La fontana delle arpie

 

Un ulteriore tassello per la nostra storia

 

 

Tra i documenti che abbiamo ultimamente sistemato nell’archivio del Centro Studi della Biblioteca ne abbiamo trovato uno di estremo interesse poiché permette di precisare un elemento della nostra storia in un modo diverso da come pensavamo che fossero andate le cose. Si tratta di Francesco Catorano, intagliatore napoletano, che nel 1611, come sappiamo, ebbe l’incarico dai procuratori della Collegiata di completare il portale di pietra della chiesa e lo fece aggiungendovi tutti i fronzoli e gli addobbi della parte barocca del portale, compresa la figura di donna stilizzata ai due lati, il cui disegno è allegato al contratto.

Diciamo qui per completezza che il grande portale di pietra della porta principale della Collegiata aveva avuto nel 1553 una prima realizzazione in stile rinascimentale quando cioè furono costruite la cornice regolare e ben squadrata, le colonne poste sugli alti zoccoli e la nicchia superiore. Il contratto, che descrive in modo chiaro questa prima parte del portale, dà notizie anche del suo autore che fu Rinaldo de Bartolomeo, maestro piperniere di Calvanico.

Il secondo contratto, quello del Catorano, invece parla del completamento del portale, il cui termine fu sigillato, come si usava, con la data incisa sul portale e cioè 1611. A completare il discorso vale qui sottolineare che il Catorano è detto di Napoli, ma abitante per lavori a Gesualdo e che stette a Solofra a lavorare alle porte fino al 1613. Possiamo infatti seguire le ulteriori attività nell’anno seguente, 1612, con le porte minori e le rate del pagamento, gradatamente che proseguivano i lavori. Una prima volta, a maggio, l’artista ebbe 280 ducati ed una seconda volta, nel dicembre dello stesso anno, ne ebbe 165 “per l’intaglio e la manifattura delle porte di S. Angelo”, conclude la glossa posta accanto al documento. Si giunge ad aprile del 1613 quando terminarono i lavori con l’ultima rata di 101 ducati. Fin qui i documenti raccolti ci permettono di delineare il percorso lavorativo del Catorano nel completamento dei tre portali di pietra della Collegiata. Diciamo per ultimo che l’artista stipulò i contratti  - ne possediamo quattro –  da solo con gli economi della chiesa. Naturalmente dobbiamo sottintendere intorno a questa attività, che va dal 1611 al 1613, una nutrita schiera di aiutanti e mastri che lavorarono insieme all’intagliatore e dobbiamo collocare la bottega del piperniere nei pressi della Collegiata, come era in modo preciso richiesto dai contratti dell’epoca. Io ci vedrei a lavorare diversi solofrani i quali, se non giunsero in questo momento al livello di essere soggetti di contratti, lo saranno più tardi quando Solofra, in seguito a diversi terremoti, fu costretta a ristrutturare molte sue dimore e quando furono costruiti i magnifici palazzi con eleganti portali, con piedritti istoriati e stemmi nelle chiavi di volta e con nell’interno dei cortili le belle fontane ed altri ornamenti.

Ma ritorniamo al nostro Catorano e alla nostra scoperta poiché troviamo l’artista di nuovo a Solofra nel 1617, il 26 giugno, questa volta non da solo bensì insieme a Santillo de Santi, un intagliatore di Massa Carrara, genovese, precisa il notaio. Questa volta non stipula il contratto con persone di chiesa, bensì con il sindaco e gli eletti di Solofra, con l’Universitas insomma. Il sindaco è Giovanni Sabato Iuliani, gli eletti sono il medico Flavio Petrone, il notaio Fabrizio Giliberti, il conciapelli Gio Nicola Guarino e c’è persino un deputato, Desiderio Troisi, presente alla stipula dell’atto, cosa rara che avveniva per i contratti importanti. Infatti il contratto è importante poiché il piperniere si impegna a costruire a Solofra una fontana “di pietra viva” da porre nella Piazza centrale, secondo il modello di creta consegnato ai committenti dallo stesso Catorano e con pietre modellate “come quelle del portale della Collegiata”. Il fatto è che la fontana fu costruita, come si legge in una glossa al lato del contratto dove si dice che il 20 dicembre del 1617 i due artisti, Catorano e De Santi, ricevettero dal sindaco gli ultimi 102 ducati “per la manifattura di detta fonte” a completamento del prezzo complessivo di 250 ducati.

E come era questo monumento in pietra? Il contratto è molto preciso. Una vasca con agli angoli quattro arpie di pietra con quattro fontanelle piccole che mandavano acqua. Al centro della vasca un’altra “fonte più grande da cui esce altra acqua” che deve essere formata “da altre quattro arpie attaccante ad un pilastro che sostiene la seconda fonte”. Il pilastro deve essere all’interno “vuoto perché lungo di esso deve salire l’acqua”. Al centro di questa altra fonte deve porsi “una pigna da cui deve uscire altra acqua che deve colare per le quattro parti del pilastro dove sono attaccate le arpie”. Inoltre, precisa il contratto, bisogna fare delle vasche “sotto le prime arpie da cui l’acqua possa essere presa comodamente dalle donne e dagli altri”. E poi bisogna “scolpire un sole nelle quattro parti del pilastro della fonte superiore”. Infine ci si raccomanda di fare ogni altro elemento “in proporzione al resto e tutto ben fatto”. E si precisa che una delle fonti deve dare l’acqua al monastero di S. Agostino in modo che “si pagherà ciò che ecceda il prezzo della fontana”.

La descrizione della Fontana delle Arpie è molto precisa e chiara, la sua realizzazione sicura, per cui si può pensare che la sua struttura di base e l’impianto di trasporto dell’acqua siano stati utilizzati successivamente quando fu costruita la fontana che ammiriamo al centro di Piazza S. Michele. Le arpie furono sostituite dai quattro leoni ed in alto sul pilastro si aggiunsero, al posto delle altre quattro arpie, i delfini per farla più alta e la conchiglia centrale. Si tenga presente che in passato non si buttava nulla di ciò che non serviva ma lo si riutilizzava in modo diverso. Sicuramente il posto dove fu collocata la Fontana delle Arpie, un secolo prima di quella dei Leoni, fu il medesimo, cioè all’incrocio della piazza, perché proprio nei suoi pressi, c’era già una fonte che dava un nutrita quantità di acqua che veniva dal Sorbo e che era utilizzata dagli abitanti del posto e soprattutto dalla Taverna della Universitas, con grande stalla e camere per dormire, posta in un ampio spazio dopo l’incrocio  - il viale non era stato ancora costruito -  e che era un elemento importante ed essenziale del nostro centro mercantile.

 

  

Mimma De Maio

 

Da “Il Campanile”, notiziario di Solofra, dicembre 2010

 

 

 

 

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