il centro di un parco
Si è fatto, in questi ultimi tempi, sempre più forte
l'attenzione intorno al nostro castello, che non solo è studiato dall'Università
di Salerno, ma ora è entrato anche nell'interesse di quella di Napoli ed è
stato incluso nei beni architettonici della nostra cittadina da
salvaguardare. Vale inoltre sottolineare che c'è
stato chi, perché da sempre ha vissuto tra quei ruderi che conosce benissimo,
ne ha costruito ben due modellini: uno ne riproduce le forme con la prima
cortina muraria e l'altro lo rappresenta con l'intera cinta muraria. Per noi
è stata una piacevole scoperta di come questo appassionato
estimatore del castello - parliamo di
Vito D'Urso di S. Andrea - abbia potuto riprodurre esattamente la
costruzione e la cinta muraria con le sue torri proprio come il disegno del
1739, di cui ci siamo interessati il mese scorso, ce le ha mostrate. Ebbene
queste riproduzioni hanno suscitato l'attenzione dell'ingegnere e del
professore dell'Università di Salerno, che hanno
studiato il castello e che hanno potuto verificare la loro fedeltà a quelle
che furono le sue reali forme compresa la torre pentagonale che guarda verso
ovest. Intanto a noi interessa qui soddisfare qualche curiosità storica
su questa nostra struttura difensiva. Essa fu tra i beni feudali consegnati
dalla nostra Universitas alla Ferrella-Orsini quando
acquistò il feudo nel 1555 e che insieme all’oliveto circostante valeva 1000
ducati. Il maniero fu oggetto di due articoli degli Statuti concessi dalla
nuova feudataria alla comunità solofrana all’atto dell’acquisto del feudo,
nei quali ella si impegnò a non pretenderne dall’Universitas la custodia e a porvi persone adatte con
adeguato salario, confermando il suo uso come carcere dove erano custoditi i
colpevoli di gravi delitti. All’epoca il castello aveva perduto la sua
funzione, e per tutto il periodo del dominio orsino continuò
ad accogliere i carcerati e le truppe al servizio del territorio. Gli Orsini usarono come un bene proprio il fondo rustico che nel
1735, fu concesso in enfiteusi perpetua a Gaetano Tura
(figlio di Biagio e di Grazia Giliberti) per 20 ducati annui. Nel 1804, alla
morte del Tura, il bene passò al fratello di costui
Tommaso, quindi entrò a far parte della prebenda del primicerio Gennaro Tura.
Quando di lì a pochi anni il Meridione si liberò del sistema feudale e
furono posti in vendita i beni feudali, gli Orsini non restituirono a Solofra
né il castello né il suo oliveto nonostante la causa feudale, fatta dalla
nostra Universitas contro il feudatario, che con
sentenza n. 119 del 28 maggio del 1810 ingiunse loro “di restituire
l’usurpato con i frutti percepiti”, cosa che non avvenne. In questa occasione si ha l’ultima
definizione dell’immobile come “castello”. Nel successivo catasto napoleonico
i beni intorno al castello furono divisi in tre particelle: querceto,
territorio sterile e vigneto. Nel 1831, poiché non erano state soddisfatte da
parte del possessore dell'enfiteusi alcune annate alla casa di Gravina,
questa ingiunse al Tura la restituzione del bene (12
marzo). Il Tura si rivolse a Rocco Didonato a cui vendette il dominio utile del fondo (23
maggio 1831). L’anno appresso il Didonato ne comprò il dominio diretto da Giacinto Orsini, figlio ed
unico erede di Filippo Bernardo Orsini, attraverso il suo procuratore Giovan Vincenzo Maffei del Toro soprano. In questa occasione si hanno tre
descrizioni dell’ex-castello. La prima fu fatta nell’atto del notaio di
Napoli, Giuseppe Talamo, il 14 aprile del 1832, dove Giacinto Orsini dava la
procura a Giovan Vincenzo Maffei della vendita del
“fondo rustico denominato castello con casamento antico semidistrutto”. La
seconda citazione è nell’atto di acquisto da parte
del Didonato stipulato a Solofra dal notaio Filippo
Giliberti, il 23 maggio successivo, dove si parla di “rustico con antiche
fabbriche semidirute inclusa una torre e cinto di
siepi”. La terza descrizione fu fatta nella valutazione del fondo, il 12
giugno seguente, ad opera degli apprezzatori,
Sabato Antonio Giannattasio e Domenico Maffei, che parlarono di “casato
rurale composto di tre soprani e un sottano con adiacente aia di fabbrica e i
rottami di altro diruto grandioso edificio”.
Il 12 giugno del Il castello, che si trovava in un fondo rustico usato come tale,
divenne anch’esso immobile rustico e per motivi fondiari tese ad essere
descritto in modo riduttivo, come sopra chiaramente si vede.
Circa l’acquirente vale dire che il sacerdote Rocco Didonato era figlio di Giuseppe, appartenente alla
famiglia proprietaria del jus di patronato della
chiesa di S. Nicola alle scanate, posta sul lato sud della collina del castello, di
cui il Didonato nel 1832 era divenuto procuratore,
succedendo al defunto fratello Vincenzo. Poiché la
chiesa era dotata di due oliveti sulla stessa collina confinanti con il
“fondo castello”, l’acquisto portò la famiglia Didonato
a divenire proprietaria di buona parte della collina. Rocco Didonato, nato nel 1799, fu un sacerdote molto attivo a
Solofra lungo tutto il secolo, fondando nel 1879 un Monte dei pegni per
sostenere i bisogni finanziari dei piccoli commerciati ed artigiani
solofrani. Morì alla fine del secolo. Nel 1911 il fondo fu intestato a Bartolomeo (1828-1911) fu
Michele per successione di Rocco, suo zio, quindi nel 1926 fu intestato ai
fratelli Giuseppe e Napoleone fu Bartolomeo e nel 1935 al solo Napoleone.
All’inizio di questo secolo il canonico Antonio Giliberti nel suo Pantheon Solophranum,
dove parla di uomini e cose solofrane, dice: “Su la
collina, che guarda di fronte il Duomo di S. Michele sorgeva un castello; e
ne ritiene il nome oggidì. L’antico fabbricato è quindi scomparso, essendo
stato trasformato con recenti addizioni in Casino; e parte in casa rurale”.
La trasformazione del castello in “Casino”, cioè al
servizio della caccia, è confermata da una fotografia dell’epoca. Comunque in quegli anni del secolo scorso si può porre il
suo abbandono e quindi la sua riduzione a rudere. Mentre ci rammarichiamo che Mimma De Maio |
L’intera storia
del castello in edizione computerizzata si trova presso il Centro Studi
di storia locale della Biblioteca Comunale di Solofra
e sul sito http://www.solofrastorica.it
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Altri articoli de “Il Campanile”
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Stanno procedendo
alacremente i lavori della Commissione di toponomastica per la nominazione delle strade della
nostra cittadina. Solofra ha subito sia a causa della ricostruzione che della sua
naturale evoluzione abitativa uno stravolgimento urbanistico di grande
significato. Moltissime sono le strade che non hanno nome, altre, a causa di un
lungo periodo di incuria, hanno una denominazione
impropria o errata.
Da una indagine fatta dall'Assessorato alla cultura della
Regione Campania sulle Biblioteche della regione risulta che in Campania c'è
una Biblioteca per ogni 3.625 abitanti e che