ECONOMIA SOLOFRANA 

Le attività creditizie

L’attività creditizia a Solofra è documentata negli atti notarili fin dal 1521

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Una contabilità tenuta in ducati tarì e grana

Un ducato = 5 tarì oppure 100 grana; 1 tarì = 20 grana

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Il mercato solofrano era sorretto da un complesso sistema di approvvigionamento finanziario, che poche volte era in contanti (pecunia numerata), spesso era sostituito da altro credito. C’era soprattutto l’uso di affidare la merce a chi intraprendeva il viaggio mercimoniale girando di fiera in fiera e ricevendo al ritorno altra merce o il denaro.  

 

Il credito era erogato anche attraverso forme legate alla fideiussione posta su qualsiasi bene: una casa, un terreno, un cortile, un cellaro, e poi selve, vigne, botteghe. Il bene veniva preso in possesso momentaneamente sia per soddisfare la garanzia sia per incamerare l’interesse (detto giusto guadagno) che allora era proibito oppure proprio per incamerare con il suo uso il denaro dato in presto.

Era il mutuo ipotecario a cui veniva data la forma di una vendita di un bene con atto di ricompera, l’interesse era costituito dall’uso temporaneo del bene.

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Per effettuare questo tipo di prestito si aveva un primo atto chiamato emptio con la descrizione del bene da alienare con vari patti per la sua tenuta e per il suo uso con l’indicazione del denaro impegnato nella vendita del bene, che in effetti era quello prestato. Spesso l’atto conteneva anche il patto di retrovendita che assicurava la restituzione del bene alla estinzione del debito. Questo era seguito da un mutuo, un atto che conteneva solo l’ammontare della somma prestata e la scadenza con la formula della pena in caso di insolvenza. C’era poi un terzo atto che conteneva l’impegno della retrovendita quando questo non era contenuto nell’emptio.

La retrovendita era un atto di protezione del bene in quanto conteneva clausole sul suo uso e sul suo miglioramento, sul diritto di venderlo e donarlo.

Si aveva un prestito (mutuo) garantito da un pegno mascherato da un contratto di vendita e integrato da uno di retrovendita. I tre atti potevano anche essere registrati non si seguito o da diversi notai per non far scoprire il trucco con cui veniva effettuato il prestito con interesse.

Il bene veniva anche ceduto ad un terzo che si assumeva il debito oppure da chi lo aveva avuto in garanzia ed aveva bisogno di moneta liquida quindi lo usava a sua volta come garanzia. Potevano perciò avvenire vari passaggi del bene in un giro che a volte risultava molto complesso.

Il debitore poteva liquidare in anticipo la partita, diminuire il proprio debito con versamenti parziali che erano anche precisati in una specie di rateizzo ad intervalli regolari o con rate più alte all’inizio o viceversa.

Il patrimonio familiare era completamente coinvolto nel credito, diventava parte integrante dell’attività mercantile. permetteva il commercio e l’attività produttiva.

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La chiese operavano mutui attivi o passivi cioè la compera o la vendita di annue entrate.

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Attraverso le chiese la comunità solofrana gestì fin dal XV secolo il prestito del denaro su pegno regolato da una bolla di Niccolò V nel 1432. Per accedere ai prestiti si usò il contratto detto "bollare" (permesso dalla bolla) che era un vero contratto di mutuo. Il proprietario di immobili che aveva bisogno di denaro liquido poteva ricorrere a questi enti ecclesiastici che concedeva il denaro mascherando il prestito sotto forma di acquisto di un censo o canone (compera di annue entrate) gravante sui beni del richiedente che venivano usati dall’ente ecclesiastico momentaneamente e restituiti all’estinzione del debito. L’ente ecclesiastico poteva anche dare al richiedente delle annue entrate su un bene già da esso posseduto (in seguito ad un jus di patronato).

 

Il finanziatore privato investiva sulle partite di gabelle anticipando il denaro garantito dal gettito delle imposte dirette e indirette che raccoglievano i gabellieri o che si preoccupavano di riscuotere tramite propri agenti nel corso dell’anno.

Poi si chiameranno arrendamenti (una specie di titoli del debito pubblico).

C’erano coloro che amministravano i beni delle chiese, i legati testamentari.

 

Solo nella seconda metà del XVI secolo a Napoli si cominciò a fare attività creditizia che fu utilizzata dai mercanti solofrani attraverso la fede di credito che attestava l’avvenuto deposito. Non doveva essere inferiore a 10 ducati e circolava mediante girata. Spesso aveva il motivo del trasferimento del danaro.

 

Ecco il testo di una fede di credito dagli atti notarili del XVI secolo:

Noi Governatori del Banco di S. Eligio facciamo fede di tenere come creditore nel nostro Banco il Signor Vigilante Bernardino per la somma di ducati 250. Quali potrà disporre a suo piacimento colla restituzione della presente firmata e suggellata. Napoli 27 settembre 1576.

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All’inizio tale attività fu svolta solo per i pagamenti vincolati, ma servì molto per permettere al depositario di inviare presso il Banco un suo agente che in genere era anche un mercante a cui era affidata la merce da vendere a Napoli a prelevare il denaro.

In un secondo momento si hanno fedi di credito in cui il depositante annotava gli ordini di pagamento a favore di se stesso o di altri.

La fede di credito era scritta a mano su un foglio.

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Ecco i Banchi presso cui il feudatario Ostilio Orsini tra il 1579 e il 1584 ebbe interessi finanziari al 7%.

Banco di Citarella

Banco di Calimaza

Banco del Ogiati

Banco de Casale e Marrocho

Banco del Sacro Monte della Pietà

Banco de Bissoli

Banco de’ Solaro

Banco de Volla e Solati

Banco de Bonaventura e Cione

Banco de Composta e Corcione

Banco de Colamaza e Pontecerbo

Banco de Grimaldi

Banco Sixtio

 

 

Questo grafico, contenuto a p. 63 del testo citato in calce, mette in evidenza il rilievo che ebbe Solofra nell’uso della fede di credito

La fede di credito trovò il favore degli ambienti mercantili poiché l’uso della moneta era rischiosa e difficoltosa. Questo documento invece offriva garanzie di sicurezza e facilità quindi si sostituì facilmente e largamente al denaro contante.

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Dalla storia

1539. Il Monte di Pietà fu la prima opera pia ad attuare il prestito per motivi filantropici.

1563. Nacque il Monte dei Poveri.

1587. Nacque il Banco Ave Gratia Plena o Banco della Santissima Annunziata.

1589. Fu aperto il Banco di Santa Maria del Popolo per iniziativa dell’ospedale degli Incurabili.

1590. Nacque il Banco dello Spirito Santo.

1592 Fu istituito il Banco di Sant’Eligio dall’ospedale omonimo.

1597. Nacque il Banco di S. Giacomo e Vittoria.

1640. Fu la volta del Banco del SS. Salvatore.

Solo a metà del XVI secolo Napoli ebbe istituti che facevano attività di prestito per fini filantropici. essi prosperarono per due secolo.

Nel 1794 alla vigilia della Rivoluzione partenopea Ferdinando IV li riunì nel Banco Nazionale di Napoli, che però non ebbe vita autonoma.

Giuseppe Bonaparte (1806) fondò il Banco dei Privati (dei Poveri, S. Eligio e Spirito Santo) e il Banco di Corte.

Il Murat (1808) istituì il Banco delle Due Sicilie con due rami: Cassa di Corte e Cassa dei Privati.

La restaurazione conservò l’istituto napoleonico cui fu apportato qualche variazione. Negli anni 1844-1846 nacquero due Banchi siciliani.

Con l’Unità d’Italia nacque il Banco di Napoli.

 

Da AA. VV., L’archivio storico del Banco di Napoli, Napoli, 1972

M. De Maio, Solofra nel Mezzogiorno angioino-aragonese, Solofra, 2000.

 

 

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