Carlo Astronominica, un amico di Solofra

 

Carlo Astronominica, professore, latinista e purista, appassionato cantore in versi classici e in vernacolo, pubblicò diverse opere in versi.

Tra esse

La statua di S. Maria SS. del Soccorso nell'ipogeo della chiesa vescovile di Nusco: Canti, V, Maggi, Avellino, 1893

Alla SS. Vergine del Rosario di Pompeo: Canti, V, Maggi, Avellino, 1895;

Leggenda di Santo Ivone, Pergole, Avellino, s. a.;

Storielle montanine, Pergola, Avellino, 1902;

Thesaurismata. Bricciole ed appunti italiani di letteratura, biografie, critica, linguistica, filologia, pensieri, descrizioni, sentenze, proverbi, nozioni varie, per uso delle scuole italiane, vol. I, Sella e Carini, Bari, 1910;

Il fascismo: scena popolare contemporanea, Liborio e Giulio Fischetti, Sarno, 1923.

 

Il meglio della produzione di Carlo Astronominica resta nelle poesie in vernacolo che non sono state mai pubblicate.

Carlo Astronominica sposò una solofrana e restò sempre molto legato al paese della moglie, una De Maio di S. Agata Irpina. A fine ottocento frequentava i salotti della borghesia solofrana, fu amico dei baroni Giannattasio, infatti in casa del notaio Francesco la sera del 14 aprile del 1884 recitò questi delicati versi dedicati agli amici e a Solofra.

 

La primavera a Solofra

 

Or torna maggio, oh quante rimembranze

questo ciel di Solofra in me ridesta!

Quanti affetti di gioie e di speranze

in sen la primavera qui mi desta.

Or compie un lustro, e qui la prima fiata

aleggiavami un'aura imbalsamata.

Allor d'Appennin vidi quei monti

che a questo ameno suol corona fanno,

d'ogni parte ammirai limpide fonti,

ricche correnti che incremento danno

al commercio, all'industria, alla coltura,

vidi in tutto sorrider la natura.

E mentre questo ciel mi sorrideva

quasi in atto di stringermi la mano

una donna quel giuro prometteva

che saldo tenne di un volere arcano,

sicché quel maggio del settantanove

diemmi mille d'affetti egregie prove.

L'anno dopo, qui in maggio fea ritorno,

ed appo l'altare del Signor chinato

del simbol della l'anello addorno

a vergine donai dopo baciato

anello che alla donna il ciel è sorte

il cognome mutò fe' mia consorte.

In primavera m'ebbi una fanciulla

nel mentre la camelia del balcone

mi dava i fior che n'adornai la culla

allor che cinguettando in sul verone

la bimba salutava in sua favella

la cara pellegrina rondinella.

Come appo un fonte sorgon due narcisi

ambo racchiusi in una foglia sola,

da che nati giammai ambo divisi,

si gioia e festa serra una parola,

primavera che estrinseca allegria

sorriso di natura ed armonia.

E or nuova apportatrice d'allegrezza

non fu forse per noi la primavera?

Primaveril non soffia qui la brezza

che sfiorandone il viso assai leggera

a chi le chiome, a chi increspando il velo

fragranza reca a noi scesa di cielo?

Ve'! la gioia dagli occhi il si' trasfonde

par che ogni labbro sfiorirsi al sorriso,

nei vortici di danze in mezzo all'onde

d'armenici concenti io qui ravviso

primavera, che in estasi d'amore

tutti ci bacia e poi ci stringe al core.

Come è cara di patria e primo amore

l'innata incancellabile memoria,

come ciascuno del casato ha onore

degli avi pergamena serba e storia,

di te, Solofra, finché vita duri

farò la rimembranza mai si oscuri.

Sovverromi di te, madre di eroi,

e che tal sei lo stemma il manifesta,

stemma del sole che co' raggi suoi,

tutto rischiara ed alla vita desta,

stemma del sol che il tenebrìo discaccia

come la scienza l'ignoranza schiaccia.

O Vigilante, vescovo ti desta,

schiudi l'avello, o Giliberti abate

E voi, Garzilli, dalla tomba mesta

ambo il capo mitrato or su levate;

Fasano, Tura, Troise, or su sorgete,

Ronchi, Murena, e quanti illustri siete.

Scovri il coverchio che rinserra l'ossa

dell'ombra venerata del Maffei,

sorgi, o Santoro, dalla fredda fossa,

e tu, che le vittorie ed i trofei,

o Barbieri vedesti d'altra etade,

sorgi, oggi, a riveder la tua cittade.

Ombre salvete degli eccelsi eroi,

e tu, che desti a tanti eroi natale

che d'eroina vantar il nome puoi,

accetta di mia lira un salve, un vale;

e di te sovverrommi, o amica Terra,

finchè una zolla la mia salma atterra.

Ricorderò il tuo tempio, e le pitture

del divino pennello del Guarini,

quanti in esso vi son marmi e sculture,

e volte ed sarchi, immagini e puttini,

tutto mi sovverrà la fantasia,

stando lontano, nella patria mia.

Lieto ricordo poi saran quei tanti

a cui stringer la mano ebbi l'onore,

d'amicizia gli affetti ognor costanti

io serberò, finchè mi batta il core,

finché torni per me la primavera,

finché venga per me l'ultima sera.

E spontaneo sorge or dal mio petto

rendere grazia del gentile invito

ed io che dei parenti in core ho letto

ricoscenza e amore in un scolpito,

come l'eco de' cor questa mia cetra

grazie ripete ed un perdono impetra.

Da mia terra natal spesso un saluto,

sovra l'ali dell'aura a primavera,

a te, Solofra manderò un tributo.

Vanne, dirò, mia auretta messaggera,

in Santagata va: saluta i miei,

poi va a Solofra e di me nunzia sei.

E' vero che mia patria è questo suolo

un intervallo immeso li disgiunge

ma il venticello mio staccato il volo

dalla vetta di Nusco presto giunge,

da elettrica corrente in men che il dico

qui reca mie novelle il messo amico.

Se all'alba nel chiaror del primo lume

se a sera della luna al bianco raggio

udrete in viso un agitar di piume,

è il venticello che nel suo linguaggio

qui viene a rammentarvi quell'affetto

che oggi e poi sempre terrò scritto in petto.

 

 

(da "Gazzetta di Avellino", maggio 1884)

 

Agostino Astrominica nacque a Nusco il 18 ottobbre 1899, visse in un ambiente culturale ricco di fermenti , insegnante per venti anni al Magistrale Margherita di Savoia. Collaborò a riviste di pedagogia. Morì a Napoli il 25 giugno 1967. Fu cantore di Nusco.

(da “Civiltà Altirpina”, III, 1978, f. 6)

 

 

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