INTRODUZIONE
Probabilmente, dire che la storia, al di là delle vicende che
l'hanno determinata, spesso la fa chi la scrive, la scolpisce o la dipinge,
dandole tra le righe o nei colori i segni dell'esaltazione, della vittoria,
dell'eroismo o altro, potrà sembrare azzardato; eppure, spesso capita questo,
quando per mancanza di fonti attendibili, per negligenza, per dolo, oppure per
ingerenze emotive dell'autore, si finisce con il perdere il filo conduttore e
smarrirsi nella nebulosa delle probabilità. In questo modo la "polvere
del tempo" ne offusca il passato, sino a quando, un giorno, per caso o
per destino, qualcuno, magari il meno accreditato, soffiando su quella "polvere",
riesce a fare emergere quello che il tempo stesso non aveva affatto
distrutto, ma gelosamente custodito.
Questo è quello che è accaduto alla pagina di storia che stiamo
per narrarvi, quella sui Sanniti Hirpini.
Parte integrante della Confederazione Sannitica che andava sotto
il nome di "lega", gli Hirpini, unitamente ai Caudini, ai Pentri ed
ai Caraceni, rappresentarono l'ultimo, fiero baluardo all'espansionismo romano
nel Centro e Sud Italia. Mai domi, neppure dopo che nel 292 a. C. l'intero
Sannio era stato conquistato, i resti di questa nobile tribù, persa la loro
capitale Malventum, annessa all'area caudina, in Compsa, sei anni dopo la
sconfitta di Aquilonia, si allearono con Pirro, poi con Annibale, infine con
Mario contro Silla durante le guerre sociali, al punto da essere interamente
sterminati a Porta Collina nell'82 a. C. Solo allora del Sannio Hirpino e dei
Sanniti non se ne parlò più. Ma, poiché essi si erano uniti con Annibale, il
senato di Roma ne decretò la "dannatio memoriae": la
cancellazione dagli annali storici!
In questo modo, nel scrivere la storia, Tito Livio non fa che
eseguire gli ordini, amplifica a proprio piacere le battaglie romane, sminuisce
le altre; inventa anche quando è necessario; ma, soprattutto, non cita mai le
località Hirpine.
Con la caduta dell'Impero Romano, contrariamente a quello che era
ed è il territorio dei cugini Pentri e Caudini, ben protetto il primo
all'interno della dorsale appenninica e piuttosto esiguo il secondo, l'Hirpinia
invasa da una moltitudine di orde barbariche che l'attraversarono dal Tirreno
all'Adriatico, mettendola a ferro ed a fuoco. Furono i Longobardi, servendosi
anche della vecchia burocrazia romana, a dare un primo assetto politico al
territorio, dividendolo in Ducati e Gastaldi.
Ai Longobardi, pochi secoli dopo, si sostituirono i Franchi, poi
i Normanni, ancora i Francesi ed infine gli Spagnoli, tutti a spadroneggiare
sulle ceneri che ognuno di loro aveva lasciato alle proprie spalle.
Chi erano quegli invasori che di volta in volta si susseguirono?
Cosa interessava a quella gente, estranea alle nostre origini, conoscere eventi
accaduti mille anni prima?
Dimenticati per secoli, sino a scomparire dall'epopea di quel
momento, o addirittura essere confusi con i Lucani (in parte Sanniti), o con i
Bruzi (schiavi ribelli dei Sanniti), solo intorno al 1960, grazie soprattutto
allo storico anglo-sassone E. T. Salmon, gli Hirpini entrarono di diritto a
fare parte di quel pezzo di "storia dimenticata" che contribuì a fare
l'Italia. Ma, come Tito Livio e tanti altri, non escluse le nostre Autorità,
anche il grande Salmon commise i suoi errori, perché appare strano come un uomo
di tanto rigore e levatura, abbia potuto trasferire fatti accaduti intorno alla
III guerra sannitica, combattuta tutta sull'Ofanto e sul Calaggio, nel Sannio
Pentro, sostenendo tra l'altro che sarebbe stato riduttivo recarsi in Irpinia,
per il solo fatto che questa provincia non aveva montagne che superavano i 1300
metri di altitudine e fiumi navigabili!
Fuorviati da queste considerazioni, ecco che un po' tutti gli
storici ed i ricercatori in genere, hanno cercato e continuano a cercare, la
verità laddove non potranno mai trovarla, perché non c'è.
Accortosi di questo macroscopico errore, il prof. Salvatore
Salvatore di Carife, tra i maggiori studiosi accreditati sull'argomento, riuscì
a rintracciare Salmon e ad invitarlo in Irpinia, mostrandogli come la realtà
delle cose fosse diversa da alcuni fatti esposti. Salmon si avvide dell'errore,
ripromettendosi che in una riedizione del testo avrebbe apportato le necessarie
modifiche; cosa purtroppo che non avvenne in quanto, il tempo, spesso è avaro,
al punto da non dare al noto storico la possibilità di rivedere il lavoro svolto.
Con questo non vogliamo assolutamente pensare o credere che il nostro sia di
compendio agli altri, né che intenda prevaricare studi condotti da eminenti
cultori; esso apre tuttavia un ampio spiraglio ai fini di una ricerca tutta da
portarsi avanti, intorno ad alcune vicende e luoghi mai considerati sino ad
ora, solo perché nessuno studio, neppure ricognitivo, è stato portato avanti
nell'Alta Vate del Calore. Qui, la tribù degli Hirpini, partendo dal Molise,
sotto il segno totemico del suo animale guida, il lupo (~irpo in osco),
scese il Volturno intorno al VII-VIII secolo a. C., se non prima, e risalì il
Calore sino alla sua sorgente, posta sotto il monte de La Celica, dove pose i
propri confini meridionali allo stato sannita che si stava componendo, determinando
il nome di quel territorio in Hirpinia!
Giacché l'habitat dei Sanniti era rappresentato dai monti e dai
fiumi, considerati sacri e come tali venerati, e dal momento che ancora oggi
questa zona è tra le più rilevanti, non solo in provincia, sotto l'aspetto
ambientalistico, era ancora più sacro quel monte dal cui cuore sgorgava
l'elemento essenziale alla loro sopravvivenza: l'acqua! E da La Celica sgorgano
il Calore dal versante Nord, il Tusciano da quello Sud, ed il Sabato da quello
ad Ovest.
Questo era quel che soprattutto rappresentava quella montagna per
la tribù degli Hirpi, un monte che ancora oggi, a guardarlo affascina per
quanto è maestoso, con i suoi crinali simili ad un'aquila in volo. La Celica
divenne così per i Sanniti, Keres, la loro massima divinità: Giove!
Ma la Valle era già stata occupata dai Pelasgi prima, poi dagli
Osci. I Sanniti si imposero a quest'ultimo popolo con la forza o vi fu una
pacifica convivenza?
Lasciamo aperto questo grande capitolo di storia, che riveste una
importanza relativa al tema specifico che stiamo trattando, e facciamo in modo
che questa pagina sia solo la prima di una vicenda tutta da portarsi avanti.
Questa la storia che ci siamo scavati con le unghie e che abbiamo
portato alla luce, soffiando su quella "polvere" che per troppi
secoli ne aveva offuscato la memoria.
E pensare che avevamo iniziato questa ricerca con il presupposto
di conoscere la storia di Bagnoli Irpino, nostro paese nativo, nel periodo
antecedente l'anno mille, quando lo storico locale Sanduzzi, riportando una
notizia attinta da l'"Alta Valle del Calore" dell'esimio prof.
Scandone, cita per la prima volta Bagnoli con il nome di Baniolum, per
una petia di terra concessa alla contrada Patierno, da un tale
Orso, figlio di Gisilberto da Montella, ad un tale Giovanni per certi servigi
resi in guerra.
Sarà capace, adesso, o vorrà, questa Irpinia, mostrare i
"denti" per cercare di scrivere la propria storia e fare riemergere
quegli ideali e quei valori spartani che tanto contraddistinsero il nostro popolo
primario?
Chissà!!!
L'avere in ogni caso portato a termine un'esperienza simile, è
stato esaltante, anche per le tante conoscenze ed amicizie intrecciate. Tra
queste, il gruppo che si è costituito, composto dal dott. Paolo Cusano, Presidente
dei Gruppi Archeologici di Scampitella; dal prof. Giovanni Orsogna della Valle
d'Asanto; dal prof. Salvatore Salvatore di Carife; dal dott. Roberto Patrevita,
responsabile del Museo Archeologio di Ariano I.; dal dott. Agr. Luca Branca di
Bagnoli I., proprietario tra l'altro dei terreni maggiormente interessati da
questa ricerca, e dal geom. Isidoro Vuotto, Presidente dell' Harcheoclub di
Montella.
E, come non rivolgere un ringraziamento alla dott.ssa Luisa
Bocciero, direttrice del Museo Civico di Avellino, prima accreditata ad
intravedere nelle ricerche che si stavano conducendo uno spiraglio di verità,
nonché alla dottoressa Giovanna d'Henry, ex Sovrintendente Capo del Molise che
abbiamo avuto il piacere di ospitare, anche se per poco.
Domenico Cambria
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Presenze sannitiche e romane nel bacino del Flubio-rivus
siccus
da Mimma De Maio, Alle radici di Solofra, Avellino, 1997
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