La storia

 

Il periodo dell’autonomia feudale

1535-1555

Venti anni di floridezza

 

Nel 1528 il feudatario di Solofra, Ercole Zurlo, perdette il feudo per "fellonìa".

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Aveva ereditato nel 1520 il feudo di Solofra per la morte del fratello Ettore. Era poi passato dalla parte dei francesi del generale Lautrek che tentò di occupare il Meridione, ponendo l’assedio a Napoli.

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Gli spagnoli vincitori assorbirono il feudo di Solofra nel demanio, poi lo vendettero quasi subito al feudatario di Serino Ludovico de la Tolfa.

 

Solofra stava vivendo un periodo florido e ricco e il de la Tolfa, che dalla vicina Serino conosceva bene le prospettive di sviluppo dell’attività solofrana anche perché non pochi erano i rapporti di lavoro e commercio tra Serino e Solofra, non si fece scappare l’occasione per arricchire la sua rendita feudale con le ricche entrate solofrane.

 

Il de la Tolfa tra l’altro pretese i diritti sulle acque, che la comunità aveva già comprato da Carlo V, e soprattutto ne impose altri sulle acque di Turci che invece erano, diremo oggi, private.

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Quello delle acque era sempre stato un problema importante per la comunità solofrana poiché da esse dipendeva tutta l’attività di concia e gravare di tributi un bene così capitale significava condizionare pesantemente questa attività e tutta l’economia solofrana che era già appesantita da tanti altri balzelli, dazi e gabelle.

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Fu il problema delle acque che spinse l’Universitas a chiedere alla Regia Corte di entrare nel demanio

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Demanio.

Essere nel demanio voleva dire appartenere direttamente alla Regia Corte cioè non essere terra feudale.

Era questa una condizione favorevole, per tanti motivi tra i quali il principale era quello di non dover essere sottoposti alle tasse feudali e alle angherie che i feudatari imponevano alle popolazioni. Una politica lungimirante avrebbe dovuto favorire nel sud la costituzione di terre demaniali poiché liberava da inutili gravami le attività artigianali dando ossigeno al loro sviluppo e ponendo le basi per ulteriori progressi. Purtroppo la Spagna del Cinquecento considerava i possessi italiani come terre da sfruttare, senza per altro nulla fare per creare le basi di questo sfruttamento, e ciò fu una delle cause del mancato decollo della economia meridionale e del suo lento incancrenirsi.

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Nel 1535 la comunità solofrana comprò il feudo da Ludovico della Tolfa

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Gli atti notarili mettono chiaramente in risalto la ricchezza del commercio solofrano in questo periodo sia per la quantità dei prodotti che venivano scambiati, sia per le somme impegnate nelle contrattazioni, sia per la velocità con cui esse si esaurivano mentre solo pochi anni prima esse restavano aperte per un tempo alquanto lungo. Inoltre se prima era il mercante solofrano che si spostava nei mercati del meridione, ora sempre più frequentemente si trovano a Solofra mercanti provenienti un po’ da tutto il sud, dalla Puglia e dalla Sicilia, ed anche da zone mercantili fuori del Regno. Un mercante milanese, all’inizio del terzo decennio del secolo, si fermò a Solofra per diverso tempo facendo affari con quasi tutti i grandi conciapelli solofrani, ci fu un veneziano che pure sostò vario tempo a Solofra ed uno proveniente da Ragusa, l’odierna Dubrovnik. Solofra cominciava ad affacciarsi in modo sostanzioso sul mercato di Napoli e in questa città cominciavano a spostarsi le famiglie mercantili solofrane per usufruire delle prerogative economiche godute dai residenti nella città. Solofra ben presto cominciò ad essere considerata una specie di succursale del grande mercato napoletano e sicuramente parte integrante dell’ampia zona mercantile del napoletano. Per questo motivo a Solofra potettero giungere i battiloro napoletani, Marco de lo Signo e Bartolomeo Landri, a cui la Regia Corte dette il permesso di operare fuori Napoli (la città aveva il jus probendi di questa arte che non poteva quindi essere esercitata fuori) e per questo motivo i solofrani potettero esercitare il battiloro a Solofra. Le famiglie solofrane, spostatesi a Napoli, continuavano ad avere rapporti economici con il ceppo rimasto a Solofra. Anzi proprio questa arte fu il segno dello stretto collegamento tra la grande capitale e Solofra.

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Tutto questo già avveniva nel primo trentennio del XVI secolo e tutto questo spiega perché Solofra potette divenire demanio pubblico, cioè terra non feudale.

 

 

 

Una precisazione

Per la prima volta si conosce in modo consistente la realtà solofrana di questo inizio del secolo XVI dal regesto degli atti notarili negli anni 1521-1524 (M. De Maio, Solofra nel Mezzogiorno angioino areagonese, Solofra, 2000). Prima si conoscevano descrizioni di questa realtà risalenti ad un periodo molto successivo.

Giuseppe Maria Galanti (Della Descrizione geografica e politica delle Sicilie, Napoli, 1769) disse, ma solo a metà del XVIII secolo, "in Solofra la fabbrica di cuoio è unica in tutto il Regno ed ha arricchito i Solofrani" sottolineando "in nessun luogo si esercita così bene".

Lorenzo Giustiniani (Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli, Napoli, 1805) definì i solofrani "assai industriosi" aggiungendo: "Molto viva la negoziazione e sonosi distinti per la concia delle pelli d’ogni specie".

Gaetano Filangieri (Documenti per la storia, le arti delle province napoletane, Napoli, 1891) dette solo 6 documenti.

Giuseppe Didonato all’inizio del secolo scorso(Solofra nella tradizione e nella storia, Pagani 1914) pose, senza fornire documenti, nel 1625 l’introduzione a Solofra dell’arte delle pelli dorate, nel 1640 la concia dei marocchini e nel 1685 quella dei marocchini colorati alla maniera di Palermo.

Francesco Scandone nella sua raccolta di documenti irpini (Documenti per la storia dei Comuni dell’Irpinia, Avellino, 1956) fornì per Solofra il primo documento relativo alla concia solo nel 1567.

Solo A. Silvestri (Il commercio a Salerno nella seconda metà del 400, Salerno, 1952) parlò della presenza, nel 1466 che nel 1479, alla fiera di Salerno di solofrani che contrattavano partite di pelli.

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Gli arrendatori 

Tale situazione dette grande importanza all’opera degli arrendatori.

Erano costoro delle figure finanziarie che anticipavano alle Universitas il denaro per gli obblighi fiscali e per gli altri bisogni finanziari sulle entrate tributarie o sui beni delle comunità. In tal modo essi si impegnavano di raccogliere queste entrate o di amministrare questi beni in tal caso con l’obbligo di corrispondere una rendita annua. Erano insomma imprenditori privati che guadagnavano molto da questa attività. Dice il Colletta: "L’arrendamento fruttava al compratore il doppio che all’erario e costava il triplo ai tributari".

Solofra ebbe i suoi arrendatori, il più importante dei quali fu un personaggio già presente negli anni precedenti, Berardino Sarrocco, Con questi Solofra fece un "contratto" importante in modo da trasformarlo in una specie di agente finanziario impegnato a raccogliere le rate fiscali e risolvere i creditori della Universitas.

Tra i creditori di Solofra c’erano gli eredi degli Zurlo verso cui l’Universitas era debitrice di 1500 ducati (riguardavano la compera dei beni degli Zurlo a Solofra e altri obblighi della comunità verso questa famiglia feudale) e c’era Nicola Sisto, un mercante cagliaritano, che ebbe rapporti anche privati con gli artigiani e i mercanti solofrani.

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SOLOFRA e ALESSANDRO ANTENORO

 

 

Una grande operazione nell’anno 1544-1545

 

Dopo dieci anni di autonomia l’Universitas solofrana, fece una operazione di grande importanza: cercò di introdurre nel proprio ambiente economico un nuovo operatore finanziario a cui affidò le proprie entrate feudali.

Era questi Alessandro Antenoro, figlio di Nicolò appartenente ad una importante famiglia di banchieri fiorentini, che alla morte del padre aveva ereditato un cospicuo patrimonio.

Si cercò insomma di legare l’attività artigiano-mercantile solofrana con quella toscana.

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Napoli fin dal tempo degli Angioini ebbe stretti rapporti con la Toscana, nel periodo aragonese ci furono in città mercanti senesi e fiorentini che si installarono nel suo hinterland economico. La stessa arte del battiloro ricevette un forte contributo dai battiloro toscani. A Solofra fin dal quattrocento si erano trasferiti da Siena i Petrone che ebbero un ramo mercantile, detto Perreca, residente a Napoli.

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Alessandro de Antenoro da finanziatore e forza economica di una delle zone d’Italia più attive dal punto di vista artigiano-mercantile, entrò a pieno titolo nell’economia solofrana.

Era un grande passo, un tentativo di unire le due realtà economiche, che avrebbe potuto dare una positiva spinta allo sviluppo della economia locale in senso qualitativo, di strutture e di sistemi lavorativi. Tutto ciò senza avere gli "inciampi" del feudatario, le cui prepotenze e i cui abusi avevano tenuto e tenevano bloccata l’economia del Meridione.

L’Antenoro, che già aveva avuto rapporti finanziari con la ricca economia solofrana e che non era un feudatario, comprò per 4000 ducati i beni e i diritti feudali di Solofra.

 

I beni feudali a Solofra

Alcune terre di cui godeva il feudatario che veniva in possesso del feudo e che consistevano in:

·         due starze arbustate con alberi di viti latine, dette la starza soprana e sottana, site nel casale de li Burrelli

·         un palazzo così definito nei documenti "domum magnam di molti membri et edifici inferiori e superiori" con un cortile interno, una giardino murato, con "puteo", "condotto di acqua corrente", nuovo poiché costruito nel 1535

·         un oliveto sito in località lle scanate confinante con i beni della chiesa di S. Nicola.

I diritti feudali erano costituiti:

·         un reddito annuo di ducati 96 su alcuni beni privati di Solofra,

·         i diritti di jus laudemio seu degradante che si pagavano quando un terreno veniva venduto o in successione ereditaria,

·         alcuni diritti dell’ufficio dei mastrodatti.

 

Questi beni erano gravati da alcuni debiti della Universitas che l’Antenoro si impegnò di risolvere.

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I beni feudali erano gravati di:

1500 ducati da dare a Jacobo Carazzolo come cessionario del fu Scipione Zurlo,

830 ducati per un mutuo contratto con lo stesso Antenoro,

1100 ducati a Nicola Sisto,

570 ducati per bisogni della Università.

 

È chiaro il tentativo della comunità solofrana di creare un valido riferimento finanziario che avrebbe eliminato i tanti piccoli finanziatori cui si era costretti a ricorrere. Esso costituiva inoltre un elemento di apertura verso una zona di fiorente economia artigiano-mercantile.

 

Il documento con cui l’Universitas si impegna con Alessandro Antenoro

 

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SOLOFRA E BERNARDINO SARROCCO

Nello stesso tempo continuava ad agire a Solofra Bernardino Sarrocco a cui erano affidate le entrate dei dazi e delle gabelle con cui il finanziatore napoletano doveva risolvere i precedenti rapporti con altri creditori.

Anche con il Sarrocco furono impegnati 4000 ducati.

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I creditori affidati al Sarrocco per 1869 ducati l’anno:

Andrea de Maio alias Carluccio ducati annui 200 per ducati 2000,

Francesco Lomellino e Augustino Palavisino ducati annui 300 per ducati 3000,

Bernardino Sarrocco ducati annui 150 per ducati 1500,

Gio Battista Suprano ducati annui 150 per ducati 1500,

Anello Bozanotra ducati annui 150 per ducati 1500,

Gio Andrea Spano ducati annui 150 per ducati 1500,

Giovanni Loisi Mormili ducati annui 140 per ducati 1400,

Giovanni Andrea Orilia ducati annui 450 per ducati 5000,

Scipione de Antenoro ducati annui 50 per ducati 500,

Alessandro Derisis ducati annui 40 per ducati 400,

Gio Andrea de Litterio ducati 89 per ducati 940.

 

Le gabelle affidate al Sarrocco:

gabella della farina,

gabella della carne,

la gabella ponderis et mensuris,

gabella dei vini,

gabella de la stazionaria,

la gabella de la mortella,

ogni altra gabella e dazio da imporre con ogni altro introito.

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I tributi a Solofra avevano tre scadenze in un anno: a Natale, a Pasqua e ad agosto (l’anno fiscale ed amministrativo cominciava il primo settembre e finiva il 31 agosto).

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Al Sarrocco furono assegnati, per visione laboribus, per spese per l’esazione delle gabelle e per risolvere i debitori, 170 ducati.

L’Universitas inoltre versava ogni anno alla Regia Corte di Napoli per le funzioni fiscali ducati 670.

 

Il documento con cui l’Universitas si impegna con Bernardino Sarrocco .

 

Il Viceregno

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