200 acri inglesi, ha
53.000 abitanti ed è una delle più belle delle Indie Occidentali), salii sulla
torre del mercato ed allora mi apparvero in prima. linea le numerose case
destinate al commercio e dietro ad esse un magnifico bosco verde in mezzo al
quale facevano capolino le abitazioni. Le costruzioni in generale sono in legno
o legno e ferro, alcune e specialmente quelle destinate al commercio od a
pubblici servizi, sono grandi, elevate e coperte di vistose leggende che
rivelano la loro destinazione (depositi di merce, fabbriche di ghiaccio,
officine elettriche, posta, telegrafi, banche), altre riservate
all'amministrazione, alla giustizia, ecc., mostrano una certa pretesa
architettonica con lusso dì colonne ed archi... di legno, ed altre, le più
numerose riservate alle abitazioni private, sono spesso assai graziose e
civettuole e tutte lucide e pulite, come se fossero state dipinte a nuovo. In
breve un insieme che rallegra e dimostra ordine, pulizia, civiltà e benessere.
A'
piedi della torre del mercato passa Wather Street, l'arteria principale del
commercio e vi si vede brulicare una folla cosmopolita appartenente alle razze
più varie e disparate, dall'Indi silenzioso, color di rame, all'Africano nero
come l'ebano, dal Cinese sporco e trasandato, al cooly delle Indie orientali
nell'artistico costume nazionale, dall’Inglese metodico e calmo come nella
vecchia Albione al meridionale chiassoso e sbuffante per il caldo.
I
grandi depositi dei moli spingono la loro fronte interna fino a Wather Street e
molte volte si trasformano in ricchi negozi, dove si trova ogni ben di Dio,
proveniente dall'Europa o dall'America del Nord. Tutte le altre strade della
città (con uno sviluppo di 44 miglia) corrono parallelamente o normalmente a
Wather Street, e basta traversarle per convincersi delle buone condizioni
igieniche della città. Graziosi giardini e boschetti circondano tutte le case,
lunghe file di alberi riparano le vie dal sole e la migliore pulizia regna da
per tutto. Il centro poi di molte strade è traversato dai canali di
prosciugamento, tenuti colla massima cura. Due file dì alberi li circondano, un
bel tappeto verde ne ricopre le sponde e spesso le acque sono quasi nascoste da
quella pianta meravigliosa che è la Vittoria Regia (Victoria regalis).
Una
rete di trams elettrici corre sulle strade della città; e la ferrovia, molte
strade ordinarie e vaporini fluviali la uniscono con le fattorie ed i paesi più
importanti della colonia; il telefono ed il telegrafo sono sistemati nelle
località più importanti; un buon servizio di vetture pubbliche funziona tutto
il giorno; un'ottima polizia assicura l'ordine; un regolare servizio di
pompieri vigila sulle proprietà un po' esposte al fuoco causa la predominanza
del legno nelle costruzioni; un acquedotto, sussidiato da forti pompe, manda da
per tutto l'acqua per gli usi generali; cisterne capaci e buone provvedono
l'acqua potabile e quattro mercati forniscono ogni sorta di vettovaglie. Oltre
gli zuccherifici e le fattorie di cacao, situati negli estades, vi sono: tre
fonderie ed officine meccaniche; segherie; officine per la luce elettrica;
fabbriche di biscotti e di fiammiferi; ospedali; manicomi; istituti di
beneficenza; clubs tra i quali è. notevole il Georgetown club; due banche;
molte associazioni tra cui è notevole la Royal Agricoltural and Commercial
Society, che ha anche una libreria di 17.000 volumi; un museo; una Camera dì
commercio; sei tra giornali i e riviste; posti preparati per i giuochi e gli
sports ai quali gli Inglesi, con buona accortezza, attendono all'equatore come
nella fredda Albione, e finalmente vi è un meraviglioso orto botanico con una
lunga e bella passeggiata a ridosso della diga a mare, dove nel pomeriggio si
riunisce la gente elegante del paese con numerosi equipaggi.
Le
condizioni climatiche e sanitarie non differiscono molto da quelle delle
Antille; anzi le seconde si possono ritenere buone e sono migliori, in ogni
modo, di certi posti del Brasile frequentati dai nostri emigranti. Il caldo poi
è assai meno snervante e meno forte che in certe parti di Cuba e ciò è dovuto
al fatto che le terre, essendo basse, sono spazzate liberamente dal vento
dell'oceano. Si ha quindi la sorpresa di trovare questi paesi, che per la loro
vicinanza all'equatore si è condotti a supporre inospitali per l'elevata
temperatura, in condizioni migliori di altri messi più lontani dall'equatore
stesso. Ed il clima riesce sopportabile pei bianchi, specialmente perché
sovente le notti sono fresche e permettono un buon riposo. La temperatura varia
tra 24° e 30° e le piogge dominano in dicembre e gennaio e da maggio a luglio.
***
Segue
come importanza, dopo Georgetown, New Amsterdam (8900 abitanti), che è la
capitale della provincia di Berbice ed il centro agricolo di quel fiume; ma
siccome i suoi prodotti sono mandati con le navi locali a Georgetown per essere
poi esportati, il movimento commerciale è poco accentuato a New Amsterdam, e la
vita vi è molto quieta. Altre città importanti non vi sono nella colonia, ma vi
si notano molti villaggi (i più importanti sono 18) fondati in maggior parte da
neri. Questi, quando furono affrancati, si rifiutarono di seguitare a lavorare
nelle piantagioni, o lo fecero a prezzi tanto elevati da costringere molti
proprietari ad abbandonare od a vendere ad essi stessi, a prezzi meschini, le
loro terre. Per fare tali acquisti formarono piccole associazioni mettendo
insieme le loro economie, e quindi sorsero naturalmente i detti villaggi. Ma
questo indirizzo, apparentemente buono e certo migliore che altrove, non fu
duraturo e presto si ebbe un novello esempio di quanto ebbi a dire per Haiti.
L'amore irresistibile per l'ozio non tardò ad avere il sopravvento e le nuove
colonie non solo non prosperarono, ma occorse che il governo se ne immischiasse
seriamente, perché l'igiene nei villaggi fosse rispettata ed i canali e le
dighe fossero conservati in buon ordine per non nuocere anche alle piantagioni
vicine.
Queste
piantagioni infatti spesso si seguono, restano legate per le opere idrauliche e
sono allineate colla fronte verso le dighe stesse. Dato poi il modo come sono
sistemati i canali fu possibile in origine dividere il terreno in piccoli lotti
di forma rettangolare detti estades e, secondo le vecchie regole olandesi, un
colono poteva cominciare col possedere un rettangolo di terra largo da un
quarto a mezzo miglio e lungo 1 e 7/8 di miglio con diritto in seguito a
raddoppiare od a triplicare questa profondità. Ma le gravi spese per la
manutenzione dei canali rendeva difficile l'opera dei piccoli proprietari,
cosicché col tempo si sono riuniti nelle mani dei ricchi capitalisti parecchi
estades ed è stata fortuna. Successivamente, a partire dal 1820, furono
abbandonate le coltivazioni del caffè, del cacao e del cotone per dedicarsi
quasi unicamente allo zucchero; quindi la colonia si vide minacciata di rovina
quando il prezzo di questo abbassò. I ricchi proprietari però potettero far
fronte alla crisi, ed anzi, fidando nell'avvenire, fecero nuovi acquisti e
seguitarono a coltivare i loro estades. In questo modo, quando il prezzo rialzò
di nuovo, grazie alla convenzione di Bruxelles, la colonia ne sentì subito i
benefici effetti ed ora è prospera e ricca.
Ma
lo zucchero e l'agricoltura in genere non sono le sole ricchezze della colonia,
perché fonte di grandi guadagni possono essere anche le sue foreste che hanno
legni ottimi ed alberi preziosi, come quelli che producono guttaperca (balata),
resine, medicinali, ecc., ed inoltre vi sono le miniere d'oro a cui accennai,
che si credono assai ricche, e che, mentre nell'80 produssero solamente 250
once inglesi del prezioso metallo, nel '92 ne diedero 54.559.
La
colonia quindi è in grande sviluppo e in questi ultimi anni specialmente è
molto progredita, e per quanto, col lavoro specialmente dei coolies, piccolissima
parte del paese stesso sia sfruttata (100.000 acri inglesi o un decimo
solamente della striscia di terra che, con profondità di circa 3 miglia, si
stende lungo le rive), pure la produzione e la conseguente ricchezza sono assai
notevoli, come risulta dalle cifre seguenti:
[…]
(pp. 85-87).
DIVISIONE
DELLA POPOLAZIONE
Portoghesi (12.166) Vennero tra il 1835-40, come
lavoratori; ora sono quasi tutti commercianti e molti sono ricchi. Vivono molto
tra loro, e fanno poca lega con gli inglesi.
Altri
europei (4.558) A
Georgetown vi era un solo italiano.
Indiani
orientali (105.465) Furono
introdotti per sostituire gli schiavi; ne vengono quasi 5000 all'anno con buoni
contratti e fanno abbastanza economia. Furono introdotti come coolies,
diventarono commercianti e fanno concorrenza ai Portoghesi.
Neri (115.588) Hanno origine da vecchi schiavi
emancipati nel 1838: un sesto solamente si dedica ancora all'agricoltura.
Alcuni si sono ritirati nei boschi e sono tornati allo stato selvaggio.
Indi
dei villaggi (7.463). Sono
mezzo civilizzati, quieti, chiusi e silenziosi: pare tendano ad estinguersi.
Gli uomini spesso si accontentano per tutto vestito d'un limitato pezzo di
stoffa, le donne portano una una graziosa piccola camicia, strettissimi legacci
alle braccia ed alle gambe e degli spilli infilati nel labbro inferiore. Nelle
feste si adornano; gli uomini si tingono anche il viso.
Indi
della foresta. Vivono
nell'interno ed è difficile stabilirne il numero.
Totale
278.328
Data
l'importanza di questa colonia ed il suo accentuato sviluppo, devo richiamare
qui quanto già dissi circa la possibilità del nostro commercio con questi paesi
e l'utilità grande che potremmo trame studiandoli di proposito. Mentre nelle
altre colonie inglesi non è da pensare ad avviarvi la nostra emigrazione, è
utile osservare, per quanto avrà da dire in seguito circa la Guyana olandese,
che qui i bianchi si possono acclimatare, e floridi invero appaiono gli Europei
che vidi a Georgetown. Sì è detto e ripetuto che il caldo è troppo forte perché
possano lavorare i campi, ma i Portoghesi vi fecero buona prova e resistettero
tanto al lavoro che riuscirono, come ho detto, a far buone economie, darsi al
commercio e ricavare molte fortune. Più saliente poi è l'altro esempio di un
certo numero di Olandesi che furono chiamati per fare una, esperienza di
colonizzazione agricola dalla. loro vicina Guyana: essi apparterrebbero alle
razze che secondo molti più difficilmente dovrebbero acclimatarsi, eppure
scegliendo a dovere la località da assegnare loro, resistettero bene e
prosperarono tanto che ora posseggono magnifiche terre e stanno ottimamente. E
poiché i nostri contadini si accontentano del Brasile e vanno a raccogliere la
canna negli Stati meridionali del Nord America, certamente riuscirebbero bene
qui, tanto più che, oltre le pianure, vi sono terre elevate che potrebbero,
come già dissi, offrire migliori condizioni.
Le
necessità della navigazione non mi permisero di fermarmi a lungo, come avrei
voluto, a Georgetown e dovetti affrettare la partenza per Paramaibo (29 e 30
novembre, miglia 218), ma lasciai con rincrescimento quel paese dove tutti
fecero a gara ad usarci cortesie ed ogni persona che aveva una posizione
ufficiale od una condizione rilevante volle salutarci e mostrarsi gentile verso
questa prima nave italiana che visitò la colonia.
LA
GUIANA OLANDESE
Uscito
dal Demerara, mi allargai, da terra per circa. 15 miglia e poscia, mantenendomi
nei fondali di 20 braccia, mi diressi a 15 miglia al nord del battello fanale
di Surinam e quando nelle prime ore del 29 ottenni, grazie ad un’opportuna
scelta delle stelle da osservare,
una retta d'altezza passante per il detto battello e diretta quasi per S. S. E.
(rombo più conveniente per atterrare, perché più a ponente vi è meno fondo e la
corrente può portare sui banchi), accostai per il rombo medesimo ed all’alba
scoprii di prora il nominato battello. Questo è dipinto in rosso, ha due
alberi, quello di maestra porta il fanale all'altezza di 20 piedi, e sopra un
pallone, e quello di mezzana, alto 45 piedi, ha in testa una bandiera blu.
Scambiai con esso parecchi segnali e subito venne a bordo un pilota ma mi disse
che l’avevo trovato colà perché il vapore italiano l'aveva informato che dovevo
arrivare ed egli da circa 15 giorni veniva fuori (25 miglia di cammino) per
avere il piacere di pilotarmi. Ciò importa notare perché secondo i portolani
dovrebbe sempre trovarsi un pilota sul battello fanale: invece essi vengono fuori solamente quando sanno che arriva
una nave. Bisogna quindi avere l’avvertenza di segnalare in precedenza il
proprio arrivo al rispettivo console, se non si vuol perdere una giornata per
mandare a cercare il pilota, inviando una imbarcazione a mezza strada e cioè a
Forte Amsterdam che è in comunicazione telegrafica con Paramaribo.
Date
le condizioni delle acque, trovai opportuno di aspettare per entrare coll’alta
marea dell'indomani: diedi quindi fondo un po’ al largo del battello fanale; il
mare era grosso, ma il fondo e buon tenitore e vi potetti stare con sicurezza.
Osservo
che il battello fanale non è nella posizione indicata dalle carte, ma è
spostato di circa 1/2 miglio verso S.O., è situato sulla estremità del bassofondo
della barra e si trova in circa 11 piedi d'acqua quando il livello delle acque
è minimo. Appena arriva una nave domanda il suo pescare, se ha a bordo un
pilota lo manda, e segnala di avanzare quando le acque lo permettono, ma se non
ne ha o se le acque sono troppo basse segnala il posto di fonda e di aspettare.
Secondo poi i piloti ecco come variano in media durante ogni lunazione i
livelli delle acque alte sulla barra. […] (p. 89).
Dall’imboccatura
del fiume a Paramaribo corrono quasi 22 miglia e le rive sono coperte da fitte
muraglie di alberi, dietro i quali spesso si estendono le coltivazioni di
cacao.
Il
passaggio della barra non è difficile e cosi pure abbastanza sicuro è il resto,
della navigazione, ma a poca distanza dalla prima barra ve n'è una seconda
presso la piantagione Resolute. In seguito si passa la confluenza del Commevyne
e si arriva al Forte Amsterdam, dove bisogna pigliare pratica (e se occorre
restare in quarantena) prima di proseguire per Paramaribo. Avanti però di
raggiungere questa ed a poca distanza da essa v'è una terza barra e benché
abbia più acqua di quella esterna le navi grosse devono regolare le cose in
modo da arrivarci ad alta marea (l'effetto della marea si sente a molta
distanza a monte). A tal uopo si deve considerare che a Paramaribo la marea,
ritarda quasi di un'ora e tre quarti sull'ora della marea del battello fanale,
e tenendo conto di ciò, della mezz'ora che si deve perdere al Forte, della
propria velocità e della corrente (2 a 3 miglia) è facile stabilire quanto
tempo prima dell'alta marea bisogna partire dal battello fanale per arrivare
alla seconda barra con acqua sufficiente. Similmente nell'uscire bisogna
lasciare Paramaribo prima che si abbiano le acque alte.
A
Paramaribo ci ancoriamo innanzi alla casa del Governatore e poco più in su si
potrebbe andare colla nave (qualche miglio); ma grazie alla cortesia del
console, potei, come appresso dirò, risalire il fiume per altri 80 km. circa,
fino a Bergendal, con un vaporino locale. Dopo quella località cessa anche per
i vaporini la possibilità di navigare e solamente le canoe possono seguitare a
trafficare sul fiume che nell'alto corso non è ancora ben conosciuto.
La
città è assai meno bella di Georgetown specialmente perché è costruita sul tipo
europeo, e le case non sono separate, come là, da graziosi e comodi giardini.
Anche le strade sono meno ben tenute e l'igiene meno curata.
È
possibile rifornirsi di viveri ed anche di combustibile e presso lo sbarcatoio
governativo si può avere acqua per lavanda, pure di pigliarsi la cura di
pomparla con apposita pompa ivi sistemata.
La
costa ha lo stesso aspetto dì quella della Guyana inglese ed identiche sono
anche la natura e le risorse del paese; mi basterà quindi notare che qui invece
dello zucchero si coltiva il cacao e perciò si corrono gli stessi pericoli
inerenti ad una coltivazione unica.
Infatti,
come nella Guyana inglese il ribasso dello zucchero produsse una crisi
finanziaria, qui una malattia del cacao aveva determinato, quando vi arrivai,
un'analoga crisi.
Gl'Inglesi,
grazie ai maggiori capitali, poterono facilmente resistere, gli Olandesi invece
si trovavano in condizioni meno propizie ed il Governatore, persona assai di
valore, tentava di rimediare ai mali presenti e futuri, dando sviluppo alla
ricerca dell'oro e "creando nuove colture mediante piccoli agricoltori.
Egli sperava di attuare questo progetto bene studiato e facile a riuscire
grazie alla ferrovia che fa costruire fino ai. terreni auriferi col concorso di
una bene organizzata immigrazione di coloni europei; e, giusta quanto dissi più
innanzi, il progetto è attuabilissimo, sia perché le condizioni locali
permettono il lavoro dei bianchi, sia perché le terre, come quelle della Guyana
inglese, sono molto fertili e promettenti e sia perché la colonia, nonostante
l'attuale e passeggera crisi, è florida come appare dai quadri seguenti: […]
(pp. 91-93).
Anche
alla Guyana olandese dunque è serbato un avvenire meraviglioso, e noi potremo
facilmente parteciparvi, perché la nostra emigrazione vi è possibile e desiderata.
A tal proposito ricorderò che fin dal mio arrivo tutto il mondo ufficiale si
pose in moto per fare onore a questa prima nave italiana che visitava la
colonia.
Il
governatore S. E. Lely, ex-ministro olandese, è un ingegnere molto noto, e
credo sia stato mandato qui per dare un impulso alla colonia. Egli cortesemente
volle farmi visitare la ferrovia sopra ricordata ed organizzò una gita sul
tronco già costruito. Durante tutta la lunga strada mi fece da colta guida,
facendomi rilevare l'importanza che avevano i lavori per l'agricoltura, e la
facilità con qui si potrebbero stabilire delle piccole fattorie, in un terreno
ricchissimo, sano e libero dalla malaria. Insistette lungamente su tutto ciò ed
alla fine, come conseguenza e conclusione, mi espose il suo desiderio di
una lunga emigrazione italiana nella colonia.
Risposi
evasivamente, perché ero da 48 ore sul luogo e non avevo ancora un'idea chiara
delle cose: ma in seguito cominciai a convincermi dell'importanza della
proposta. Fortunatamente poi, mentre facevo del mio meglio per studiare la
questione, giunse il console nostro che tornava dall'Olanda, e subito il
governatore lo chiamò per esporre anche a lui il progetto.
Il
console è un olandese colto, ricco ed assai stimato a Surinam; apprezzai quindi
molto i suoi schiarimenti e trovai in lui un entusiasta dell'idea del
governatore. Ma desiderai vedere meglio coi miei occhi il paese, ed il console
mi portò prima a visitare il borgo dove si è già fatta, con buoni risultati, la
prova di colonizzazione olandese, poi mi condusse, con un suo vaporetto molto a
monte del fiume, fin dove cominciano le colline e finalmente mi diede, ogni
sorta di delucidazioni e schiarimenti. Dopo ciò mi parve di essere abbastanza
illuminato e quando il governatore tornò a. parlarmi della cosa, lo pregai di
voler concretare le sue idee, facendogli presente a priori che era necessario
escludere dal progetto ogni forma di contratto di lavoro, e che bisognava fare
ai nostri coloni una posizione assolutamente diversa e superiore a quella che
si fa agli emigranti delle Indie orientali.
Il
governatore allora desiderò che io assistessi ad una conferenza tra lui, il
capo delle finanze ed il console, nella quale si discussero e formularono le
basi di un progetto per fare un largo esperimento di colonizzazione italiana. E
vantaggiose assai mi apparvero le condizioni proposte, perché il governo della
colonia si impegnava di trasportare gratis i coloni dal paese di origine a
Surinam e dì rimpatriarli anche a sue spese se non resistevano al clima; di
concedere loro gli utensili da lavoro e di approntare per essi, a prezzo modico
e da rifare a piccole rate, una casa provvista di utensili da lavoro, e di
impiegare i coloni in lavoro rimunerativo, finché la terra loro assegnata
cominciasse a produrre.
Ricchissime
oltre ogni dire e sane in generale sono le terre offerte, e certamente i nostri
contadini potrebbero far bene, sotto la protezione del Governo olandese che
avrebbe ogni interesse ad aiutarli per non sciupare il suo denaro e per farli
affezionare al paese.
I
contadini olandesi della prova sopra ricordata sono ora tutti proprietari di
bellissime terre, ma mancò il numero necessario di persone per seguitare la
colonizzazione. Questo numero non mancherebbe a noi, ed i nostri contadini, che
spesso si perdono nelle inospitali fattorie brasiliane (dove lontani dai centri
abitati sfuggono naturalmente al controllo ed alla protezione delle leggi e
sono spesso uccisi dalle malattie o dall'eccesso di lavoro) qui troverebbero
comodità, protezione ed amore (amore interessato, se si vuole, ma sempre amore)
ed invece di ingordi e selvaggi piantatori, un governo onesto ed illuminato a
cui conviene moltissimo di farli innamorare del paese invece di sfruttarli.
Se
la cosa riuscisse, in un'epoca non lontana avverrebbe senza rimpiangere
vittime, un fenomeno analogo a quello che si è verificato a San Paolo, ma su
più larga scala, perché tutte queste terre preziose andrebbero nelle mani dei
nostri contadini. Una numerosa e larga colonia nostra si stabilirebbe a Surinam,
aprendo di conseguenza al nostro commercio il mercato delle Guiane, o un
mercato che deve necessariamente diventare uno dei più importanti del mondo.
Nessuna
preoccupazione poi dovremmo avere circa la specie di coltura alla quale
dovrebbero dedicarsi i nostri contadini ed ai metodi di cultura che dovrebbero
seguire, perché il governo locale studia già la cultura più conveniente per
loro e s'incaricherebbe nel suo stesso interesse d'istruirli. E’ da ricercare
solo il punto più opportuno per la prima prova: il governatore si occupava
seriamente della questione, ma per allora era propenso a che si facesse nei
terreni già preparati accanto alla linea ferroviaria. Il console riteneva più
opportune le terre alte in prossimità delle miniere d'oro ed anche a me questa
seconda idea pareva preferibile, sia per la temperatura più mite, sia per i
prezzi elevati a cui si potrebbero vendere i prodotti agricoli ai minatori, e
sia finalmente per la possibilità che, i contadini avrebbero nei periodi in cui
fossero liberi dai lavori agricoli, di lavare, per conto loro, delle piccole
quantità di sabbia aurifera.
E
queste cose il governatore (che mi colmò di cortesie e vorrei gliene giungesse
l'espressione del mio grato ricordo) me le diceva egli stesso, e quasi a
completare il pensiero che era sorto nella mia mente nel tracciare l'itinerario
del viaggio, al momento di accomiatarci aggiungeva: "Io non mi dissimulo
che se il progetto riesce, la colonia diventerà moralmente italiana, ma anche
la mia Olanda ne risentirà vantaggio immenso e sarà lieta di avere avuto
compagna l'Italia nel sollevare al livello che le compete queste terre
preziose". E fu con la speranza radiosa di questo successo della solerte
opera nostra, che io lasciai quella bella regione, dove la civiltà ha fatto già
il suo ingresso, per un'altra terra, l'Amazzonia, più ricca, ma che la civiltà
ha ancora in larga misura da conquistare.
.
VERSO
L'AMAZZONE - PARÀ
Da
Paramaribo a Parà -
Partito da Paramaribo per Parà (dall'8 al 13 dicembre, miglia 856), girai al
largo i banchi che sorgono innanzi alla costa delle Guiane Olandese e Francese
e tre giorni dopo, mentre ero ancora a 240 miglia al Nord dalla bocca più
occidentale dell’Amazzone, un brusco cambiamento nel colore delle acque mi
avvertì che eravamo già entrati nelle località dominate dal gran fiume. La
profondità delle acque però era ancora abbastanza grande, poiché solamente a
140 miglia più al Sud cominciano i secchi di Capo Nord, che si estendono a
grande distanza da terra, onde a 90 miglia da essa, si trovano appena 10
braccia.
Siccome
ritengo che conviene atterrare alle foci del Parà correndo sul meridiano di
capo Salinas, diressi 25 miglia a Nord del fanale del detto capo, e così passai
a 100 miglia a levante di Capo Nord, ed a mezzodì del giorno 12 raggiunsi il
parallelo della bocca occidentale dell'Amazzone.
Scrivo
semplicemente fiume Amazzone e non delle Amazzoni, perché, mi pare, non sia più
il caso di seguire la leggenda delle Amazzoni inventata da Orellana e ripetuta
da Raleigh. Il primo, luogotenente infedele di Pizarro, esagerando le abitudini
che hanno molte donne indie di accompagnare i mariti alla guerra e servendosi
largamente delle sue reminiscenze classiche, la imbastì per giustificare, colla
maschera del meraviglioso, l'abbandono del suo capo; il secondo volle
utilizzarla a sua volta per giustificare il suo insuccesso e tentare di salvare
la testa, ma non ebbe fortuna. Più logico invece è ammettere, col padre Zani,
che quel nome preesisteva alla scoperta e derivava dalle due parole tupi: ama
(grande) zona (valle), e poiché può dirsi che sì tratta di una grande valle di
acqua, questa interpretazione corrisponde all'abitudine degli Indi di indicare
i luoghi con paro1e che ne descrivono la natura.
Ma,
a proposito di nomi sarà bene anche di dire subito che designerà col nome di
Amazzonia i due stati brasileni di Parà e dell'Amazonas che sono traversati
dall'Amazzone, e col nome di valle Amazzonica, la grande regione che comprende
tutto il sistema acqueo del gran fiume, e che abbraccia oltre l’Amazzonia, le
provincie cisandine del Perù, e parte degli stati di Goyaz, di Mato Grosso, di
Bolivia, di Columbia, dell'Equatore e del Venezuela.
A
misura che procedevamo i fondi diventavano irregolari: il portolano consiglia
di tenere sempre in mano lo scandaglio, ma è assai meglio avere più spesso in
mano il sestante. Ed in vero presto mi avvidi che poco assegnamento si può fare
sui fondi segnati della carta, onde lo scandaglio è utile sussidio per
assicurarsi che non si cada in fondali minori di 14 braccia, ossia non si
arriva in prossimità dei banchi che orlano la costa e sbarrano le bocche
dell'Amazzone, mentre l'osservazione degli astri può e deve guidare
all'atterraggio. Attenendomi a questo concetto verso le ore 7 del 13 dicembre
giunsi regolarmente sul meridiano del fanale di Salinas, ed a 7 miglia da terra
trovai il cutter dei piloti. Ne imbarcai subito uno, e proseguii per Parà.
La
costa è bassa e non presenta punti caratteristici. Il fanale di Salinas, che fu
costruito nel 1657, è messo sul declivio di una piccola collina tutta coperta
in alto da boschi, ma sparsa, lungo la riva, di tratti sabbiosi che appaiono
come grandi macchie bianche tra il verde degli alberi. La più grande di queste
macchie si spinge verso il sommo della collina stessa, tanto da raggiungere il
fanale, ma il bosco a ponente di esse scende fino al mare, e solamente un poco
più in là è interrotto da un'altra macchia bianca meno estesa. Queste
indicazioni possono essere di una certa utilità, ma se non si è sicuri del
punto astronomico, non bastano a chi non è pratico dei luoghi, per
riconoscerli, e giova notarlo, un'eguale difficoltà risiede per tutta questa
costa e più specialmente per quella del fiume. Ed in vero, oltre la immensità,
mi pare che una certa ombra di mistero sia una delle caratteristiche notevoli
della valle Amazzonica, e perciò mi è occorso di figurarmela alcune volte come
il simbolo dell'infinito, ed altre come il simbolo di una strana e mostruosa
divinità. Infatti essa si sente, si. intravede, ma non si vede mai
completamente; le sue rive quando si crede di raggiungerle, sfuggono,
nascondendosi dietro isole, canali, meandri di ogni specie, le sue origini ed i
suoi limiti si perdono ancora nell'ignoto di montagne dirupate o di foreste
interminabili e finalmente i corsi di acqua quasi non si possono limitare,
perché, quando si crede di giungere al loro termine, si moltiplicano in una
rete intricata difficile a seguire.
Passammo
tra i banchi della costa di Parà e quelli del largo, verso mezzogiorno
doppiammo il battello fanale della foce del Parà, e dopo di aver traversato uno
stretto canale, circondato da banchi, sui quali rompe duramente il mare,
penetrammo nel fiume ora detto. Questo con la sua immensa massa d'acqua
giallastra, ha aspetto veramente maestoso, e sembra quasi un braccio di mare.
Largo oltre 44 miglia all'imboccatura, si prolunga verso S. E. per poco più di
100 miglia; a circa 6o miglia dalla bocca riceve il fiume Guajara e dopo,
mentre fa un gomito verso ponente, si unisce al maestoso Tocantins.
Seguimmo
una rotta presso a poco parallela alla linea del cavo telegrafico sottomarino,
ossia ci tenemmo più vicini alla riva dritta, onde quella di sinistra si
perdeva quasi all'orizzonte, ma dopo l'isola Colares ci avvicinammo un poco ad
essa.
Eravamo
entrati con la corrente di flusso, e poiché il cambio di marea ritarda
sensibilmente a misura che si procede a monte del fiume, riuscii, aumentando un
poco di velocità, ad avere fino all'ancoraggio di Parà, la corrente favorevole.
***
Ad
accrescere l'illusione di essere in mare anziché in un fiume, concorrevano i
delfini amazzonici che ci volteggiavano intorno come delfini di mare. Questi
cetacei che i Brasiliani chiamano Bolos, crescono assai numerosi perché la loro
carne non serve, e solamente qualche volta si pescano per estrarre dall'occhio
sinistro un piccolo granulo che sì vende abbastanza caro come portafortuna.
Insieme
con essi vedemmo saltare sull'acqua anche molti pesci, ché essi sono numerosi
assai, e gli autori ritengono che le loro specie siano due volte più numerose
di quelle del Mediterraneo. La gente del luogo però pesca quasi unicamente il
piraiba di un bel colore rosso, la taihana di cui si fa molto consumo a Belem,
perché abbonda principalmente verso la foce, ed il pirarucù (Studìs Gigas), che
si mangia in tutta l'Amazzonia seccato come il baccalà, e si prende
generalmente col rampone.
Ma
è nei laghi principalmente che abbonda il pesce, e si valuta che l'Autaz, il
Rey, il Manaquiri, ed il Manacapurù potrebbero dare più profitto dei banchi di
Terranova. Ciò nonostante e per quanto le leggi locali promettano grandi
vantaggi, facilitazioni economiche ed anticipi di capitali per tre compagnie
che volessero organizzare la pesca su grande scala nell’Amazzone, finora nulla
si è fatto a tale riguardo; nei mercati è difficile trovare un poco di pesce,
ed una grande ricchezza non è quindi sfruttata.
Sono
poi notevoli tra i mammiferi che vivono in queste acque: un sirenio noto sotto
il nome di "lamantino" e che chiamano "pesce-bue"; e tra i
rettili, le tartarughe, gli alligatori e molti serpenti d'acqua.
Fin
dai primi tempi della scoperta vennero sul fiume navi a pescare il lamantino,
perché la sua carne, e specialmente quella della femmina, è buona e si presta
anche per fare una ottima conserva chiamata Mixira; il suo grasso poi dà un
buon olio per la illuminazione.
Le
tartarughe hanno il guscio di nessun valore, ma la carne è buona e la gente del
paese ne è ghiotta, onde se ne prendono molte, tanto che nel corso del basso
Amazzone ora se ne incontrano poche. Per pescarle adoperano due sistemi: col
primo lanciano all'animale, mediante l'arco, una freccia speciale. La punta di
questa quando colpisce, si stacca dalla canna, mentre penetra nel guscio
dell'animale, ma vi rimane legata mediante un filo. Il pescatore quindi
afferrando la canna resta in possesso della tartaruga e la tira a galla quando
è esausta. Ma oramai questi animali sono diventati assai sospettosi, ed il più
piccolo rumore li mette in fuga; importa quindi che il pescatore aspetti la
preda nel massimo silenzio ed immobile. Ciò è necessario anche per il
pirarucui, ed in conseguenza avemmo spesso lo spettacolo di un uomo fermo, come
una statua, sulla prua di una canoa, pronto a lanciare il rampone od a far
scattare l'arco e che non si muoveva neanche per rivolgere uno sguardo alla
nostra nave, nuova a lui per forma e dimensioni, che gli passava a poca
distanza. Più proficuo, ma assai più distruttivo è l'altro sistema di pesca che
è spiegato dal suo stesso nome viracao (giramento): quando il fiume è basso, le
tartarughe vanno sulla sabbia a sotterrare le uova; i pescatori allora le
raggiungono e le rovesciano rapidamente; dopo non resta che raccoglierle insieme
con le uova.
Gli
animali sono conservati vivi per la vendita, le uova si mangiano fresche,
affumicate o si consumano per dolci; ma spesso si usano anche per fare una
specie di grasso che si brucia per l'illuminazione.
Gli
alligatori contano molte specie e spesso diventano grossissimi: gli affluenti
ed i laghi ne sono infestati, e molti vivono anche sul fiume principale, ma si
vedono quando le acque sono molto basse, ossia quando la corrente è debole ed i
bassi fondi si scoprono. Nuotano con la testa e l'estremità superiore del corpo
fuori acqua, ed è facile scambiarli con vecchi tronchi neri e rugosi. Anche
essi potrebbero essere sorgenti di lucro: sull'Orenoco, due cacciatori col
commercio della pelle di detti animali fecero una fortuna, ma sull'Amazzone
manca la gente per far ciò.
Molti
sono anche i serpenti di acqua: ricorderò solamente il sucuryu (Boa Seytale)
come il più notevole per dimensioni che spesso raggiungono i 20 metri e ne
potei ammirare un magnifico campione nel giardino botanico di Parà. In questo
giardino stesso vi è una numerosa raccolta di serpi vivi di tutte le specie e
sul bordo di una delle tante vasche preparate per essi mi occorse vederne più
di un centinaio, aggrovigliati fra loro in una massa confusa, orrida e
disgustante. E poiché ho accennato ai serpenti, dirò che ve ne sono molti anche
in terra, velenosissimi, come la cascavella, poderosi come il boa, dalle forme
più strane, come la vibora voladora, ecc., ma sono meno da temersi di quanto si
crede. Nella Guiana Olandese mi occorse di vedere un grosso boa che due indiani
avevano catturato vivo; i cholos del Perù sanno afferrare con le mani i
serpenti più velenosi. Del resto benché tutti gli abitanti della foresta vadano
scalzi, la gente pratica mi assicurava che non è facile che siano morsicati da
un serpente, perché raramente capita loro di calpestarli, visto che durante il
giorno, ossia quando l'uomo cammina nel bosco, dormono nascosti nei tronchi
corrosi e raramente nell'erba.
Parà
- Seguii il Parà fino alla confluenza del Guajara è poi entrai in quest’ultimo
fiume che è formato dal rio Mojù-Mojù, bel corso d'acqua di 6oo km. e dal
Guana, la cui confluenza è a circa 2 miglia al sud dalla città del Parà. Il
Guajara presto diventa stretto e chiuso a ponente da numerose isole, assai
ridenti per rigogliosa vegetazione. La più a nord di queste è Tatuoca, dove
sorge il lazzaretto per le quarantene, e di rimpetto ad essa, sulla via opposta
è il paesello di Mosqueiro, sull'isola omonima, con circa 3000 abitanti, strade
e piazze discrete e case dì villeggiatura. In seguito la riva dritta è
abbastanza abitata e ad 8 miglia da Mosqueiro, s'incontra Pinheiro, che è
anch'esso luogo di villeggiatura, e che ha in prossimità l'Hospedaria de
Emigrantes. Il fiume diviene quindi ancora più stretto, specialmente presso il
vecchio forte della Barra di dove si comincia a veder la città di Santa Maria
di Belem do Grao Parà, o, come alcuni dicono più brevemente, Parà od anche
Belem.
Verso
le ore 19 diedi fondo, afforciandomi con due ancore con tornichetto, nella baia
di Guajabare, innanzi alla città. Il bacino sembra molto grande, ma la parte di
esso che ha fondali, sufficienti è assai ristretto e le navi devono restare
vicine e su lunghe linee.
La
città, fondata nel 1615 da Castello Branco, aveva 12.000 abitanti nel 1800, ma
ora è molto sviluppata, e la sua popolazione ha raggiunto 125.000 abitanti. E’
costruita in piano e perciò non è possibile apprezzarne dal fiume la grandezza,
ma la parte che fronteggia la riva è sufficiente a dimostrare che è un centro
commerciale importante.
Si
vedono infatti i fumaioli di alcune officine meccaniche (capaci di lavori di
qualche importanza) e dell'arsenale di Marina (fondato nel 1760) e lunghi moli
in ferro e legno (appartenenti in gran parte alle linee di navigazione Amazonas
e Booth) forniti di grandi depositi e costruiti in modo che le navi possano
accostarli anche ad acque basse. Dietro i moli si estende una piazza alberata
ed una larga strada sulla quale si trovano numerose case di commercio; ed anche
al commercio ed ai magazzini di lusso servono le prime strade che si sviluppano
parallelamente a quella ora detta. Dopo comincia la parte della città più
particolarmente riservata all'abitazione, e vi si notano larghe strade in
costruzione, spaziosi viali ben alberati, graziosi giardini e larghe e belle
piazze, tra le quali è notevole quella della Repubblica. Si possono poi
ricordare una vecchia cattedrale, il teatro, un palazzo del Governo in via di
esser migliorato, quattro biblioteche, parecchie Case bancarie, un museo con
giardino botanico, che qui è tanto facile rendere meraviglioso, molte scuole
per l'insegnamento elementare e secondario e per le arti e mestieri, delle
fabbriche di sapone, cera, biscotti, liquori, candele, un'estesa rete di
tramvie a cavalli, una ferrovia che va sino alla vicina Braganza, un buon
sistema d'illuminazione elettrica e molte case in costruzione. (Pare che negli
ultimi anni se ne siano fatte 800 all'anno). È anche da rilevare che sono in
corso parecchi lavori intesi a meglio aerare la città; ma errato, a me pare, il
sistema generale di costruzione delle case, perché conservano il tipo di quelle
del Portogallo o della vecchia Europa e non hanno neanche il comodo patio delle
case spagnole. Ma, come per le case, qui si commettono errori in molte
manifestazioni esteriori della vita, perché spesso si cerca più di soddisfare
la vanità e di far figura che di. attuare l'utile ed il buono. Per esempio, gli
uomini sono sempre infagottati nelle camicie inamidate, negli alti colletti ed
in pretenziosi abiti di lana, e la festa si sottomettono anche al martirio
dello staio e del soprabito nero. Negli uffici però si tolgono la giacca, ma
hanno cura di conservare la camicia inamidata; se invece portassero un bel
vestito bianco, sarebbero meno pretenziosi, ma starebbero meglio e più decenti
anche in casa. Analogamente, l'unica forma di abitazione possibile dovrebbe
essere quella adottata dagli Inglesi nelle Antille, graziosi cottages cioè,
senza pretensione, ma pieni di aria e di luce, molto salubri e freschi, liberi
e ridenti grazie al boschetto che li circonda.
La
questione delle abitazioni si riattacca al problema igienico della città, per
il quale se qualche cosa si è fatto, molto resta ancora da farsi . A questo
proposito importa dire brevemente del clima di tutta la valle Amazzonica fino
alla lontana Iquitos, e sfatare una triste leggenda che si è purtroppo formata
intorno a questa regione.
Clima
ed igiene nell'Amazzonia - I Brasileni si affannano a scrivere e a dimostrare
che il clima nell'Amazzonia è ottimo e ripetono ad ogni passo le parole del
professore Agassiz: "non conosco un paese del mondo così pieno di
attrazioni, più fertile, più salubre e meglio adatto ad essere il centro di una
immensa emigrazione". Ciò nel complesso è esagerato, perché le
meravigliose attrattive che seducevano lo scienziato, non attraggono
l'emigrante, ma contiene un gran fondo di verità ed il bianco si adatta a
questo clima. Invero esso non corre qui pericoli maggiori di quelli che lo
minacciano in qualsiasi altro porto del Brasile, specialmente se rispetta
l'igiene ed evita all'arrivo o prima dì acclimatarsi, di andare nelle località
dove, più infierisce la malaria o rincrudelisce la febbre gialla, e si astiene
dal mangiare all’uso del paese, e dal fare abusi di frutta, di bevande
spiritose e dì ogni altra cosa. A questo proposito è opportuno ricordare che
qui le classi medie mangiano carne di tartaruga (la carne bovina è più
raramente usata), pesce dove si riesce a trovarne con facilità, e farina di
manioca invece di pane. Il popolo invece usa cibi di carattere locale, tra i
quali si possono ricordare la paqueca (considerata come una vera ghiottoneria e
composta di carne o pesce ravvolto in foglie, fatta cuocere sotto la bragia e
condita con diversa preparazione di tapioca) il moquem, specie di carne
affumicata, il pirarucù, pesce secco, il tucapy, salsa che si estrae dalla
manioca, il piracuhy, farina di pesce, ecc., e purtroppo beve l'acqua del
fiume, in molti posti anche senza filtrarla. Gli ottimisti dicono, che l'acqua
è la bevanda dei poveri, ma la cachaca ed altri liquori fermentati, ricavati da
varie frutta, sono in verità comuni come l'acqua. Tutte le cose anzi dette non
sono adatte agli stomachi europei, specialmente nel periodo di acclimatazione.
L'Agassiz
poi ha proprio torto quando sostiene che il clima è delizioso. E’ tollerabile e
anche migliore di quello di alcune delle Antille, ma delizioso non lo è, né
potrebbe esserlo. Ed invero, questa continua estate di cui lo scienziato si
entusiasmava è utile all'attività di certi animali e delle piante, perché non
li costringe ad un riposo forzato, ma non è il desideratum per gli uomini delle
zone temperate che emigrano qui. Si può però dire con coscienza: la valle
Amazzonica, pur essendo in quella zona che i geografi. chiamano torrida, ha un
clima caldo, ma non soffocante, perché come nelle vicine Guiane, il fresco
vento dell'Oceano non è arrestato da elevazioni di terra e spazza in gran parte
la grande valle, apportandovi un salutare refrigerio. La temperatura invero a
Parà si mantiene abbastanza bassa per la latitudine, la media si aggira intorno
ai 25° C. ed il massimo non supera in generale i 33°, la notte scende fino ai
20° e le variazioni giornaliere sono di circa 10°. Analogamente si ha: a Manaos
media 27°, massimo 31°, minimo 22° e ad Iquitos media 25°5 nella parte
montuosa, media nel piano 25°5; maximum maximorum 35°.
Vi
è una stagiona piovosa che, per esempio, nel basso Amazzone, va da dicembre a
giugno ed i più forti calori che nell'estate si notano verso le 14 spesso sono
moderati da provvidi acquazzoni. Ed a proposito di temperatura è notevole che
nell'estate si manifesta in certe località inaspettatamente un forte
abbassamento che dura due o tre giorni: credono nel paese che questo fenomeno
sia utile all'igiene e suppongono che sia dovuto allo sciogliersi delle nevi
andine. Esso non ha data fissa, ma nell'Amazzone lo chiamano freddo di San
Giovanni, perché avviene prossimamente nei giorni in cui si celebra la festa dì
questo santo.
Naturalmente
in alcune dello località nello interno, ed anche presso alcuni fiumi come il
Panahybo ed il San Francisco, dove i benefici del vento sopra detto non
arrivano, il clima diventa torrido ed umido. Anzi verso, il San Francisco vi è
una zona disgraziata che si estende al vicino Cearà, formando un vero deserto,
dove si soffre il flagello della carestia e della sete. Molti infelici allora
muoiono di privazioni, e molti fuggono nell’Amazzonia dove, pur di non perire
di fame, diventano raccoglitori di gomma, sfidando la malaria. Ed invero i
paesi dove la gomma si raccoglie più abbondante, sono quelli più colpiti dalla
malaria, perché sono paludosi e mancano di medici, e di ogni disposizione
igienica.
In
generale dunque avviene che l'evaporazione di tutto questi enorme sistema acqueo
sottrae molto calore alla gran quantità d raggi solari che cadono sulla valle e
la temperatura risultante è resa dall'Aliseo più sopportabile. Si stabiliscono,
cosi le condizioni favorevoli ad una vita vegetale meravigliosa ed intensa,
invece dell'arido deserto. Perciò l'umidità delle terre basse, le fermentazioni
determinate dalla vegetazione lussureggiante, ma rapida, l'assenza di ogni
opera di risanamento, la mancanza di un completo regime igienico, la poca
estensione delle terre coltivate, sono meno dannosi di quello che potrebbero e
dovrebbero essere. Infatti la rapidità del ricambio e dello sviluppo fa si che
appena cominci la putrefazione di una pianta, ne nasce un'altra che assorbe i
gas deleteri e quindi non si determinano pericolosi riposi vegetali.
Ma
perché queste condizioni si mantengano, bisognerebbe chi lo sfruttamento e
l'abbattimento della foresta, così economicamente importante, ed a cui spesso
dovrò accennare, fosse regolato da savie leggi, come hanno fatto gli Inglesi
nelle Antille, per la conservazione di quella parte della foresta che la
scienza ritiene necessaria per l'igiene e per il mantenimento di convenienti
condizioni climatologiche.
La
febbre gialla colpisce principalmente gli stranieri e ciò rese per molto tempo
il paese indolente contro di essa, ma ora si pensa a combatterla, perché si
sente impellente la necessità di facilitare l'immigrazione. Sono stati perciò
creati dei Comitati per l'igiene, si fanno leggi e regolamenti e si votano fondi,
ma, mi sia lecito dirlo una volta tanto, in questi paesi, più che altrove:
"Le leggi son, ma chi pon mano ad elle?" E a non farvi badare
concorrono le lotte politiche ed i mille interessi personali che ad esse
connettono, onde assai spesso i lavori pubblici sono ispirati da interessi
privati o dalla vanità di legare il proprio nome a un cumulo di pietre più o
meno artisticamente disposte.
Intanto
funzionano a Parà 11 ospedali, o case di salute, si pensa di accrescere la
quantità di acqua potabile che ora si trae dall’igarapè di Utinga, e pare che
si cominci ínche a pensare occorre un completo sistema di fognatura.
***
A
tutto ciò ed all'igiene in generale, bisogna provvedere non solo nella detta
città, ma in tutto il Brasile per preparare l'avvenire di questo immenso paese
che ha una superficie eguale ad un quinto del vecchio continente, e per le sue
immense ricchezze naturali potrebbe e dovrebbe essere uno dei più grandi
fornitori del mondo di materie prime. Difatti dall'Amazzonia si possono
ottenere ogni specie di prodotti vegetali, legnami, fibre tessili, olii
svariatissimi, frutta, farine, cereali, caffè, cacao, tabacco, spezie,
medicinali e le migliori gomme elastiche. E similmente gli Stati della zona
tropicale e dì quella temperata possono fornire i prodotti più ricchi e
variati: lo Stato di Pernambuco solamente, produce oltre 220.000.000 di libbre
di zucchero, e tra l'Amazzone ed il tropico si può avere dalle terre basse,
zucchero, manioca, cacao, riso e frutta; dai declivi delle colline caffè (di cui
la maggior parte viene dallo Stato di San Paolo con una produzione di 800..000
tonnellate all'anno) e dagli altipiani cotone (di cui si estende la
coltivazione perché costa meno del caffè) e tabacco. Nelle regioni temperate
(San Paolo. Paranà, Santa Caterina, Rio Grande del Sud) si ha ancora caffè ed
inoltre cereali, frutta, uva, bestiame ed il maté che ora va molto
estendendosi, perché oltre a dare una buona bibita, pare sia un ottimo rimedio
contro l'insonnia, l'indigestione, la gotta, l'esaurimento fisico e mentale,
ossia si considera quasi come una vera panacea universale.
Negli
Stati di Goyaz, Bahia, Mato Grosso e di Minas vi sono grandi ricchezze
minerarie. Pare che la prima miniera d’oro sia stata scoperta nel XVI secolo,
presso Goyaz, è certo che se ne trovarono nel XVII secolo negli Stati di San
Paolo, di Minas Geraes. Questo ultimo Stato è quello che comprende la. regione
mineraria per eccellenza e vi si trovano oro, argento, rame, ferro, zinco,
mercurio, manganese, calce, salgemma, diamanti, topazi, ametista. Solamente le
sue miniere di oro hanno data 200 milioni di sterline, e nelle sue cave di
diamanti furono trovate, le più belle pietre del mondo, e tra esse la famosa
Stella del Sud che, allo schiavo che la trovò fu scambiata con la libertà.
Fin
dalla scoperta non fu dato al Brasile e più specialmente all'Amazzonia,
l'importanza che meritava, tant'è vero che il re di Portogallo, quando divise
il suo nuovo possesso (1532-35), in 12 capitanerie,
non fece neanche cenno della valle ricchissima dove Pinzon, nel 1500, aveva
visto per il primo la foce del famoso Mar Dolce. Solamente verso il 1650 il re
Don Alfonso pensò ad erigerla in una capitaneria detta dell'isola Joannes (ora
Marajo).
Per
evitare poi una dannosa concorrenza alle Indie orientali, furono proibite nel
Brasile molte coltivazioni e per trarne, con le idee protezioniste del tempo,
il massimo utile, ne furono chiusi agli stranieri i porti, disponendo che tutti
i prodotti fossero avviati con regolare convoglio ai mercati della madre
patria. Ma col tempo e con le successive scoperte delle ricchezze inesauribili
del suolo, le cose migliorarono un poco; furono tolte le restrizioni alla
navigazione, si cercò di proteggere in certo modo i disgraziati Indiani,
trattati fino allora peggio delle bestie feroci, si permisero, cessando di
considerarli infamanti, i matrimoni dei bianchi con le loro indie, e si
introdussero, per sopperire ai crescenti bisogni, i neri d'Africa. Ma ciò
nonostante, quando i reali di Portogallo, fuggendo innanzi alle aquile vittoriose
di Napoleone, ripararono a Rio Janeiro (8 marzo 1808) la colonia, non era al
caso di far fronte ai nuovi, bisogni ed alle ingorde pretese dei favoriti che
avevano seguito la corte.
Bisognò
quindi affrettarsi nelle riforme e nei miglioramenti intesi a far meglio
fruttare le ricchezze naturali, del paese, e si iniziò così quella fase
agricola che è risultata tanto vantaggiosa, ma che deve essere ancora molto
sviluppata.
Quando,
tornato il re don Giovanni al Portogallo (aprile 1821), il reggente del Brasile,
suo figlio Don Pedro di Alcantara, fu costretto (gennaio 1822), per non perdere
tutto, a dichiarare l'indipendenza del Brasile stesso ed a costituirlo in
Impero, il suolo cominciava già a produrre, ma sempre troppo poco per i bisogni
locali e per le esauste finanze dello Stata. Un grande debito gravava su di
questo; il bilancio si chiudeva sempre con deficit, ché le entrate non
giungevano a metà delle spese, gli scambi tra le province erano difficili
perché mancavano strade e linee di navigazione, l'istruzione pubblica era
trascurata e finalmente la popolazione in tre secoli era appena salita a
3.797.000 abitanti, di cui due milioni erano schiavi indiani e neri.
Le
cose non sono cambiate da allora, l’esportazione e l'importazione che erano
arrivate nei primi tempi dell'Impero a 50 ed a 100 milioni rispettivamente, nel
1901 raggiungevano circa 500 e 1000 milioni, le sole dogane nel 1897 diedero
oltre 75 milioni, senza contare i dazi percepiti da ciascuno Stato; molte
strade sono state aperte; esistono già 9000 km. di ferrovia, una estesa rete
telegrafica e parecchie linee di navigazione; la schiavitù è stata abolita e la
popolazione si è quadruplicata.
Ma
16.000.000 di abitanti, sono quasi nulla per questa terra sconfinata; onde
mancano sempre le braccia necessarie per coltivare almeno una parte notevole
della terra, per iniziare delle foreste, per lavorare maggior numero di miniere
e per sviluppare le industrie.
Casi
nelle provincie del sud, dove si tenta con maggiore interesse di far sorgere
fabbriche ed officine, non si è potuto finora fare molto, e dal paese in
generale i soli prodotti che si esportano in quantità notevoli, in mezzo a
tanta dovizia, sono il caffè, la gomma, lo zucchero ed il maté e, solamente per
i primi due, il Brasile mantiene il primo posto. Occorrono quindi braccia,
molte braccia ed i 1000.000 emigranti che arrivano annualmente non sono
sufficienti.
Ricchezze
e commercio dello Stato di Parà - Le ultime considerazioni ora fatte si
applicano in special modo allo Stato di Parà, perchè esso, riceve una parte
assai esigua dei detti emigranti e, benché sia il terzo degli Stati brasileni
per grandezza (ha una superficie quasi piana che occupa un'area compresa tra
1.150.000 e 1.700.000 kmq.), e potrebbe contenere metà della popolazione d'Europa),
non conta che 700.000 abitanti.
Il
suo suolo fertilissimo perciò è quasi abbandonato all'invadente foresta e la
poca gente esistente in paese, essendo stata presa dalla febbre della gamma
(l'oro vegetale), quasi esclusivamente di essa si occupa. E cos1 fino a poco
tempo fa lo Stato di Parà era il più grande produttore di questa materia, ma
ora è superato dalla vicina Amazonas. Tra gli altri prodotti di cui, nel Parà
stesso, si cerca di trarre qualche profitto, sono il cacao, le fibre tessili, i
legnami, le piante medicinali, e per quanto essi e la gomma crescano ora quasi
spontaneamente, e si sfruttino alla meglio, ciò nondimeno, come mostrano le
tabelle seguenti, sono, già sufficienti a fornire una grande ricchezza ed a far
progredire il paese (dal 1872 la popolazione si è triplicata, ed i diritti di
esportazione da 3000 contos nel 1889 erano saliti a 24.000 nel 1900); si può
quindi facilmente pensare quali meravigliosi risultati si otterrebbero se le
terre fossero coltivate. […] (pp. 108-109).
Molto
Propizia è la posizione di Belem, onde il suo porto è lo scalo più importante
dell'Arnazzone e per molto tempo ha assorbito il movimento commerciale di tutto
il fiume, ossia degli Stati di Parà, dell’Amazzonas e degli altri Stati del
Brasile stesso, e delle vicine Repubbliche del Perù, della Bolivia,
dell'Equatore, del Venezuela che trovano nell'Amazzone e nei suoi affluenti la
sola via di comunicazione con l'Atlantico. Ma ora l'Amazonas progredisce
giornalmente ed il suo porto dì Manaos fa una gran concorrenza a quello di
Belem e cerca il movimento delle Repubbliche limitrofe. Ciò nonostante Belem
vede sempre accrescere il suo commercio e la tabella seguente mostra
l’importanza del suo porto. […] (p. 110).
NAVIGAZIONE
SULL'AMAZZONE
Vai alla cartina della valle amazzonica
Ricerca
delle carte e dei piloti; rifornimento di combustibile. Appena arrivato a Parà,
mi diedi per prima cosa a cercare una carta del fiume dalla quale potessi
almeno dedurre qualche, indicazione generale sulla condotta della navigazione;
ma non trovai nulla. Una vera e propria idrografia nel senso nautico non
esiste, ne forse esisterà mai, perché il fondo in generale, e gli angusti
canali navigabili in particolare, per l'azione della corrente, sono in continua
variazione.
Ma
se l'Amazzone, il Solimoes ed il Maranon fossero ognuno percorsi continuamente
da due lanchas idrografiche che, partendo da una estremità andassero verso
l'altra, scandagliando ed osservando, sarebbe facile preparare e tenere al
corrente di correzione un rilievo a vista di grande scala. Bisognerebbe però
che questo rilievo fosse logicamente illustrato da note spiegative da vedute e
da indicazioni necessarie per riconoscere i punti in cui bisogna traversare il
fiume; ma importerebbe completarlo anche con opportuni segnali sulle rive e con
stazioni nei punti più pericolosi.
Un
capitano della Compagnia Booth si è accinto a fare uno schizzo rispondente allo
scopo ora detto, e l'ha corretto in base a ben 14 viaggi da Parà ad Iquitos. La
scala adottata però è troppo piccola e ad ogni modo mi fu possibile solamente
vederne un pezzo (Manaos-Iquitos) al mio arrivo ad Iquitos, ossia quando era
per me troppo tardi. Non mi riuscì poi di avere, eppure Parà doveva essere il
posto più adatto per trovarle, nè la carta fatta dal Welmington, né la nuova
edizione della carta inglese che contiene il Parà col canale di Breves, né le
altre carte Nord Americane che sembra siano dedotte da quelle dell'album
brasileno di cui ora parlerò. Dovetti quindi accontentarmi, in mancanza di
meglio, di due semplici carte geografiche a grandi scale, la Mappa do Estado do
Parà compilata con abbastanza esattezza dall'ing. A. Santa Rosa e la Mappa
Geografica do Estado do Amazonas compilata dal conte A. Stradelli nel 1901 ed
attualmente in ristampa. Il console però di Parà mi fornì una specie di
preziosità bibliografica, quattro carte rilevate nel 1844 dal R. Brik francese
la Boulonnaise e che comprendono il basso corso del fiume fino ad Obidos. A
Manaos poi il conte Stradelli mi fece vedere un'altra rarità dello stesso
genere: l'album di carte idrografiche da Parà a Tabatinga, eseguite, pare, da
Brasileni e che risalgono presso a poco alla stessa epoca delle carte francesi.
Naturalmente le une e le altre ormai sono troppo vecchie e quindi non le
trovammo conformi al vero, tuttavia si scorge facilmente che le Mappe anzidette
e molte altre, riportate in libri e pubblicazioni diverse sono state disegnate
con la loro guida. Tutta la mia relazione però si riferisce all'album di
rilievi a vista che furono da noi compilati con la scorta di quelli che
possedevamo, ma in base alle nostre osservazioni.
Da
tale album nostro sono tratte, le carte unite al presente scritto.
Importa
però notare che lo scrupoloso servizio idrografico organizzato come sopra ho
detto, potrebbe col tempo liberare la piccola navigazione di cabotaggio dalla
soggezione dei piloti almeno sul fiume principale, ma ciò non sarebbe mai
possibile per le navi, perché solamente con la pratica e le grandi conoscenze
locali è possibile orientarsi in questo labirinto e seguirne le singolarità. Le
carte però completerebbero, come in ogni altra regione, l'opera, dei piloti; in
caso di bisogno permetterebbero di farne a meno e sempre metterebbero i comandanti
in caso di regolare la navigazione e di liberarsi da un numero infinito
d'inconvenienti che ogni marinaio facilmente comprende, specialmente se si
pensa che,' salvo il tratto Salinas-Parà, dove lavorano impiegati governativi,
non esiste nessuna società di pilotaggio e nessuna norma precisa per regolare
il servizio dei singoli individui che prendono la patente di pilota. E, come se
tutto ciò non bastasse, a complicare le cose c'entra pure il conflitto di
attribuzioni tra le autorità federali e quelle dei singoli Stati, in modo che
riesce facile alle une ed alle altre schermirsi, e levarsi ogni noia, quando le
navi ricorrono a loro per un pilota.
Al
principio però non trovai grandi difficoltà in proposito. Per evitare ritardi,
avevo telegrafato a Parà per trovare il pilota a Salinas, ma incontrai, come
dissi, con regolarità, il cutter dei piloti sempre in attesa di navi.
Raccomandai
al console di Parà di usare ogni diligenza per trovare due buoni piloti per
l'Amazzone, ma un'ora dopo veniva a bordo il signor Durante, ex-agente della
Ligure brasiliana, per propormi i piloti che erano al servizio della Compagnia
stessa: Machada e Cordeiro, veramente molto capaci. Mi chiesero però molto, ma
compresi, e me lo dissero anche il console ed il capitano del porto, che a
prescindere dal mio pescare, assai forte per quelle località, le navi da guerra
devono sempre pagare più delle mercantili, perché esse, mentre non danno
stabile impiego, impongono ai piloti maggiori responsabilità, visto che le
autorità portuarie, al più piccolo guaio, li radierebbero dalla lista dei
piloti.
Ciò
non ostante, e grazie alla cortesia del capitano di porto, signor comandante
Policarpo de Barros, riuscii a fare un buon. contratto, e ciò mi fece pensare
di avvantaggiarmi di quel gentile ufficiale per avere da lui i piloti fino ad
Iquitos; ma non fu possibile per ragione di delicatezza verso il capitano del
porto di Manaos. Questi, però non riuscì a fare molto, ed i piloti di Manaos,
sia perché non osavano navigare con una nave grossa come il Dogali, sia perché
volevano fare una speculazione sul mio viaggio, si posero d’accordo per impormi
condizioni semplicemente esose, e furono essi forse a spargere la voce che la
nostra idea di risalire il fiume era semplice spavalderia. A dire il vero
pochi, anche tra i nostri amici, credevano che avremmo potuto compiere una così
difficile impresa, perché il Dogali pareva loro troppo grosso per il fiume, ma
è probabile che anche la Compagnia Booth, che ha il monopolio del fiume,
accrescesse le difficoltà, perché a ragione doveva temere che a breve scadenza
le navi mercantili di una Compagnia italiana seguissero il Dogali. Le
difficoltà però valsero semplicemente ad accrescere in me il desiderio di
andare, ed anche quello di dare una lezione a quella gente. Decisi perciò di
partire senza piloti, cercandomi il canale con un vaporino di proprietà
dell'agente consolare signor Malagutti che egli, salvo le spese dei materiali
consumabili, metteva cortesemente a mia disposizione. Non mi dissimulavo la
difficoltà e la lunga durata dell'impresa, ma non esistono difficoltà
insuperabili, quando si vuole veramente fare qualche cosa.
Questa
mia inaspettata decisione impressionò anche i piloti ed appena si seppe che io
provavo il vaporino e l'armavo con la mia gente, un pilota, abbastanza buono e
che era giunto la mattina da Iquitos, venne a bordo e si offerse di servirmi,
dichiarando che non faceva patti, ma che gli bastava l'onore di stare su di una
nave italiana e si rimetteva completamente a me per la mercede. Mutate fino a
questo punto le cose, era una questione di dignità l'accettare e lo feci,
mentre da Parà, dove avevo telegrafato, mi informavano anche della partenza di
due piloti fissati per me. Di questi uno era buono, ma da sei mesi non risaliva
il fiume, l'altro era un principiante, ma tornava da poco da Iquitos. Data
dunque l’abitudine dei vecchi piloti di avere un assistente, si doveva ritenere
che i due nuovi arrivati avevano il valore di un sol pilota, e che perciò,
unendo ad essi quello di Manaos, ero riuscito, con un poco di energia, ad
impormi ed a mettere insieme i due piloti che abbisognano ad ogni nave e che
sono prescritti anche per i vaporini fluviali. Bisognava inoltre tener presente
che i soli piloti adatti a grosse navi sono quelli che fanno la linea
Parà-Manaos, ma per la linea Manaos-Iquitos non vi sono che quelli della Booth
(educatisi a forza d'incagli) e che io non potetti avere: quindi i miei tre, se
pur fossero stati tutti ottimi, nessuno da solo mi sarebbe convenuto. Ed
invero, abituati come sono ad andare con navi di poco pescare, ed a seguire
speciali canali, poteva avvenire, e constatai essere proprio così, che vi
fossero tratti notevoli dei canali principali che alcuno di loro conoscesse ed
altri no.
Notevole
riscontro a tutte le noie incontrate a Manaos furono le cortesie e
facilitazioni che ebbi dal prefetto di Iquitos per i piloti dell'alto Maranon.
Appena arrivato in questo paese il detto prefetto si affrettò a dirmi,
prevenendo la mia richiesta, che sarebbe stato felice se una nave italiana
compiva il record della navigazione amazzonica, che era nell'interesse del Perù
di far conoscere i suoi fiumi, e che perciò si faceva un dovere di mettere immediatamente
a mia disposizione i migliori piloti locali. Uno di essi (indio) conosceva
perfettamente il fiume, l'altro (mulatto) valeva poco, ma, dovendo navigare
solo di giorno e per poco tempo, ne avevo abbastanza. Non occorre però dire che
entrambi avevano, come quelli di Manaos, pilotato solamente lanchas (vaporetti)
e conoscevano una nave un poco grossa (6oo tonnellate) perché c'erano stati a
bordo come passeggeri in un viaggio da Iquitos a Manaos. Ma essi avevano in
testa la carta che non esiste a stampa e mi bastava.
Mi
pare ora opportuno di dire più particolarmente sulle qualità dei piloti. A Parà
ed a Manaos s'incontra molta gente, ed anche dei giovincelli imberbi, che
posseggono o dicono di possedere la patente di pilota, ma i buoni sono pochi assai
e sono noti a tutti. Non è infatti una cosa facile diventare pilota
dell'Amazzone, ed occorrono, per diventarlo, qualità speciali di memoria e di
spirito di osservazione.
Senza
contare i piloti degli affluenti, perché ognuno di essi ha i suoi, vi sono piloti
dei tratti Parà-Manaos e Manaos-Iquitos ed anche Parà-Iquitos, ossia per fiumi
di 1000 o 2000 miglia. Ora, se si pensa che in alto specialmente si deve
manovrare continuamente e più di quello che occorre nei porti più difficoltosi,
e che l'uniformità del paesaggio rende assai difficile il riconoscere le varie
località, si comprende facilmente come occorrano lunghi anni di pratica per
imparare solamente i luoghi ed i loro nomi. Ed invero i piloti cominciano la
loro istruzione da bambini, e solamente quelli che materialmente vivono e
crescono sul fiume stesso, possono immedesimarsi con esso ed imparare a
conoscerlo. Ma, siano le loro qualità intellettuali, siano le condizioni
speciali del clima che deprimono le energie, sia la mancanza delle onde tempestose
e della furia dell'uragano, che formano e temperano i caratteri, è un fatto che
i piloti della valle Amazzonica, insieme con molte qualità, hanno molti
difetti. Spesso sono poco sinceri e poco intelligenti, difficilmente seguono un
ragionamento e sempre sono presuntuosi e pieni di strane suscettibilità. Quando
però un pilota che è riconosciuto buono sulla piazza, dà delle indicazioni
circa una località che egli afferma di conoscere, gli si può credere; ma in
generale bisogna considerarlo come un'ottima carta idrografica parlante e
niente più. Se per caso qualche cosa fallisce (anche le migliori carte hanno
degli errori), se una manovra manca, questi piloti perdono la testa, e non son
rari i casi in cui scappano dal ponte quando avviene un incaglio. Bisogna
dunque servirsene per farsi insegnare le località, come nelle circostanze
ordinarie si studia la carta per conoscere un porto prima di entrarvi, ma è
necessario stare sempre sul. chi vive, come avrò occasione di meglio spiegare
in seguito. Abituati poi a manovrare sempre con la corrente, hanno uno speciale
intuito per apprezzarne gli effetti, ma in cambio non capiscono quasi che si
possa manovrare senza quell'influenza esterna. Non essendo mai usciti dal loro
fiume, sono come un corpo a tre dimensioni che non può comprendere che si possa
vivere in uno spazio a due dimensioni. Il senso della corrente è, direi, una
dimensione che posseggono normalmente in più di noi, ma noi abbiamo il
vantaggio di saperla acquistare quando occorre. Perciò avviene anche che non
riescono a rendersi conto dello spazio, e nel Solimoes in special modo
conoscono solamente quante ore occorrono per andare da un punto all'altro, con
quel tale bastimento che servono normalmente, ma di cui non conoscono nè sanno
che cosa sia la velocità in acque ferme. La gente del paese ed i negozianti si
accontentano di ciò, perché a loro, data la corrente, interessa il tempo non la
distanza effettiva e così non è possibile sapere con esattezza le lunghezze dei
vari percorsi; e le tabelle che si conoscono sono tutte basate sulla durata
media di molti viaggi di andata e ritorno, e sulla velocità presunta delle navi
che la compirono. Ma siccome la velocità della corrente varia da un'epoca
all'altra, e le navi non seguono tutti gli stessi canali, è facile trovare
sensibili disparità tra le vario tabelle. Così per esempi tra le distanze che
si deducono dal nostro schizzo del fiume da Parà ad Iquitos e la tabella più
accreditata vi è una differenza di 70 miglia, ma date le condizioni locali,
devesi considerare di nessun conto e perfettamente giustificabile tale
differenza.
I
piloti mi assicuravano che la velocità della corrente è di tre miglia, ma io
pensai, e feci bene, che era meglio supporla di quattro, e su ciò mi basai per
stabilire la velocità economica ed il carbone che mi occorreva, tenendo anche
conto che l’acqua del fiume è buona per le caldaie ordinarie, e che occorre
distillare solamente per provvedersi di acqua potabile. Da Parà a Manaos non
c'erano difficoltà di sorta per il carbone perché la distanza è di circa 1000
miglia, ed arrivando avrei trovato da rifornirmi. Riempii però completamente le
carbonaie, perché a Parà il carbone costava meno, e le condizioni del fiume mi
permettevano di fare acquistare al bastimento la sua massima immersione. Per la
stessa ragione economica imbarcai quanti più viveri potei, perché a Manaos e ad
Iquitos si trova tutto quello che può occorrere ad una nave, ma a prezzi ancora
più elevati di Parà. Ad Iquitos veramente alcune cose costano un poco meno, ma
la differenza non è gran cosa, perché se da una parte sono minori i diritti
doganali, dall'altra le spese di trasporto crescono molto. Più difficile si
presentava il problema del combustibile nel tratto Manaos-Iquitos, perché
nessuno seppe dirmi con certezza se in quest'ultima località ne avrei trovato,
visto che questa è una notizia che non interessa i negozianti di gomma.
I
piloti dicevano che, anche fermandoci la notte, saremmo arrivati in otto giorni
ad Iquitos, ma non prestai loro fede, perché capii che, essi, sapendo di aver
da fare con un incrociatore, immaginavano che avremmo volato, ed era inutile
parlare loro di velocità economica. Avrei perciò voluto allogare in coperta una
certa riserva di carbone, ma la gente pratica del luogo pareva così preoccupata
dell'impresa che non mi parve prudente portare il pescare oltre i 18 piedi. Mi
limitai perciò a mettercene solamente 30 tonnellate e le disposi in modo da
immergere la prora senza influenza sensibile sul pescare a poppa, e dare alla
nave l'assetto più opportuno per navigare sui fiumi (immersione avanti eguale
od anche superiore di quella indietro). Tutti però mi assicuravano che avrei
trovato molte rivendite di legna sulla mia strada, e potuto quindi sopperire
alla mancanza di combustibile; ma poiché volevo assolutamente andare, decisi
che se non avessi trovata legna pronta l'avrei tagliata con la mia gente.
Perciò, visto che viveri ne avevo, non sarei certo rimasto per via, ma la
scienza del poi mi dimostrò che ad Iquitos, finché le cose saranno organizzate
come ora, il carbone si trova, perché la Booth vi lascia sempre uno dei suoi
grossi pontoni con 200 o 300 tonnellate di combustibile come zavorra. Quello
invece che nessuno mi disse, ed era importante, è che i rappresentanti di
quella Società lo vendono a peso d'oro, e secondo i bisogni più o meno urgenti
di chi lo richiede.
Durante
la traversata Manaos-Iquitos, ossia quando non sapevo ancora se ad Iquitos
avrei trovato carbone, mentre constatavo che veramente sulle rive esistono
molti depositi di legna, ne comperai due volte per farla concorrere fin
d'allora al consumo, insieme col carbone, per esperimentare il suo potere
calorifero ed il miglior modo d'impiegarla, per dar modo ai fuochisti
d'impratichirsi con essa nel governo dei forni ed alla gente di coperta nel suo
imbarco, dato il caso che al ritorno fossi stato costretto a farne un più ampio
uso. Si considera dai naviganti del luogo che mille pezzi di legna, del peso di
3.5 kg. l'uno, corrispondono ad una tonnellata di carbone e ne fanno
corrispondere anche il prezzo; nella prova da me fatta con due caldaie ed una
velocità di rifornimento di 20 pezzi al minuto per ogni forno trovai che potevo
fare 6o giri, consumando 950 pezzi di legna invece dei 900 kg. di carbone che
in eguali condizioni avrei bruciato. Questo risultato, era più che confortante,
perchè m'assicurava l'autonomia della nave, ed impiegando poi la legna stessa
durante l'alimento, ebbi un sensibile vantaggio sopra il corrispondente consumo
di carbone. In seguito a ciò, decisi per il momento di bruciare carbone in
navigazione e di usare solamente per l'alimento la legna imbarcata, salvo,
occorrendo, di usarla al ritorno, ossia quando non importava dì correre molto
anche in navigazione. Però la legna stessa ci costò parecchie-seccature; in
primo luogo la nave non essendo adatta per un simile carico, la coperta restò
molto ingombra, e quindi la gente non aveva posto per riposare e muoversi con
comodo; inoltre molti insetti arrivavano a bordo con essa e quindi avemmo a
soffrire un prurito molto molesto. Occorre poi una certa precauzione
nell'imbarco per evitare ìl pericolo. che qualche serpe, dormente nelle
cataste, mordesse, nello svegliarsi, gli uomini. Mi raccomandai quindi a questi
di fare picchiare molti colpi sulle cataste stesse prima di smuoverle e di non
lavorare all'oscuro nella notte, ma alla luce di molti fanali (impiegai anche i
proiettori) e tutto andò bene. Bisogna però avere un poco di pratica nello
acquistare la legna per non essere burlati circa la qualità. La migliore è
quella di capirona, di quinila o di remo caspi, del resto se è grossa e molto
pesante, e se è secca, ma non rovinata dal tempo (bisogna che non si spezzi
facilmente) si può ritenere buona. Ogni pezzo deve essere lungo circa un metro
con uno spessore di circa m. 0,10 ed un peso medio da 3.5 a 3,6 kg. In queste
condizioni si può ritenere che il rendimento resta nei limiti sopra detti, e
che l'ingombramento è quasi tre volte quello del carbone.
Nei
canali tra il Parà e l'Amazzone - La foresta Amazzonica. L'estrazione della gomma
elastica - Alle ore 22 del 19 dicembre 1904 lasciai Parà e verso la mezzanotte
girata l'isola di Tatuoca seguii a monte il corso del Parà. Il fiume è assai
largo,ed ha sulle rive paesi di una certa importanza tra i quali sono da
ricordare Conde e Beja, benché le difficoltà di accesso che presentano i loro
porti non facciano sviluppare il loro commercio; più importante è Maunà situata
sulla riva sinistra (isola di Marajò) e circondata da un territorio ricco di
gomma e di pascoli. Quasi all'altezza di quest'ultimo paese traversammo il
fiume e passammo innanzi alla bocca del Tocantins che ha un percorso di 1300
miglia, traversa ricchi paesi ed è via commerciale molto importante anche per
gli Stati vicini di Goya e Maranhao. Girammo poi l'isola di Gojabal e
penetrammo nel canale che, passando al sud di Marajò, doveva condurci nel fiume
Amazzone. Entrammo perciò nella regione delle isole, meraviglioso arcipelago di
innumerevoli isole di tutte le dimensioni a cominciare da quelle piccolissime
che contengono appena un ciuffo d'alberi e che un capriccio della corrente
costruisce in pochi giorni, a quelle, grandi come Tupinambaraua (2453 mq. di
superficie) ed a quella grandissima di Marajò che misura 130 miglia per 100 ha
una superficie di 5328 kmq, è attraversata da fiumi notevoli, ha laghi grandi
come quello di Arany e terre assai ricche per i boschi di gomma, per i pascoli
estesì e per ogni prodotto vegetale.
Ma
ciò che veramente è straordinario in questa regione è la rete fitta ed
intricata di canali che girano tra le isole e di cui presto cominciammo ad
ammirare la complicazione, perché a poche miglia da Gojabal, in mezzo a
numerose isole, ci si pararono innanzi ben canali. Quello più a nord conduce a
Breves che è il paese, più importante di questa regione; esporta sufficiente
gomma e le solite derrate, è ben costruito ed ha un buon molo. Una volta tutte
le navi che risalivano il fiume passavano per questo canale, ma ora
preferiscono, perché più corto e sicuro, il canale di Bujassù, che è quello
centrale tra i cinque ora ricordati. Esso è lungo 120 miglia, ma è molto
stretto, tanto che sovente vi sono meno di 300 metri tra le rive, ed è assai
tortuoso, onde bisogna navigarlo con molta attenzione, anche perché è assai
frequentato e quindi nelle brusche girate bisogna andare cauti per evitare
investimenti. Salvo pochi punti ha fondo per le maggiori navi fin presso le
rive, e si naviga sempre a pochi metri da esse, onde si ha l'illusione quasi di
toccare gli alberi che, quando il livello è alto, hanno i piedi nell'acqua. Il
canale quindi è chiuso tra muraglie verdi e pare di navigare in un viale aperto
dalle scuri di giganti in un parco immenso. Potemmo così ammirare a nostro
bell'agio ed in tutto il suo splendore la meravigliosa foresta amazzonica. In
essa alberi immensi, arboscelli sottili come giunchi, palme delicate, parassiti
di ogni forma, orchidee preziose, felci eleganti, tutto, dal filo di erba più
sottile al gigante del regno vegetale (nel Rio Branco è stato osservato un
albero che misura intorno ai rami una circonferenza di 250 metri), tutto è
ammassato nella più strana confusione. Riesce perciò difficile trovare vicine
due piante eguali tanto che, dicesi, se ne possono contare un milione, diverse
una dall'altra, in un chilometro quadrato. E tra esse è impegnata una lotta
terribile, perché ciascuna tenta di alzarsi più in alto dell'altra, per
guadagnare, senza pietà del vicino, l'aria e la luce, sorgenti di ogni vita. E
le liane in genere, mentre rivaleggiano con le palme nel costituire una delle
grandi attrattive della foresta, danno l'esempio più vivo di questa lotta; così
la liana omicida (cipo matadoor) appena si attacca ad un tronco, getta due rami
che si sviluppano rapidamente e vanno a ricongiungersi dall'altra parte. La
loro stretta è cosi forte che quasi si confondono col legno della vittima,
eppure serbano intera la loro vitalità, e presto dalla giunzione si propagano
altre due braccia assassine che costituiscono un nuovo anello, e poi un terzo,
un quarto e così di seguito, sempre più in alto fino alla cime, dove vanno a
spandere al sole, in segno di trionfo, le loro foglie. Intanto la vittima muore
soffocata, ma morendo si vendica perché cadendo trascina con sé lo
strangolatore. Altre volte è il piccolo seme dell’arauca che portato dal vento
sulla corteccia rugosa di un forte ramo vi si attacca e genera una graziosa
fogliolina, mentre getta radici poderose che penetrano nel legno dell'albero,
ne traversano il midollo e vanno a germogliare anche dall’altro lato. Allora la
pianticella si sviluppa da quel lato e si allunga per tutto il tronco
coprendolo con un lucido manto, ornato di fiori rossi. Altre volte ancora il
rampicante, nato come il cipo omicida dal suolo, sale a poco a poco lungo il
tronco dell’albero ne raggiunge la cima e poi, come una dritta corda, ritorna
fino a terra di dove partì e vi mette nuove radici. E tutti questi rampicanti
si cercano, si uniscono per mezzo di ponti aerei, si agglomerano e formano una
fitta rete che, insieme ai rami che insieme ai rami che s’intrecciano, agli
alberi caduti, agli arbusti di ogni specie, pare vogliano formare una barriera
insormontabile contro l'uomo ardimentoso che tenta di penetrare il mistero del
bosco. Solo pochi animali la foresta si degna di accogliere, ma a tutti, dal
jaguaro - che, se non avesse a temere l'assalto terribile del boa costrictor,
sarebbe il re del bosco - ai piccoli mammiferi che vanno a cercare il sole
sulle cime più alte degli alberi, dalla cascavella ai rettili più strani, dalle
farfalle variopinte ai più svariati insetti, dalle are bellissime ai piccoli
uccelli mosca, brillanti come gioielli, provvede con regale munificenza. La
maggior parte di questi animali però cerca di vivere sugli alberi, perché, come
le piante, anche loro hanno bisogno di avviarsi verso la luce, e così diviene
una caratteristica della foresta vergine quella di fare acquistare alle cose
viventi, piante ed animali, la tendenza a rampicare.
Bella
sempre la foresta. ha continui e meravigliosi mutamenti, che tengono sempre
desta l’attenzione e sempre suscitano l'entusiasmo, onde non so dividere
l’opinione di Alessandro Humboldt che provava un senso di tristezza dinanzi
allo spettacolo di questa natura così viva dove l’uomo solamente non figura.
Anzi quelle magnificenze naturali mi hanno sempre ispirato un senso di ammirazione
mista ad un sentimento di orgoglio per la sicurezza che in un avvenire prossimo
l’uomo avrebbe piegato ai suoi bisogni quella natura ribelle.
Dove
il terreno è soggetto alle inondazioni- periodiche, gli alberi hanno tronchi
diritti e senza rami fino a due terzi della loro altezza, oppure finiscono con
un semplice ciuffo cosicché pare che li abbiano presi a modello gli artisti
dell’arte nuova. Oppure appaiono diritti e allineati così da ricordare i boschi
del nostro Appennino, o sono appena avvolti da graziose vegetazioni
striscianti, simili, nella grazia gentile, alla nostra edera, altre volte, ma
assai raramente si vedono boschi di sole palme.
Dove
invece la terra è alta, gli alberi hanno magnificenza, fogliame più
lussureggiante e più ricchezza di parassiti e di orchidee, e presso il fiume,
lungo le rive inondabili (verzeas) hanno innanzi ad essi un prato di Campira
(graminacea dall'altezza di 80 cm) il cui verde tenue risalta sul loro verde
forte e scuro. Ma in generale nel Solimoes e, nel Maranon il bosco è meno bello
che nel basso Amazzone.
Alla
varietà del bosco fa giusto riscontro il mutar continuo delle linee delle rive
così non ostante che il paesaggio sia piatto, non diviene monotono, anzi
presenta sempre continue attrattive per l’attorcigliarsi dei canali, il
succedersi delle isole, e la bellezza ora dolce e graziosa, ora selvaggia e
forte della foresta che impressiona l’animo diversamente anche al mutardelle
ore e del tempo.
Durante
la pioggia, quando una nebbia sottile avvolge gli alberi, e penetra fin nelle
ossa, pare di traversare un paesaggio nordico, ma appena il sole ritorna, con
quel passaggio brusco proprio dei tropici, dalla pioggia al sereno, il verde
delle foglie appare più dolce ed acquista la gaiezza dei boschi del nostro incantevole
Appennino.
All’alba
poi è tutta una festa della vita, in pieno meriggio la terra ha palpiti
poderosi di fecondità, al tramonto strane ombre penetrano tra gli alberi e si
addensano in una oscurità di mistero che pare nasconda l'infanzia di una nuova
civiltà, prossima a fiorire su questo immenso campo vergine riservato alle
attività delle prossime generazioni.
***
Ma
l’ammirazione non si arresta alla bellezza che la mente non può esimersi di
valutare e calcolare i tesori che rappresentano queste foreste meravigliose,
che appena interrotte da qualche savana circondano tutto l’Amazzone
estendendosi per 120 leghe dalla riva destra e poco meno da quella sinistra.
Uscirei
dal mio compito se volessi scrivere qui un capitolo sulla flora amazzonica, mi
basti dire che essa presenta molte diversità rispetto a quella del Brasile
intertropicale, mentre ha maggiori affinità con quella delle Guiane e che è una
delle più ricche del mondo per numero di specie e per notevoli caratteristiche.
Non posso però esimermi dal fare un breve e rapido cenno di alcune delle piante
più utili e tra esse comincio col ricordare quelle che possono fornire legnami
per costruzioni navali e civili e per lavori da carpentiere ed ebanista. Ma
sono cosi numerose che è impossibile numerarle; nel solo stato del Parà se ne
sono contate finora, tra le migliori, 87 specie molto pregevoli, ma al solito,
per mancanza di braccia, si fa venire da fuori molto legno per gli ordinari
lavori.
Egualmente
numerose, ma egualmente trascurate sono le piante alimentari: il caffè cresce
quasi allo stato selvaggio, ma la sua coltivazione è così scarsa che tutta la
valle Amazzonica ne importa, e nelle provincie cisandine del Perù si trovano
fattorie abbandonate, in cui le macchine sono mangiate dalla ruggine ed i
preziosi grani marciscono sulle piante. Anche il cacao prospera ottimamente, ma
è di una specie diversa da quella delle Guiane, i grani sono irregolari,
schiacciati, lunghi con sezioni triangolari. Testimoni ocula ri mi assicurano
che sul fiume Ica si può raccoglierlo passando in una canoa lungo le rive, ma
salvo alcune località del basso Amazzone, a cui avrò occasione di accennare, è
poco co1tivato. La canna da zucchero fu coltivata nel XVIII secolo con ottimi
risultati, ma ora se ne produce quel poco che basta per trarne una specie di
acquavite detta Cachaca dai brasileri. Gli Indi specialmente sono ghiotti di
questo disgustoso liquore che non ha nulla di comune col rum delle Antille, ed
i seringueiros profittano di questa debolezza dei poveri figli della foresta
per attirarli a loro. Perciò di tratto in tratto, lungo le rive dei fiumi,
sorgono delle distillerie, gli Indi vi accorrono, accampandosi nei dintorni, e
così i villaggi sono presto formati. Se allora il proprietario di una di quelle
distillerie è capace ed accorto può fare la sua fortuna perché col debito e gli
opportuni anticipi di robe e liquori, può accaparrarsi i poveri selvaggi e
farne dei raccoglitori di gomma assai produttivi e poco costosi.
L'Ibady
(la coca) cresce abbondante, il mais, il riso, i fagioli ed altri cereali
forniscono ottimi prodotti a chi si prende la briga di piantarli, ma la sola
coltivazione un poco curata è quella della manioca che è la base
dell’alimentazione del popolo
Vi
sono due specie di manioca: la dolce e l’amara: la radice della prima si può
mangiare impunemente, e con delle operazioni di lavaggio e di essiccazione se
ne ricava una polvere fina - micosacche - che ha impiego analogo alla nostra
farina. Con una specie di cottura invece su lastre riscaldate, si ottiene una
materia granulosa che è la tapioca.
La
radice della manioca amara è velenosa per la presenza dell’acido cianidrico, ma
si libera di questa parte dannosa mediante pressione ed evaporazione. e si usa
per dolci, salse, ecc.
Ogni
specie di frutto tropicale si può ottenere o dagli alberi sparsi nei boschi o
con facile coltivazione; quasi tutte le spezie come il garofano, il pepe, il
pimento di Cajenna, la cannella, la noce moscata, ecc., vi prosperano
maravigliosamente; così pure il cotone, numerose piante tessili per far
cappelli (compresi quei famosi detti di Panama), cavi, cesti, tessuti ed ogni
specie di lavoro, il tabacco e moltissime piante da cui si possono trarre oli
Tra
queste ultime piante ricorderò le castagne del Parà, di cui esistono tre specie,
ma è quella comune, detta particolarmente di Parà o di Maranhao che si
utilizza. L’albero è bello e grande, il frutto è rotondo, grosso come la testa
di un bambino e rivestito di un duro guscio. Il vento lo fa cadere, e nell’urto
si stacca la calotta inferiore dell’involucro, e ne vengono fuori una ventina
di semi di discreto gusto e ricchi di olio. Se ne asporta una discreta quantità
per l’Europa: nel 96-97 ne furono mandati 122.000 ett, dal solo stato di Parà.
Le
piante medicinali come l’ipecacuana, il copaive, il guaranà (di cui nel 91 si
esportarono 34 tonnellate da Parà), la salsapariglia, la noce tonka, ecc., sono
talmente numerose che la valle Amazzonica potrebbe essere la farmacia del
mondo. Similmente numerose sono le piante che danno tinte, gomme e resine
preziose, ma tra queste le più pregiate sono quelle che danno la gomma elastica
ed il caucciù ed anzi si esse solamente può dirsi che si occupa la gente che
vive nella valle Amazzonica.
***
A
quanto pare il padre Manoel da Esperanca fu il primo a parlare della gomma,
egli la vide presso gli Indiani di Cambebas, ed osservando che era adoperata
per fare recipienti atti a contenere liquidi, dalla forma di quei recipienti
chiamò, con una figura retorica, borracha o shiringa la nuova materia.
Il
primo nome è stato accettato dai Portoghesi, ed il secondo dai Peruani, ma
questi usano anche l'altro di Jebe. Parecchio tempo dopo (1741) La Condamine
vide una materia analoga verso Quito e per la prima volta parlò in Francia del
caucciù (caucho spagnolo).
E’
noto che il caucciù ha qualità diverse da quelle della gomma elastica, e date
le località delle due osservazio ni sarei propenso a credere che si debba la
scoperta della gomma a Padre Manoel e quella del caucciù a La Condamine; ma non
mi è riuscito di chiarire il fatto anche per la ragione che spesso mi è occorso
vedere confuso l'un nome con l'altro, forse perché alcuni non badando alle
qualità specifiche ed agli usi delle due materie, ma si limitano a dire che tra
le varie specie di borracha esportata dall'Amazzonia, ve ne è una che è
chiamata caucciù. Sul luogo poi, benché tutti gli interessati sappiano la
differenza del prezzo tra l’uno e l'altro prodotto, non si occupano troppo
della loro storia.
In
principio la gomma fu poco apprezzata in Europa, e fu specialmente usata per
cancellare il lapis, onde il nome inglese di rubber, ma la sua grande proprietà
di essere impermeabile ai fluidi, i vantaggi che si possono trarre sulla sua
elasticità la possibilità di farne vestiti e la relativa invenzione di Mackintosh,
l'invenzione della vulcanizzazione di Goodyears, la sua trasformazione in
ebanite, la generalizzazione delle biciclette, degli automobili, ecc., hanno
resa la gomma ed il cautchouc o caucciù, materie di prima necessità per la
nostra vita civile.
È
noto che le dette materie si ottengono coagulando il latte che secernono certe
piante speciali che mi astengo dal citare per non ingolfarmi in una grossa e
difficile quistione di botanica: dirò solamente che la migliore gomma è
prodotta dalla Hevea Brasiliensíi, la quale ha diverse varietà a cui forse
corrispondono anche le distinzioni di Seringueira bianca preta (la più buona)
che fanno i Seringueiros.
Non
è facile determinare l'area geografica (forse la parte meridionale della valle
fino ai fiumi peruani) occupata dall’Hevea in parola e dalle altre specie, di
Hevea, come non è facile enumerare tutti gli altri alberi da gomma che esistono
nella valle Amazzonica. Ricorderò solo che da poco tempo ha anche attratto
l'attenzione una euforbiacea (specie sapium) che dà buona gomma ed altre
piante, ma di minore importanza come l’Haucornia speciosa (Mangabeira) ed il
Tauro. Finalmente la vera pianta a caucciù è una Castilloa, ma non è definito
se la amazzonica sia la stessa di quella elastica.
Tutte
queste piante crescono spontanee, non sono in generale strozzate da parassiti,
come può avvenire per il cacao ed il caffè, e non sono come queste attaccate da
insetti distruttivi, ma in cambio non si possono piantare dove si vuole e
sembrano un privilegio della zona torrida. Ma la Hevea della valle Amazzonica
(o almeno la specie di piante che si sfrutta, essendovi moltissime altre che si
trascurano perché la loro gomma è inferiore, debil o brava) dà prodotti
superiori in qualità ed in quantità a quelli degli altri paesi.
Perciò
ed anche perché la produzione dell'Asia, dell'America centrale e dell'Africa
diminuisce sempre, gli Inglesi e gli Americani hanno fatto tentativi di
coltivazione, ma l'Amazzonia è restata vittoriosa e la sua raccolta (nel solo
Stato di Parà su 57 municipi ne esportano 47) è sempre in aumento.
Fino
al 91 erano in lavorazione più di un milione di miglia quadrate, ma restano
sempre moltissimi terreni da sfruttare, e come appare dalla tabella seguente,
oltre la metà della produzione mondiale viene dall'Amazzonia. […] (p. 125).
ed
a questi dati si può aggiungere che dal 1839 fino al 1891 se ne erano estratte
nell’Amazzonia 269.000 tonnellate. […] (pp. 126-134).
SULL'AMAZZONE
Arrivo
nell'Amazzone - Dal canale di Bojassù a Santarem - Usciti dal canale di Rojassù
entrammo in quelli di Tajapurù, Limao e, Itiquara che lo seguono e sono pari a
lui per la poca larghezza, e la tortuosità, eccetto forse l'ultimo che è un
poco più largo. Ad intervalli piuttosto grandi, vedemmo sulle rive capanne di
pescatori o di mercanti di legna, elevate su palafitte, perché la costa essendo
bassa è soggetta ad inondazioni periodiche. Sono povere costruzioni di legno
con pareti di canne e tetto di foglie, senza traccia di coltivazione intorno,
perché la poca manioca che serve agli abitanti è generalmente piantata verso
l'interno, a qualche centinaio di metri dal fiume, ed in piccoli appezzamenti
di terreno conquistato sulla foresta. Una volta sola mi capitò di vedere
accanto ad una capanna, delle magnifiche ciocche di fiori rossi, che erano una
vera festa in mezzo al verde del bosco, perchè ciò che manca laggiù è proprio
la bellezza dei fiori per riposare e rallegrare l'occhio stanco alla fine di
tanta ricchezza di verde. Sarebbe quindi assai facile abbellire quelle meschine
abitazioni, ma quelle genti amano troppo poco il lavoro per spenderne in cose
improduttive; però, nell'alto Amazzone, e specialmente nelle provincie peruane,
dove le capanne sono costruite su terre elevate, hanno almeno intorno piante di
banani, che le ingentiliscono assai e sovente ne fanno dei quadretti molto
graziosi.
A
mezzanotte del 21 usciamo anche dal foro di Itiquara ed entrammo finalmente
nell'Amazzone. In quel punto esso è largo 40 miglia tra riva e riva, ma l'isola
di Urutahy e dietro ad essa l'isola grande di Gtirupà - lunga ben 70 miglia -
ingombrano la sua parte centrale e lo dividono in due bracci, l'uno
settentrionale, più largo, l'altro, che noi traversiamo, meridionale, più
stretto. Come al solito quindi non fu possibile ammirarlo in tutta la sua
grandiosità, ma, relativamente, anche quello che si vedeva era semplicemente
grandioso.
A
valle dell'isola Gurupà, il fiume gira nel dedalo di isole che sono al Nord di
Marajò e finalmente arriva al mare, dove affluisce per tre bocche comprese fra
la punta Maquary dell'isola di Marajò e l'isola Mexiana, tra questa e l'isola
Caviana, e tra quest'ultima e la punta Jupaty. Vi sono ben 250 miglia, tra le
le punte estreme.
Numerosi
bassi fondi sbarrano verso il largo le dette bocche, dentro di esse la corrente
acquista sovente grandi velocità, le maree vi sono molto forti, e spesso nei
canali più accidentati sono accompagnate dalla "Pororoga". Questo
fenomeno, limitato ai bassi fondi di non più di 4 braccia, è assai grandioso:
dopo che le acque hanno raggiunto il minimo livello della marea si vede
giungere da lontano un'immensa onda, che si avanza a grande velocità
accompagnata da fragoroso rumore. Una o due altre la seguono, enormi masse
d'acqua si precipitano quindi sulla spiaggia, ed in brevissimo tempo il livello
si eleva a quello, della marea alta.
Per
tutti questi inconvenienti la navigazione attraverso dette bocche si ritiene
impossibile e si è ricorso alla via del Parà per arrivare all'Amazzone.
A
monte di Gurupà ìl fiume, si conserva sempre largo anche in quella parte che le
isole permettono di vedere. A Santarem vi sono ancora 22 km. tra riva e riva,
ma, poco più in su, ossia al passo di Obidos vi è uno stretto di soli 1000
metri, cosicché le acque devono acquistare grandi profondità perchè la loro enorme
massa possa scorrere. Subito dopo le rive si allontanano di nuovo, e benché
alla confluenza del Rio Madera, l'Amazzone meriti ancora bene il nome di
Rio Mare, dopo non riacquista più, almeno nella parte visibile, la grandiosa
maestosità del basso corso. Anzi, alla confluenza del Rio Negro, quasi, per la
maggior larghezza, si sarebbe propensi a credere che questo sia il fiume
principale, e perciò si comprende come dalla detta confluenza il nome celebre
di Amazzone sia stato mutato in quello di Solimoes.
I canali
navigabili diventano allora più angusti e difficili, sovente le coste si
avvicinano bruscamente o numerose isole sbarrano il corso del fiume, e quindi
si è costretti in passi di piccola ampiezza e molto tortuosi. Usciti poi dal
Brasile, ossia dopo la confluenza del Javary, il nome del fiume si muta ancora
in quello di Maranon, e mi piace il pensare, come taluni hanno creduto, che per
un certo tempo il fiume intero portò questo nome, perché Pinzon,
nell'accorgersi che non era un braccio di mare, come aveva supposto
scoprendolo, esclamò "Mara non". Ora pare dimostrato che anche questo
racconto non sia vero, ma dovendo scegliere tra esso e la leggenda prima
ricordata, lo preferisco per la sua semplicità, così rilevante rispetto alle
complicazioni del furbo Orellana.
Nel
Maranon le difficoltà della navigazione aumentarono ancora: alla confluenza ora
accennata del Javary il fiume appare pur sempre abbastanza ampio, ed a
Tabatinga: (stazione di confine brasilena) misura circa 3000 metri tra riva e
riva, ma in generale i passi sono stretti, tortuosi e sparsi di pericoli. Verso
Iquitos però vi sono dei canali di grande regolarità e pare quasi che siano
stati aperti ad arte, e che accorti giardinieri tengano in bell’ordine le
immense muraglie verdi che li circondano.
Procedendo
ancora oltre di Iquitos, le rive diventano più ridenti e sono più abitate, il
bosco riacquista la grandiosità del basso corso, ma i canali adatti alle navi
volgono al loro termine. Con tutta la buona volontà, essendo però il fiume a
mezza piena, non mi fu possibile spingermi al di là si Santa Fè, ossia a 94
miglia da Iquitos, ma a piena completa credo che avrei: potuto andare per oltre
200 miglia circa.
Il
fiume lassù si restringe sempre, e benché occorra arrivare a Brancomares per
trovarlo della larghezza di 400 metri, i canali navigabili sono strettissimi,
e, a dire dei piloti, al di là di Santa Fè non avrei incontrato spazio
sufficiente per girare la nave. Ma è da notare che la strettezza dei canali
navigabili, spinta al punto da non permettere la girata neanche ad un
bastimento a due eliche e buon manovratore, si verifica anche, per lunghi
tratti, nel Solimoes, in alcuni punti dell'Amazzone e a ponente di Marajò,
perché non è raro che i canali in parola risultino larghi poche diecine di metri.
A
monte di Bracamores si arriva al Pongo di Manseriche, largo appena 25 metri. Si
chiamano pongos i tratti del fiume, incassati tra rupi dirupate, che si trovano
verso le Ande, dove il colosso è ancora un piccolo fiume di montagna, che va a
trovare la sua origine su di un picco elevato 5000 metri ed a sole 1000 miglia
dal Pacifico. Ma anche in quelle alte regioni raccoglie considerevoli affluenti
tra i quali si possono ricordare sulla riva sinistra: il Santiago, a monte di
Manseriche, ricco di sabbia d'oro e che ha per affluente il Pauta, che potrebbe
legarsi a Guayaquil con una ferrovia; il Morona navigabile per circa 300
miglia; il Pastaza da cui si è ricavato molto caucciù, ed il Tigre abbastanza
ricco di gomma e di caucciù. Sulla riva destra principale tra tutti è
l'Huallaga che ha affluenti importanti anche come via di comunicazione, ma
siccome non posso qui fare uno studio idrografico dell'Amazzone, mi basti dire
che a partire dall'Ucayali andando a valle fino a Gurupà il numero degli
affluenti, innanzi ai quali passammo, è grandissimo (centinaia tra grandi e
piccoli), e perciò in seguito accennerò man mano solamente ai più importanti.
L'Amazzone,
dunque (che per la lunghezza è il terzo fiume del mondo, ma che per quantità
d'acqua trasportata è il primo) traversa quasi tutta l'America meridionale
nella sua maggior larghezza, con un percorso che si aggira tra 2800 e 3000
miglia, di cui, come il Dogali ha dimostrato, 2285, partendo però da Salinas,
sono navigabili per una nave di 18 piedi anche nell'epoca in cui le acque in
alto sono a mezza piena. Grazie infatti a cure assidue che forse un mercantile
non potrebbe sempre usare, riuscimmo a navigare sempre in più di 6,5 metri di
acqua, anzi in un punto solo trovai questo fondo, mentre credo che qualche giorno
prima il vapore inglese, meno attento, strisciasse passando per quel paraggi.
In generale poi si può dire che, di 18 ad anche di 20 o 21 piedi possono andare
in ogni epoca fino a Manaos. In vero l'Amazzone in questo tratto quasi sempre
molto fondo, ma nei canali che lo mettono in comunicazione con Parà vi sono dei
punti, bassi che le grosse navi devono passare ad alta marea. Per spingersi
oltre Manaos e fino ad Iquitos con le acque basse, il pescare non deve eccedere
i 16 piedi e qualche volta bisogna contentarsi di strisciare, ma iniziata la
piena anche con 18 piedi si può, come ho detto, rimontare fin là, ed a piena
completa possono farlo anche navi maggiori. Oltre Iquitos vi è un passo secco e
difficile tra la costa e l'isola dello stesso nome, ed oltre Santa Fé la
navigazione delle navi di 18 piedi si può considerare arrestata. Ma nell'alto
Maranon per ora almeno basta il traffico dei vaporini fluviali o delle lanchas,
come laggiù li chiamano, che si possono spingere fino oltre 2800 miglia dal mare.
Le imbarcazioni poi possono andare molto a monte di Huallaga.
Il
corso principale del fiume non rappresenta, che una piccola parte della zona
navigabile, perché essa abbraccia quasi tutti gli affluenti Tutto il sistema
fluviale è compreso, come ho detto, in una valle immensa, che raccoglie ogni
anno una enorme quantità di acqua, grazie alle copiose piogge intertropicali.
Secondo alcune ipotesi la detta valle occupa il posto di un antico mare
interno, di cui il Madera forse era uno degli sbocchi. Sparito quel mare in una
serie di cataclismi, che ebbero assetto con la formazione delle Ande, sorse la
valle che appare formata di terreno secondario, costituito principalmente di
argilla e di drift (argilla rossastra ricca di humus). 1 secoli vi hanno
accumulato uno strato di detriti vegetali che, mescolati alle terre grasse ed
ai disgregamenti vegetali, formano un insieme di una fertilità meravigliosa.
Essa valle è lunga 2200 miglia da levante a ponente, è larga al minimo, verso
l'Atlantico, 200 miglia ed al massimo 650 da Nord a Sud, ed ha una superficie
che si ritiene compresa tra 5.600.000 a 7.000.000 kmq., di cui la più gran
parte (tra 3.600.000 e 5.400.000) appartiene al Brasile. Ma più che valle
dovrebbe chiamarsi pianura, perché, eccettuate poche catene di colline "le
serre di Parentis, delle foci del Japura, di Cupatez, di San Paolo di
Olivenca), è quasi orizzontale, tanto che Iquitos si trova appena a 120 metri
sul livello del mare ed il Pongo di Manseriche a 157 metri. La maestosa catena
delle Ande la circonda a ponente, ma al sud (dove s'incontra il fianco dirupato
della serra di Pareies, ed ai nord (dove sorgono le montagne delle Guiane) i
confini, oltre ad essere poco o niente esplorati, in alcuni punti, devono
essere anche mal definiti e son note, a tal proposito, le comunicazioni
dell'Amazzone con l'Orenoco e quelle possibili col Paraguay. I contrafforti,
meridionale e settentrionale, influiscono sul corso di molti affluenti,
obbligandoli a mantenere un corso poco inclinato a quello dell'Amazzone, e si
nota il fatto caratteristico che gli affluenti di sinistra sono diretti in
media a SE, e quelli di dritta a NE. Tenuto conto di ciò, della vicinanza degli
affluenti stessi, dei numerosi tributari di ognuno di essi, si comprende come
ne risulti una fitta ed intricata rete di canali, che copre tutta la valle, e
permetterebbe di accedere per acqua quasi in ogni suo punto, se rapide o
cascate non interrompessero sovente la navigazione. Ma questi inconvenienti
potrebbero essere corretti dall'arte, e perciò, qualora la popolazione
crescesse e lo sfruttamento delle terre e della foresta si estendesse, sarebbe
facile, completando le vie acque con strade e ferrovie, stabilire comode e
rapide comunicazioni con tutto l'interno. Ma anche attualmente, dato il modo di
sfruttare i terreni gommiferi, gran parte dei canali navigabili sono percorsi
da navi ed imbarcazioni di ogni genere. Sugli affluenti principali penetrano
anche navi oceaniche, su molti i vapori dell'Amazzonia, su moltissimi le
lanchas, e su tutti, le imbarcazioni locali, che vanno a cercare la gomma dove
le lanchas non possono più arrivare. Ma limitandosi alle navi a vapore,
comprese le lanchas, in complesso la navigazione fino a tre o quattro anni fa
si estendeva per ben 28.000 miglia: in questo tempo però ha avuto molto
sviluppo e perciò la detta cifra ora deve essere ancora accresciuta. Causa però
le grandi periodiche variazioni di livello, molti affluenti sono aperti alle
navi per solo tre o quattro mesi all'anno e la cifra stessa si riferisce ai
tempi delle piene.
Tutti
questi canali non sono utili solamente ai mercanti di gomma, ma sono e
dovrebbero essere le fonti principali di vita di molti paesi, perché li mettono
in comunicazione con l'Atlantico; come avviene per esempio del Tocantins per lo
stato di Goyaz: del Tapajoz per lo stato di Mato Grosso, del Maranon, del Purus
e del Madera, per il Perù; del Madera stesso per la Bolivia; del Rio Negro per
il Venezuela, dell'Ica e del Jurupu per la Columbia, del Napo per l’Equatore,
ecc. Eppure queste vie così importanti all'attività mondiale, furono dal
Brasile tenute chiuse agli stranieri fino al 1867, e solamente allora fu
concessa la libera navigazione sull'Amazzone, sul Solimoes e su pochi affluenti
(Madera, Tapaioz, Tocantins). Il Perù fu più largo, ed oltre il Maranon aprì
tutti i suoi affluenti e nel 1904 dichiarò anche che il capitano, il padrone,
il nostromo, il pilota delle lanchas con bandiera peruana non occorre che siano
peruani e poco dopo spiegò meglio che le lanchas brasilere potevano fare il cabotaggio
sui suoi fiumi. Ma ciò l'espone allo strano inconveniente che anche sui fiumi
comuni, le navi brasilere possono commerciare sulle due sponde, mentre le sue
non lo possono, e siccome molte case peruane hanno stabilimenti gommiferi sui
fiumi del Brasile, sono costretti a far battere alle loro lanchas bandiera
brasilera; ciò avviene anche, con evidente ingiustizia, in quegli affluenti in
cui la parte superiore è del Perù e l'inferiore del Brasile. Dato poi il
ristretto numero di porti che sono autorizzati a fare operazioni doganali si
può ritenere che i soli porti veramente aperti agli stranieri sono Para,
Santarem, Obydos, Manaos ed Iquitos.
Prima
del 1867, dunque, le mercanzie provenienti dall'estero o destinate
all'esportazione dovevano far capo a Belem, unico porto aperto; nel 1826 però
una nave a vapore potette fare il tentativo di portare merci fino al Perù per
la via dell'Amazzone, ma l'impresa fallì, e non ebbero migliori risultati i
tentativi seguenti fino al 1853. In tale epoca il brasilero visconte Manuà
ottenne il monopolio della navigazione amazzonica, ed una forte sovvenzione:
fece buoni affari ed in seguito si unì con una società costituendo la Compagnia
dell'Amazzonas che ora ha più di 100 vapori e molte linee di navigazione che
partono anche da Rio Janeiro, si estendono fino a Iquitos e si diramano sugli
affluenti più importanti. Ma occorsero molti anni prima che Manaos fosse in
comunicazione diretta coi paesi stranieri, l'indipendenza dell'Amazonas dal
Parà e l'apertura del fiume a tutte le bandiere non bastarono, e bisognò
ricorrere a dazi protettori ed a sovvenzioni, perché potessero stabilirsi linee
di navigazione come quella Rio Janeiro-Manaos, sorta solamente nel 1882, non
ostante che, oltre la via acquea non vi fosse altro mezzo di comunicazione con
la capitale, e poi quelle con l'Inghilterra (1874) col Nord America (1898), col
Mediterraneo (1898, Società Ligure Brasilera, ora soppressa), col Portogallo,
con la Germania e con l'Africa occidentale.
Così
mentre nel 1873 entrarono a Manaos 52 navi e ne uscirono 45, queste cifre
divennero rispettivamente 176 e 138 nel 1882 e 911 (di cui 91 estere) e 892 nel
1897. Dopo il 1894 la Compagnia inglese della Booth (con 4 vapori e viaggi
mensili) prolungò fino ad Iquitos la sua linea, ed anche la Compagnia
dell'Amazzonas (con 2 vapori e viaggi mensili) si spinge ora fino alla detta
città facendo pure gli scali intermedi e viaggi nel Javary. Ma sugli altri
fiumi peruani mancano ancora in generale linee regolari di navigazione, onde il
piccolo commercio deve subire il monopolio delle case armatrici che sole vi
mandano le loro lanchas, salvo un servizio quindicinale di lanchas governative
tra Iquitos e Jarimaguas. Devesi però, a chiarimento di quanto si è detto,
ricordare che il commercio amazzonico è ancora, si può dire, al suo inizio, e
perciò vi è ancora posto per lutti, pure di saper volere. A tal proposito dirò,
per esempio, che la Red Cross Line nel suo primo anno di esercizio (1877)
trasportò appena 14 tonn. di gomma, ma ebbe costanza e fiducia (qualità che
purtroppo mancarono alla Ligure-Brasilera) e l'impresa finì col riuscire bene.
Completano
i mezzi di comunicazione per acqua, in primo luogo le canoe ordinarie che con
un pescare di circa 50 cm. si spingono un poco da per tutto, stabiliscono le
comunicazioni tra gli stabilimenti dei boschi di gomma e dei mercanti
(puestos-spagnolo;.puertos-portoghesi) con i punti della foresta in lavoro e
prolungano la navigazione oltre i punti in cui le lanchas si devono arrestare.
Ma sono notevoli anche le montaree (piccole canoe di un sol pezzo); le grandi
canoe armate fino da 30 vogatori (ce ne sono di un sol pezzo) che maneggiate
colle solite pale (pagaje) rimontano anche qualche rapida, e le balze, specie
di zattere grossolane su cui si costruiscono delle vere abitazioni anche a due
piani, una per gli uomini, l'altra per le robe e gli animali, che navigano
abbandonate alla corrente e che servono a trasportare bestie o mercanzie ed
anche per viaggi lunghissimi come dall'alto Maranon fino a Manaos,
Le
vie acquee anzi descritte servono per stabilire le comunicazioni con
l'Atlantico, altre terrestri comode e rapide se ne potrebbero stabilire col
Pacifico, e così grazie all'Amazzone sarebbe facile unire i due oceani con vie
passanti a traverso i paesi ricchissimi che sono compresi nella parte più larga
dell'America meridionale (5800 km.). Attualmente però arrivati ad Iquitos, per
andare al Pacifico attraverso le Ande, bisogna sottomettersi a viaggi incomodi
e laboriosi, come appare dai seguenti itinerari (V. l'Annuario de Iquitos,
1904, redatto dal Colonnello Manuel Bedoya e pubblicato per la prima volta
mentre io ero ad Iquitos).
a)
Da Iquitos a Mansaricbe sul Maranon; da Mansariche a Piura (900 km.) prima
lungo il rio Santiago e poi per una mulattiera (spesso impraticabile) a
traverso le Ande; da Piura a Paita (100 km.) in ferrovia.
b)
Da Iquitos a Manseriche sul Maranon; da Manseriche a Bellavista; da Bellavista
a Ferrenafè per una strada di montagna lunga quasi come la precedente e come
essa difficile quando traversa le Ande, ma comoda nella regione transandina; da
Ferrenafè ad Esten in ferrovia;
c)
Da Iquitos a Yurimaguas sul Huallaga, con le lanchas che hanno partenze
quindicinali, da Yurimaguas a Yonan (840 km.), buona parte a cavallo ed una
piccola parte a piedi per una mulattiera che passa per Cajanca, Chachapoyas e
Moyambamba; da Yonan a Pacasmayo (92 km.) in ferrovia.
d)
Da Iquitos a Puerto Bermudez (1500 km.) a traverso il Maranon, l'Ucayali, il
Pachitea ed il Pichis; da Puerto Bermudez all'Oroya (335 km.) per una buona
strada mulattiera; dall'Oroya al Callao (22o km.) in ferrovia. Questa via,
detta centrale, è quella ufficiale e sarebbe comoda se non risentisse gli
inconvenienti delle stagioni in cui il fiume è basso (7 o 8 mesi all'anno). Si
può anche fermarsi a Puerto Vittoria quasi alla confluenza del Pachitea col
Pichis e di là andare a Puerto Bermudez.
e)
Da Iquitos per il Maranon, l'Ucayali, il Pachitea, il Palcazu fino a Mayro, da
Mayro a Pozuzo a piedi: da Pozuzo a Huanaco ed al Cerro de Pasco con una buona
mulattiera, dal Cerro de Pasco all'Oroya ed al Callao in ferrovia. Anche in
questa via si incontrano gli inconvenienti di quella precedente.
La
posta peruana segue gl'itinerari anzi descritti, e poichè non c'è neanche
telegrafo, è facile comprendere in che distratto modo il Governo di Lima, tanto
accentratore, può provvedere ai bisogni delle sue provincie cisandine. Se però
si portasse a termine la ferrovia transandina, tante volte progettata, ogni
inconveniente sparirebbe, ed in poco tempo si giungerebbe a Lima. Ma anche
riferendosi ai semplici interessi commerciali del dipartimento di Loreto,
bisognerebbe correggere e mettere un buon assetto (coll'aprire vie ordinarie e
ferrovie, e col tagliar fuori, in grazie a queste i fiumi navigabili solo
periodicamente) almeno tre strade l'una al sud, altra al centro e l'altra al
nord.
La
prima dovrebbe permettere di sfruttare le ricchezze dei fiumi Perene, Pangoa,
Tambo, alto Ucayali ed Urubamba e attirare nelle acque Peruane i prodotti del
Manu e del Madre de Dios. A tal scopo dovrebbe essere completata con
comunicazioni tra il Purus ed i detti fiumi a traverso i piccoli istmi che li
separano. Anche le altre strade traversano paesi in cui si potrebbero stabilire
ottime colonie agricole e che son ricche d gomma, di ogni prodotto della
foresta, di sabbia d'oro, di carbone, di calce, di gesso, di salgemma ed altro.
Ma le strade ora dette non bastano a tutte le provincie cisandine del Perù, la
maggior parte delle quali è tagliata quasi fuori del mondo, non ostante le sue
ricchezze. Ogni dipartimento dunque dovrebbe avere le sue strade e tutte
dovrebbero essere completate almeno da una delle tante ferrovie transandine
finora progettate.
Tutto
ciò risulterebbe anche di una utilità immensa per la difesa del paese, perché
ora il Brasile può schiacciare le poche forze peruane od affamarle insieme a
tutto il paese chiudendo la navigazione dell'Amazzone, senza che il governo di
Lima possa soccorrerle in tempo. La ferrovia e le buone strade darebbero invece
al Perù, in una complicazione con il Brasile, i vantaggi del facile
rifornimento e delle forze preponderanti al principio, della guerra; gli
fornirebbero in una lotta contro qualsiasi altro, avversario, le grandi risorse
e facilitazioni provenienti dallo sbocco su due oceani, ed in tesi generale gli
permetterebbero di rendere veramente effettiva la sua sovranità sulle ricche
terre cisandine.
Si
può ritenere che la grandezza e la fortuna del Perù dipendano in gran parte
dalle dette provincie orientali finora poco curate, e niente difese, in modo
che i vicini se le sono appropriate in gran parte: ogni sacrificio dovunque
inteso a legare la costa con esse sarebbe di irrestimabile utilità. Nell'attesa
però che queste opere reclamate da tutti gli uomini illuminati del paese si
facciano, sarebbe almeno necessario che le attuali disgraziate strade fossero
un poco curate, che squadre di operai vi attendessero con continuità, che
fossero stabiliti posti di rifornimento e canoe nei luoghi opportuni e che si
trovasse il mezzo di avere aiuti - invece di attacchi - dagli indi.
Con
la ferrovia si potrebbe arrivare al Pacifico passando anche per Guajaquil,
partendo dal Napo, e rimettendo così in onore la via percorsa prima da Pizzarro
nel 1539 e poi da Teixera (in senso opposto Parà-Guajaquil) nel 1636, durante
una delle più memorabili esplorazioni della valle Amazzonica.
Finalmente
è notevole che anche il mar Caraibico si può dire legato al Plata per mezzo
dell'Amazzone e dei suoi affluenti, ed invero il Cassiquiare unisce l'Orenoco
al Rio Negro, e le sorgenti del Guaporè, affluente del Madera sono a poche
centinaia di metri dall'Aguapehy e dall'Estiva che si versano nell'Jaurù
affluente del Paraguay.
***
Per
completare quanto ho detto finora sulla navigazione Amazzonica è necessario che
aggiunga ' informazioni sui fondi, sulle correnti, sulle variazioni di livello
del fiume, sui pericoli della navigazione, sugli inconvenienti che in cui si
può incorrere.
Vi
sono punti in cui si sono trovate profondità di 250 ed anche 500 metri, ma i
lunghi canali di gran profondità come quello presso Obydos, sono rari e non
superano i 75 metri, più comuni sono quelli di 20 ed anche di 30 metri e molto
spesso se ne trovano di oltre 12 metri. Naturalmente sono i bassi fondi che
limitano la navigazione, ma quando le acque sono quasi basse a Manaos e ad
Iquitos e devono salire ancora 5 metri, nel Solimoes e nel Maranon fino ad
Iquitos si possono trovare sempre fondi superiori a 7 metri, sapendo però
scegliere i canali. Nel basso Amazzone e nelle stesse epoche si trova di più ma
come dissi, nei canali d'accesso del Parà vi sono punti (imboccatura di
Bojassù) in cui si hanno 5 metri a marea bassa. Ed a questo proposito non
devesi dimenticare che i livelli dell'Amazzone verso le bocche e di tutto il
Parà dipendono principalmente dalle maree, e poca influenza vi hanno le piene.
La direzione della corrente nelle ultime località ora citate ha le alterazioni
del flusso e del riflusso, e reciprocamente la direzione delle correnti di
maree lungo la costa subisce le influenze del fiume. E queste influenze sono
assai variabili, specialmente innanzi le bocche dell'Amazzone: presso quelle
del Parà poi si può dire che il flusso, vicino alla costa, tende a SW e ad W,
ed il riflusso verso ENE, ma piega al nord scostandosi da terra.
Presso
i fiumi delle Guiane, come dissi, l'influenza della correnti di marea si sente
fino ad una ventina di miglia da terra presso l'Amazzone non ho potuto ben
precisare un limite, ma forse è superiore alle 20 miglia. E’ certo però che la
corrente generale dell'Oceano, diretta in quei paraggi a NW, essendo tagliata
ad angolo retto da quella dell'Amazzone, ne subisce l'influenza aumentando di
velocità durante il riflusso e piegando verso nord. Ma questo effetto è
abbastanza limitato in estensione, e pretto la corrente generale riprende la
sua direzione NW.
Le
variazioni di livello per la marea sono comprese tra io e 12 piedi verso le
foci del Parà, ma verso quelle dell'Amazzone sono assai irregolari e non è raro
notare differenze anche di 5 metri in punti distanti fra loro una diecina di
miglia. Analogamente verso le prime la velocità della corrente non supera 3
miglia, ma verso le seconde è maggiore, e presso il Capo North pare che
raggiunga anche io miglia, in certi casi.
Nella
stagione delle piene il riflusso nel Parà dura 8 ore ed il flusso 4, ed è
notevole che nella detta stagione la velocità del primo è maggiore di quella
del secondo, contrariamente a quanto si potrebbe prevedere. L'alternazione poi
nella direzione della corrente si estende verso il limite occidentale di Marajo
o verso Itaquara e comprende i canali di comunicazione tra il Parà e
l'Amazzone. Più a monte le acque di quest'ultimo si gonfiano e si abbassano
successivamente durante le ore delle maree, senza influenza sensibile sulla velocità
e direzione della loro corrente, salvo all'imboccatura del Tapajoz dove si
manifesta di nuovo l'alternarsi del flusso, mentre le acque del fiume
principale scendono sempre. Si valuta che la velocità media della corrente
sull'Amazzone sia di 3 miglia all'ora, ma questo numero non ha, e non può avere
alcun valore assoluto. Naturalmente la detta velocità aumenta nei passi stretti
e tortuosi, diminuisce dove il fiume si allarga e, come avviene su tutti i
fiumi, non è uniforme in tutti i punti di una retta tracciata normalmente al
loro asse. E ciò si verifica non solo nei gomiti, ma anche nei tratti
rettilinei e, importa tenerlo presente, in vicinanza dei banchi ed al ridosso
di essi generalmente diminuisce. Naturalmente accanto alla costa avviene lo stesso,
ed alle volte non solamente si annulla, ma cambia direzione con grande
vantaggio delle imbarcazioni che risalgono il fiume.
Quando
cominciano le piene e fino a che le acque prendono il loro assetto, la corrente
cresce moltissimo, e noi avemmo pur troppo da sperimentare correnti di quattro,
cinque ed anche sei miglia.
Le
acque dell'Amazzone e dei suoi affluenti durante circa una metà dell'anno si
alzano fino a raggiungere un livello massimo, o di piena, e durante l'altra
metà discendono fino ad un livello minimo o di secca. Questo fenomeno dipende
da quello delle piogge e siccome i mesi corrispondenti a queste sono diversi
nelle regioni situate al nord dell'Amazzone o verso le Guiane, da quelle delle
regioni situate al sud compreso l'Amazzone stesso, così avviene che questo ed i
suoi affluenti di dritta sono in piena mentre quelli di sinistra sono in secca,
e viceversa, onde il periodo di piena di questi ultimi quasi coincide con
quello dei fiumi delle Guiane. E’ fatta eccezione però per la parte inferiore
del Rio Negro, perché l'Amazzone vince facilmente la sua debole corrente, e la
piena a Manaos coincide con quella del Solimoes. Anche lungo l'Amazzone la
stagione delle piogge non si verifica contemporaneamente in tutti i punti, essa
anticipa a misura che si procede in alto, e così avviene che la piena si inizia
in ottobre ad Iquitos, in dicembre a Manaos, in febbraio quasi nel basso
Amazzone. Nel Maranon quindi la piena è raggiunta in aprile, mentre in basso
ritarda di qualche mese, ed è verso il luglio che a Belem si hanno le massime
acque. Nel periodo però che corrisponde alla nostra estate, il fiume principale
si può ritenere tutto basso. Similmente le variazioni di livello non sono le
stesse da per tutto, anzi variano sensibilmente da un punto all'altro,
aumentando mentre si procede a monte, sono quindi poco sensibili nelle località
sottomesse alle correnti di marea, ma sono già di 6 metri almeno verso
Santarem, raggiungono 10 metri a Manaos e 16 o più metri ad Iquitos. Importa
però tener presente che il fiume non cresce nè decresce con continuità, ma con
una specie di oscillazioni irregolari. Così, per esempio, durante il tempo in
cui il fiume deve crescere, ad un certo momento resta stazionario, poi,
comincia ad abbassarsi lentamente, ma prima di raggiungere il livello della
sosta precedente si ferma, e poi torna a crescere fino a sorpassare il livello
da cui cominciò la diminuzione. Dopo un poco l'oscillazione si ripete con leggi
analoghe e così di seguito fino alla massima piena. Questi fenomeni si chiamano
repiquetes, e nel periodo della secca si ripetono inversamente: non si riesce a
prevedere con molto anticipo il loro principio e non si può prevedere la loro
durata. Alle volte passano 15 giorni tra la fine di uno e il principio di un
altro, altre volte un mese o più, è possono durare una settimana, come due ed
anche più. In generale si arrestano quando ricominciano le piogge a monte della
località sottomessa alla loro influenza, così la pioggia a Iquitos non
significa la fine del repiquete del Maranon, ma occorre perché ciò avvenga che
l'acqua cada abbondante nell'alto fiume o nella montagna. Quando però durante
una repiquete si vedono passare molto più alberi in deriva del solito, si può
ritenere che presto il repiquete cesserà, e che in alto il fiume già cresce.
Similmente non si possono precisare a priori l'estensione del fiume che i
repiquetes abbracciano, e l'ampiezza della loro oscillazione: alle volte
determinano variazioni di livello di poco conto, altre di parecchi metri, e pur
troppo a noi toccò di sperimentarne uno dei più lunghi e dei più forti.
Cominciò mentre stavamo per uscire dal Solimoes, nel viaggio di ascesa, durò
una ventina di giorni e le acque si abbassarono di oltre 5 metri, obbligandoci
a gravose fatiche per ritrovare i canali buoni durante la nostra discesa.
Da
quanto precede risulta che la navigazione dell'Amazzone è delicata e difficile,
perché si deve sempre manovrare con forti correnti ed in passi stretti e
tortuosi; le località sono poco note ed i fondi variabili e mancano carte,
segnali, regolamenti di navigazione, compagnie di piloti legalmente costituite
e reggimentate dal Governo. Ma, facendo astrazione da molte cose di minore
importanza, i piccoli principali si possono così riassumere: i bassi fondi o le
praies; i pavos, i torrones, e si potrebbero aggiungere i piloti di cui parlai
già.
a)
Le praies. Siccome manca una idrografia, nè si potrebbe farne una
completa, attesochè i fondi ed i canali, sottomessi al capriccio della
corrente, sono in continua variazione, per facilitare la navigazione sarebbero
necessari i provvedimenti governativi precedentemente indicati. Ma nella loro
attesa importa, come ora fanno i piloti, studiare il fiume e riconoscere i
canali durante la secca, perché allora i bassi fondi emergono quasi tutti. La
variazione dei detti canali è così sensibile che in molte località bisogna anno
per anno cambiare le rotte, e non è neanche raro il caso di veder modificati i
passi in pochi giorni. Il lavoro fatto dalla corrente è enorme, ed appare anche
fuori d'acqua (vecchie isole spariscono e nuove se ne formano, paesi una volta
sul fiume ora ne sono parecchio discosti ecc.), si comprende quindi con quanta
facilità si debbano spostare le praies (secchi), e pur troppo le
variazioni che avvengono durante la piena spesso, per mancanza di precauzioni,
sono segnalate dagli incagli delle navi.
In
generale si nota che presso le punte ed i gomiti si formano delle praies,
che per un certo tratto si prolungano a valle di essi lungo la riva, e si
estendono lateralmente avvicinandosi spesso alla riva opposta. L'acqua perciò
cacciata dalla parte di questa, scava lungo di essa un canale fino a che giunta
ad un'altra punta o gomito, invece di seguitare a scavare accumula un'altra
Praia e la fa estendere verso l'altra riva. Allora è lungo questa che si dirige
il canale navigabile. traversando il fiume tra le estremità anteriori e
posteriori delle due praies descritte. Alcune volte il detto passo è così
stretto ed ha sponde cosi inclinate che facendo attenzione alla differenza
degli scandagli eseguiti dai due lati della nave ed accostandosi dalla parte
dove sono maggiori, si riesce a seguirne l'asse. La cosa pare strana, ma la
lunga esperienza da me fatta in parecchie centinaia di canali, e l'affermazione
dei piloti me ne hanno convinto. Naturalmente però le Praies non conservano
sempre la forma classica, direi, ora accennata, ed il loro andamento è soggetto
ad un'infinità di cause locali.
Nel
basso Amazzone i canali sono molto estesi, il fiume è spesso navigabile da una
riva fino oltre il mezzo, ed i piloti ne profittano nel viaggio di ascesa per
stare presso una riva, ossia dove la corrente è minore, e nella discesa per
cacciarsi nel mezzo, ossia dove è maggiore. Ma nel Solimoes e nel Maranon, che
sono più stretti ed hanno corrente più forte, le praies aumentano, sono
separate da stretti passi, ed a brevi intervalli il canale navigabile passa da
una riva all'altra. Da tutto ciò risulta che le navi sono costrette a
traversare il fiume tutte le volte che arrivano innanzi ad una Praia, od a far,
come laggiù si dice, traversia, ed a seguire poi scrupolosamente il contorno
delle coste lungo le quali corre l'angusto canale. Così nel Solimoce e nel
Maranon spesso non mi riusciva di poter far via col timone neanche per qualche
minuto, e mi è capitato di fare 4 0 5 traversie in un'ora.
Data
però la strettezza dei canali di traversata, la uniformità del paesaggio e la
enorme estensione lungo la quale un uomo solo fa da pilota, si comprende quanto
sia difficile il mestiere di questi ed a quanti pericoli'si vada incontro per
la più svista.
La
grande pratica però insegna dei piccoli indizi, grazie ai quali si può in
qualche modo prevedere o intuire dove comincia una praia, ma grande sussidio è
sempre lo scandaglio. I piloti però ne fanno una quistione di decoro a
servirsene il meno possibile, e perciò è indispensabile la presenza continuata
del comandante sul ponte, per imporre l'uso continuo dello scandaglio stesso e
quelle misure che solo possono far prevenire i pericoli, e che spesso, per
essere tralasciate dai piloti, conducono a gravi inconvenienti. E
fortunatamente il comandante stesso, con un poco di osservazione, può in breve
rendersi conto delle speciali condizioni di quella speciale navigazione e ha il
modo di farlo in gran parte, nel primo tratto del fiume (Parà-Manaos) dove, se
si toglie il pezzo del Rio Parà a monte di Belem, che presenta molti pericoli,
le cose sono più semplici ed i piloti migliori.
A
questo punto è bene notare che, pure essendo il fondo di fango o di sabbia, gli
incagli possono riuscire gravissimi, specialmente nella discesa, perché allora
le navi corrono rispetto alla terra, a grande velocità, ed in generale poi la
forte corrente rende difficili le operazioni di disincaglio, e tende ad
interrare la nave coi detriti che trasporta. Inoltre un incaglio, anche poco
pericoloso, diviene un disastro finanziario rilevantissimo se si è costretti a
chiedere soccorso, perchè laggiù la caccia al denaro è un'ossessione, ed in
quei paesi più che altrove si specula sopra ogni cosa con tanto più accanimento
per quanto è più urgente il bisogno del richiedente. D'altra parte qualsiasi
lavoro, causa la mancanza dì braccia, costa cosi caro che si mandano a
comperare in Europa delle cose che si potrebbero raccogliere ad un'ora di
cammino, e mi fu assicurato che anche alla onnipotente compagnia Booth furono
chieste 6000 sterline per portare aiuto ad un suo vapore incagliato ad una
giornata da Manaos. E’ facile da ciò prevedere che cosa richiederebbero ad una
nave da guerra, e perciò sapevo che non potevo fare assegnamento su nessuno, e
che non doveva incagliare; quindi mi imposi le maggiori precauzioni e, grazie
alle cure di tutti ed al costante proposito di servirmi dei piloti come di una
modesta carta idrografica, ma di non utilizzare mai lo loro testa per
ragionare, ebbi la fortuna di riuscire.
Ma
per spiegare meglio le cose e far meglio risultare le anomalie del fiume e le
speciali condizioni della sua navigazione, aggiungerò ancora qualche dettaglio,
cominciando col ricordare che i pericoli naturalmente crescono come dissi nella
discesa, anche perché la manovra è più difficile con la corrente in poppa, e
per le disposizioni sopra ricordate delle praies, spesso manca lo spazio
per girare la nave, od anche per tentare di lasciarla abbattere sull'ancora,
onde è bene tenere a poppa un grosso ancorotto pronto ad essere affondato al
primo cenno.
Le
mie condizioni, dato il pescare della nave, erano rese più difficili delle
ordinarie a causa dei repiquetes, che incontrai nell'alto Solimoes, e perciò
decisi di navigare nella discesa dall'alba al tramonto, mentre nella salita
aveva sempre navigato la maggior parte della notte. Non bisognava tal proposito
prestar fede ai piloti che nei momenti buoni dicono di poter navigare in tutte
le condizioni di tempo, perché poi si contraddicono nei momenti critici.
Infatti la loro scienza consiste nella memoria e negli occhi, ora se la nebbia
o l'oscurità della notte non permettono al comandante di vedere, è naturale che
anch'essi non vedano, e che occorre fermarsi.
Una
notte sul Solimoes mi avvertii che si avvicinava un grosso piovasco, e dissi al
pilota che era bene dar fondo. Mi assicurò che non occorreva, che il canale era
diritto e che perciò anche con la nebbia si poteva seguitare. Ciò sarebbe stato
vero, ammessala prima condizione, perché spesso si naviga cosi vicini alla
terra (50 o 49 metri) che gli alberi si scorgono anche con una certa foschia, e
siccome ero ben padrone della nave, perché andavamo contro corrente, seguitai a
camminare. Ma appena la nebbia ci avvolse, quel bravo uomo mi disse tutto
spaventato che bisognava traversare il fiume e che occorreva tentarlo a forza
di scandagli. Le vecchie leggi del mare permettevano di punire anche con la
morte il pilota che errava, ma i tempi sono mutati e con santa pazienza mi
accostai un poco di più a terra e con lo scandaglio cercai un posto adatto ed
ancorai.
Un'altra
volta, in discesa, mi fu giocoforza proseguire di notte, non ostante il tempo
orribile, perché eravamo nel canale di Bojassù che non si arriva a traversare
in un giorno e non ha posti per ancorare. Stabilii però di dar fondo appena
fuori il canale; ma il pilota mi scongiurò di seguitare, perché ciò gli faceva
onore. La posizione, giusta quanto avevo appreso salendo, per un poco di tempo
era sicura, e perciò finsi di accontentarlo, sicuro che presto egli stesso
avrebbe chiesto di ancorare, e invero appena un nuovo piovasco ci avvolse,
pregò con eguale calore di dar subito fondo per aspettare l'alba.
Quando
il fiume è secco, è necessario anche - s'intende per una nave grossa - di
mandare una imbarcazione a verificare i punti più pericolosi - ben noti ai
piloti - del Solimoes e del Maranon ed a tal uopo tutti i vapori inglesi sono
provvisti di un'ottima barca a vapore. Noi, causa lo straordinario repiquete,
dovemmo anche nella discesa assicurarci che la direzione dei canali più esposti
alla corrente non si fosse modificata nei giorni trascorsi dal nostro
precedente passaggio, e perciò in quasi tutto il Maranon, dovetti spesso
mandare innanzi la barca a vapore per scandagliare.
Ma
i piloti, pure indicandomi i posti dubbi, pur dicendomi che presso di essi non
c'era posto per girare la nave, avrebbero voluto che seguissi a pochi metri la
barca. Non riuscivano a capire che in questo modo, se ci fosse stato segnalato
un pericolo, non avremmo potuto evitarlo, e se li avessi ascoltati sarei
rimasto in secco nel canale di Loreto, come ora racconterò. Naturalmente li
lasciai dire e feci a modo mio, ma non furono mai capaci di dirmi quanto tempo
prima doveva mandare la barca, perché mentre io diminuivo la mia velocità, essa
potesse andare e tornare. Lo dissi già, a quella gente manca il concetto dello
spazio, e mi dicevano con la più grande indifferenza che occorreva mezz'ora
quando ce ne volevano 6, ma fortunatamente eravamo nella discesa, e quindi
avevo i miei schizzi che mi furono assai utili e mi permisero di regolarmi
bene.
Nei
primi giorni della discesa stessa trovai solamente piccole variazioni rispetto
alla condizione in cui era il fondo del fiume durante l'ascesa, e fui costretto
quindi di fare variazione di rotta di poca importanza, salvo in alcuni punti dove
avevo a priori stabilito di rinunziare alle rotte più brevi, pure di trovare
più acque, ma le cose, si complicarono presso il canale di Loreto. Giunto in
prossimità di esso non trovai la barca che avevo mandato da parecchie ore
innanzi per scandagliarlo e fui costretto ad ancorare per aspettarla. Tornò
solamente a notte fatta, con la notizia che il canale, che pure avevamo
traversato salendo, era mutato in modo che non potevamo più passarci. Se
avessi, come volevano i piloti, seguito la barca sarei rimasto i secco e questa
volta anche loro ne convennero. Il giorno dopo dovetti cercare un altro canale
e lo trovai.
Ma
scendendo, ed essendo decisi a fermarsi la notte, conviene dar fondo prima che
sia scuro, anche perché i piloti sanno presso a poco dove si può girare per
presentarsi alla forte corrente, ma naturalmente non sanno a mente la lunghezza
di tutti i canali ed occorre, benché non vogliano confessarlo, che ci vedano
bene per colpire i piccoli indizi che valgono a fare apprezzare tali larghezze.
b)
I pavos. - L'opera demolitrice della corrente strappa dalle rive molti
alberi (diverse volte li ho visti cadere io stesso) e mentre trascina
galleggianti i più leggeri, ed a mezz'acqua i più pesanti, deposita sul fondo i
pesantissimi. Avviene così, specialmente nel tempo in cui l'acqua sale, che il
fiume è tutto ingombro di tronchi, sovente grandissimi e che spesso non si
riesce ad evitate o per il loro numero o perché in quel momento non è possibile
variare la rotta, o perché non si scorgono sotto il pelo dell'acqua o perché
infine hanno a galla solamente una piccola punta che li fa parere
insignificanti anche agli occhi esercitati dei piloti. Gli scafi quindi si
trovano esposti ad urti continui, noiosi e dannosi; quelli piccoli e leggeri
possono rimanere sfondati, i grandi in generale resistono ma ne riportano
qualche ammaccatura. Spesso poi, salendo, si fermano sulla prora e bisogna
levarli presto per non perdere cammino e per non raccoglierne degli altri.
Bisogna avere quindi aste e rampini pronti, ma qualche volta si è anche
costretti a fermare e ad andare indietro.
Maggior
pericolo poi corrono le eliche di tutte le navi grosse e piccine; esse infatti
non incontrano il legno abbastanza dolce dei tronchi galleggianti, ma quello
duro dei semi-galleggianti, onde tutti i vapori che risalgono il Solimoes hanno
le eliche curvate. Anzi vi furono dei grossi vapori inglesi che le ebbero
ridotte in così cattivo stato che giunti a Manaos dovettero cambiarle,
sbarcando il carico ed immergendo la prora, con un lavoro di cui è facile
comprendere le difficoltà.
Ma
i pali più pericolosi sono quelli che la corrente fissa sul fondo, perché
alcune volte avviene che, in gruppi, restano presi solamente per una estremità,
mentre quella libera si erge minacciosa in alto, da profondità anche di 15
metri, costituendo delle vere ostruzioni subacquee, pericolose come gli scogli,
e che bisogna rasentare a pochi metri, in canali stretti, tortuosi e traversati
da forti correnti.
Durante
l'estate le punte di questi pavos generalmente emergono dall'acqua ed i
piloti ne osservano con cura la posizione. Fortunatamente nel Solimoes si
incontrano numerosi in un sol punto di passaggio, intorno cioè all'isola
Tintatuba, ma in quel punto riescono molto pericolosi perché bisogna
contornarli mentre si gira in uno stretto e difficile canale.
Nell'ascesa
feci quel passo di notte, perché i piloti mi avvertirono solamente quando era
troppo tardi per tornare indietro, ma la più elementare prudenza consiglia,
come feci al ritorno, di passarci di giorno, dopo di aver mandato un pilota con
una lancia a rilevare bene la posizione dei pavos.
I pavos
della natura ora descritta sono più numerosi sugli affluenti, e siccome lassù
non si possono rilevare l'estate, le lanchas ne soffrono tanto, che molti degli
affluenti stessi sono diventati dei veri cimiteri di quelle piccole navi e di
moltissimi disgraziati. Ma non bisogna attribuire ai pavos tutte le disgrazie,
perché molte volte esse sono la conseguenza della poca cura nella navigazione e
dell'ingordigia di guadagno degli armatori, perché caricano le lanchas, con
eccessivi pesi elevati e con moltissima gente, le fanno navigare senza
precauzioni e con cattivi piloti e le obbligano ad andare anche di notte in
luoghi poco conosciuti, per cercare di farle arrivare prime sui mercati.
Sugli
affluenti sono da evitare anche gli scogli, mentre sul corso navigabile
dell'Amazzone non ve ne sono che in due punti: Manacapurè e Ipixuma, ed i
piloti li mostrano come una vera curiosità. Anzi mi dicevano che uno dei più
graditi regali che si possa fare ad una buona massaia indigena è una pietra per
uso della sua cucina, tanto sono rare nella valle Amazzonica.
Anche
i pali che restano completamente coricati sul fondo danno noia, perché alle
volte si impigliano nell'ancora e rendono difficile, per il loro peso e per la
buona presa che han fatta, di salpare. Una mattina perdetti più di un'ora per
tirare su l'ancora, e quando finalmente venne a riva, portò con sé un grosso
albero di un bel legno rosso e tanto duro che l'ascia non l'intaccava.
Ma
spesso, se si resta un certo tempo alla fonda, l'ancora stenta anche a venire,
perché la corrente interra essa e la catena e bisogna aiutarsi con la macchina
per poter salpare.
c)
I torrones. - I torrones sono conglomerati di fango e sabbia di forma cilindrica,
con un diametro di pochi metri, sorgenti repentinamente dal fondo come colonne.
Sono pericolosi per le lanchas, ma non riescono ad arrestare una nave, e
solamente la espongono ad urti ed ammaccature. Anche 'essi possono essere
rilevati nell'estate e nel Solimoes si trovano special. mente presso la costa
di Jonato e di San Juan di Camucheco.
***
Concludendo,
la navigazione dell'Amazzone fino ad Iquitos è difficile e sparsa di pericoli,
ma si riesce ad evitare ed a superare le difficoltà con le molte cure, con le
precauzioni e con la buona volontà.
Una
relazione quindi completa, nel senso marinaresco, di una traversata riuscirebbe
una guida preziosa ed eviterebbe molte fatiche a chi viene qui la prima volta,
tanto più che la gente del paese sa poco ed i piloti non amano e non sanno dir
molto. Ho cercato perciò di scrivere tutto quello che ho veduto e di fare uno
schizzo del fiume con le relative rotte; non è il caso però di riportare qui
tutta la relazione marinaresca, e poi per fare un lavoro completo non una, ma
le dozzine di volte bisognerebbe fare il fiume. Se però i Governi brasileno e
peruviano volessero, potrebbero rendere facile questa via tanto utile al loro
commercio, nel modo che già dissi; intanto ogni nave che viene nell'Amazzone
dovrebbe:
·
avere una
buona, grossa e veloce barca a vapore;
·
avere uno
scandaglio Thompson con motore elettrico capace di funzionare continuamente e
con la nave in moto, e della gente assai pratica nell'uso degli scandagli a
mano;
·
avere una
sistemazione solida e sicura a poppa per affondare al primo cenno un grosso
ancorotto;
·
variare
la posizione dei pesi mobili per regolare l'assetto della nave in modo da avere
quasi eguale pescare a prora ed a poppa;
·
procurarsi
uno schizzo del fiume fatto di recente da qualche altra nave e la relativa
relazione;
·
far
contrattare i piloti prima di arrivare a Parà
·
scegliere
bene i detti piloti, non badando al prezzo e prenderne almeno due;
·
ricordarsi
che vi sono moltissimi piloti, ma pochi sono buoni e la maggior parte sono
abituati solamente a navigare con le lanchas;
·
non
prendere un pilota che non navighi da oltre 4 mesi e ricordarsi che ogni pilota
ha allievi che cerca di far passare per pratici provetti;
·
evitare
con cura i giovani pilota ora detti;
·
servirsi
dei piloti come di una carta su cui si ha una relativa fiducia, ma mai della
loro testa per ragionare;
·
ricordarsi
che in generale i piloti non hanno idea di spazio e di velocità: essi sanno
solamente quanto tempo impiegano con il bastimento a cui sono abituati per
andare da un punto all'altro e riescono solo approssimativamente a riferire
tale velocità a un altro bastimento;
·
osservare
attentamente il fiume nel primo tratto Parà-Manaos, che è il più facile, per
imparare il modo di prevedere approssimativamente la posizione dei secchi;
·
scandagliare
sempre nel cammino ordinario e rapidamente nel traversare il fiume, cercando dì
tenersi dalla parte degli scandagli maggiori;
·
prima di
ogni traversata del fiume chiedere ai piloti le posizioni delle praies per
essere pronti a manovrare in caso di pericolo;
·
ancorare
quando i propri occhi non vedono, senza ascoltar i piloti che al solito dicono
di vedere anche all'oscuro;
·
non
navigare nelle notti scure, specialmente nelle stagioni delle forti piogge;
·
nella discesa
del Maranon e del Solimoes restare all'ancora durante la notte e dar fondo un
poco, prima del tramonto per
·
scegliere
il posto di ancoraggio in sito di poca corrente e sufficientemente ampio. Il
fondo è in generale buon tenitore;
·
possibilmente
ancorare verso il mezzo del fiume per garantirsi un poco dalle zanzare;
·
nell'ascesa,
nelle notti chiare, navigare, eccetto nel Maranon;
·
non
passare mai di notte l'isola di Timbotuba, dove sono i pavos e far rilevare
questi da una imbarcazione prima d'e nel passo dell'isola stessa;
·
regolare
il rifornimento e la quantità di carbone da imbarcare ritenendo come esatte le
distanze date per esempio dal mio schizzo, supponendo che la corrente di è 3
miglia fino a Manaos e di 4 da Manaos ad Iquitos, che è possibile far legna da
per tutto e specialmente ad Uarà, e che l'acqua del fiume è buona per
l'alimento delle caldaie;
·
ricordarsi
che la legna porta a bordo insetti fastidiosi e nocivi.
***
Ed
ora ritornando al racconto del viaggio, dirò che usciti dai canali ed entrati nell'Amazzone
ne seguimmo il braccio che corre al sud ed a ponente di Gurupà e passammo cosi
innanzi al piccolo paese di Gurupà che è fornito di un molo e che esporta
gomma, bestiame e castagne. Dopo traversammo un piccolo arcipelago che sbarra
la bocca del Rio Xingù, affluente della riva dritta, assai ricco ed importante
e navigabile per buon tratto.
Dopo
ciò uscimmo dalla regione delle isole propriamente detta, (di isole però il
fiume ne ha sempre a dovizia), e raggiungemmo un altro paese di una certa importanza,
Almeirim, posto alla foce di Parù (riva sinistra) e che oltre la gomma e le
castagne, esporta anche cacao. Ivi vedemmo per la prima volta la terra
sollevarsi in piccole colline che rompevano, rallegrandola, l'uniformità del
paesaggio. Era la serra di Almeirini a cui si attaccano lungo la riva sinistra
le altre di Parù, Vellia Pobre, Paranaquara, Tanajury, Everé e Paytuma che
arrivano Ano al paesello di Monte Alegre. Questa parte perciò del fiume è forse
la più bella del basso Amazzone e in essa trovammo prima il paesello di
Prainha, che esporta principalmente cacao, manioca, bestiame, tartarughe e
pirarucu e poi la cittadina di Monte Alegre. Questa è situata verso la foce del
Rio Maycurù e merita bene il suo nome perché, edificata sul versante di una
graziosa collina (alta circa 3oo m.), ha clima assai salubre e belle terre in
giro. Oltre le solite derrate in quantità rilevanti, esporta anche cacao e
cereali, e potrebbe forse diventare di maggiore importanza, perchè si crede
abbia intorno una zona carbonifera suscettibile di essere sfruttata.
Dopo
cominciammo a traversare un'altra parte anch'essa assai caratteristica del
fiume, che si chiama la regione dei laghi. E’ una estesa zona che penetra anche
nello stato dell'Amazzonas, il cui suolo è sparso di moltissimi laghi, i quali
mediante una rete fitta ed intricatissima di canali, comunicano fra loro, col
fiume principale e con i suoi affluenti. E’ difficile assai stabilire il loro
numero ed i loro contorni, perché l'uno e gli altri variano continuamente al
cambiar del livello delle acque, onde, nella stagione delle piene, alcuni si
confondono fra di loro ed altri spariscono assorbiti dal fiume stesso che si
allarga invadendo la campagna.
Proseguendo
a monte in mezzo a questi laghi, sovente bellissimi e sempre popolati di
uccelli, presto vedemmo anche sulla riva dritta delle piccole elevazioni di
terreno e propriamente la serra del Curuà che, partendo dal fiume omonimo, gira
parallelamente alla costa e poi volge al sud lungo il Tapajoz.
All'imboccatura
di quest'ultima, su una delle dette elevazioni, è costruita la cittadina di
Santarem che ha innanzi un'argentea spiaggia di sabbia e l'apparenza di un
grazioso paese balneare: fu fondata nel XVII secolo e conserva ancora i ruderi
di un piccolo forte di quel tempo. Le sue case, allineate su strade diritte e
disposte parallelamente e perpendicolarmente alle rive, sono piccole e la
maggior parte nuove, qualcheduna ha due piani e tutte, in generale, sono
addette all'uso promiscuo di abitazione e di negozio. Si notano poi una chiesa
abbastanza grande, una casa municipale con il lusso di qualche colonna, un
mercato sufficiente. mente spazioso, dove si trovano viveri freschi, un buon
molo in ferro e legno al quale possono accostare le navi ed un ufficio doganale
creato da poco, grazie allo sviluppo acquistato dalla città. Infatti essa è
situata in una fortunata posizione, perché il Tapajoz oltre a traversare un
paese ricco di gomma e cacao, è via di sbocco dello Stato di Mato Grosso.
Il
terreno intorno alla città è sufficientemente coltivato: se ne traggono
tabacco, legumi, farinacei e cereali, e vi si alleva il bestiame; ma i prodotti
principali che si esportano, e cioè cacao, gomma, pirarucu e ceramiche locali,
vengono. principalmente dall'interno, e molti più affari si farebbero se si
portassero a termine te progettate strade e ferrovie col Mato Grosso. Per ora
vi sono 4000 abitanti in città e 16.000 circa in tutto il municipio: il
movimento commerciale è di circa 6000 contos all'anno, vi sono il telegrafo e
diverse fermate di vapori, e si sta preparando una stazione radiotelegrafica.
Oltre
l'importanza del paese, mi era noto che vi si trovano parecchi italiani, quindi
pensai di fermarmi e ci passai alcune ore del giorno 21 dicembre. Poco dopo
dato fondo, venne infatti a bordo la colonia quasi al completo. I connazionali
mi fecero lieta accoglienza, e si mostrarono entusiasti di rivedere la bandiera
della patria. Erano quasi tutti di Basilicata, anzi di San Costantino Albanese
e paesi vicini (circondario di Lagonegro), e forniscono un esempio di quel
fenomeno per cui, spinti dall'esempio, dalle promesse e dagli incoraggiamenti
dei loro compagni, le persone di uno stesso comune, che si decidono ad
emigrare, vanno dove il caso spinse il primo dei loro.
Ciò
lo avevo già appreso in Italia, osservando dove si dirigono gli emigranti della
mia provincia, e pur troppo avevo anche appreso che nessun concetto
prestabilito guida quei poveretti, e che generalmente la maggior parte di essi
sono privi di ogni istruzione, ignorano tutto circa il paese verso cui si
dirigono fino al punto che spesso aveva dovuto penare per scoprire se erano
stati nel Brasile, oppure nelle Repubbliche del Plata. Vanno perché il bisogno
li spinge ed a loro basta di sapere che in un certo posto un compaesano guadagna
qualche cosa, per seguirlo, senza preoccuparsi del fatto di non trovarlo più
sul posto al loro arrivo e quindi di rimanere senza aiuto alcuno e senza guida
in una terra sconosciuta. A Santarem però le cose, per fortuna, vanno bene:
parecchi anni fa, quando l'Amazzone era ancora poco frequentata, pare che vi
arrivasse, chi sa come, un certo Vallinotti a cui la fortuna sorrise tanto che
ora vive comodamente a Monte Alegre con una fortuna, dicono, di un milione.
Il
primo a seguirlo fu un operaio calderaio, certo Mileo, che si stabilì a
Santarem e gli affari essendo riusciti anche per lui, presto abbandonò l'arte
sua e si diede al commercio. Allora arrivarono degli altri, quasi tutti parenti
ed amici del Mileo, cosicché a Santarem e nel suo municipio vi sono ora sei
case commerciali possedute da circa 20 italiani tra cui predominano i Mileo, i
Calderaro, i Peluso, ecc. e che con un capitale di circa 600.000 lire fanno
commercio di mercanzie generali, ossia hanno delle specie di bazar in cui si
trova un poco di tutto: conserve, vini, liquori, scarpe, tessuti, armi,
bastoni, ombrelli, cappelli, chincaglierie, ninnoli, giocattoli, ecc. E’
doloroso però notare che tutto ciò non proviene dall'Italia, e che quei
negozianti non sanno bene che cosa l'Italia produce, e conservano la vecchia
credenza che le buone robe bisogna farle venire di Francia. Ma è fuori dubbio
che questi errori si sanerebbero se le nostre navi mercantili andassero
sull'Amazzone ed i nostri industriali si occupassero di studiarne le piazze. I fratelli
Peluso, che fra tutti erano i più colti, fanno venire cappelli da Firenze e
coralli da Napoli, ma non sanno spingersi di più, né volendolo ora potrebbero
farlo, perché le comunicazioni con l'Italia, specialmente pel trasbordo a
Lisbona, sono lunghe, difficili ed enormemente costose.
Tra
i detti italiani vi sono due soli operai, e non vi è nessun contadino, ma un
commerciante si proponeva di farne venire qualcuno a sue spese, ed a titolo di
prova, e se tale prova fosse riuscita sarebbe un gran bene per la nostra
emigrazione, come avrò occasione di spiegare meglio in seguito.
***
Da
Santarem a Manaos. -
Partito da Santarem verso mezzodì, passai la bocca del Curuà, su cui è
Aleniquer, - una delle più sviluppate tra le cittadine amazzoniche, - e la
notte mi ormeggiai innanzi la città di Obidos, situata quasi alla foce del
Trombetas (affluente della riva dritta), bel corso d'acqua che viene dalle
Guiane, che è navigabile per i So miglia e che è ricco di ottimi pascoli e di
campi agricoli.
Objdos,
fondata nel XVII secolo, è situata a levante di un piccolo promontorio coronato
da un vecchio forte, ed avanzantesi con una punta acuminata nel fiume. La
corrente, urtando su questa punta, forma vortici, e le navi all'ancora sono
soggette a larghe ambardate; per ciò e tenuto anche conto che per il molto
fondo si deve ancorare vicinissimo a terra, conviene affondare l'ancora di
dritta a valle' e mandare un pruese in terra.
Le
case della città, costruite su di un terreno ondulato ed alto tanto sul livello
del fiume da non temere le- piene, sono in generale piccole e meno belle
all'aspetto di quelle di Santarem.
Obidos
possiede un molo ed un ufficio doganale; ha 3000 abitanti ed un circondario nel
quale se ne contano altri 14.000 e fa commercio di cacao, di castagne e di
bestiame per 2000 contos di reis. La nostra colonia è più ricca e numerosa di
quella di Santarem; tra la città e il suo circondario aveva circa 66 membri,
quasi tutti parenti di quelli di Santarem stesso, e possedeva 14 case
commerciali con un capitale di circa due milioni. Vi erano pure tra loro un
sarto, tre muratori ed un pittore che facevano buoni affari, perché gli operai,
specialmente muratori, trovano largo impiego nelle cittadine amazzoniche, che
sono in continuo sviluppo.
Anche
in questa circostanza ebbi subito la visita entusiastica della colonia, e notai
ancora con soddisfazione che venne accompagnata dalle autorità cittadine e dai
notabili del paese, perché tutti i suoi membri sono tenuti in gran conto e
molto stimati per la probità, il solerte lavoro e l'ottima condotta. Andai a
terra con loro e mi offrirono una bicchierata nella casa municipale, la sola
adatta allo scopo. Insieme alle numerose bibite, tra loro ed i brasileri, mi
regalarono, sempre inneggiando all'Italia ed alle sue glorie, ben sette
discorsi, con l'obbligo relativo di rispondere a tutti e sette
coscienziosamente e con pari larghezza per tutti, per non dispiacere nessuno. E
così in meno di 24 ore fui costretto ad improvvisare più discorsi di un
candidato americano che fa il suo giro elettorale in treno diretto od in
automobile a 100 km. all'ora. Ma non era una fatica, perché faceva veramente
piacere vedere la soddisfazione con la quale quei bravi lavoratori salutavano
la loro bandiera, circondati dal plauso del paese che li ospita.
Trovai
Obidos occupato da molti soldati che vi erano stati mandati in seguito alle
questioni dei confini col Perù. Gli strateghi locali chiamano Obidos la chiave
dell'Amazzone, perché innanzi ad esso il fiume si restringe in un canale unico
di un miglio appena e dominato dal vecchissimo forte eretto sul promontorio
anzi citato. A dire il vero mal si comprende questa chiave a mezzo fiume quando
è così facile proteggere i passi della foce contro una poco probabile azione
esterna e quello di Tabatinga contro una improbabile azione peruana. Quella di
Obidos quindi sarebbe come la chiave di due porte distanti migliaia di miglia e
non si può certo pensare che le poche centinaia di soldati tenuti dal Perù nelle
sue provincie cisandine avrebbero potuto tentare di arrivare fino ad essa. Ma
se anche il Perù, vincendo le difficoltà insuperabili che presenta ora per le
truppe il viaggio da Lima a Iquitos, avesse potuto mandare uomini sufficienti
per un'invasione, non si comprende perché le avrebbe fatte arrivare ad Obidos,
visto che assai più a monte avrebbero potuto tentare l'importante occupazione
di Manaos, e prima ancora raggiungere gli obbiettivi della temuta guerra, con
lo stabilirsi nel paese contestato. In ogni modo un battaglione di artiglieria
si godeva nel forte un ozio certo non meritato, ma anche non di Capua, e un
povero battaglione di fanteria si ristorava dei mali non della guerra, ma delle
malattie sofferte nell'Acre, dove, per mancanza di ogni cura e previdenza, era
stato quasi decimato.
La
colonia avrebbe voluto che mi trattenessi un poco, ma io aveva premura di
partire, perché questa volta il lavoro della navigazione era molto anche per la
gente, e voleva che il giorno di Natale lo passassero tutti in riposo nel porto
di Manaos. Perciò a mezzodì del 23 dicembre dovetti lasciare quei buoni coloni,
e ripresi il cammino a monte, mentre dalla riva partivano ancora i loro evviva
all'Italia ed al Re.
Poco
dopo aveva girato il piccolo promontorio di Obidos ed ero di nuovo in pieno
Amazzone, circondato dal solito bosco lussureggiante, ma di rive così basse che
ad acque alte restano quasi tutte sommerse, onde le case sparse su di esse
erano in generale costruite su palafitte.
Il
paesaggio però appariva assai gaio, perché gli davano vita gli uccelli in
numero assai più grande del solito, grazie ai numerosi laghi che avevamo
intorno.
Pare
che 500 siano le specie di uccelli della valle amazzonica, e posso dire che
delle principali ci fu dato di ammirare qualche campione. Naturalmente il primo
ad apparirci, fin dall'arrivo sul Parà, fu l'Uruba, anzi presso Belem noi ne
vedemmo delle vere nuvole, perché passammo vicino ai macelli. Questo orribile
uccellaccio (dell'ordine Raptores) che ha qualche cosa del gallinaccio, è una
bestia ripugnante, la quale, sul bel verde di quelle terre, fa lo stesso
effetto di uno scarafaggio sul candido biancore di un giglio. Eppure esso è il
solo che nell'Amazzonia, nelle Antille, nel Centro America, ecc., gode la
protezione della legge, non già per compiacere le società protettrici degli
animali, ma perché presta opera utile facendo sparire nel suo stomaco le
carogne e tante altre sudicerie che ammorberebbero l'aria. E’ una specie di
spazzino economico che non farà mai sciopero, quindi è naturale che sia tenuto
caro in paesi, dove manca qualche volta completamente e spesso in buona parte
il lusso di un servizio di nettezza pubblica.
Anche
fin dalle foci quasi vedemmo volare assai più alto degli urubi un magnifico
uccello che, pei giri larghi e maestosi, ricordava il volo dell'aquila. Più
tardi infatti lo ritrovammo sull'Amazzone e, se il nostro giudizio non fu
errato, lo classificammo come un bell'esemplare dell'Aquila delle Guiane, quasi
tutta nera e con un ciuffo bianco. Dall'entrata poi nei canali, quando ci
serravamo presso alle rive, ci appariva sempre tra altri numerosi uccelletti il
Salvia (genere Turdus), tutto nero come un merlo, che merita di essere
ricordato perché, cosa non comune laggiù, canta un poco e si è perciò guadagnato
il nome pomposo di usignolo dell'Amazzone. Più in alto poi, da certe specie di
borse appese ai rami più sottili di alberi altissimi, scappava di tanto in
tanto il Sapiju (anche del genere Turdus), assai grazioso pei suoi colori
gialli e neri, e che ha il nido e la casa in quelle borse, da lui stesso
costruite, per mettere i piccoli al riparo dei serpenti. Ma tra tutti si
distingueva meglio il Tucano, veramente ridicolo per il suo becco enorme, e più
numerosi di ogni altro erano sempre i pappagalli di tutte le specie, che
sovente ci assordavano con le loro stridule grida. Turbati dal nostro passaggio
o da un colpo di sirena, dato appositamente, si levavano dagli alberi torme di
piccole cucorite, tutte verdi e dal volo rapido e tremulo come quello delle
farfalle, o di grossi pappagalli; ma più spesso questi li vedevamo passare a
coppie sul fiume, specialmente al tramonto e diretti sempre, a quell'ora, dalla
riva di levante verso quella di ponente. Anche le are, che pure andavano sempre
a coppie e che per vivacità di colori e magnificenza di volo mi parvero tra i
più belli uccelli di quella regione avevano le stesse abitudini. Soventi,
vedevamo anche i Tigana, di un bel color marrone con un grazioso ciuffo, che
hanno qualche cosa del fagiano e del pavone, e che abituati a non essere
cacciati, non si spaventavano molto delle fucilate che passando tiravamo negli
alberi su cui essi in gran numero si riunivano. Più interessanti però di tutti,
come quelli che quasi danno una caratteristica speciale al paesaggio, mi parvero
sempre i trampolieri, tra cui sono notevoli, per la grandezza il Marabutto e
per la bellezza i Langirostri, e specialmente l'Ardea candidissima, le cui
penne sono tanto ricercate dalle signore; l'Ardea cinerea al forme
elegantissime e l’Ibis rubra, che appare quasi vivissima lingua di fuoco
corrente come una meteora nel verde della foresta. Alle volte ci appariva anche
qualche uccello a becco piatto, come i patos - grosse anitre - ma nel fiume ce
ne sono pochi e per vederne molti bisogna andare sui laghi. Così pure bisogna
proprio andare nella foresta per vedere i meravigliosi colibrì od uccelli
mosca, cosi risplendenti al sole, che quando si levano appaiono come pietre
preziose lanciate nell'aria.
Quasi
tutti gli uccelli che ho ricordato e moltissimi altri ancora, che abbastanza
numerosi sull'Amazzone, abbondano sugli affluenti meno frequentati, sono buoni
da mangiare e possono essere un'ottima risorsa per i coloni e per l'esploratore
come lo sono per gli Indú Altri, come le Ardee candidissime, sono preziosi e
qualcheduno perciò le caccia, ma senza metodo e regola, onde si tende più che
altro a distruggerle. Anche altri uccelli potrebbero essere utilizzati o
semplicemente venduti al mercato, onde anche la caccia, se bene sfruttata,
sarebbe fonte di buoni guadagni, ma visto che tante altre maggiori ricchezze
sono trascurate, non è da meravigliarsi che si pensi poco a questa.
Verso
la sera del 24 vedemmo le piccole colline di Parentins che segnano, a partire
dalla riva dritta, il confine tra lo Stato di Parà e quello dell'Amazzonas;
dalla parte dell'altra riva il confine è determinato dal Rio Jamunda, un
braccio del quale prende il nome di Rio Cunuriz o fiume delle donne, perchè
alla sua foce il fantasioso Orellana immaginò di aver combattute le Amazzoni. Nel
punto in cui si stacca il Cunuriz dal Jamunda è la città di Faro.
L'Amazzone
in quelle località appariva più ristretto del solito, il bosco era meno fitto,
aveva minore quantità di parassiti, e spesso si elevava sopra basse rupi
rossastre o dietro bordi erbosi. La riva dritta specialmente era sparsa di
case, ma i paesi erano pochi, e Parentins fu il primo di qualche importanza che
incontrammo nello Stato dell'Amazzonas. Dopo vedemmo il borgo di Urucurituba,
che serba il nome di una grossa isola ora legata alla riva, e che è assai
piccolo, ed in seguito Itacoatiara che è più notevole. Quest'ultimo nome
significa pietra dipinta, ed invero ad acque basse si vedono presso la spiaggia
certe pietre su cui sono incisi dei segni rimasti finora indecifrabili: una leggenda,
derivata forse da quella di Orellana, vorrebbe ricordassero la disfatta delle
Amazzoni.
Itacoatiara
potrà divenire assai importante, perché, essendo situata dirimpetto al Madera,
ha una posizione fortunatissima, specialmente se si costruirà la ferrovia
Madeira-Mamorè; intanto il Governo dice di averne fatto un punto di
disinfezione. Nel 1896 la sua esportazione comprendeva 173 tonnellate di cacao,
12 di gomma e 91 di pirarucu, ed altre cose diverse per un valore di 105
contos.
Passammo
innanzi ad Itacoatiara la vigilia di Natale a notte fatta e sentimmo che la
gente cantava e sparava fucilate in segno di gioia, mentre l'allegro suono
delle campane, ripetuto dai mille echi del bosco, ricordava nella valle
infinita il gran fatto che s'era compiuto 19 secoli prima nella lontana
Betlemme, e che doveva redimere l'umanità dalla schiavitù pagana, E quel suono
destò in noi un dolce e melanconico senso di nostalgia perché pensavamo che in
quell'ora si faceva sentire anche nei nostri lontani villaggi. Ma forse la
neve, accumulata sulle vecchie case, lo faceva giungere smorzato e raddolcito
fino ai buoni camini, intorno ai quali in quel giorno di festa tutti i membri
delle famiglie erano accorsi per cercare il buon calore dei grossi ceppi per i
corpi ed il conforto degli affetti sinceri per le anime stanche. Là invece il
calore era nell'aria, le tenebre avvolgevano in una grande ombra di mistero
tutte le cose, e sentivamo i palpiti di quella vergine terra che fremente nella
lunga e desiosa attesa dei volenterosi che devono renderla feconda, pareva
dicesse: nel lavoro è la gioia, perché esso è la fonte vera della salvezza e
della fortuna, ed è il trionfo dei buoni e dei forti.
E
sentimmo che quelle parole erano rivolte a noi, marinai ai d'Italia, della gran
madre delle genti latine che fu sempre maestra al mondo di sapienza e di
fecondo lavoro, e ci furono perciò di conforto nella dolce mestizia dell'ora e
di guida nella nostra via operosa in quella suggestionante notte di Natale,
passata nella, più immensa delle foreste, e sul più maestoso fiume della terra.
E veramente maestoso tornava ad apparire l'Amazzone in quel punto, perché esso
riacquista quasi la grandezza del basso corso quando riceve il più importante
affluente della riva dritta, il Madera. Anzi questo affluente il cui nome è
stato ispirato dalla grande quantità di tronchi che vi galleggiano o che sono
conficcati nel fondo, per la grandezza dei propri tributari, per la bellezza
delle sue rive, per la popolazione fissa sulle sue terre e per il commercio che
vi si svolge, è il più notevole dell'Amazzonia, e sarebbe anche una delle linee
di comunicazione più rapida con lo Stato di Mato Grosso e con la Bolivia se non
fosse interrotto da rapide e cascate.
Le
navi anche di 12 piedi possono risalirlo per 600 miglia, ossia fino dal salto
di San Antonio, ma i 50 miglia più al nord (a Villa Bella) la navigazione
diviene di nuovo possibile, e seguendo gli affluenti del Madera stesso si può
penetrare bene nell'interno dello Stato di Mato-Grosso. La detta interruzione però
è molta dannosa al commercio, ed urgerebbe di ripararvi con una ferrovia, ma,
caratteristico esempio del modo come vanno le cose laggiù, è il fatto che una
società tentò l'impresa, e non ostante i vantaggi che doveva aspettarsi, fu
costretta ad abbandonarla lasciando nella foresta tutto il suo costoso
materiale.
Il
Madera propriamente detto comincia in lat. 10° 20' S. (ossia a Villa Bella)
dove si congiungono il Beni con il Mamorè che sono i suoi tributari importanti,
benché siano anche notevoli l'Abuna (lungo 900 km.), di cui ora molto si parla
per le foreste di gomma che si sono scoperte, ed il Mamorè.
Il
Beni, che era quasi sconosciuto fino al 1880, ha molti affluenti (come l'Orton
ricchissimo di gomma, e navigabile), il suo corso è di 1500 km ed è navigabile
fino a Salinas nel cantone di Reyes; vi si contano 40oo abitanti e molte case
commerciali, ed alla sua confluenza col Mamorè, ossia a Villa Bella (città di
800 abitanti), è situata la principale dogana boliviana.
Il
Madre de Dios proviene dal dipartimento di Cuzco, e si unisce al Beni in 10°
48' di lat. S., ha una lunghezza i 1500 km, ed è navigabile per 500 km., ma ha
molte cadute; le sue rive sono ricche di gomma e di altri prodotto importanti,
ed ha numerosi affluenti tra i quali il Manu, che, come dissi, è diviso
dall'Ucayali solamente da un piccolo tratto di terra.
Dopo
il Madera incontrammo solamente qualche sitio (abitazioni circondate da
culture), ed il mattino arrivammo alla confluenza del Rio Negro, dove, come
dissi, l'Amazzone prende il nome di Solimoes, con corso abbastanza ristretto,
mentre il Rio Negro che viene più da nord, ha apparentemente un aspetto più
maestoso.
Le
acque di questo affluente hanno il colore di una densa decozione di tè, e
stentano a confondersi con quelle fangose dell'Amazzone, onde tra le une e le
altre appaiono linee di divisioni ben nette. Ma presto la corrente poderosa del
fiume principale assorbe le acque del suo tributario e procede indisturbata,
senza che il suo colore presenti la più piccola variazione.
La
poca corrente del Rio Negro, l'assenza di acque provenienti dallo scioglimento
di nevi montane, o di materie fangose, la grande presenza di ossigeno, fanno
dedurre (e ciò forse può ripetersi anche pel Tapajoz) che la colorazione sopra
detta sia dovuta a materie humiche in soluzione: vi è però una certa quantità
di ferro, ma non sarebbe sufficiente da sola a dare quel colore all'acqua. Ad
ogni modo si ritiene che tale colore non rende nociva l’acqua, ma recentemente
si è osservato che essa contiene un numero eccessivo di microrganismi e perciò
non si crede che si possa rendere potabile. Infatti Manaos si provvede da un
piccolo affluente del Rio Negro, ma anche esso non dà acqua pura, onde sono
stati costruiti dei bacini per filtrarla, e poi mandarla con pompe in un gran
serbatoio da cui si distribuisce alla città. Il lavoro è bello, ma i filtri
sono lontani dall'essere perfetti e la questione di una buona acqua potabile
per uso della città è sempre in studio.
Il
Rio Negro ha un corso di 1500 miglia, e sarebbe una importante via di
comunicazione con le Guiane ed il Venezuela, se non fosse basso ed interrotto
da cascate. Ed invero, mentre alla confluenza presenta grandi ' profondità,
presto gli resta poca acqua e la navigazione è praticamente interrotta dopo 300
miglia.
Tra
i suoi affluenti è molto importante il Rio Bianco per la ricchezza delle terre
ed è molto noto il Parimè perché la leggenda voleva che sulle sue sponde
dovesse trovarsi la tanto ricercata città della ricchezza: "Manoa de el
Dorado".
La
foce del Rio Negro è assai bella, la riva sinistra è circondata da una rupe
elevata una trentina di metri, e grazioso è il passo dell'isola di Marapatà,
dopo il quale si apre una larga insenatura da cui cominciammo a scorgere prima
grosse navi a -vapore ancorate innanzi Manaos e poco dopo la città, tutta
ridente pei gai colori delle sue case nuove, sulle quali dominano le guglie
della cattedrale e la cupola del teatro. Questa è~ rivestita di mattonelle
verniciate che risplendevano al sole, ma le ricche entrate che lo Stato ritrae
dalla gomma mi fecero subito pensare che più opportuno sarebbe stato se
l'avessero dorata quasi per simboleggiare che la leggendaria Manao de el Dorado
è stata finalmente materializzata nei seringaes.
Eccezionalmente,
il giorno 25 era una giornata proprio limpida, e su di un bel cielo sereno
brillava il sole tanto decantato dei tropici. In verità da che eravamo partiti
dall'Italia, a dispetto di tutti i poeti che non devono aver viaggiato nei
tropici in certe stagioni, non avevamo quasi mai più avuto lo spettacolo del
cielo completamente azzurro e del sole splendente in tutta la sua magnificenza
come nel nostro bel paese, ma quel giorno era Natale, ed anche il vecchio sole
voleva fare le cose per bene, e fare apparire, se è possibile, più gaie e più
belle le numerose bandiere italiane che pavesavano due vaporini che ci venivano
incontro.
Era
la colonia che esultante di vedere per la prima volta una nave nazionale in
quella alta regione amazzonica veniva ad esprimerci la sua orgogliosa gioia.
Le
buone grida di saluto salivano più alte a maniera che ci avvicinavamo e
giunsero al delirio quando al suono della marcia reale fu risposto dai miei
marinai coi fatidico grido di "viva il Re". E la commozione non ebbe
più limiti quando, appena dato fondo, quei buoni lavoratori vennero a bordo e
ci ringraziarono perché avevamo portato loro un ricordo vivo della patria. a.
fatica ebbe ricompensa più bella di quel ringraziamento, raramente lode più
alta di quelle semplici parole fu detta in onore della i marina nostra e delle
sue nobili navi che, pur vegliando alla difesa del suolo sacro della patria,
nei fecondi periodi della pace cercano nuove vie per lo sviluppo dell'attività
umana e percorrono i mari, messaggere di pace tra i popoli e di affetto e conforto
per i fratelli che le vicende del lavoro fecero esuli.
E
per meglio dirci la loro gioia, 4 coloni ci vollero, qualche giorno dopo,
ospiti, foro in un magnifico padiglione costruito in mezzo al bosco, ed anche
là nella dolcezza dell'ora, e mentre su tutti troneggiava l'effigie del Re,
che, pareva sorridere a quella nobile festa, i cuori si affratellavano
nell'amore infinito della patria lontana. E quando mi alzai per ringraziare, e
vidi tutta quella gente stringersi intorno a me come per ascoltare più da vicino
il saluto della patria, ebbi intera la visione di quello che dovranno diventare
le nostre colonie, parti vive d'Italia, che si irradieranno, nel mondo per
portare fino negli angoli più remoti le fonti di una vita nuova e per
conquistare alla nostra attività le te ancora vergini. E queste colonie, legate
tra loro e con la madre patria con vincoli d'amore fecondo, amate e stimate dai
paesi che le ospitano per la loro onestà e per i benefici che esse producono,
concorreranno a dare alla terza Italia una, gloria ed una potenza pari
all'antica.
Tutto
questo sogno io cercai di dire come il momento lo ispirava al mio cuore; quegli
onesti lavoratori mi intesero, e come alle parole di una vita nuova, bene
augurante per quelle terre, parve che la natura intorno esultasse, quando l'eco
della foresta ripetette con le sue mille voci il grande saluto all'augusta
persona del Re, che tutte le nostre speranze impersona.
Ed
in quel momento, come al primo incontro, come in tutte le numerose occasioni in
cui ho dovuto parlare ai nostri coloni, li ho sempre visti animati di un amore
infinito per la patria lontana e di una devozione senza limiti per la gloriosa
bandiera pendente dal pick della mia nave senza che mai si levasse da alcun di
loro una nota discordante, quasi che tutti volessero dimostrare la grande
potenza educativa e morale delle navi da guerra. Che esse dunque sieno
benedette in eterno e sia lode in eterno al Latin che disse: " navigare è
necessario, non è necessario vivere".
***
Lo
Stato dell'Amazonas è il più vasto del Brasile, ha la sua origine nella
capitaneria del Rio Negro, che fu fondata nel 1755 e messa alla dipendenza di
Parà. Questa soggezione con lo Stato vicino non cessò neanche con
l'indipendenza del Brasile, e solamente dopo molte lotte e rivoluzioni, nel
1852, l'Amazonas fu eretta a provincia indipendente. Manaos, fondata nel XVIII
secolo col nome di Barra do Rio Negro, e che per la sua posizione doveva
naturalmente attrarre l'attenzione dei governanti della nuova provincia, prese
il nome attuale e fu elevata all'onore di capitale.
Però
in quel tempo aveva appena 3600 abitanti, allogati in case basse e meschine, e
tre o quattro costruzioni a due piani si contavano come una meraviglia. Da quel
tempo però le cose sono cambiate, e benchè il progresso non sia stato quale
avrebbe dovuto essere in relazione alle immense ricchezze del suolo, pure ora
ha 45.000 abitanti.
Più
notevole è invece lo sviluppo del commercio e della ricchezza. Le entrate dello
Stato hanno avuto questo crescendo: 18 contos nel 1852, 1814 nel 1889, 21.426
(di cui 18.476 provenienti dalla esportazione e perciò specialmente dalla
gomma) nel 1898. Ma a queste somme vanno aggiunte le entrate municipali anche
esse rilevanti, e quelle d'importazioni che spettano al Governo federale, e che
nel 1898 ascendevano a 6000 contos. […] (pp. 169-171).
Le
case e gli edifici della città sono in generale di bello aspetto e le prime
sono allineate su strade larghe e diritte, tagliantesi ad angolo retto e
qualche volta anche di buona costruzione. Si notano la cattedrale, il teatro,
il palazzo di giustizia, il deposito dell'acqua potabile, il mercato; al mio
passaggio erano costruzione i palazzi dei governatore e del Parlamento, la
prigione, ecc.
Una
delle più belle opere e recenti è il dock galleggiante. Date le grandi
variazioni di livello (oltre i 10 m.) occorrevano per il traffico, che è fatto
tutto per acqua, speciali disposizioni; e perciò si cominciò col costruire un
grandissimo pontone sul quale le navi :sbarcavano le loro merci. Questo pontone
appoggiava il fianco interno contro un piano inclinato preparato sulla riva e
lungo il quale un, cavo continuo faceva scorrere dei carretti. Al variare del
livello 1 del fiume si spostava il pontone in modo che galleggiasse sempre, pur
toccando il piano, e le merci erano vuotate sui carretti che le trasportavano
in alto. Essendosi molto sviluppato il traffico, questo pontone è stato
lasciato per le piccole navi, e per le grandi se ne è costruito un altro, vera
banchina galleggiante, che può essere accostato sempre dalle maggiori navi,
perché è ormeggiato in molto fondo. Tale nuovo pontone è unito alla terra ferma
mediante cavi aerei che servono di guida alle grosse corbe sulle quali si
caricano le mercanzie. Un sistema di pesi tiene sempre tesati i cavi, dimodochè
i guardiani devono semplicemente pensare a filare ed a ricuperare gli ormeggi
del pontone per mantenerlo nella giusta posizione, mentre varia il livello del
fiume. Le corbe poi vanno dalla banchina alla terra e viceversa col solito
sistema dei cavi continui.
Tutta
la città è illuminata a luce elettrica ed è percorsa da trams elettrici che
vanno fino ai sobborghi di Flores e di Cocheheira, traversando il bosco sempre
così ricco di attrattiva.
L'igiene,
stante la costruzione più recente della città, è meglio curata che a Parà, ma
le latrine e le fognature lasciano sempre a desiderare. Vi sono due ospedali ed
un ufficio d'igiene che potrebbe fare la fortuna del paese, se pensasse ad
isolare le malattie infettive. Ma per quanto scarse siano le cure, è sempre
notevole che tali malattie si estendono meno di quelle che si potrebbe
aspettare, e se si pensa che anche negli ospedali sovente si trascurano
elementari precauzioni e che a Manaos affluiscono, quando possono, i malati
dell'interno, è facile conchiudere che le sue condizioni sono assai migliori di
quanto può apparire. Ma è necessario ed è possibile rendere veramente e
mantenere Manaos una città sana, per abbattere le barriere che fermano molto
spesso gli immigranti.
Infatti
non si può affermare che una vera e sufficiente corrente d'immigrazione sia
avviata verso questo paese, ne vale il ricordare che gli abitanti dello Stato
dell'Amazonas, compresi gli Indi addomesticati, sono saliti in un periodo di
sette lustri da 30.000 a 250.000 o 300.000 circa perché questa cifra che
corrisponde ad una densità di popolazione di 0,8 per kmq è semplicemente
derisoria rispetto a quella che al paese occorrerebbe e che il suolo potrebbe
nutrire.
La
nostra colonia (di 2000 membri circa) è, relativamente a questa scarsa popolazione,
abbastanza numerosa, ma conta poco o nulla, perché è composta in generale da
povera gente, senza legami ed unione tra loro, così che quei buoni lavoratori,
sono semplicemente sfruttati senza formare quel complesso tanto utile per gli
interessi loro e dell'Italia, a cui avrebbero diritto e modo di aspirare se
sommassero le loro energie. Ma invece molti di essi (ricordo della
Ligure-Brasilena che pare avesse un premio per ogni emigrante) hanno
dimenticata financo la loro lingua, tanto che gli Italiani benestanti devono
parlare loro in portoghese per farsi capire e la gente del paese li chiama con
un nome generico che vuol dire facchino. Vi è però un nucleo di operai che
lavora bene e guadagna anche bene e 60 o 70 persone tra impiegati e commercianti
che sono in discreta posizione e potrebbero riunire intorno a loro la colonia,
come la rappresentarono nelle feste date al Dogali. Ma per cercare un primo
rimedio a questi mali e provvedere ai numerosi bisogni presenti ed agli
interessi futuri era necessario - ed ora, credo in seguito alle mie proposte, è
stato fatto - che si mandasse a Manaos un console di carriera, capace di
accoppiare alle virtù del missionario per predicare l'amore ai coloni, la più
fine e ferma sagacia diplomatica per navigare senza urti nel mar politico di
quei paesi che, per molte ragioni, è assai irto di scogli.
Da
Manaos al Purus - Trovai a Manaos la stagione della piena molto in ritardo,
ma siccome non poteva aspettare, l'8 gennaio partii: appena però entrai nel
Solimoes vidi con soddisfazione molti alberi in deriva, segno evidente che il
fiume cominciava a crescere in alto e che quindi nei punti più pericolosi avrei
potuto trovare acqua sufficiente. In cambio dovevo aspettarmi una corrente
forte e certo superiore alle 3 miglia, e ne ebbi subito la prova perché
impiegai 16 ore e mezzo per arrivare fino al Purus. In seguito fu anche peggio:
per andare a Iquitos ci vollero 13 giorni; ma, tolte le fermate di qualche ora
che feci successivamente e specialmente nella notte per concedermi le
indispensabili ore di sonno, presso l'isola di UaJaratuba (8 gennaio), innanzi
la bocca del lago Onca (9 gennaio), all'affluenza de1 Rio Copea (10 gennaio),
presso l'isola Panani (11 gennaio), a Caixara (12 gennaio), ad Uarà (13
gennaio), presso le isole Tararà (14 gennaio) presso la foce del Tocantins. (15
gennaio), a San Paolo di Olivenca (16 gennaio), presso l'isola Capiay (17
gennaio), al principio dell'isola Cacao (18 gennaio), a San Matteo (Perii) (19
gennaio), presso l'isola di Janamaco (2o gennaio), impiegai in complesso circa
8 giorni e due terzi di sola navigazione alla velocità di macchina, di 10
miglia.
Tra
il Rio Negro ed il Purus si trovano affluenti di poca importanza, e si può
citare solamente il Manacapurà sulla riva sinistra.
La
costa è invece abbastanza varia, le parti inondabili si alternano con graziose
piccole alture, molte località sono assai ridenti, in diverse piccole savanes
si alleva bestiame, e bellissima è la foresta presso il Purus. I piloti dicono
che le savanes ora dette sono artificiali, ed è molto probabile, perchè
tagliando il bosco ed impedendo che si riproduca, nasce naturalmente un
magnifico prato come infatti si osserva in tutti i posti dove stanno sorgendo
dei villaggi. Incontrammo parecchie case isolate, ed anche alcune riunite in
piccoli gruppi, come per esempio a Boa Vista, dopo vedemmo la cittadina di
Manacapurà, assai graziosa, con case in muratura ed una fortunata posizione
sopra una piccola collina, ed, innanzi di giungere al Purus, il paesello di
Uanama. Nelle vicinanze poi del fiume trovammo più numerose le case, le vendite
di legna e le baracche dei seringueros, e specialmente alla sua bocca c'erano
parecchie baracche, tra le quali una grandissima che serviva, direi, da H8tel,
ed era piena di seringueiros con donne e bambini, arrivati fin là in balse e
canoe, ed aspettanti le lanchas per risalire il Purus o per scendere a Manaos.
Ma
qui devo dire che non mi è possibile fornire dati sulla maggior parte dei
paeselli che vedemmo, perché poco ne sa il Governo stesso. Le agglomerazioni di
case si formano dove il bisogno lo richiede, e sarebbe difficile dire l'entità
del loro commercio, poiché i loro prodotti sono trasportati a Manaos dove
passano per gli uffici governativi senza che 1 alcuno si preoccupi molto dei
paesi di origine. Devo anche notare che quando indico il nome di un paesello o
di una, certa località e li segno sul mio schizzo del fiume, si deve intendere
che i m, iei piloti mi dicevano quel nome, ma che non si può fare molto
assegnamento su di essi. lo cercai di mettere, come `meglio potevo, di accordo
le indicazioni spesso diverse dei piloti e delle carte a cui accennai, ma non è
difficile che, altri chiamino le località stesse diversamente, però a chi
consultasse il detto schizzo navigando sul fiume, sarebbe facile chiarire le
differenze senza dubbi pericolosi.
È
utile anche ed opportuno accennare brevemente al modo come son fatte le
abitazioni del fiume a cui ho spesso accennato, e che alcuni autori locali
descrivono come deliziose, ed aggiungere qualche cenno su alcuni costumi degli
abitanti. Le abitazioni isolate possono appartenere a coltivatori della terra
(sitio), a pescatori di tartarughe o di pirarucù, a rivenditori di legna ed a
persone che lavorano la gomma. In questo caso possono essere le capanne dei
lavoratori o le baracche (puertos) di padroni seringueiros, o di mercanti dove
gli indi o i meticci, che raccolgono per proprio conto la gomma, vanno, come
presso una casa avviatora in miniatura, a vendere od a scambiare il loro
raccolto od anche ah prendere roba in credenza. Di tali puertos se ne trovano
parecchi, specialmente allo sbocco dei ricchi affluenti dell'alto Solimoes e
del Maranon, e quando fanno molti affari, le lanchas ed i va, pori della linea
Amazzonas sogliono fermarsi presso di essi, onde è bene applicato il loro nome.
I Puertos, le rivendite di legna e di tartarughe espongono fanali la notte.
Le
capanne sono in generale costruite con rami e foglie, ma quando i proprietari
sono abbastanza agiati le pareti sono fatte di legno. In questo caso sogliono
mettere le assicelle un poco scostate l'una dall'altra, cosicché l'aria ed
anche la luce vi penetrano liberamente senza bisogno di finestre. Di questa
ultima specie di costruzioni ho viste alcune assai graziose sull'alto Marafion
ed anche sul Solimoes, ma ivi, eccetto per i sostegni principali. il legno era
sostituito da canne.
Non
è facile stabilire una linea di divisione tra le capanne e le case: le prime
subiscono miglioramenti successivi, mentre le condizioni degli abitanti diventano
più prospere, e finiscono col trasformarsi nelle seconde. Del resto il sistema
di costruzione è lo stesso: pareti di legno o canna e tetto di grosse foglie di
palma, sporgente in generale alla moda toscana, e qualche volta prolungato per
coprire una veranda sul fronte della casa.
L'interno
è diviso per lo meno in due ambienti: quello anteriore serve da sala comune e
da lavoro, e quello posteriore da camera da letto. Molte case però,
specialmente quelle dei patroni seringueiros e dei commercianti, oltre il
pianterreno hanno anche un piano superiore riservato alla famiglia del
proprietario, con una scala esterna di accesso.
Quando
il suolo è inondabile, tutta la casa si eleva su palafitte, ha un pontile che
la unisce al fiume ed un pavimento di legno, ma quando il posto è elevato ed
allo asciutto, i poveri si contentano del terreno per pavimento.
La
gente, come le case, è pulita: l'opera provvida della scopa appare da per
tutto, e l'acqua ed il bagno sono amati anche dai poveri. I vestiti sono molto
semplici, gli Indi selvaggi più semplicemente ancora li sopprimono, quelli un
po’ civilizzati seguitano le vecchie abitudini nella foresta e le mutano
solamente quando debbono andare in città. Gli altri più civili ed anche molti
bianchi che vivono nel bosco o sul fiume, si contentano, gli uomini, di un paio
di pantaloni e di una giacchetta, se le zanzare non impongono una maggiore
copertura, e le donne di una semplice vestaglia. Le scarpe sono assai poco in
uso e qualche bianco le sostituisce con zoccoli; alle volte però mi è capitato
di vedere in qualche paesello del fiume degli uomini ed anche delle donne in
vestiti civili, ma facevano uno strano effetto, mentre erano graziosamente
intonate con l'ambiente le vestaglie rosse delle donne che, attirate dal nostro
passaggio, apparivano sulle rive. E dico che venivano solamente le donne,
perché il più delle volte esse solamente erano sul posto, essendo gli uomini a
lavorare nella foresta. Accorrevano però sul nostro passaggio, perché avevamo
l'aria di tirar dritti; se ci fossimo fermati sarebbero fuggite, perchè pare
che i marinai locali ne abusino. Ma è bene aggiungere che, fatta eccezione
nell'alto Solimoes, in generale gli abitanti delle rive, non trovavano, nella
loro apatia, la curiosità di osservare il fatto poco comune del passaggio di
una nave, ed anche di una nave, come la nostra, assai diversa e più grande di
tutte le altre che potevano aver viste.
Anche
i mobili sono semplici: per letti servono certi panconi di legno con sottili
strapuntini, le brande sono pure molto usate; e le donne amano restarci il più
a lungo possibile, allogandole spesso nella sala comune. Sulle pareti sono
appesi il corredo, gli utensili da lavoro, le poche provviste e l'immancabile
carabina Winchester. Qualcheduno ha pure un fucile da caccia, ma la carabina od
il rifle, come dicono leggendo all'italiana il vocabolo inglese, è
indispensabile al seringueiros, come la machedina, non solamente per la difesa
personale ma anche per procurarsi, cacciando un poco di carne fresca. Gli Indi
sono abilissimi nel suo uso e le scimmie ed i quadrupedi cadono infallibilmente
sotto i loro colpi; ma il malanno è che anche gli Indi selvaggi presto
acquistano la stessa abilità, e quando riescano ad avere, cosa non difficile,
una carabina, diventano, finché posseggono cartucce, nemici assai temibili per
i bianchi. E così si spiegano certe ecatombe di seringueiros o di caucheros; ma
per esser giusti bisogna pur dire che quei massacri sono una delle conseguenze
delle condizioni generali di un ambiente dove sola legge è la forza. Invero non
è raro che, invece di tentare l'educazione degli Indi, i cosiddetti uomini
civili organizzino delle correiras nella foresta per assaltarne le tribù,
rubare le poche robe, catturare i bambini ed uccidere i vecchi e gli adulti che
non si riuscirebbe ad addomesticare. So bene che a ripetere queste cose a
Manaos si passerebbe il pericolo di essere lapidati, o almeno di sentire
addossare il peccato agli Stati vicini, ma la finzione non è sufficiente per
smentire i fatti, e pur troppo tutti sanno dire quanto si paga un ragazzo od
una bambina cacciati in quel modo. Se quindi gl'Indi uccidono combattendo per
difendere la loro vita, i loro bambini e le loro robe, od uccidono a tradimento
per rappresaglia, la colpa è della gente che si vanta di essere più civile di
loro. Del resto sono i mercanti stessi che li armano, scambiando fucili e
munizioni con la gomma ed altri prodotti della foresta che anche quei selvaggi
raccolgono. Ma un signore mi diceva seriamente di aver trovato il mezzo di
evitare ogni inconveniente col fornire armi in cui le molle del cane erano
state intaccate con acidi, in modo che si rompessero dopo pochi scatti. E’ uno
strano sistema questo di sanare un errore con un volgare imbroglio e con lo
stesso criterio di quel signore un Indio potrebbe dire, quando si rifà
uccidendo il suo padrone per provvedersi di buone armi, che agisce secondo
giustizia.
Nei
paesi del fiume le case in maggioranza sono analoghe a quelle descritte sopra,
ma se ne vedono anche parecchie che sono od hanno l'apparenza di essere
costruite in muratura. Infatti alcune volte sono fatte in mattoni (la pietra
manca in tutto l'Amazzone) ma altre volte l'ossatura è un traliccio di legno, i
vuoti sono riempiti di argilla, e l'insieme è completato da un intonaco ed è
dipinto in modo da fingere la muratura.
Si
può ritenere che ad ogni casa corrisponda un pezzo di terra coltivata, ma come
dissi, sull'Amazzone e sul Solimoes ciò in generale non appare al navigante,
nel Maranon invece amano circondare la casa con un piccolo orto nel quale
predominano le piante di certe grossissime banane, che ivi sostituiscono quasi
il pane. Anche nei villaggi ogni casa ha in generale il suo piccolo pezzo di
terra più o meno coltivato, che, secondo gli scrittori brasileri, dovrebbe
essere, ma non è, un bellissimo giardino.
È
notevole che sono assai pochi i villaggi che hanno una chiesa, non ostante che
Parà, per esempio, ne sia piena, e che il popolo della città almeno, più che la
credenza, abbia tutto il fanatismo religioso dei vecchi portoghesi. Ad Iquitos
esisteva una sola chiesa; era caduta, quando io vi giunsi e trovai che avevano
pensato di utilizzarne il suolo per farne un giardino, quasi che nella valle
Amazzonica mancasse un poco di terreno; erano però rimasti sul posto due preti
che non avevano in nessuna maniera cura delle anime. In generale dunque la
povera gente è abbandonata a se stessa, senza nessun insegnamento morale, e ciò
ha una trista influenza sul modo come si costituiscono molte famiglie 2 assai
spesso le unioni sessuali sono regolate da affinità casuali più che elettive,
onde il paese è pieno di bastardi prodotti dai più svariati incrociamenti.
Ad
Iquitos mi dicevano (ed erano dolorosamente le persone più serie del luogo a
parlare) che, gli immigranti non si possono sottrarre a questi legami
eterogenei, perché hanno bisogno di qualcuna che curi la casa, regoli l'azienda
domestica, ed offra assistenza in casa in caso di malattia.
Pare
che le cholites (graziose piccole creature indie o meticce) si prestino
mirabilmente a tutto ciò, e perciò i nuovi arrivati sì affrettano a fare il
contratto. La cosa è semplice assai: scelgono la loro piccina (che spesso non
ha ancora 12 anni), le parlano, la chiedono alla madre, promettendole una
veste, una macchina da cucire, una branda e poche altre cose, e se la portano a
casa con soddisfazione di tutti. I figli arrivano di conseguenza, spesso, il
padre li abbandona insieme alla madre, ma altre volte si lega a loro, ed a poco
a poco si piega alla loro vita, scendendo egli verso la donna, ma mai elevando
questa verso di lui e la sua civiltà. E così pur troppo aumenta quella
popolazione meticcia, che si incontra non solo nell'Amazzonia, ma nelle
Antille, e in buona parte dell'America del Sud, e che è uno dei peggiori
prodotti umani, perché raccoglie tutti i difetti e nessuna delle virtù dei
genitori.
È
notevole anche che in tutti i paesi del fiume - naturalmente non parlo di Parà
e Manaos - non si trovano alberghi (nella stessa Iquitos si trovano trattorie
solamente); ognuno deve farsi una casa, e nei primi giorni dell'arrivo deve
ricorrere all'ospitalità, veramente assai larga, degli abitanti.
Ma
non si può parlare delle case dell'Amazzone senza dire dei loro molesti ospiti:
le zanzare. La prima notte che passai alla fonda sul Solimoes, benché fossi
ancorato vicinissimo a terra, non ebbi da esse molte noie, ed in vero i piloti
mi avevano detto che in basso ce ne sono poche, ma che aumentano salendo ed
avevano ragione. Non sono però egualmente distribuite, e nella località in cui
abbondano (i piloti le conoscono) conviene, quando si dà fondo la notte, di
mettersi quanto più è possibile in mezzo al fiume se si vuol riposare. Devo
aggiungere però che tali insetti ed altri non meno noiosi ed anche pericolosi
infestano è vero la regione, ma non sono più numerosi di quelli che si
incontrano in tanti altri posti d’America, e mi ricordo che anni fa a Guaiaquil
ci facevano soffrire molto più che qui. Tra quelli dell'Amazzone, ricorderò i
centopiedi e gli scorpioni velenosi; i micuim; i carrapetos - larve che si
cacciano nella pelle e producono infiammazione -; i bicci che penetrano nei
piedi e producono piaghe; le formiche che infestarono anche la mia camera, e
sono capaci di distruggere interi raccolti; ed oltre le zanzare di tutte le
specie (sancudas), già citate, e che farebbero dannare anche un santo, i
mosquitos, piccoli moscherini insidiosi e molesti, perché oltre il prurito
producono bruciore. Ma è contro le zanzare ed i mosquitos che bisogna
principalmente difendersi, ed anche i poveri si forniscono di zanzariere che
portano sempre con loro quando vanno nella foresta, e mi è capitato di vederne
stese, lungo la riva del fiume, sotto la pioggia, da gente che si era accampata
per la notte. A riscontro però di tanti insetti noiosi, mi piace ricordare
l'ape (ce ne sono 180 specie) che è poco sfruttata, ma che potrebbe essere
fonte di ottimi guadagni.
Il
Purus (le cui origini non sono ancora ben note) è, uno degli affluenti più
importanti di tutto l’Amazzone, ed è un vero rivale del Madeira, Lungo quasi
come questo, gli corre spesso vicino e parallelo ed ha egualmente boschi
ricchissimi di gomma; anzi ora per la quantità non per la qualità di questa, lo
supera, grazie specialmente ai prodotti dei suoi affluenti.
Tra
questi ve ne sono alcuni divenuti famosi oramai nel mondo commerciale, e di
conseguenza in quello Politico, perché se non fosse stato per la loro gomma, il
Brasile non si sarebbe dato certo la pena di contestarli al Perù, insieme con
l'alto corso del Purus stesso (1500 km) e non sarebbero avvenutele rivolte
dell'Acre.
Tra
i detti affluenti ricorderà i seguenti che sono anche navigabili: riva dritta:
il Chandless, il Tulinianu (che ha molto caucciù), il Yacos l'Acre o Aquiry (che
è il Più importante: fu scoperto nel 186oR ha 18>Ooo abitanti nel suo bacino
e dà nome al territorio in questione col Perù),. l'Ituxy (che è molto ricco) ed
il Jacarè (Poco esplorato); riva sinistra: l'Inauhnyn (che è ricco di caucciù),
il Pauhiny (che è assai importante), il Mamorià, ed il Tapaoà.
Grazie
all'acqua di tutti questi tributari, il Purus durante la piena è navigabile per
1900 miglia e nella secca per 800; cinque Compagnie regolari e numerose lanchas
ed anche vapori oceanici vi fanno il traffico e non incontrano molta corrente
(2 o 3 miglia l'ora). Nel terreno circostante vi sono molti laghi e paludi che
interrompono le dense foreste, ma queste sono abitate da Indi selvaggi e
feroci, tanto che difficile assai è la loro esplorazione. Ciò non ostante, il
commercio del Purus tra importazione ed esportazione si eleva a circa
35.000.000 di lire, e si crede che in tutto il suo bacino vi siano 80,000
abitanti, senza contare gli Indi.
I
prodotti (gomma, cacao, caucciù, tabacco) affluiscono a Manaos, ma una parte va
anche ad Iquitos passando attraverso brevi istmi sull’Ucayaly.
A
questo punto è opportuno dire un po’ più a lungo delle questioni sopra
accennate dei confini, senza però discuterle altrimenti andrei troppo lontano
dai limiti di questa narrazione.
Il
Perù sostiene che gli apparterrebbe tutto il territorio dell'antico vicereame a
cui è succeduto, territorio che si estendeva fino a Teffè; ma, se anche si
volesse pigliar per base il trattato corso tra Spagna e Portogallo, afferma che
il suo confine tra il Javary ed il Madera dovrebbe essere all'incirca il
segmento di parallelo 6°50' S., compreso tra i detti fiumi. Senonchè nel 1851
si addivenne ad un accordo col Brasile e si indicò il Javary, come limite di
confine al sud. dell'Amazzone, ed il vallone di Sant'Antonio (Tabatinga) come
origine del confine al nord dell'Amazzone stesso. Ciò però fu un errore dovuto
all'ignoranza de la Commissione peruana (sono loro stessi che lo dicono), e se
finora non sono sorte molte questioni anche per i confini settentrionali, lo si
deve al fatto che le terre da quella parte valgono poco. Dall'altra parte
invece si sono scoperte grandi ricchezze ed il Brasile di conseguenza , ha
avanzate molte pretese avvantaggiandosi, secondo i Peruani, dei detti errori. E
che malamente operasse la detta Commissione è fuori dubbio, perchè non si
comprende come non si occupasse dei confini oltre le sorgenti del Javary. Se ne
occupò invece il Brasile quando (1867), promettendo alla Bolivia la via del
Madera per le comunicazioni coll'Atlantico, conchiuse un trattato in cui era
detto che il confine tra loro era la linea compresa tra Villa Bella (confluenza
del Beni col Mamorè) e le sorgenti del javary. Protestò subito il Perù,
sostenendo ohe il confine tra esso e la Bolivia doveva invece estendersi fino
al Madera ed al Beni, che la linea anzidetta era tutta compresa in territorio
suo, e che con quel trattato gli si toglievano iooo leghe quadrate di terre
ricchissime e propriamente l'alto Juruà fino alla confluenza col Taruacà (1500
miglia e 8000 abitanti) e l'alto Purus con i suoi famosi affluenti, ed i non
meno ricchi affluenti del Madera, quali per esempio il Madre de Dios. Ma non
ebbe la forza necessaria per sostenere queste affermazioni, mentre il Brasile,
che ogni giorno diveniva più potente, chiara mente dimostrava di volere ad ogni
costo quelle terre per assicurarsi il monopolio della gomma e del caucciù,
tanto che chiuse il Juruà, il Jutahy ed il Purus alla navigazione dei Peruani,
cosicché questi, quand'anche fossero entrati in possesso degli altri fiumi, non
avrebbero potuto asportarne, i prodotti con navi proprie. Inoltre nel 1895
insistette con la Bolivia perchè si definisse bene la linea Villa
Bella-sorgenti del Javary, e nel 1898 fece stabilire la dogana boliviana di
Puerto Alonzo, nel punto in cui la linea stessa taglia l'Acre,
Contro
questi fatti il Perù fece ogni sorta di proteste, ma il Brasile seguitò la sua
politica, e poiché la dogana di Parà non volle lasciar passare la gomma
licenziata da Puerto Alonso ne trasse occasione per spingersi più al sud; fu
sostenuta una teoria un po' strana e cioè che se il parallelo di Villa Bella
non tagliava il Javary, ma passava al sud di esso (se fosse passato al nord la
teoria non sarebbe più convenuta) alla retta Villa Bella, sorgente Javary
dovevasi sostituire la spezzata formata dal parallelo di Villa Bella, e dal
meridiano delle sorgenti del Javary. E mentre su ciò si discuteva, alcuni
brasileri, guidati da un alto impiegato, costrinsero (maggio '99) i boliviani a
ritirarsi da Puerto Alonzo; ed a Manaos, senza mistero di sorta, Luis Galvez
preparò la spedizione con la quale (luglio '99) invase l'Acre, -ne dichiarò
l'indipendenza, e ne assunse il governo quale presidente della nuova
repubblica.
Il
Brasile contrattò (30 ottobre '99) una nuova revisione di confine, accondiscese
al ristabilimento della dogana di Puerto Alonzo, ed intervenne per sedare la
rivolta. Perciò quando giunse la spedizione boliviana, Galvez era già deposto,
e siccome era d'estate e quindi i caucheros erano nella foresta, il successo
arrise alla Bolivia. Ma la rivolta scoppiò di nuovo, e dopo varie vicende la
Bolivia stessa pensò bene di finirla cedendo (i i giugno igoi) il turbolento
territorio ad una compagnia americana che si chiamò Bolivian Syndacate. Seguirono
nuove proteste del Perù ed anche del Brasile, perché, secondo una nuova teoria
di diritto, quelle terre erano divenute " territorio sacro della patria
" visto che le lavoravano braccia brasilere.
E
fu proprio il Brasile che ebbe ragione (17 novembre 1903), perché mediante Is.
110.000 versate al Sindacato, e 2.000.000 di sterline date alla Bolivia, rilevò
tutto il territorio dell'Acre e portò il confine sulla linea
Madera-Abuna-Ripirran-Aquri, parallelo 100 20, sud e confine col Perù. In tale
contratto di compra-vendita, il Perù che sosteneva di essere il più
interessato, non ottenne neanche di essere ammesso a pigliar parte nelle
trattative, non ostante che oramai si limitasse a discutere il possesso delle
terre comprese tra il Beni, il Madera, la linea Villa Bella-sorgente Javary, e
la cordigliera di Apolabancha. Gli fu semplicemente risposto di intendersi
prima colla Bolivia, e questa solamente dopo la vendita accondiscese a
rimettere ad un arbitro (il governo argentino) l'intricata questione, mentre il
Brasile, forte del contratto stipulato, cominciò ad esercitare la sua sovranità
sul territorio in parola. Così le sue forze vennero a contatto con quelle che i
Peruani avevano mandate o tenevano nelle località medesime, gli attriti tra i
cittadini dei due paesi si inasprirono, e come si sosteneva sul luogo, molte
liti furono risolte a colpi di fucile; onde vi fu, a cominciare dal 903, una
vera guerra combattuta in tempo di pace e la minaccia di guerra dichiarata. I
giornali brasileri cominciarono a far la voce più grossa, minacciando
sterminio, la cannoniera Tupy fu inviata ad Iquitos, e fu sostenuto, come sopra
si disse, il diritto di occupare l'Acre e le altre terre i cui abitanti erano
diventati in maggioranza brasileri.
E
mentre il Perù cercava una soluzione pacifica, il Brasile seguitò a mandare al
nord navi e soldati, e con decreto del 7 aprile 904 organizzò l'amministrazione
civile e fiscale del paese che ora si chiama Acre e che comprende tutto il
terreno contestato. Mandò anche spedizioni militari negli alti juruà e Purus e
richiese al Perù di definire i suoi confini con la Bolivia, sgombrando intanto
il territorio in questione (messaggio presidenziale 13 maggio 904), quasi nel
mentre (9 marzo 904) si ratificava il trattato di arbitraggio conchiuso in
proposito tra esso e la Bolivia. Però si riuscì ad evitare la guerra, e quando
io era sul posto una commissione mista doveva partire per stabilire il progetto
di un accordo al fine di evitare gli urti tra i posti armati dei due paesi e le
quistioni doganali.
Dal
Purus al japurà. - Il
paesaggio è sempre meraviglioso ma non mi è possibile, scrivessi dieci volumi,
seguire punto per punto il lungo viaggio, dire le mille e svariate impressioni
di tutti i momenti e dare fosse anche una pallida idea delle bellezze ammirate;
la foresta ed il fiume hanno un potere ammaliatore che si sente ma non si può
esprimere e le loro particolarità sono così fini e così variabili che non si
possono descrivere.
È
sempre la corsa nel viale immenso che il fiume apre nel cuore della foresta; ma
il bosco cambia continuamente di forma e di natura; le rive appaiono ora
cadenti a picco sul fiume, rose dalla corrente che ha messo a nudo una bella
rupe rossa, ora tasse e degradanti verso l'acqua che comincia a sommergerle,
coperte da un tappeto verde, o da sabbia bianca e sottile; le lagune, i
pantani, graziosi igarapè, o piccoli canali, i prati verdi delle savanes, che
di tratto in tratto interrompono la foresta, si succedono come in una lanterna
magica; le bianche ardee appaiono come nuvolette candidissime che si levano
dalle sponde dei laghi; le isole che sorgono da tutte le parti e centuplicano i
canali, mille altre attrattive sempre nuove tengono desto l'osservatore non
ostante che la mente voglia ripetere ad ogni momento ci è sempre lo stesso
paesaggio, perché manca la grande seduzione della montagna. E si succedono
anche le confluenze di un numero indicibile di fiumi, alcuni di poca
importanza, altri che son laggiù di secondaria grandezza, ma che sarebbero
fiumi notevoli in ogni paese, ed altri ancora assolutamente grandissimi.
Nel
tratto Purus-Japurà vedemmo sulla riva sinistra tra g altri, lo sbocco del
Copeá che con l'isola che quasi lo sbarra forma un grazioso quadretto; ma più
notevoli per numero sori i piccoli torrenti e gli igarapè, di cui molti fanno
capo al lunghissimo canale che va quasi da Manacupurù fino al Japurà. Nel
tratto stesso gli affluenti della riva dritta, come ad esempio Camarà, il
Mamià, il Coary, il Catauà, il Caamè, sono di maggioi importanza.
Incontrammo
anche le solite abitazioni isolate e un discreto numero di paesi: Onory (sul
lago omonimo), Codajaz (di una cert importanza), San Francisco Casana (quattro
o cinque case con tet di zinco), Camarà (poche case), Drogary, Coary (alla foce
d( fiume dello stesso nome, pffi importante dei precedenti e co case ben
costruite), Joaquim di Cuanar~, Barro Arto, Ipixumà, Sant'Edoardo Teffè; tutti
costruiti su piccole elevazioni e circondati da un bel prato, in cui vedevamo
pascolare il poco, ma ottimo bestiame che gli abitanti si danno la pena di
allevare. Teffè poi, che sorge tra il fiume ed il lago omonimo era, fino a poco
tempo fa, una delle località più importanti dei Solimoes, ma ora ha molto
perduto, perché la gente l'ha disertata per andare a cercare la gomma. Conserva
però sempre una istituzione assai notevole, la casa dove alcuni padri francesi
educano i piccoli indii e ne fanno agricoltori ed operai. La piccola missione è
assai fiorente e fa, credo anche buoni affari.
Alla
confluenza del Japurà vi sono molte isole e canali, ma sembra che
effettivamente una bocca solamente possa assegnarsi al fiume ora detto, e non
già come alcuni volevano, otto, comprendendovi ad oriente, il Codajaz e ad
occidente l'Auaty-Paranà.
La
parte del Japurà navigabile per le imbarcazioni (a prescindere dalle
interruzioni) è di un migliaio di chilometri, il suo o pare che sia assai
esteso ed è traversato da numerosi tributari, alcuni notevoli come il Cahuan
(lungo 900 km.), altri conosciuti per le solite questioni di confine, ed altri
iniport4nti r le comunicazioni con l'Iga e col Rio Negro.
***
Dal
Japurà al Juruà. - Dopo
Teffè, il primo paesello che incontrammo fu Caisarà, e poiché vidi vicino ad
esso due depositi di legna abbastanza grandi, mi fermai per comperarne.
Il
paesello è situato verso la bocca di un flumicello e su di una graziosa punta
di terra che divide la bocca stessa in due rami, di cui quello di ponente
comunica con un lago piccolo, ma assai bello. Un gran prato è al solito, tutto
intorno al paese, le case allineate su diverse strade. sono, salvo poche, in
legno, e si notano una scuola (quando vi capitai, il maestro spiegava ai
piccoli meticci che cosa è l'Italia), una casa municipale e molte rivendite di
mercanzie generali, di generi alimentari e di bevande spiritose. Gli abitanti
si occupano de' soliti prodotti della foresta (gomma e castagne), ma allevano
pure bestiame e non trascurano anche di occuparsi di politica, perché mandano
un deputato al Parlamento di Manaos. Pare che tale carica sia assai apprezzata,
ed rivali se la contendono a suon di contos di reis. Nell'ultima elezione il
fortunato vincitore vestì a nuovo e diede un pranzo ai suoi fedeli,
aggiungendovi tutto il liquido necessario per ubriacarli, e tutto ciò non è
piccola liberalità, perché nella foresta il vino, anche elettorale, costa caro,
e non è applicabile il nostro vecchio modo di dire inventato pei mangioni,
perché laggiù non se convenga meglio vestire un individuo o dargli da mangiare.
Intanto alle prossime elezioni bisognerà forse aggiungere parecchie cose alle
dette liberalità per conquistare i voti, e così finirà re un ottimo mestiere
quello di elettore a Caisarà.
Passato
questo paese l'Amazzone fino al Juruà non riceve affluenti, importanti; vedemmo
invece molte bocche di igarapè specialmente sulla riva sinistra, incontrammo i
villaggi di Vista Alegre (una casa con tetto di zinco e diverse capanne), San
Francisco di Palheta (pochi casolari con depositi di legna), Uarà (alcune case
con tetti di zinco e parecchie baracche con depositi di legna) e Tamanicoa (3
baracche e qualche capanna) e poi giungemmo al Juruà.
Questo
fiume è assai importante, non solo per le sue ricchezze, ma per le quistioni di
confine. Infatti esso viene da una diramazione della catena orientale delle
Ande, ed il suo alto corso, come dissi, è in discussione tra il Perù ed il
Brasile. Ha una estensione di 1500 miglia circa, è stato esplorato dai
caucheros peruani, e durante la piena le lanchas si spingono fino all'alto
corso e propriamente fino al Breu. Tra i suoi affluenti, abbastanza popolati,
ricorderò quelli dell'alto corso che sono in discussione tra il Perù ed il
Brasile: l'Amuenya, il Tejo, l'Arara, il Breu, il jurua-Miry, e molti di questi
sono separati da strette lingue di terra dagli affluenti coll'Ucayali.
***
Dal
Juruà all'Ica. - Dopo
il Juruà, gli affluenti più importanti sono il Jutahy e l'Ica, ma tra loro ve
ne sono altri anche abbastanza notevoli come: (riva dritta) il Manaroà, il
Purumi, il Campina, l'Amanapià. Su questo tratto di fiume trovammo i paeselli
di Araras e di Fonte Boa (su terra alta con abbastanza case, quasi tutte in
muratura) e case isolate, in maggior numero che nei tratti precedenti. Queste
in vero aumentano in maniera che si sale a monte, ed è sul Maranon, lo dico fin
d'ora, che ne trovammo la maggior quantità.
Il
Jutahy ha comune cogli altri tre grandi tributari del Solimoes (il Purus, il
Juruà, ed il Javary), la particolarità di avere rive basse ed allagate durante
la piena, le acque torbide, moderata corrente e il corso libero da salti e
rapide; contrariamente a quanto avviene per i maggiori affluenti dell’Amazzone
propriamente detto (Xingù, Tapajoz e Madera) che corrono in un terreno più
accidentato e sono perciò interrotti da salti. Fino dal 1.897 le lanchas si
spinsero sul Jutahy per oltre 400 miglia, ma il suo alto corso non è ancora
completamente esplorato, e quello che se ne sa è dovuto specialmente ai
caucheros peruani. E ricco infatti di gomma e caucciù, ed ha affluenti
importanti..
Dopo
il Jutahy seguitano le solite abitazioni di seringueiros e pescatori, alcune
sparse, alt re riunite in piccoli gruppi come quelli di Spirito Santo, di Bom
Jardin e di Pararoa. Poco a monte di questo è il difficile passo di Timbotuba
(l’isola con l’ostruzione di pavas), segue il paesello di San Gioacchino e poi
la confluenza. del Tonantins (riva sinistra) che è il tributario più importante
che si incontra prima dell’Ica o Putumayo. Quest’ultimo ha alla bocca, su di
una graziosa elevazione di terra, l’interessante paesello, di Sant’Antonio di
Ica, possiede boschi molto ricchi di gomma, nasce nelle Ande, a 2° di latit.
nord, ha un corso di 1500 km, riceve 36 affluenti, è navigabile per molta parte
del suo corso, ed ha molta popolazione di Indi. Nella parte inferiore
appartiene al Brasile, alla sua confluenza col Cutubù diviene peruano, e
nell’alto corso corre sul territorio della Columbia; tanta diversità di padroni
è causa naturale di numerose e difficili questioni.
***
Dall'Ica
al Javar. -
Passato l'Ica, l'ultimo grande affluente del Solimoes è il Javary, ma prima di
arrivarci ricorderò tra gli altri fiumi secondari che incontrammo sulla riva
dritta, il Patià, l'Acarua ed il Jandiatuba. Sulla riva stessa che nel tratto
in parola è abbastanza alta, vedemmo il pesello di Josè formato da poche
capanne, e poi la colonia di Riosana, fondata recentemente da un peruano di
Rioja (provincia cisandina), che ha parecchie capanne e una bella casa in
muratura del detto peruano. Grazie al commercio della gomma e delle castagne
pare che la nuova colonia prosperi bene, e ne avemmo indizi anche dalle terre
coltivate che circondavano le case e che apparivano ricche di frutta e verdura,
ossia di due cose di cui da qualche giorno difettavamo. Cercai quindi di
avvicinarmi per comperare qualche cosa, ma lo scandaglio mi avvertì che non c'era
fondo abbastanza per noi, e perciò dovemmo a malincuore, rinunziare alle
succolenti banane che in quell'ora calda del meriggio ci attiravano come una
gran ghiottoneria, e seguitare il cammino a monte.
Dopo
passammo innanzi ai villaggi di Maturà (presso il lago omonimo), di Larangial
(parecchie capanne e poche case in muratura), di Correnteza (sole capanne), di
Ricreo, di San Joaquin e di San Paolo di Olivenca, che costruito su di una
collinetta alta una ottantina di metri è uno dei più importanti del Solimoes.
Tutte le sue case sono o appaiono di muratura, ha una chiesa ed uffici per le
pubbliche amministrazioni, e, come avviene in tutti li paesi che hanno
quest'ultima fortuna, un palo per la bandiera, ed un uomo destinato ad alzarla
al passaggio delle navi; per noi quindi il buon uomo fece il dover suo, e
circondato dalle autorità cittadine, si tenne pronto a rispondere al saluto che
aspettava da noi. I piloti nella loro ingenuità me lo fecero notare, onde io
spiegai loro che la bandiera di una nave da guerra risponde ai saluti, ma non
saluta alcuno, salvo il Capo del suo Stato, e da quel giorno li vidi scoprirsi
con più riverenza quando, il nostro bel tricolore saliva al pick coi primi
raggi del sole.
A
mezzo la rupe di San Paolo si nota un deposito per le mercanzie, e in basso una
officinetta per riparazioni delle lanchas, con argano e catena per tirarle a
terra, ed una piccola diga per ripararle dalla corrente durante questo lavoro:
nemmeno un cantiere.
Dopo
San Paolo di Olivenca trovammo Buon Futuro, Buona Speranza e Nuovo Paradiso, e
passando tra la riva sinistra e le isole Santa Rita, andammo a dar fondo
innanzi al borgo di questo ultimo nome per imbarcare altra legna.
Il
borgo di Santa Rita è costruito su di una piccola elevazione di terra: la casa di
un tedesco che è il proprietario del luogo, ed alcune capanne di lavoratori
sorgono in mezzo ad un gran prato, ma altre capanne sono un poco più a monte ed
altre ancora, di Indi e meticci sono riunite più indietro, nascoste tra le
altre.
Il
tedesco sopra detto faceva principalmente il seringueiro e teneva la legna per
comodità delle barche che si fermavano per comperargli la gomma. A quanto
pareva i suoi affari dovevano andare assai bene, ed aveva mandato i suoi due
figli a studiare in Germania in ottimi istituti. li maschio anzi stava ancora a
sorbire la scienza e la birra nelle vecchie università alemanne la ragazza
solamente era tornata da poco. Conservava ancora i vestiti del convento, ed a
primo aspetto non destava alcun interesse, ma bastava guardarla negli occhi per
sentire una grande pietà per lei. In quei poveri occhi di sogno si intravedeva
una piccola anima, satura di tutte le sentimentalità nordiche, e che pareva
inseguisse una cara visione lontana, di cui il nostro improvviso arrivo aveva
reso più scottante il ricordo. E quando partimmo la vidi a lungo sulla porta
della baracca, immobile come una statua; solamente le misere gote, già rose
dall'anemia, erano divenute ancora più pallide. Forse la piccola anima si
sentiva ancora più sola in mezzo a tutti quegli uomini, quasi selvaggi, che non
potevano comprendere le aspirazioni e le nebulosità che essa aveva pensato
sotto il cielo della sua grigia Alemagna, e che ora per l'ambizione di altri
era costretta a ricordare come un sogno sotto il sole abbagliante
dell'equatore...
Assai
poco pratica mi pare in vero l'abitudine dei seringueiros di mandare più che a
studiare, ad ingentilirsi in Europa, delle. creature destinate a passare tutta
la loro vita nella foresta. Per ciò di cui han bisogno, le scuole di Manaos
sarebbero più che sufficienti, e mandandoli nella detta città si eviterebbe di
farne degli scontenti e degli spostati. Le povere creature, come quelle di cui
ho parlato, se non scendono presto dalle nuvole per riprendere le vecchie
usanze della foresta ed imparare a servirsi del revolver, subiscono nella
foresta mille martiri morali, ed in una notte afosa sono violentate dai
seringueiros e divengono le loro schiave.
Profittai
della piccola sosta a Santa Rita per fare una gita nella foresta, guidato da un
Indo che balbettava qualche parola italiana, appresa ad Obidos, e che mi fece
vedere alcuni degli animali di. cui fino allora non avevo sentito, che le grida
ed i rumori che facevano la notte, nel bosco, a poca distanza forse da noi,
mentre eravamo ancorati.
A
proposito di grida non saprei dire se siano più rumorosi le scimmie od i
pappagalli, ma il certo è che questi sono belli, mentre quelle sono poco
interessanti. E, bisogna aggiungere, la valle amazzonica, mentre è assai ricca
di alcuni animali, come gli uccelli e gli insetti per altri, come i mammiferi
terrestri, è assolutamente povera.
Tra
i detti mammiferi si possono ricordare in primo luogo le scimmie: e le più
grandi, Guaribas (scimmia micetis, urlatrice), sono a coda prensile, alte quasi
due piedi, e vanno generalmente a coppie. Le altre sono più piccole, e sono
cacciate specialmente dagli Indi perché le considerano un cibo delicato. Alcuni
negano questo fatto ma ad Iquitos me lo confermarono, ed una sera in cui mi
capitò di sentire sulle rive parecchi colpi di fucile, i piloti mi dissero come
una cosa nota: sono i seringueiros che tirano alle scimmie.
Tra
i carnivori (genere Felis) è notevole l'Onca, che i brasileri ed i peruani
chiamano tigre, e gli indi jaguarà: è il giaguaro d'America e ce ne sono di
diverse specie. Quelli appartenenti alla più grande, benché non abbiano niente
da fare con la magnifica tigre indiana, sono però belli animali, e benchè non
attacchino in generale l'uomo, sono dannosi per le stragi che del bestiame,
specialmente nell'isola di Marajò.
Il
più grosso mammifero però è un pachiderma, noto sotto il nome di tapiro od auda
e che ha un embrione di proboscide e buona carne, sono poi notevoli il
Capivata, grosso come un cignale col pelo grigiastro e poco fitto; il Pacari o
il cignale dell'Amazzonia che sta sempre in numerosa compagnia ed offre una
magnifica caccia; il Pacà, simile al maiale e che ha pelo biancastro o
rossastro, strisce longitudinali di macchie nere e carne squisita; il cervo, la
cui carne è assai buona, e la cui pelle è abbastanza ricercata (dal solo Parà
se ne esportarono 67.000 nel 1898), l'Aguti, specie di lepre che può essere
allevato in schiavitù; i formichieri con una pelle dal pelo lungo e ruvido, ma,
assai bella, ecc.
Ho
citato solamente gli animali che interessano il cacciatore e quindi anche i
coloni, perché non posso trascrivere qui un capitolo di storia naturale, ma
prima di finire ricorderò il topo comune importato dall'Europa, che infesta
Parà con gravi danni specialmente come veicolo di infezioni.
Dopo
Santa Rita trovammo tra gli altri paeselli Belem, molto grazioso e provvisto
anche di una chiesa e di una baracca cantiere in cui era in costruzione una
barca abbastanza grossa; Auque, composto di poche case, Guanabarre, e.
finalmente Sant'Antonio che è l'ultimo paese brasilero della riva dritta, ed è
importante perchè le navi mercantili vi si devono fermare per le operazioni
doganali. Così alle 6 pomeridiane del 18 gennaio giungemmo alle foci del
Javary, il fiume di confine e penetrammo finalmente nel Perú. Salutai
l'avvenimento tanto atteso con un colpo di cannone e ne avvisai l'equipaggio
con un grido del primo nocchiere.
Il
Javary ha importanza non solo politica, ma anche commerciale; molte baracche
costruite alla sua confluenza già accennano al grosso traffico di gomma e
caucciù che vi si fa, ma poco più dentro della bocca sorge l'importante paese
di Remata de Males, dove si raccolgono molti prodotti della foresta, e dove
risiedono ricchi negozianti..
Il
corso di questo affluente è di almeno 5oo miglia, ma. non .e ancora bene
esplorato. In buona parte è navigabile e raggiunge il terreno famoso dell'Acre,
però ha rive paludose, come tutti i posti più ricchi di gomma, e perciò vi
domina la malaria.
***
Dal
Javary a Iquitos - Dopo
Javary. il fiume appariva sempre più bello: il bosco in principio non era molto
fitto, ma man mano che avanzava a monte riacquistava la magnificenza del basso
corso, col vantaggio che le rive erano in generale più alte, e quindi il
paesaggio si mostrava più allegro.
Passammo
innanzi al paesello di Suvary, e poi raggiungemmo Tabatinga, l’altro paese
brasilero di confine (riva sinistra). Tempo fa era molto importante, perché vi
affluivano tutti i prodotti del Maranon: ma da che è sorta Iquitos, la gente
l'ha disertato, onde è ridotto ad una stazione militare di confine, con una
grossa caserma in muratura sorgente su rupe rossastra. A tale stazione
brasilera fa naturale riscontro quella peruana di Letizia, che è separata dalla
prima da un vallone e che è frequentata dalle navi mercantili per le formalità
doganali, perché le navi stesse nel viaggio di ascesa vi devono imbarcare gli
agenti peruani destinati da quel momento a sostituire nella sorveglianza i
brasileri.
Dopo
Letizia trovammo Loreto, nel passo omonimo (paesello florido una volta, ma ora
assai decaduto); Delfos (su di un bel prato), Caballo Cocha (assai importante),
San Juan di Comocero (assai piccolo), San Paolo (sopra una rupe abbastanza
alta, e con una segheria a vapore ed una fabbrica di acquavite), San Giuseppe,
di Peruaté (un puertos, al quale era attraccata una lanchas di cui profittai
per mandare mie, notizie a Manaos), Macoris (con una casa di commercio ed una
capanna), San Matteo, Mancalate (con un grosso deposito di legna), Bisciana,
Sancudo, Calacala, Pebes (diviso in due parti, una poco importante sul fiume,
l'altra, quasi una cittadina, dove gli indiani portano gomma e curiosità),
Piriquitos, Marupà. Raggiungemmo così la bocca del Napo, l'affluente più
importante della riva sinistra del Maranon, sia per la lunghezza del corso e
per le sue ricchezze, che per le questioni di confine a cui ha dato luogo
coll'Equatore. Il Perù fondandosi sulla "real cedula" del 1802, per
la quale era aggregato al vicereame di Lima, tutto il territorio bagnato dagli
affluenti settentrionali del Maranon fin dove per salti o rapide cessano di
essere navigabili, vorrebbe rivendicare per sè tutto l'antico governatorato di
Mainas. L'Equatore invece pretende di arrivare fino al Maranon ed al Solimoes
andando a cercare i suoi confini oltre la riva dritta di questo fiume, salvo
poi a seguitare a discutere col Venezuela circa il possesso di queste nuove
terre. Sarebbe troppo lungo rifare la storia della controversia, della
convenzione di arbitraggio del 1887 e del trattato del 1890, non approvato dal
congresso peruano; ricorderò solamente che nel 1900 gli Equatoriani mandarono
truppe sul Napo per occupare alcuni dei terreni contestati, e che nel 1901
decretarono la formazione di un dipartimento nelle località stesse.
Naturalmente il Perù protestò e mandò a sua volta truppe per impedire che fosse
alterato lo stato quo, e per occupare Aguarin, al fine di assicurare la sua
sovranità sull'alto corso del fiume stesso. Dopo vari incidenti, l'Equatore
accondiscese a ritirare il decreto circa il dipartimento, ma tanto esso come il
Perù seguitano a lasciare soldati sul Napo, ed il Perù vi tiene, o vi teneva al
tempo del mio passaggio, anche una lancha da guerra.
Questi
provvedimenti di ordine interno che in ogni paese servirebbero a garantire
l'ordine pubblico ed il libero lavoro, laggiù invece sono fonte di gravi
pericoli, perché i soldati dei due paesi vengono spesso alle mani. Pare che i
più irrequieti siano gli Equatoriani, e che il Perù faccia invece ogni sforzo
per calmare gli animi. Sul posto infatti si raccontava che i primi nel luglio
1904 assaltarono i Peruani mentre celebravano la loro festa nazionale, e che da
allora in poi le schioppettate si erano ripetute assai spesso sulle sponde del
Napo, e mi mostrano a conferma i fori lasciati dalle palle nello scafo di una
lancha da guerra. Comunque, sia nel febbraio 1904 era stato firmato un trattato
con cui si sottometteva all'arbitraggio del re di Spagna la. grossa questione,
e la stampa peruana se ne era mostrata entusiasta, affermando che era fortuna
si ponesse termine al noioso incidente di Angotera "insignificante en si
mismo, pues se reducio a unos cuantos tiros cambiatos entre una fùerza peruana
en Angotera, y unos pocos soldatos ecuatorianos que pretendieron avanzar en
territorio que el Perù ha estimado siempre come suyo". Pare dunque, certo
che mentre i diplomatici discutevano politicamente, i soldati dei due paesi
invece di inoltrarsi nella foresta dandosi la mano per sorreggersi a vicenda e
spianare ai loro concittadini la via del lavoro e della prosperità, per
incidenti insignificanti, si uccidevano fra loro. Ma la dichiarazione di guerra
non c'era stata e non ci sarebbe stato nessuno che doveva darsi la briga di
contare i poveri meticci morti, perchè nessuno forse si era data la pena di registrare
la loro nascita; quindi mancava ogni documento ufficiale per giustificare lo
stato di guerra e ce ne è più ci abbastanza per giurare che regnava la pace.
Passato
il Napo, traversammo rive, passi assai difficili, ma circondati da terre belle
e popolate ed alle ore 9 del 21 gennaio raggiungemmo l'isola di Iquitos, dove,
secondo i piloti brasileni, dovrebbe cominciare il Maranon. Seguimmo il canale
tra essa e la riva sinistra (Paranà di Iquitos), stretto, veramente
incantevole, e finalmente ancorammo ad Iquitos innanzi la prefettura.
***
La
città, edificata su di un terreno elevato circa 15 metri sul livello dei fiume,
presenta verso l'estremità settentrionale, ossia dalla parte che prima
s'incontra risalendo il fiume, gli uffici della dogana, della capitaneria del
porto, con il molo per lo sbarco delle mercanzie, costruito con un sistema in
certo modo analogo a quello del piccolo molo di Manaos.
Dopo
il molo corre una rupe selvaggia e dirupata, e siccome il canale navigabile si
trova presso di essa, arrivando, malamente si vede la città. Ma presto si
scopre la parte migliore di questa, perché innanzi la prefettura la rupe è
stata tagliata a piano inclinato per oltre 300 metri e aggiustata a gradinata,
in modo rudimentale se si vuole, ma sufficiente per non rompersi il collo. Dopo
questo piano inclinato il terreno degrada naturalmente verso il. fiume e perciò
vi attraccano le lanchas che non trovano posto lungo la gradinata. Al nostro
arrivo però ve ne erano poche perché era la stagione in cui navigano sugli
affluenti, ma mi dicevano che spesso se ne vede una fila lunghissima. Più
innanzi ancora, dove la costa comincia a piegare a levante è il posto delle
balze; ce ne erano parecchie; la gente che le aveva portate in giù seguitava a
viverci aspettando di vendere le sue mercanzie od il suo bestiame; dopo le
avrebbe abbandonate come di nessun valore, per risalire il fiume in lanchas o
canoe. Non è a credere che la ripartizione della riva a cui ho accennato sia
imposta da un regolamento; è il caso o la convenienza che l'ha fatto adottare,
ché anzi fino a poco tempo fa quasi nessuna norma regolava la navigazione i
mercanti facevano perciò i comodi loro e si ricorda sempre, a proposito del
disordine con cui partivano i vaporini fluviali, la fine della lancha Amazonas
carica di passeggeri (oltre 200) che investì perché capitano e pilota dormivano
con tutta la gente.
Il
nuovo prefetto ed il capitano del porto stavano cercando di mettere un poco di
regola in tutto ciò; per loro ordine ogni lancha doveva avere due piloti
inscritti in capitaneria, non imbarcare gente e robe oltre certi limiti,
pigliare provvedimenti per garantire e tenere in certo modo al riparo gli
esplosivi che trasportava, disporre con criterio logico il carico e finalmente
sottostare prima di partire ad una visita del capitano del porto e ad una
piccola prova per dimostrare praticamente. che i suoi organi principali
funzionavano bene e che poteva accostare senza acquistare inclinazioni
pericolose. Eppure non si crederebbe, i cittadini e specialmente i
rappresentanti della civiltà europea strepitavano contro questi provvedimenti
in nessuna maniera gravosi e cercavano discreditarli col ridicolo che il
capitano del porto aveva scambiato Iquitos per un gran porto di mare. Ma essi
erano scottati dal fatto che non potevano più sovraccaricare le loro lanchas,
ridendosi dei pericoli della vita e delle robe dei passeggeri, perché la
proprietà loro era assicurata. Anzi, anche la perdita delle lanchas, cariche
per esempio, di gomma, poteva essere una fonte di guadagno, perché le
assicurazioni si fanno supponendo la gomma stessa tutta di prima qualità. Una
volta assicuravano anche i valori che portavano per gli acquisti, ma ora le
società non ne vogliono più sapere, perché sono venute a conoscenza che in
generale il denaro delle lanchas affondate era sempre rimasto a Parà, a Manaos
o ad Iquitos all'atto della partenza.
Lungo
la riva del fiume corre una discreta strada (il Malecon) ed in essa ed in
quella seguente, Via Prospero, si svolge quasi tutto il commercio e si trovano
le migliori case in muratura di Iquitos. Nel Malecon si notano anche la
prefettura, specie di caserma, a cui si spera di aggiungere un secondo piano,
un'officina meccanica governativa, ed il mercato, ossia i tre soli edifici del
governo. Gli uffici amministrativi, il tribunale, le scuole e le carceri sono
allogati alla meglio in case private, ma sull'isola di Iquitos vi è anche una
specie di lazzaretto che appartiene allo Stato. Tutte le strade sono tracciate
parallelamente o normalmente al Malecon, ma solamente tracciate, perché, salvo
alcuni tratti molto limitati, ed una specie di marciapiede lungo le case, nel
resto l'andamento generale del terreno, che per fortuna è abbastanza piano, non
è stato alterato. Si è avuto cura solamente di toglierne tutti gli alberi,
forse perché sarebbe stata una bella ed utile cosa lasciarne almeno una fila.
Anche nelle altre strade sono molte case in muratura, ma sono costruite come
quelle del Brasile. e quindi ne hanno tutti i difetti. Due sole avevano uni,
certa struttura razionale (furono acquistate nel nord America), erano in ferro
e legno con portico e veranda, ma credo che avrebbe dovuto formare una casa
sola, e per farne due avevano lasciata una facciata senza veranda ed alterato
il sistema di aerazione.
Seguitando
verso l'interno del paese, alle case in muratura succedono le vecchi e
abitazioni o le capanne di legno e canna, con tetti di palma. Ma ciò non deve
meravigliare, anche nelle colonie inglesi quelle specie di casse da
imballaggio, dove vivono i neri e che sono inferiori alle capanne ora dette, si
trovano spesso interposte tra i graziosi cottages dei bianchi. A complemento di
questo piccolo cenno di Iquitos aggiungerò che non esistono fognature, non vi
sono condutture di acqua potabile e per bere la gente benestante manda, a
rifornirsi ad una sorgente fuori città, ma la povera gente ricorre, con poco
rispetto dell'igiene, ad una sorgente, certamente inquinata, presso la
prefettura. Ed a proposito di igiene dirò che il solo medico vero locale quando
noi giungemmo, era partito per l'Europa, onde sul posto restava un praticante
columbiano; eppure la salute pubblica era buona. Pare che dominino sul posto la
malaria, che però si contrae specialmente in località fuori di Iquitos, il
vomito nero, sinonimo di febbre gialla, che attacca specialmente. i nuovi
arrivati se non fanno vita regolare e comoda, come avviene dei soldati che
scendono dalla montagna, e la dissenteria che è caratteristica dei paesi
tropicali; ma è da ritenere che tali. malattie non siano molte estese, perché
la popolazione locale (l'immigrazione esclusa) è in continuo aumento, per
quanto manchi ogni cura.
***
La
buona popolazione di Iquitos venne tutta sulla riva per assistere al nostro
arrivo; gli Italiani (50 circa) ci salutarono con entusiasmo da terra, perché
non c’era sul posto, un mezzo per venirci incontro, ed appena ancorati il
prefetto mi mandò le più alte autorità locali per ossequiarmi ed offrirmi i
suoi servigi Anche la colonia, appena fu possibile, mi mandò i suoi complimenti
per mezzo dell'agente consolare francese che reggeva anche il nostro consolato,
e del sig. Delle Piane, che mi chiese quando volevo ricevere i connazionali..
Buona e brava gente, i nostri colono fanno ogni sorta di strepito a tempo
perso, prendendo i più strani, atteggiamenti politici, ma all'apparizione della
bandiera nazionale, si riuniscono come un sol uomo per applaudire alla patria
ed al Re e, cosa più notevole, riescono anche ad essere disciplinati.
Naturalmente mandai subito a prendere tutti quelli che volevano venire e seppi
che erano in tutto una cinquantina, ma che su pel fiume ve n'erano altri di cui
qualcheduno in assai buone condizioni finanziarie. Anche quelli di Iquitos
facevano in generale buoni affari: i più fortunati tenevano negozi di mercanzie
generali, uno esercitava una trattoria (la migliore del paese), altri erano
impiegati nei negozi stessi degli Italiani o lavoravano come operai. Tra questi
ultimi ve ne erano alcuni assai bravi, e tutta la colonia godeva ottima fama ed
era molto stimata. Un sol male, ma assai grande la rodeva: le discordie
intestine prodotte da cause futili o, doloroso a dirsi, da regionalismo; ma al
mio arrivo le cose erano un poco calmate, e mi auguro che la nostra presenza
abbia portati buoni effetti. Mezzo di pace appariva la saggia istituzione di
una società di beneficenza: fondata nel 1901, aveva già un discreto capitale e
contava soci non solo italiani, ma anche stranieri (in totale 97) perché tutti
desideravano di appartenervi. Da questa società partirono gli inviti per noi
ufficiali e per i marinai; furono feste semplici, ma indimenticabili per
l'affettuosità e l'entusiasmo che vi regnarono sovrani. lo ne serberò sempre
vivissimo il ricordo, e vorrei che, come in quella sera, i nostri bravi e
laboriosi coloni restassero sempre uniti nell'amore della patria lontana, per
sostenersi a vicenda e riuscire vittoriosi nella, grande e nobile battaglia del
lavoro che combattono in quella vergine terra.
Anche
il prefetto signor Fuentes fu per noi ospite assai gentile, ed insieme coi suoi
concittadini ci offrì banchetti e un ballo. Tutti poi, Italiani e Peruani
vennero a bordo a brindare alla grande madre Italia ed al paese che così
affettuosamente ci aveva accolti.
Il
dipartimento di Loreto, di cui Iquitos è la capitale, comprende 5 provincie:
Mojabamba, Alto Amazonas, Bajo Ama. zonas, San Martin e Ucayali; confina al
Nord con le repubbliche dell'Equatore e della Columbia, che tante quistioni di
confine hanno sollevate col Perù, all'Est con il Brasile che trova sempre nuove
ragioni per estendere il suo dominio dalla parte del Perù stesso; e dagli altri
lati con altri dipartimenti peruani. Tra questi è il più esteso, e potrebbe
essere anche dei più ricchi se fosse convenientemente coltivato, e se avesse la
popolazione a tal uopo necessaria. Ma mentre la sua superficie supera quelle
della Francia, della Svezia, del Belgio, dell'Olanda e della Danimarca riunite
insieme, non ha che 20.000 abitanti (circa 0,16 abitanti per kmq.) dei quali
buona parte vivono nelle principali città (Iquitos 14.000, Mojabamba 7000,
Tarapoto 5000, Saman, Yurimaguas, Rujo) e 30.000 si valuta che siano gli indi
selvaggi. Ma quest'ultima cifra è semplicemente approssimata; nessuno ha mai
contato gli abitanti dei boschi; si ha solamente qualche nozione di quei pochi
che sono in relazione con i bianchi, vivono in vicinanza dei fiumi secondari, e
diminuiscono annualmente, avvelenati dai cattivi liquori che i bianchi stessi
offrono loro in cambio di gomma ed altri prodotti della foresta. […] (pp.
197-203)
L'agricoltura
nel dipartimento di Loreto non è molto più avanti che nell'Amazzonia; però, non
ostante che quest'ultima abbia leggi e disposizioni assai più vantaggiose per
il suo sviluppo e per attrarre gli emigranti, per le considerazioni generali
che avrò da fare a proposito delle leggi stesse e per una certa maggiore
solerzia dei cholos peruani, quello che si vede lungo il fiume fa pensare che
nel Perù la terra sia un po' più curata. E si può aggiungere che in tutti i
seringal si vanno formando coltivazioni di banani, yucas (manioca), mais,
fagiuoli, riso, ed in alcune si comincia, con buoni risultati, l'allevamento
del bestiame e si coltiva la canna da zucchero per fare acquai, vite (se ne
producono litri i 620.000 annualmente nel dipartimento di Loreto). Nelle
vicinanze di Iquitos alcuni emigranti hanno coltivato orti, e ne hanno ottenuti
buoni risultati, anzi un italiano vi traeva grandi utili da un pezzo di terra
di pochi metri in cui coltivava insalata. E ciò non deve meravigliare, perché
senza arrivare ai prezzi favolosi di Manaos, la verdura, quando c'è, si vende
carissima e si fa pagare 50 centesimi una cattiva lattuga. La pesca è
trascurata come nell'Amazionia e, tolta la cattura del pesce da. salare e delle
tartarughe nei limiti che servono all'uso locale, non si pensa quasi ad altro,
onde al solito, non ostante la ricchezza del fiume, è difficile trovare sul
mercato un poco di pesce.
Industrie
non esistono, a meno che non si voglia ricordare la manifattura dei famosi
cappelli di Panama o meglio di Chile come dicono là, fabbricati a Moyatamba,
Rima e Lamas, due fabbriche di mattoni e tegole, una di sigarette, una di
ghiaccio, due segherie a vapore, una privata (a Puritania), l'altra dello
Stato, per preparare il legno (cedro) che occorre per le casse di imballaggio
della gomma e le vendite della legna da ardere. Vi è poi il piccolo arsenale
militare di cui parlai, vi sono anche un'officina della Casa Wische, che come
l'arsenale, può fare lavori di qualche importanza, quando ci sono gli operai e
altre officinette per piccole riparazioni alle lanchas.
La
città oltre la società italiana di beneficenza sopra citata, aveva tre
giornali, di uno umoristico che un italiano scrive e stampa per avvolgervi le
sigarette della sua fabbrica, la società di beneficenza pubblica di Iquitos,
una sezione della Società geografica di Lima (Centro geografico), un club
"Iquitos" e 6 scuole (non vi sono quasi analfabeti).
Da
lquitos a Santa Fè - Siccome la mia macchina aveva bisogno di qualche rettifica e
riparazione, decisi di farle ad Iquitos, perché la colonia potesse godersi il
più a lungo possibile la nave che l'aveva tanto entusiasmata.
Intanto
feci i preparativi e cercai di proseguire a monte: il repiquite di cui parlai
aveva resa pericolosa la bocca meridionale, del Paranà d'Iquitos, e perciò lo
feci scandagliare a lungo, e finii col trovare un passo stretto, ma navigabile.
Cosi potetti il 28 gennaio ricominciare salire il Maranon; la costa ivi parve
più abitata che nelle parti precedenti e mi assicurarono che verso l’huallaga e
nell’Ucayalli le abitazioni sono anche più fitte, e le piccole coltivazioni più
prospere Intanto vedo i villaggi di Angagni, Bella Vista, Tarapota, Progresso,
San Raffaele, Sant’Anna, San Giorgio: erano gruppi di abitazioni alle volte
abbastanza numerose, composti principalmente di capanne, ma avevano aspetto
grazioso e ridente per i ricchi prati e le coltivazioni che le circondavano e
per la bellezza dei dolci pendii sui quali sono costruiti.
Al
tramonto del 28 stesso diedi fondo presso San Giorgio ed all'alba del 29
ripigliai l'ascesa. Il fiume diventava sempre più interessante, la costa era
abbastanza alta ed i villaggi assai numerosi. Incontrammo Omagnes, Pancarpata,
Puritania, importante per le sue segherie, e Nazaret del Maranon. Dopo questo
villaggio raggiunsi l'Ucayali, la cui riva sinistra verso la confluenza, è
divisa da quella dritta dal Maranon mediante una sottile striscia di terra che
finisce in una punta bassa, cuminata e sabbiosa. Si discusse molto se quello
che ora chiamasi Ucayali fosse un fiume a parte o la vera continuazione
dell'Amazzone, e per quanto la scienza conchiudesse col relegarlo tra gli
affluenti, per i Peruani esso è più importante dell'ultimo tratto del Maranon,
perché ha maggiori ricchezze, ed è via commerciale più importante; invero si
potrebbero attirare su di esso i prodotti di terre ricchissime di gomma,
specialmente se in un definitivo assetto dei confini restassero al Perù gli
alti corsi dei fiumi Purus, Yuruà, ecc. Quasi alla confluenza ora detta,
vedemmo dietro l'isola di Pairoti il paesello omonimo con una distilleria
abbastanza importante, e poi (ore 13,20) passammo innanzi a Sant'Ignazio
sull'isola dello stesso nome, ed a Nauta che resta un poco più indietro ed ha
una discreta importanza. Subito dopo trovammo un’isola senza nome; pensai di
darle quello di Dogali, in ricordo della prima nave grande che le passò
davanti. ed al ritorno ad Iquitos il prefetto mi promise che il nome sarà
conservato per simpatia a noi e all’Italia nostra.
Incontrammo
poi i villaggi di Casual, sparso graziosamente su piccole colline, e di
Sorepanga e Analmente giungemmo a Santa Fè alle 15,40 del 29 gennaio. Ivi diedi
fondo e mi recai subito a terra per visitare quell'estremo lembo di terra
peruana che ci era dato vedere, perché oramai la proprietà delle acque la
strettezza dei canali non permettevano assolutamente di andare più innanzi.
Santa
Fè è composta di quattro o cinque capanne che sembravano tutte chiuse e
disabitate, meno una dove ci ricevettero due donne ed un bambino. Mi fermai un
poco a discorrere con loro, e parve che il nostro contegno facesse scomparire
la paura destata dall'arrivo di una nave così grossa, perchè le altre porte si
aprirono ad una ad una, e nell'accomiatarci dalle nostre ospiti, mi trovai
circondato da una frotta di donne e bambini. Non c'erano uomini, perchè
lavoravano nella foresta, e vidi con piacere che oltre alla gomma pensano a
coltivare la terra, e con balze e canoe ne portano i prodotti ad Iquitos.
Tornato
a bordo, salpai e volsi prora a valle, mentre riunivo il mio equipaggio, per
rammentargli che, avendo avuto fede nella Provvidenza e nella Stella d'Italia,
le nostre fatiche erano state ricompensate, poiché avevamo raggiunto Santa Fè a
2285 miglia, dal mare, dove mai era arrivata altra nave, e che era quindi
doveroso mandare da questo remoto angolo della terra il nostro devoto saluto
alla Patria ed al Re. E la eco della foresta ripetette giulivamente i colpi di
cannone con i quali salutai l'avvenimento, ed il gran grido di "Viva il
Re" partì dai miei buoni marinai.
Il
ritorno da Santa Fè al mare. La corrente oramai invece di contrastare il cammino, lo
facilitava; tanto che potevamo correre a 16 o più miglia all'ora. Cosi alla
sera del 29 gennaio stesso eravamo di nuovo a Sant'Ignazio; ivi diedi fondo, e
per avere un ricordo ufficiale del nostro passaggio, feci vidimare
dall'impiegato del porto di Nauta il messaggio con cui il prefetto d'Iquitos
ordinava a tutti gli impiegati del fiume di mettersi graziosamente a mia
disposizione. L'indomani 30 ripresi di buon'ora la rotta, che oramai doveva
riportarmi ed mare, al buon mare di cui sentivo, da che avevo raggiunta la
meta, vivissima la nostalgia. La sera era di nuovo ad Iquitos e il 3 febbraio
ne ripartii, toccando successivamente nei seguenti porti: presso l'isola Breo,
a ponente dell'isola di Loreto, sulla costa SE della più a levante delle isole
Caldeirao, all'estremità occidentale della costa Maturà, presso l'isola Santo
Spirito, all'estremità orientale della costa di Palheta, all'ovest di Ipixuma,
presso la costa Morieru, e finalmente a Manaos alle ore 5 pom. dell'11. Restai
in quest'ultimo porto fino al 16 per gradire le feste preparateci dal Governatore,
e per rifornirci di viveri e carbone. Contrariamente a quanto era avvenuto nel
Solimoes, trovai l'Amazzone in piena, ma causa le piogge dirotte che portavano
molta foschia, fui costretto ad ancorare la notte successivamente presso
l'isola Trinidad a 6 miglia circa a valle di Obidos, all'ovest di Itautuba ed a
Yaya fuori il passo di Bujassù.
Come
già dissi, nella discesa potemmo correre verso il mezzo del fiume ed inoltre
per la ragione contraria a quella che ce lo aveva consigliato a monte, ossia
per accorciare cammino, profittando della piena, cambiammo diversi canali e
cioè intorno alle isole da Serpa e di Asgasse seguimmo la riva sinistra invece
della dritta come avevamo fatto salendo, ed intorno all'isola Maracas seguimmo
invece la riva dritta.
Il 22
finalmente demmo fondo a Musqueiro alle ore 10, evitando Parà, dove infieriva
la peste, e ripartii poco dopo per il mare.
Ma
la notte non fu possibile proseguire causa la pioggia e la nebbia e dovemmo
ancorare nel Parà a NW di Colares; perciò solamente il giorno dopo, 23
febbraio, uscii dal, fiume, dopo di esserci stato 74 giorni, durante i quali
avevo percorso oltre 4550 miglia in acque dolci e più bionde di quelle del
Tevere.
Il
commercio e l'emigrazione nell'Amazzonia - Nel Brasile la popolazione attuale, scrive
il Brasileno barone di S. Anna Nery, è il prodotto dell'incrocio delle tre
razze: bianca, color di rame e nera; la prima ha fornito il fattore più
importante dal punto di vista sociale e politico, la seconda è stata
predominante nella Amazzonia dal punto di vista etnografico, e l'ultima
nell'Amazzonia stessa ha avuto minore influenza. Ed allo stesso proposito
l'Agazis, il quale aveva fatto prima la stessa osservazione, nei suoi
importanti studi sull'Amazzonia, aggiunge che tali prodotti lasciano molto a
desiderare dal lato sociale, ed una forte e sana' emigrazione sarebbe
necessaria per portare il paese all'altezza che gli compete.
Gli
emigranti non trovano ora tutte le facilitazioni che le leggi loro promettono,
ma le necessità del paese dovranno inevitabilmente far cessare questo stato
anormale di cose, e costringeranno gli abitanti a rendere le loro terre
propizie a quella folla immensa di emigranti (un milione e più) che ogni anno
si dirige verso il nuovo mondo e che è costituita per oltre un terzo da
italiani, spagnoli e portoghesi. Questi ultimi sono predominanti
nell'Amazzonia, perché hanno per loro i vantaggi dei vecchi legami, e della
lingua; ma non bisogna dimenticare che importante assai in Brasile è anche
l'emigrazione dei tedeschi.
Nè
bisogna pensare che questi ultimi preferiscano le parti meridionali perché più
temperate; la scelta di Santa Caterina fu inspirata da altre ragioni di
opportunità, le loro mire verso l'Amazzonia già si accentuano, e noi quindi
dobbiamo affrettarci ad agire per non trovare occupati i migliori posti.
I
paesi adatti all'emigrazione sono: l'Australia, gli Stati Uniti del Nord
America, il Canada, l'Argentina, le Guiane ed il Brasile; ma l'Australia è
lontana troppo, il Canada promette più di quello che può date, l'Argentina è
già stata troppo utilizzata e gli emigranti che arrivano negli Stati Uniti del
Nord America incontrano gravi difficoltà, perché quelli già ivi stabiliti
contrastano la loro concorrenza, e perciò spesso sono schiacciati dalla
miseria, oppure per le grandi forze e vita del paese sono da questo assorbiti,
onde si allentano i legami con la madre patria. Anzi i giovani ed i nati nel
paese spesso la dimenticano completamente, e cambiano nazionalità ed unicamente
pel nuovo paese di adozione lavorano. E’ bensì giusto che l'emigrante debba
essere utile al paese che l'ospita e mostrargli affetto e riconoscenza; ma col
suo lavoro ha modo più che largo per dimostrare questi sentimenti, anzi dà
assai più di quello che riceve, quindi avrebbe il dovere ed il diritto di
conservare la sua nazionalità materialmente e moralmente e seguitare a riuscire
utile alla vera patria, facendovi. affluire i suoi risparmi, sia serbando con
essa quelle larghe relazioni che facilitano l'estensione del. suo commercio col
paese in cui risiede.
E
poiché ciò non accade negli Stati Uniti, bisognerebbe lasciare un poco da parte
questi, per rivolgersi con maggiore interesse alle Guiane ed al Brasile. Del1e
prime già dissi; mi occuperò del secondo, ma specialmente della sua parte nord
e meglio dell'Amazzonia che è la meno conosciuta e, che, per quello che dissi,
se l'agricoltura, che ora è più indietro di un secolo fa, vi rifiorisse ed
accanto alle fattorie ed ai seringaes sorgessero le officine, non avrebbe
rivali. Ma poiché ne il clima ne le mal possono spaventare gli emigranti e
poiché i vantaggi e le ricchezze che presentano queste terre sono enormi,
risulta chiaro che devono esistere altre cause che impediscono l'emigrazione.
Certo ha grande importanza il fatto già citato, che l'Amazzonia è poco
conosciuta al dire degli scrittori locali, dai brasileri stessi, ma è
predominante l'influenza delle condizioni politiche e morali del paese.
Lo
sfruttamento della gomma ha fatto disperdere la popolazione nelle foreste,
impedendo la formazione di centri agricoli stabili, e provvisti quindi di
quelle garanzie verso gli individui che possono offrire i comuni civilmente
organizzati, e che assicurano da una parte l'emigrante isolato contro il pericolo
di venir confuso con le razze inferiori o di diventare lo schiavo del patron
seringueiro, e garantiscono meglio dall'altra la vita dell'emigrante
facilitando il suo adattamento organico al paese ed il risanamento scientifico
delle località. Ogni sforzo quindi dovrebbe fare il paese perché tali centri si
stabilissero, lungo le rive però dei grandi fiumi, perché in generale esse sono
salubri, mentre le terre in cui abbonda la gomma sono paludose e vi
infieriscono la, malaria ed il beri-beri. Il colono europeo quindi che volesse
dedicarsi all'agricoltura, potrebbe accorrervi circondato da ogni garanzia e
sicuro di buoni guadagni, perché quelle terre sono molto fertili, ed i loro
prodotti sarebbero ricercati, e facilmente avviati in ogni direzione per la facilità
delle comunicazioni offerte dai fiumi medesimi. Ed il detto colono avrebbe
infinite altre risorse, come l'industria del bestiame, delle api, delle fibre
tessili, delle castagne, del legname, e fin anche delle orchidee, ed infine
potrebbe, a tempo perduto, tentare quella famosa coltivazione delle hevee, alla
quale un giorno bisognerà ben venire.
Esistono
in verità disposizioni legislative assai liberali per gli stranieri in genere e
per gli emigranti in specie, ma la realtà non corrisponde alle parole scritte;
i coloni non ottengono nulla delle mirabolanti cose promesse, ed arrivati nelle
così dette colonie agricole sostituiscono gli schiavi. E tra tutte le schiavitù
la più terribile è quella che si esercita nei seringaes, perché i padroni
difficilmente liberano i disgraziati che capitano nelle loro mani e che la
foresta s'incarica di tener prigionieri. Purtroppo una parte di quei
disgraziati che furono trasportati nell'Amazzonia e dalla Ligure-Brasiliana e
che non si sa quanti siano stati, perché non s’iscrissero al Consolato, devono
esser finiti nella foresta, ed importerebbe che fosse ben nota a tutti in
Italia e che fosse gridata, direi, da tutti i campanili della penisola la
triste sorte riservata ai nostri contadini che, lasciandosi guidare dal caso,
vengono al Brasile. Ed invero quelli che si dirigono nelle provincie
meridionali sovente vanno a sostituire materialmente e moralmente gli schiavi
africani, e quelli che vanno al nord possono diventare schiavi assieme agli
Indi nella foresta, o nella migliore ipotesi lavorare insieme coi neri come
facchini.
Certamente
le cose andrebbero diversamente per le piccole comitive di contadini che si
recassero nell'Amazzonia provviste di un piccolo capitale, ma la nostra
emigrazione non ha queste risorse e perciò questo metodo, certamente molto
rimunerativo, di colonizzazione non la riguarda. È facile però rimediare a
questo inconveniente, ché quanto dirò in proposito vale non solo per
l'Amazzonia, ma anche e più specialmente per le provincie cisandine del Perù, perché
offrono clima e condizioni generali spesso più favorevoli all'emigrante, e
perché le simpatie che i suoi abitanti bianchi hanno per l'Italia farebbero
meglio gradire l'opera nostra e renderebbero più facili i nostri tentativi4
colonizzazione verso la valle Amazzonica.
Bisogna
premettere che gli operai si trovano in condizioni diverse da quelle dei
contadini e possono con profitto immigrare fin d'ora nell'Amazzonia, perché,
essendovi tutto in formazione, l'opera loro è assai ricercata, quindi i muratori,
i fabbricanti di mattoni, i fornaciari, i manovali, gli scalpellini, i
lattonai, i coltellinai, gli arrotini, i pittori, i calafati, gli imballatori,
i garzoni, i funaiuoli, trovano immediato, facile e rimunerativo impiego; cosi
pure avviene per i cuochi, i domestici, i caffettieri, i pasticcieri, i
trattori, i barbieri e simili, e finalmente il grande sviluppo della
navigazione fluviale rende molto ricercati gli operai meccanici e i
macchinisti. Ma perché i lavoratori anzidetti potessero facilmente avviarsi
nell'Amazzonia, occorrerebbe stabilire con quelle terre una linea di
navigazione nostra, ed a ciò dovrebbero spingere i grandi vantaggi che si
ricaverebbero, estendendo il nostro commercio sulle terre medesime.
La
Ligure-Brasilera tentò l’impresa, ma siccome non la tentò bene, dovette
ritirarsi e la gente, poco edotta delle cita questo fatto come un precedente
atto a sconsigliare altri tentativi. Ma se si pone mente che l'Amazzonia
domanda all'estero tutto quanto occorre per la vita umana e che dal Mediterraneo
viene molta merce, non ostante le difficoltà delle comunicazioni, si comprende
che una linea di vapori in partenza da Genova dovrebbe fare buoni affari perché
le più facili comunicazioni toglierebbero gli ostacoli opposti finora alla
diffusione dei prodotti non solo italiani, ma di tutto il Mediterraneo. E per
convincersi di ciò basta osservare che molte merci nostre arrivano
sull'Amazzonia per la via di Francia e sono richieste in Francia e che molte
altre sono spedite con una maschera forestiera. A queste considerazioni si
risponde come ho detto che la Ligure-Brasilera effettivamente trasportava oltre
i passeggeri i nostri principali prodotti agricoli e manufatti, come vini, oli,
agrumi, riso, farine, paste e conserve alimentari, frutta secche, aglio,
zafferano, aceto, liquori, acque minerali, burro, formaggio, latte condensato,
confetti, profumerie, medicinali, prodotti chimici, drogherie, salumi, cartucce
per fucile, orologi, zolfanelli, cappelli di seta e di feltro, coralli, dipinti
ad olio, filati di seta, di lana e di cotone, oggetti di cancelleria, stampe,
libri, porcellane, ceramiche e mobili artistici, pizzi, ricami, specchi,
pianoforti, cappelli di paglia, chincaglierie e giocattoli, scarpe ed oggetti
di calzoleria, seterie, cristallerie, cordami, cornici, lavori da valigiaro e
in pelle, ombrelli, marmo e lavori in marmo, statuette in gesso e in
terracotta, sapone, sego, spugne, spazzole, tappezzerie, armi, aghi, crine
animale, strumenti musicali e chirurgici, conterie di Venezia, zolfo, carta
d'imballaggio, candele, caratteri tipografici, cuoi, oggetti di metallo, tubi
di ghisa, di ferro e di piombo, cavi metallici, asfalto, cemento, tegole,
mattoni, lavagne, marmo in blocchi, ecc., e ciò non ostante trasporta quel poco
come appare dal quadro seguente […] (p. 211)
Ciò
però avvenne perché - taccio gli errori - la società come tante altre credette
che l'emigrante fosse la mere rimunerativa, rese molto irregolari i suoi viaggi
e quindi disgustò i clienti, accettò una sovvenzione dei paesi Amazzonici , ciò
che le tolse ogni iniziativa, si immischiò di politica e volle diventare essa
stessa commerciante, trasportando per suo conto quelle merci che le parevano
più ricercate. È chiaro quindi, che, prima di stabilire una nuova linea,
bisognerebbe assicurarsi gli affari coll'istituire vere case di rappresentanza
e di commissioni incaricate anche di raccogliere e di formare un campionario
delle merci che hanno facile smercio laggiù, e mandarlo in Italia per cercare
di produrre le merci stesse a prezzi di Concorrenza. Quando ciò riuscisse, e
quando fossero con questo mezzo assicurati il traffico ed i clienti, si
dovrebbe fondare la società di navigazione, non perdendo di vista che la
preparazione è necessaria anche per presentarsi bene agguerriti alla lotta che
impegneranno le società già esistenti e specialmente la Booth che vorrà
difendere il suo vantaggioso monopolio. E sarà una lotta tremenda, ma si finirà
col vincerla se si avrà costanza e serietà, ed alla vittoria contribuiranno
anche i passeggeri che sono stanchi dei disagi degli attuali vapori, e sanno
come si sta bene sui nostri. L'obbiezione che i vapori in partenza non
troverebbero carichi sufficienti, non deve spaventare, sia perché quelli in
andata sarebbero largamente rimunerativi, sia perché presto l'Amazzonia dovrà
esportare qualche cosa di più della sola gomma, ed anche ora esporta, per
esempio, cacao ed altro e con facilità potrebbe venire iniziato il commercio
dei legnami fini e da costruzione. Inoltre ci sarebbe subito un mezzo per riparare
a tutto, e sarebbe quello di legare la nuova linea transatlantica con le Guiane
e l'America del Nord.
Non
mi dissimulo la gravità della questione cui accenno, ma ho la sicurezza che
essa sì possa risolvere, e che si possa riuscire quindi ad aprire una facile
via agli operai che diretti nel Sud America, con serio accorgimento potrebbero
fermarsi nell'Amazzonia. Qui, grazie ai buoni guadagni ed alle loro abituali
virtù di sobrietà. e di parsimonia, potrebbero in breve. fare delle piccole
economie e mettersi in grado di trasformarsi presto in commercianti, imitando
gli esempi precedentemente citati di quelli che si stabilirono ad Obidos ed a
Santarem. Potrebbero così in quella schiera di piccoli venditori di mercanzie
generali che ha fatto così buona prova nelle località ora dette, e invadere
tutte le cittadine del fiume e degli affluenti. sarebbe compiuta a favore della
nostra energia la conquista morale del paese ed allora solo i nostri contadini
potrebbero avviarsi all'Amazzonia. Mai però dovrebbero farlo di loro
iniziativa, ma dovrebbero essere singolarmente invitati e, contrattati dai loro
compaesani divenuti commercianti per fare piccole coltivazioni, come già dissi
parlando di Obidos e di Santarem. Ciò sarebbe facile, perché i guadagni
realizzati, per piccoli che siano, mettono quei commercianti in grado di far
coltivare da qualche contadino la terra vicina alle loro dimore e quindi
diventerebbe possibile la fondazione di tanti centri agricoli intorno ai centri
commerciali dei nostri coloni, il che farebbe la fortuna del paese e della
nostra emigrazione.
Quando
questo sistema si estendesse e si allargasse, l'aiuto reciproco potrebbe
esercitarsi anche dai contadini già stabili rispetto ad altri che essi stessi
potrebbero chiamare. Si fonderebbero in tal modo delle vere e proprie società
agricole cooperative tra italiani, le quali avrebbero anche il vantaggio di
cementare i sentimenti di nazionalità e patriottismo e di rendere più facile la
sorveglianza e l'azione protettrice del governo, eliminando così per sempre i
tristi fatti sopra detti.
Ma
molto lavoro occorre per ottenere tutto ciò, e se le cose per ora procedono
diversamente, è perché in generale gli emigranti lasciano il paesello natio
spinti dalla miseria, e si dirigono in America, solamente perché sentono dire
che vi si mangia facilmente. Ignoranti di tutto ed incapaci di scrivere anche
il loro nome, appena la nave che li porta lascia gli ormeggi, si spezza anche
per loro ogni legame con la terra natia. Molti infatti non danno più notizie,
vivono alla giornata e spesso ignorano anche che vi è un uomo, un console, che
rappresenta il loro paese e che può aiutarli e proteggerli occorrendo. Altre
volte invece ne conoscono l'esistenza, ma hanno sospetto che. non serva a
niente e che è meglio tenersene lontani, specialmente perché vi è gente male
intenzionata che ispira loro questi sentimenti, con lo scopo di isolare
l'emigrante per meglio dominarlo. Quando esso infatti si trova solo nella
miseria e nelle difficoltà, per inerzia o per stanchezza si lascia facilmente
sedurre dagli infami demagoghi o dai mestatori. Vissuto sempre nell'ignoranza
delle leggi civili e morali e della grandezza della patria, perché il parroco
od il maestro per dimenticanza o a bella posta non glielo insegnarono, non è al
caso di discernere il male dal bene e finisce col credere a quei demoni che
sono i primi ed i soli che gli parlano da amici. Ed egli, mentre è
inconsciamente ammalato di nostalgia, sente un refrigerio da quelle parole,
onde solamente perché è avido di vita, succhia la fonte del male, con la stessa
facilità che avrebbe assorbita quella del bene, ed inconsciamente può
prepararsi a divenire uno dei peggiori adepti delle associazioni sovversive,
perché proprio per la sua ignoranza e la sua semplicità può riuscire un istrumento
terribile nelle mani di chi si è impadronito della sua anima, per trasformarlo
in delinquente. Ma anche quelli che, per essere più illuminati e meglio
preparati alla lotta, si salvano da questo contagio malaugurato, si credono
sempre abbandonati dalla patria e perciò non pensano più a lei al punto di
dimenticare anche la propria lingua, onde mi capitò di dover parlare in
portoghese per farmi intendere da qualcuno di loro che lavorava da facchino a
Manaos, Ed avevo la prova di tutto ciò anche osservando la maraviglia da cui
molti erano colti quando vedevano apparire la mia nave che faceva risplendere
al gran sole Amazzonico la nostra gloriosa bandiera, quasi come un sorriso ed
una promessa della grande madre lontana. Ma la dolorosa enumerazione dei mali
delle nostre colonie non è ancora completa, ché molti ve ne sono ancora e tutti
richiedenti rimedi urgenti; qui però mi basta ricordare i più tristi e forse
ancora i più gravi, e cioè il campanilismo e le lotte regionali, tristi ricordi
di un tristissimo inglorioso passato. Essi infatti portano le più dolorose
conseguenze, rendono rachitiche o arrestano del tutto lo sviluppo delle piccole
colonie in formazione, riducono deboli e facili ad essere superate dagli
stranieri quelle che dovrebbero essere fortissime, e forniscono la più semplice
spiegazione del doloroso fenomeno per cui, avendo in Brasile, ossia in un paese
che possiede appena 16 milioni di abitanti, oltre 1.500.000 connazionali,
invece di riuscire predominanti, siamo appena tollerati.
Ormai
l'emigrazione è diventata una funzione naturale e necessaria della nostra vita
nazionale, ed è d'uopo insegnare ai nostri giovani non solo a diventare buoni
cittadini, ma anche l'arte direi di farsi buono emigrante. E, come per molti
problemi della nostra vita, la soluzione di questo bisogna farla nella scuola.
Occorrerebbe per ciò una schiera di maestri colti, amanti della patria e delle
istituzioni, e ben consci dei loro doveri, che insegnassero nelle scuole
elementari ed in quelle serali non solo a leggere e scrivere, ma anche, e con
pari cura se non con maggiore interesse, da una parte ad essere onesti, e
dall'altra come si diventa buoni cittadini, solerti e laboriosi operai, e come
si possa portare anche all'estero la propria energia, restando alla patria legati
e dalla patria sostenuti, incoraggiati e difesi, come i figli devono esserlo da
una madre amorosa.
Se
nella scuola, ripeto, si insegnassero tutte queste cose, se, come ci sono
cattedre ambulanti d'agricoltura, ce ne fossero per parlare dell'emigrazione a quei miseri che devono
esulare, infiniti mali si eviterebbero, ed una immensa forza sarebbero per noi
quel 4 milioni d'Italiani che vivono e lavorano all'estero. Ma la scuola
dovrebbe seguitare anche all'estero, ed a ciò dovrebbero concorrere quelle
ottime istituzioni che si occupano degli emigranti e la Dante Alighieri.
Santissima necessità è quella di ridare la patria a chi l'ha perduta, ma
bisogno assoluto ed immediato è il provvedere a che restino italiani quelli che
già lo sono.
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