Da “Il Campanile”, 2004, XXXV, n. 3, p. 4

 

 

Ancora sul castello: che si possa giungere a farne

il centro di un parco

 

 

Si è fatto, in questi ultimi tempi, sempre più forte l'attenzione intorno al nostro castello, che non solo è studiato dall'Università di Salerno, ma ora è entrato anche nell'interesse di quella di Napoli ed è stato incluso nei beni architettonici della nostra cittadina da salvaguardare. Vale inoltre sottolineare che c'è stato chi, perché da sempre ha vissuto tra quei ruderi che conosce benissimo, ne ha costruito ben due modellini: uno ne riproduce le forme con la prima cortina muraria e l'altro lo rappresenta con l'intera cinta muraria. Per noi è stata una piacevole scoperta di come questo appassionato estimatore del castello  - parliamo di Vito D'Urso di S. Andrea  -  abbia potuto riprodurre esattamente la costruzione e la cinta muraria con le sue torri proprio come il disegno del 1739, di cui ci siamo interessati il mese scorso, ce le ha mostrate. Ebbene queste riproduzioni hanno suscitato l'attenzione dell'ingegnere e del professore dell'Università di Salerno, che hanno studiato il castello e che hanno potuto verificare la loro fedeltà a quelle che furono le sue reali forme compresa la torre pentagonale che guarda verso ovest.

Intanto a noi interessa qui soddisfare qualche curiosità storica su questa nostra struttura difensiva. Essa fu tra i beni feudali consegnati dalla nostra Universitas alla Ferrella-Orsini quando acquistò il feudo nel 1555 e che insieme all’oliveto circostante valeva 1000 ducati. Il maniero fu oggetto di due articoli degli Statuti concessi dalla nuova feudataria alla comunità solofrana all’atto dell’acquisto del feudo, nei quali ella si impegnò a non pretenderne dall’Universitas la custodia e a porvi persone adatte con adeguato salario, confermando il suo uso come carcere dove erano custoditi i colpevoli di gravi delitti. All’epoca il castello aveva perduto la sua funzione, e per tutto il periodo del dominio orsino continuò ad accogliere i carcerati e le truppe al servizio del territorio.

Gli Orsini usarono come un bene proprio il fondo rustico che nel 1735, fu concesso in enfiteusi perpetua a Gaetano Tura (figlio di Biagio e di Grazia Giliberti) per 20 ducati annui. Nel 1804, alla morte del Tura, il bene passò al fratello di costui Tommaso, quindi entrò a far parte della prebenda del primicerio Gennaro Tura.

Quando di lì a pochi anni il Meridione si liberò del sistema feudale e furono posti in vendita i beni feudali, gli Orsini non restituirono a Solofra né il castello né il suo oliveto nonostante la causa feudale, fatta dalla nostra Universitas contro il feudatario, che con sentenza n. 119 del 28 maggio del 1810 ingiunse loro “di restituire l’usurpato con i frutti percepiti”, cosa che non avvenne.

In questa occasione si ha l’ultima definizione dell’immobile come “castello”. Nel successivo catasto napoleonico i beni intorno al castello furono divisi in tre particelle: querceto, territorio sterile e vigneto. Nel 1831, poiché non erano state soddisfatte da parte del possessore dell'enfiteusi alcune annate alla casa di Gravina, questa ingiunse al Tura la restituzione del bene (12 marzo). Il Tura si rivolse a Rocco Didonato a cui vendette il dominio utile del fondo (23 maggio 1831). L’anno appresso il Didonato ne comprò il dominio diretto da Giacinto Orsini, figlio ed unico erede di Filippo Bernardo Orsini, attraverso il suo procuratore Giovan Vincenzo Maffei del Toro soprano.

In questa occasione si hanno tre descrizioni dell’ex-castello. La prima fu fatta nell’atto del notaio di Napoli, Giuseppe Talamo, il 14 aprile del 1832, dove Giacinto Orsini dava la procura a Giovan Vincenzo Maffei della vendita del “fondo rustico denominato castello con casamento antico semidistrutto”. La seconda citazione è nell’atto di acquisto da parte del Didonato stipulato a Solofra dal notaio Filippo Giliberti, il 23 maggio successivo, dove si parla di “rustico con antiche fabbriche semidirute inclusa una torre e cinto di siepi”. La terza descrizione fu fatta nella valutazione del fondo, il 12 giugno seguente, ad opera degli apprezzatori, Sabato Antonio Giannattasio e Domenico Maffei, che parlarono di “casato rurale composto di tre soprani e un sottano con adiacente aia di fabbrica e i rottami di altro diruto grandioso edificio”. Il 12 giugno del 1833 in un atto tra la famiglia Tura e il Didonato, in cui si regolarizzava una situazione debitoria, il bene fu così definito “fondo di 10 moggi a corpo e non a misura con casamento rurale di un soprano e di un sottano e adiacente aia di fabbrica e vetusto grandioso edificio diruto”. Tali definizioni rientrano nei profondi cambiamenti avvenuti con la fine del feudalesimo nel Regno di Napoli e con la devoluzione dei beni feudali che divennero beni privati.

Il castello, che si trovava in un fondo rustico usato come tale, divenne anch’esso immobile rustico e per motivi fondiari tese ad essere descritto in modo riduttivo, come sopra chiaramente si vede. Circa l’acquirente vale dire che il sacerdote Rocco Didonato era figlio di Giuseppe, appartenente alla famiglia proprietaria del jus di patronato della chiesa di S. Nicola alle scanate, posta sul lato sud della collina del castello, di cui il Didonato nel 1832 era divenuto procuratore, succedendo al defunto fratello Vincenzo. Poiché la chiesa era dotata di due oliveti sulla stessa collina confinanti con il “fondo castello”, l’acquisto portò la famiglia Didonato a divenire proprietaria di buona parte della collina. Rocco Didonato, nato nel 1799, fu un sacerdote molto attivo a Solofra lungo tutto il secolo, fondando nel 1879 un Monte dei pegni per sostenere i bisogni finanziari dei piccoli commerciati ed artigiani solofrani. Morì alla fine del secolo.

Nel 1911 il fondo fu intestato a Bartolomeo (1828-1911) fu Michele per successione di Rocco, suo zio, quindi nel 1926 fu intestato ai fratelli Giuseppe e Napoleone fu Bartolomeo e nel 1935 al solo Napoleone. All’inizio di questo secolo il canonico Antonio Giliberti nel suo Pantheon Solophranum, dove parla di uomini e cose solofrane, dice: “Su la collina, che guarda di fronte il Duomo di S. Michele sorgeva un castello; e ne ritiene il nome oggidì. L’antico fabbricato è quindi scomparso, essendo stato trasformato con recenti addizioni in Casino; e parte in casa rurale”. La trasformazione del castello in “Casino”, cioè al servizio della caccia, è confermata da una fotografia dell’epoca. Comunque in quegli anni del secolo scorso si può porre il suo abbandono e quindi la sua riduzione a rudere.

Mentre ci rammarichiamo che la Comunità solofrana non abbia avuto a suo tempo la sensibilità storica di acquisirne la struttura e proteggerla come testimone di un passato che è quello della stessa cittadina, da queste colonne facciamo vivi auspici affinché quello che resta del castello venga posto in sicurezza e possa fare da sfondo ad un luogo ameno meta di passeggiate e soste e che ognuno possa godere da questo luogo, non tra rovi e serpi, uno dei più bei panorami di Solofra.

Mimma De Maio

 

 

L’intera storia del castello in edizione computerizzata si trova presso il Centro Studi di storia locale della Biblioteca Comunale di Solofra e sul sito http://www.solofrastorica.it

 

 

 

 

 

 

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Stanno procedendo alacremente i lavori della Commissione di toponomastica per la nominazione delle strade della nostra cittadina. Solofra ha subito sia a causa della ricostruzione  che della sua naturale evoluzione abitativa uno stravolgimento urbanistico di grande significato. Moltissime sono le strade che non hanno nome, altre, a causa di un lungo periodo di incuria, hanno una denominazione impropria o errata. La Commissione ha quindi da svolgere un lavoro di ripulitura e sistemazione non indifferente e non più procrastinabile. Esso porterà ad una vera rivoluzione che, come tutti i cambiamenti, arrecherà qualche fastidio alla cittadinanza che sarà costretta a provvedere al cambio di indirizzo. Poiché però sarà una situazione generalizzata le strutture che dovranno acquisire tali cambiamenti faranno in modo a che il fastidio sia ridotto al minimo. La comunità deve comprendere che tale lavoro era necessario e che sarà estremamente utile. Basta considerare che se un strada aveva una volta una sua unità e quindi una nominazione per tutta la sua lunghezza, con l'apertura sul suo percorso di nuove strade e con la costituzione di quadrivi, essa ha perduto la sua precedente unità, di conseguenza la sua nominazione dovrà seguire questa sua nuova realtà per non incorrere in evidenti difficoltà. Comunque la nostra cittadina avrà nelle sue nuove denominazioni incisa una parte del suo passato, il ricordo dei suoi protagonisti e dei suoi eventi, di ciò che più le è caro, avrà valorizzati i suoi toponimi e le sue antiche denominazioni, un tesoro che sicuramente vale più del fastidio del cambio di un indirizzo e che la qualifica in modo positivo poiché la valorizzazione del passato dà un significato molto più profondo al presente ed è la punta di diamante per ogni futuro.

 

 

Da una indagine fatta dall'Assessorato alla cultura della Regione Campania sulle Biblioteche della regione risulta che in Campania c'è una Biblioteca per ogni 3.625 abitanti e che la Provincia di Avellino conta il numero più alto di Biblioteche: una per ogni 1701 residenti con 1,33 volumi per cittadino. La provincia di Avellino quindi non è una maglia nera nel settore e a far fede all'indagine c'è la bella realtà della nostra Biblioteca comunale che ha oltre 8000 volumi catalogati per autore e per argomento, una frequenza non indifferente con 5000 lettori l'anno, 2500 consultazioni in sede e 1500 prestiti. Da qualche anno ha avuto congrui finanziamenti che sono un riconoscimento della sua realtà e della sua attività e che hanno permesso di dotarsi di attrezzature e libri che hanno significato un suo ulteriore potenziamento. A questi libri si aggiungono le frequenti donazioni che mostrano una popolazione culturalmente disponibile ed aperta. Quest'anno il Centro studi di storia locale, istituito dalla professoressa Mimma De Maio all'atto della sua nomina a Direttrice della Biblioteca, che già è ricco di tutti i documenti raccolti dalla studiosa e che si avvale del sito web di storia locale solofrastorica.it, ha avuto assegnato dalla Regione Campania un'importante cifra per l'acquisto di suppellettili ed attrezzature, il che significa un riconoscimento del valore del Centro e della struttura che lo accoglie e gli permetterà di qualificarsi ulteriormente.