Una
bottega del Cinquecento
per
la costruzione della Collegiata
Abbiamo visto nell’articolo
precedente l’importante presenza nella vita di Francesco Guarini della famiglia
della madre Giulia Vigilante, che in pratica dominava la vita economica
solofrana, nella quale aveva parte importante la gestione delle chiese, sia
attraverso sacerdoti che laici. Questa attività era
a quei tempi -
nella seconda metà del Cinquecento -
un’importante opportunità economica, e, quando nacque l’”affare” della
Collegiata, furono costituiti i procuratori della “fabbrica di S. Angelo”,
che lo dovevano gestire. Essi guidarono la costruzione del tempio,
stipularono i contratti con gli artisti qui impegnati e ne seguirono i
lavori. Anche se questa carica, ricoperta da tre persone, era a rotazione,
non usciva fuori da quelli che allora si chiamavano
“compatroni” della chiesa, cioè da quelle famiglie del patriziato solofrano
che governavano sia Allora non esisteva ancora la
bottega di Tommaso, padre di Francesco Guarini, il quale
però già a quel tempo era legato alla costruzione della Collegiata. Infatti, imparentati con la famiglia di Tommaso erano i
Troisi di S. Agata di Solofra (come allora si chiamava S. Andrea) a cui
appartenevano i “fabri lignarii”
fornitori delle travi di legno, ottanta, per la copertura della Collegiata.
Costoro, che avevano una bottega alla platea, e che erano imparentati con i Vigilante, divennero i fornitori di tutto il materiale
in legno che serviva alla Collegiata, da quello per i cassettonati,
a quello delle cornici dei quadri, compresa la grande cornice del quadro del
Lama e il legno necessario per l’organo e per il pulpito. Tommaso, figlio del
pittore Felice ed anche lui pittore, si trovò,
quindi, in un ambiente vicino al grande ”affare” della costruzione della
chiesa che richiedeva anche opere pittoriche e artistiche. È in questa atmosfera e per rispondere alle esigenze che la
costruzione della Collegiata trasformava in opportunità, che la bottega di
Felice si trasformò, con Tommaso, in un qualcosa di più grande. Essa divenne
una bottega, simile a tante del tempo, al centro di un lavoro, diremo oggi
multimediale, infatti si ampliò al lavoro del legno
svolto nella bottega dei Troisi e al lavoro dell’oro della bottega dei
Vigilante del Toro. Fu questo “affare” che determinò il
matrimonio tra Giovanni Tommaso e Giulia Vigilante, avvenuto nel 1606. Esso
siglò, come tutti i matrimoni dell’epoca, un’interessante alleanza
economico-familiare con la quale si chiudeva i cerchio
che univa tre famiglie (i Troisi, i Vigilante, i Guarino) intorno alla
Collegiata, i cui procuratori, tutti collegati alla famiglia Vigilante,
assicurarono ad essa, attraverso la bottega di Tommaso, la fornitura delle
opere in legno dorate e pittoriche che impreziosiscono il nostro tempio. Vale
sottolineare il salto economico che questa alleanza
permise a Tommaso, che all’indomani del matrimonio, potette iniziare lavori
di ampliamento alla sua casa di S. Andrea, con l’intervento del fratello
della moglie, Alfonso, che aveva riccamente dotato la sorella e che sostenne
il cognato in diverse occasioni e quello sociale infatti tale matrimonio legò
Tommaso ad un'altra importante famiglia solofrana, i Giliberti della Forna
(quelli del palazzo con la cappella di Santa Caterina), visto che il medico
Tarquinio, padre del drammaturgo Onofrio Giliberti, aveva sposato Diana
Vigilante della stessa famiglia di Giulia. Intensi furono i rapporti tra i Vigilante e il Guarini, intorno alla bottega, che si
arricchì di numerosi addetti, presi dalla improvvisata manovalanza locale o
del circondario, come dimostrano interessanti contratti di lavoro stipulati
subito dopo dal pittore. Inoltre il contratto stilato da Tommaso nel 1617 per
la “intempiatura della nave centrale” della chiesa,
parla in modo preciso di questa triplice attività della bottega per la quale
l’artista si impegnò per una spesa non superiore a
1500 ducati. E tre furono gli artisti - un intagliatore (Lucantonio de
Accetto), un pittore (Francesco Giordano) ed un indoratore
(Giovanni Angelo Greco) - che
autonomamente ne valutarono l’opera nel 1624. Questo contratto dimostra in
modo chiaro la consistenza della bottega solofrana che ebbe delle botteghe rinascimentali solo la caratteristica di
allargarsi ad attività legate tra loro. Essa però della vera bottega
rinascimentale non ebbe la qualità essenziale, cioè
non fu un luogo di incontro, di studio e di ricerca. Infatti
visse finché ci furono le esigenze per cui era nata, finché cioè ci fu la
costruzione della Collegiata, e quando queste si esaurirono la bottega
perdette la ragione di esistere e si estinse. Lo stesso Francesco Guarini,
che ereditò la bottega paterna e l’impegno di completare l’opera di “intempiatura” della chiesa, non le dette la dovuta cura.
Egli accolse in essa artisti scadenti, come mostrano
le moltissime opere di bassa bottega che si trovano sia nel transetto della
Collegiata sia nel cassettonato di S. Agata. Anzi
il fatto che il nostro grande concittadino abbia
posto accanto alle sue più belle tele solofrane - quelle del naturalismo caraveggesco del transetto - opere con interventi di bottega, avvalora
la tesi che i suoi interessi non erano intorno a questa bottega né erano a
Solofra. Tutto ciò è chiaro anche nel cassettonato
della chiesa di S. Agata, che del Guarini ha solo tre tele, tutto il resto è
opera di artisti poco impregnati del suo discorso
artistico. Comunque si può
dire che la vicenda di questa bottega, che nei suoi limiti è pur sempre un
episodio rilevante, segua un po’ la parabola solofrana che, dopo l’esplosione
del suo secolo d’oro, ha una linea discendente la quale, colpita duramente
dalla vasta moria della peste, non si riprese più affogando nelle secche
della vita del meridione. Mimma De
Maio (Da “Il
Campanile”, 2006, XXXVII, n. 6, p. 4) |
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