Traversie
finanziarie e feudali della comunità solofrana nel Cinquecento.
Gli
abusi sul demanio. Con il termine di abusi
feudali si indicarono in tutto il Meridione i soprusi e le prepotenze
imposte dai feudatari alle popolazioni delle terre su cui dominavano. Il
feudalesimo infatti nel meridione degenerò
gradatamente che i signori riuscirono a strappare alla corona prerogative e
vantaggi che li trasformarono in tirannelli nelle
loro terre senza che i re avessero più la forza di controllarli. Successe
allora che c’erano le leggi regie (dette prammatiche) che dicevano una
cosa e c’erano le prepotenze baronali che facevano il contrario. E successe che gli Statuti, che erano regole di
comportamento delle popolazioni che il feudatario doveva rispettare, furono
sistematicamente disattesi dai signori locali. Ciò naturalmente avveniva in
modo proporzionale alla loro forza e durò fino agli inizi del
XIX secolo. Solofra solo sotto i Tricarico
fu costretta a concedere al signore i servizi gratuiti (detti angari
e prerangari) che consistevano in lavori
nelle terre feudali, nel trasporto di merci e cose del genere, poi con i
Filangieri tali obblighi furono aboliti e la comunità cominciò a godere
alcune libertà. Esse furono consolidate nel periodo demaniale all’inizio del XIV secolo (1409-1419) e furono godute anche con gli
Zurlo, i quali entrarono nel possesso di Solofra come usurpatori e per molto
tempo non vi governarono in modo diretto. Queste libertà subirono un ulteriore consolidamento nel periodo demaniale del XVI
secolo (1535-1555). Successe così che mentre tante comunità vivevano sotto il
giogo delle prepotenze feudali, quella solofrana visse fino alla metà del XVI secolo in un’atmosfera più libera, cosa che spiega
lo straordinario sviluppo delle sue attività artigianali in questo secolo. La situazione cambiò con la famiglia Orsini,
una famiglia romana molto estesa con vari rami che poggiava la sua potenza non solo sul possesso di feudi, ma anche
sull’appoggio della Chiesa di Roma. La feudataria Beatrice Ferrella Orsini mise infatti
subito in atto una serie di abusi che portarono nel 1574, ad appena venti
anni dal suo insediamento, alla causa intentata dalla comunità solofrana
contro di lei e di cui abbiamo parlato nell’articolo precedente. L’abuso più dannoso per Solofra fu quello sul demanio. Il demanio era costituito
da tutte quelle terre di proprietà della comunità su cui ogni cittadino aveva
l’uso (i cosiddetti usi civici) e cioè poteva
liberamente pascolare, prendere
l’acqua, fare la legna, raccogliere i frutti delle selve, immettere
animali a soccio, ed anche seminare e piantare
ortaggi. Come si vede erano usi vitali per ogni comunità ma
per quella solofrana erano soprattutto a sostegno della sua economia, se si
considera che l’attività di concia aveva bisogno dei prodotti del demanio e
cioè di acqua, come abbiamo visto, ma anche di calce che si ricavava dalle
pietre calcaree, un bene demaniale, e prodotti demaniali erano la ghianda, la
scorza del castagno e del cerro, essenziali alla concia per il loro altro
contenuto di tannino. La ghianda poi era l’alimento principale dei maiali il
cui allevamento era un’altra attività importante a Solofra; c’era poi tutta
l’attività pastorale, né è da tralasciare la possibilità che avevano i più poveri di poter mettere a coltura piccoli
pezzi di terreno demaniale per il sostentamento familiare. Quando i terreni
privati erano aperti (cioè non recintati) l’uso
civico si estendeva a tutti questi nel senso che dopo la raccolta del frutto
era permesso entrarvi per raccogliere la legna (legnare) e per il
pascolo, il che era anche utile in quanto serviva per la pulizia del terreno
e per la sua concimazione fatta dagli escrementi degli animali che vi
pascolavano. Anche la pesca e la caccia furono oggetto di imposizioni
feudali, pure se quest’ultima avveniva senza l’uso
delle armi. Il sistema dell’uccellagione con il visco
era molto diffuso e regolato da un capitolo statuario che proteggeva gli
alberi sui cui rami si poneva la sostanza appiccicosa che si otteneva con il visco, in modo che l’uccello, attirato su di essi non potesse più allontanarsi. Questi usi civici erano diritti essenziali
e naturali, si diceva, non erano sottoposti al feudatario il quale ne aveva diritto come primo cittadino e come ogni altro
cittadino. Succedeva invece che i signori imponevano dei tributi sull’uso del
demanio senza che le popolazioni riuscissero ad avere ragione, ma succedeva
pure che la stessa corona, bisognosa di denaro per le guerre sempre più
frequenti e costose, vendesse alle popolazione l’uso
di questi prodotti, insomma imponesse un pagamento per l’uso di un diritto.
Ciò avvenne per esempio quando Carlo V, spinto dal bisogno di denaro,
vendette a Solofra l’uso delle acque. E come abbiamo visto
nell’articolo precedente l’abuso dell’acqua fece perdere il feudo a Ludovico
della Tolfa e fu uno dei motivi principali della
causa intentata dalla Universitas contro gli Orsini
nel 1574. (Da “Il Campanile”, 2001, XXXII, 11, p. 4) Gli abusi sulle attività produttive Un altro campo di abusi
che potevano arricchire la rendita feudale era quello sulle attività
produttive. Infatti al feudatario spettava un
reddito sulla vendita dei prodotti del territorio. Ora bisogna tenere
presente che Solofra raccoglieva il denaro per pagare i tributi proprio dalle
tasse (gabelle) sui prodotti venduti (si diceva reggersi a gabella).
In base ai prodotti del luogo, sia quelli dell’agricoltura che
quelli dell’artigianato, si stabilivano i tributi che erano raccolti da
alcune persone (gabellotti). Già di per sé
la riscossione dei tributi era costosa poiché veniva
appaltata ad altre persone (gli arrendatori)
che ne anticipavano l’importo acquisendo il diritto di raccoglierli (in tre
rate a Natale, a Pasqua e ad Agosto, l’anno amministrativo infatti cominciava
a settembre), naturalmente con il relativo guadagno, che, se l’appaltatore
era "bravo", riusciva ad essere tre volte il valore di quando aveva
impegnato. Si comprende come in un paese poggiato sul
commercio la questione delle entrate tributarie fosse di cruciale importanza.
Se su questo sistema si poggiavano anche i soprusi del feudatario
il commercio era destinato a soffrire enormemente e il suddito non
aveva alcuno stimolo ad impegnarsi in un lavoro che arricchiva solo il
barone. Gli artigiani e i mercanti tendevano quindi a nascondere le
contrattazioni al feudatario, che, da parte sua, usava tutti i mezzi per
controllare il mercato, dove avveniva gran parte di queste contrattazioni, o
le dogane, poste all’entrata e all’uscita del paese dove si pagavano altre
tasse. Per avere sotto il proprio controllo tutto questo sistema non c’era
via migliore per il feudatario che controllare il governo della
Universitas. Il Sindaco e gli Eletti (una
specie di giunta) avevano infatti il principale
compito di raccogliere le entrate da versare alla corona e al feudatario
dividendone il carico tra i cittadini.
Per ciò il barone tendeva a mettere al governo delle Universitas persone di sua fiducia. Gli statuti solofrani
mostrano che tutti i feudatari imposero questo abuso
alla comunità locale riuscendo, chi più chi meno, a controllare l’elezione di
queste persone. Ritornando alle gabelle la comunità solofrana,
nell’atto di vendita stipulato con Le prepotenze costituivano spesso un vero
danno per le attività locali su cui pure si reggeva la rendita feudale e che
quindi avrebbero dovuto essere protette. Si
consideri per esempio, il divieto di uscire di notte imposto dalla duchessa (una
specie di coprifuoco per impedire ai malfattori di agire protetti dal buio) e
invece sancito dagli Statuti che stabilivano che si poteva uscire fino a tre
ore dopo il tramonto e tre prima dell’alba. Era infatti
estremamente dannoso lasciare le concerie ferme per molto tempo, poiché il
processo di concia richiedeva che le pelli nelle tine
o nei cantari fossero rivoltate spesso (non esisteva il bottale). Si comprende come specie d’inverno il divieto
di lasciare la conceria dopo il tramonto e di raggiungerla prima dell’alba
doveva essere per forza disatteso con multe per l’artigiano e guadagno per il
feudatario. (Da
“Il Campanile”, 2001, XXXII, nn. 9-10, p. 4) I soprusi nel campo giudiziario Altro campo molto fertile
ove il feudatario poteva imporre i suoi abusi ed esercitare pressione sulle
popolazioni era quello giudiziario.
Il tribunale locale era in mano al feudatario il quale aveva il diritto di
esercitarvi la giustizia non solo delle prime cause,
ma anche dell’appello. La curia o corte
locale era quindi un altro posto dove il barone poteva imporre il suo
predominio arrogante ed esoso. Essa era diretta dal Capitano che veniva ad
essere una specie di giudice ed aveva al suo servizio vari ufficiali, che anche se scelti dalla Universitas,
come i giudici annuali, non potevano far nulla contro i soprusi. Il primo
grande abuso fu proprio la scelta di questa persona, che secondo le
prammatiche reali doveva essere indicato dalla
corona, poiché oltre a dirigere la giustizia era un po’ il garante della vita
del feudo, e che invece veniva scelto dal feudatario mentre il re si limitava
a darne l’assenso. La comunità solofrana fu molto precisa nello specificare
nei capitoli le caratteristiche del Capitano, che doveva essere originario di
luoghi distanti da Solofra almeno Molti erano poi i soprusi che si perpetravano nello
svolgimento delle cause, nella raccolta delle multe nelle quali incorrevano i
più deboli. Quello che però danneggiava l’attività solofrana e mostrava la
cifra dell’abuso feudale era ciò che avveniva in tutta la materia del
credito, che era a Solofra una pratica molto diffusa e non solo per la
mancanza di moneta liquida. In effetti la
contrattazione mercantile avveniva attraverso un patto, una specie di breve
contratto societario tra un mercante-finanziatore che dava la merce ad un
mercante-viaggiatore che si impegnava di venderla. Tra le due persone
attraverso un atto notarile si apriva una situazione debitoria
che durava tutto il tempo dell’affare e terminava quando
la merce era collocata sul mercato e il finanziatore riceveva il denaro,
termine che veniva indicato in modo molto preciso nel contratto. La
risoluzione del "negozio", come allora si chiamava, era però
molto elastica poiché avveniva in un ambiente solidale intorno a questa attività, basti pensare alle grandi famiglie di
allora e alle ampie parentele che legavano le persone mercantili. Infatti il termine di chiusura del contratto spesso si
spostava quando per esempio il secondo mercante non tornava in tempo dal
viaggio mercantile o questo si protraeva, allora bisognava rinnovare il
contratto con l’intervento di un parente che in genere accendeva un mutuo con
la garanzia di un bene. Per fare ciò bisognava denunziare il non avvenuto
pagamento. A questo punto si introduceva l’abuso
poiché il tribunale faceva scattare la procedura legale, ex ufficio,
per la riscossione del denaro cosa che allora comportava la carcerazione. Ecco perché tutti gli Statuti solofrani, anche quelli antichi,
furono sempre precisi nello stabilire che era permesso a chi faceva la
denunzia del non avvenuto pagamento di ritirare l’"accusa"
dopo tre giorni (il tempo per stipulare il nuovo contratto) e che il
tribunale non poteva intervenire autonomamente (ex ufficio) e porre in
atto l’azione giudiziaria. Succedeva però che il Tribunale ugualmente
interveniva o per ritorsione o per guadagno o per prevaricazione o per altro.
E questo sopruso, anch’esso tra i capi di accusa
nella causa contro Un altro sopruso operato dal tribunale locale,
ancora una volta contro le attività mercantili solofrane o approfittando di esse, fu quello sul laudemio,
che era una tassa feudale che gravava su alcune terre. Già su questi beni, che non erano tutte le terre di Solofra, ma che il signore
poteva ampliare (reintegrazione), c’era un tributo annuale che andava
al feudatario, al quale si aggiungeva appunto il laudemio
che si pagava quando uno di questi beni veniva venduto e doveva essere pagato
sia dal venditore che dall’acquirente. A Solofra però i beni facevano parte
del credito nel senso che venivano dati (alienazione)
in garanzia nei contratti mercantili oppure nei mutui, inoltre permettevano
con il loro godimento il prelievo degli interessi, che allora erano proibiti.
Questa cessione veniva fatta con un atto di vendita
col diritto di retrovendita appena il debito era stato assolto e gli
interessi incamerati. Allora veniva stipulato un
altro atto di vendita questa volta all’incontrario. Si comprende come la
tassa del laudemio venisse a pesare
enormemente su questa attività che in pratica
coincideva con l’attività commerciale. Per questo motivo gli Statuti, fin da
quelli più antichi, si preoccuparono di limitarla al solo "venditore"
della terra (cioè a colui che aveva avuto bisogno
del prestito o che comunque dava il bene in garanzia) e non sull’acquirente
(cioè colui che aveva dato il denaro) e la limitarono solo al primo passaggio
(sul primo venditore e non sul secondo che era colui che restituiva la terra
all’atto dell’estinzione del debito). Si comprende anche come fossero lucrosi
gli introiti di questa tassa poiché i passaggi di
beni erano frequentissimi e ci si spiega perché l’abuso del laudemio fosse quello più odiato. Legato alla gestione della giustizia c’era
infine il mantenimento delle carceri dove venivano
rinchiusi i debitori ed anche qui la duchessa pretese più ampi tributi. Questa famiglia feudale lasciò dunque dietro
di sé una lunga scia di soprusi e angherie che chiaramente emergono
dai documenti che, pur nella loro limitatezza, riescono a dare il segno di
ciò che fu per una comunità mercantile il dominio feudale, tutti i domini
feudali. E si comprende come questa comunità potette elaborare il bellissimo
mito di S. Michele che la protegge contro le prepotenze orsine
e perché la rabbia popolare esplose nella vicenda del primicerio Giovan Sabato Juliani, uno di
quelli che non si piegò ai soprusi e che condusse
contro il feudatario una lotta che fu lotta di autonomia, una delle più belle
pagine della rivolta contro l’oppressore all’inizio di quel periodo di
rinnovamento antifeudale che portò alla rivoluzione partenopea del 1799 dal
cui sangue il Meridione non potette che non uscirne rigenerato. (Da “Il Campanile”, 2002, n. 1, p. 4) Mimma De Maio Questi argomenti trattati in modo più ampio e i
relativi documenti sono nelle pagine web dedicate
agli Orsini del sito http://www.solofrastorica.it |
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