La
crisi del battiloro solofrano
La rivoluzione
del 1799 spazzando l’antico regime assesta un colpo decisivo all’antica arte solofrana
Era venuta a Solofra da Napoli
nel XVI secolo
Nel 1805 si fece una Convenzione tra i
battiloro napoletani e quelli solofrani in cui si cercò di affrontare la nuova
situazione: a Napoli si sarebbe battuto l’oro e a Solofra l’argento. L’accordo
ebbe vita breve e nel 1815 fu cancellato sancendo la fine dell’arte, che dopo
la concia era stata la più rappresentativa dell’artigianato solofrano.
Nel 1816 il socio della Reale Società Economica di Principato Ultra
Michele Pandolfelli
affronta il problema della crisi del battiloro solofrano proponendo una soluzione
Al Signor Presidente e Soci
della Società. Signori, l’arte di ridurre l’oro e l’argento
in fogli sottilissimi e quasicchè impalpabili è un
prodotto della industria e dell’ingegno dei Solofrani. Questa bella
manifattura, che nasconde la sua origine nella
più profonda antichità, e che presso niun’altra
Nazione di Europa si conosce con tanta perfezione, è stata in tutti i secoli
l’ammirazione de’ forestieri, l’oggetto di una
particolare protezione del Governo,
un momento glorioso per la nostra nazione, e un ubertoso mezzo di sussistenza
per tutti coloro che vi erano addetti. Il Pandolfelli non poteva sapere che l’arte del
battiloro si sviluppò a Solofra, venendo da Napoli, nel
XVI secolo, come solo di recente i rogiti notarili venuti alla luce hanno
dimostrato. La perfezione di cui dice è invece vera. I solofrani infatti usavano, nelle ultime fasi della battitura, gli
intestini degli animali da loro abilmente conciati e ciò permetteva di
portare l’oro ad una sottigliezza ineguagliabile. La protezione che ebbe questa arte
dipendeva dal diritto di privativa di cui godeva la città di Napoli e da
particolari statuti che ne fecero a Napoli una potente consorteria. Si pensi
che questo artigianato era l’unico che non impediva
di acquisire un titolo nobiliare. La medesima, al pari di ogni altra manifattura, è stata sottoposta a delle
vicende or favorevoli, ed ora contrarie, ma giammai però si è estinta all’intutto, come giammai all’intutto
si è estinto il lusso nazionale di cui ne è essa una specie di barometro. La
surrogazione di ornamenti più semplici alle antiche
e ricche dorature, che rendevano ammirabili una volta i templi e i teatri, le
Regge ed i Palagi dei grandi, cagionò una larga
ferita a quest’arte, che in seguito venne
ulteriormente dilatata dalla malizia e dalla cupidigia degli stessi suoi
artefici. Il nuovo sistema di indoratura fu uno dei motivi della decadenza di questa
arte. Resi costoro più bisognosi, si
resero in conseguenze più avidi e, mettendo in un
cale i loro propri interessi, ad altro non attesero che a farsi la guerra
reciprocamente e a distruggersi a vicenda. Molti tra essi,
abbandonando il patrio suolo, se ne andiedero in
Napoli a far domicilio e ad esercitare ivi la loro arte; altri si
appigliarono a nuovi mestieri; altri infine, profittando della confusione e
del disordine generale, continuarono l’arte a Solofra, ma intenti al solo
profitto e non più curarono l’esattezza e la regolarità del lavoro per cui,
discreditandolo presso dell’estero, venne a mancare totalmente la estrazione
e a raddoppiarsi la di loro miseria. La fine dell’antico regime tolse valore al diritto
di privativa ed eliminò tutte le protezioni di cui godeva questa
arte, come quella di battere i metalli a Solofra come se si fossero a
Napoli. Ecco il motivo per cui i battiloro solofrani
emigrarono nella capitale. Giunte le cose in questo stato
si cercò, alla meglio che si potè, di nuovamente
ravvicinare gli animi degli artefici e di rischiararli sui loro veri
interessi. Mercè i buoni uffici e l’intercessione di diversi uomini di autorità s’indussero finalmente i battitori di argento
residenti in Solofra a venire a Convenzione con i battitori di oro di
Solofra istessa, ma residenti in Napoli che fu
solennemente stipulata al 14-9-1805 e al 26-5 dell’anno susseguente 1806,
venne munita di regio assenso. Questa tale convenzione, perché difettosa in
tutte le sue parti, eccettuandosene però il solo primo articolo, con cui fu
stabilito, giusta l’antico e costante solito, che la manifattura dell’argento in fogli fosse di diritto esclusivo
degli artefici solofrani residenti in Solofra, e quella dell’oro su fogli
degli artefici solofrani residenti in Napoli, anziché produrre l’effetto,
che si sperava, cioè di vedere spenti i partiti, e
prosperato il mestiere fu di un nuovo fomite ai litigi reciproci e poco
manco, che a questi non succedessero dei seri e gravi delitti, essendo giunti
all’ultimo grado di stizza gli animi degli interessati. Inizialmente
non c’era alcuna differenza tra i battitori di oro e
di argento: entrambi potevano battere i due metalli solo se erano cittadini
napoletani o avevano nella loro famiglia cittadini napoletani. Successivamente si venne a creare la diversificazione tra
i battitori di oro che erano solofrani-napoletani e i battitori di argento.
Il tentativo di ripristinare le precedenti regole fallì
poiché ormai l’antico era stato cancellato dalla rivoluzione. Il governo invece di
correggere i soli articoli difettosi della Convenzione e che davano causa al
male stimò di distruggerla per intiera, e con pochi
versi quanti appunto sono quelli del decreto dei 21-9-1813, estinse
definitivamente un’arte antichissima, un momento glorioso dell’ingegno
nazionale, e, lasciando senza applicazione moltissime braccia, permise che la
miseria ed il delitto si aumentassero. Ecco i termini del decreto: Art. 1. Art. 2. Sono contemporaneamente
richiamate nel loro pieno rigore le antiche Capitolazioni di questa arte, che dovranno essere osservate
provvisoriamente fino a che non saranno compilati i regolamenti particolari
di questa industria. Lo dico di bel nuovo: questo decreto
ha dato l’ultima mano alla disgrazia de’ bravi artefici solofrani; e se il cielo non ci avesse
restituito il nostro legittimo e buon Re, che ci governa da padre amoroso,
sarebbe inutile il pensare di dar vita ad un’arte già estinta. Io, per
eseguire i vostri comandi e per adempiere nel tempo stesso al sacro dovere di
cittadino e di membro della nostra Reale società, mi sono
seriamente applicato, e, qualunque esso sia, ve ne umilio il mio
sentimento. Prima però di esporvi le mie
idee, vi prego di riflettere, che le antiche Capitolazioni, delle quali parla
il decreto all’articolo 2, erano recettibili allorché l’arte di battiloro e l’argento esisteva
unita e solamente in Solofra, le dette Capitolazioni non solo non sono
più adattabili ma riuscirebbero di gravissimo danno come per esperienza si è
chiaramente conosciuto. Le antiche Capitolazioni sono quelle del XVI secolo quando l’arte, che si svolgeva a Solofra
era come se si svolgesse a Napoli, perché esercitata dalle famiglie dei
solofrani che avevano legami nella capitale e quindi erano titolari delle
protezioni di cui godevano i cittadini napoletani sulle attività artigianali
e sul battiloro. Sono stato nell’obbligo di
fare queste prevenzioni, poiché senza della medesima si avrebbe
potuto credere che se il decreto distruggeva una convenzione recente,
restituiva in vigore nel tempo stesso un altro Statuto che per essere più
antico poteva ancora essere migliore. Eccovi dunque o Signori il mio
sentimento che nel caso lo troviate regolare vi
prego a prenderlo sotto la vostra protezione. Ecco la proposta del Pandolfelli. Dovrebbe supplicarsi il Re acciò si degni di annullare sì Siamo nel periodo dei grandi sconvolgimenti dovuti
all’introduzione di un nuovo sistema economico dopo la rivoluzione del 1799.
Le ragioni del tracollo dell’arte è nel fatto che i
napoleonici eliminarono la privativa, quindi venne a cadere il fecondo
rapporto economico Napoli-Solofra.
Il Pandolfelli sottolinea il tentativo
fatto dai solofrani di conservare l’accordo del vecchio regime che legava i
battiloro solofrani a quelli napoletani, nel senso che il lavoro da Napoli
andava a Solofra e che Solofra viveva della linfa di Napoli. La proposta
riprendeva un tentativo già fatto di diversificazione: l’argento a Solofra e
l’oro a Napoli o a Solofra ma solo per i solofrani cittadini napoletani.
Questa idea paternalistica dell’industria cozzava con i principi della
moderna industria capitalistica dominata dal mercato e dalla
concorrenza.
Signori appartiene
ai vostri alti talenti e al vostro amore per il bene della Nazione, il
ridonare la vita ad un vecchio scheletro che merita tutti i riguardi
dell’uomo sensibile. Vi acquistate in ciò una gloria solida e permanente.
Tanti infelici artefici che ora languiscono tra gli squallori della miseria ve ne benedirebbero e con voi benedirebbero anche
il vostro buon Padre e Re che vi ha destinati nella nostra provincia per
promuovere l’agricoltura e le arti. Sono con la più alta stima e
profondo rispetto, il cav. Michele Pandolfelli Solofra 1-3-1816 (ASA, Reale
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