Articolo su “Il Campanile”, 2008, XXXIX, n. 7, p. 4.
La chiesa e la
festa di Santa Maria della Castelluccia a Solofra
La chiesa di
Santa Maria della Castelluccia è il più
interessante dei centri mariani solofrani, sia per il significato del luogo,
sia per l’antichità ed la valenza della festa. Lo sperone
roccioso su cui sorge la chiesa è il punto più antico di Solofra, infatti fu usato dai suoi primi abitanti come punto di
controllo sulla strada del passo di Taverna-Castelluccia,
quando il vallone
dei granci era percorso dalla via di
passaggio dalla valle del Sabato alla pianura montorese.
E continuò ad esserlo per tutto il periodo romano
fino all’epoca longobarda, sempre con la stessa funzione di controllo della via antiqua di S.
Agata. Anche la festa che si celebra nella chiesa è piena di
significati, poiché il culto alla Madonna
del 15 agosto, come si chiamava una volta quello dell’Assunta, si impiantò nella nostra zona dopo il quello a S. Agata e
prima di quello a S. Michele. Furono infatti
i Bizantini di Salerno a diffondere nel V secolo dopo Cristo nelle terre da
loro controllate questo specifico il culto, poiché l’imperatore Maurizio,
dopo il Concilio di Efeso (431), ne aveva imposto la festa in tutto l’impero.
Questo culto
fu il primo ad essere celebrato nella chiesa solofrana, la
Pieve, dedicata proprio alla Madonna
del 15 agosto, prima di essere dedicata anche al Santo Angelo, come allora veniva chiamato l’Arcangelo Michele. Il
nostro più importante documento, quello che descrive questa chiesa, è molto
esplicito nel citare la “festa del 15 agosto”, che si celebrava nella chiesa
a conclusione del ciclo liturgico annuale, quando era posta anche una
scadenza tributaria di una parte degli oboli annuali che la comunità
solofrana doveva versare alla chiesa di Salerno, da cui la pieve dipendeva. Col tempo il
culto si trasferì sul posto più antico e più significativo
di Solofra, lo sperone roccioso del monte San Marco, dal quale si controllava
l’intero seno vallivo, la strettoia di chiusa e le colline di Montoro. Qui la
festa prese gradatamente le dimensioni di un incontro popolare, di una festa
in campagna e durante i secoli si arricchì di nuovi significati, accogliendo
anche altre tradizioni, tutte legate alla Santa
Vergine. Significativa fu l’abitudine di
porre sui davanzali delle finestre, o in posti di preminenza in tutta la
vallata, la sera prima della festa, delle candele accese per accompagnare la
salita della Vergine al cielo. A questa si aggiunse la pratica, durata fino
ai giorni nostri, delle “cento croci e cento
avemarie” che nel giorno della festa, annunciata dal suono della campana di
San Michele, univa i solofrani nelle case, nei cortili, nei giardini, dove si
formavano gruppi di preghiera. L’Ave Maria e il segno cristiano erano
accompagnati, per cento volte, da una giaculatoria, in cui si
intimava il demonio (la “brutta bestia”) di “andare via” e si pregava La festa era
annunziata fin dai giorni precedenti dalla “Banda della Castelluccia”,
che girava per le vie del paese quasi ad invitare al pellegrinaggio sul
poggio roccioso. Infatti non pochi erano coloro - soprattutto i giovani, ma anche intere
famiglie - che fin dal giorno
precedente raggiungevano Un posto
centrale aveva Era questo
il ferragosto solofrano, a cui difficilmente si rinunciava, tanto che esso
segnava la fine dell’estate e dava inizio alla preparazione dei lavori
autunnali delle marmellate, delle conserve e dell’essicazione
degli alimenti per l’inverno. Le
suggestioni di questa festa si colgono tutte nei versi del poeta solofrano,
il canonico primicerio Carmine Troisi, che in tre sonetti ha descritto questa
tradizione solofrana, che è rimasta viva fino a buona parte del secolo
scorso, per poi perdersi o cambiare aspetto nelle feste di oggi.
E non pochi sono i solofrani, partiti per le lontane
terre della speranza, a ricordare ancora oggi questa tradizione che coinvolgeva
tutta Solofra. L’edificio
sacro, che nel dopo terremoto ha subito una buona
ristrutturazione e che ha sempre conservato forme semplici ed essenziali, fu
voluto all’inizio del XVI secolo dal feudatario di Serino a cui apparteneva la
zona, fu successivamente dotato dai Principi Caracciolo
di Avellino, feudatari di Serino e quindi del casale di S. Agata di sotto, ma
anche dagli Orsini, poiché il centro religioso, trovandosi in un territorio
di confine cadeva, come spesso succedeva a quei tempi, nelle pertinenze dei
due feudi, di Serino e di Solofra. In questo periodo aveva anche un locale
che accoglieva il sacerdote responsabile. Fu poi “grancia”
del monastero di S. Agostino e quando, all’inizio dell’Ottocento durante il
cosiddetto “decennio francese”, il monastero fu soppresso, la chiesa perdette
i beni e l’edificio fu assegnato alla parrocchia di S. Agata. Continuò però
ad essere punto di riferimento diretto anche degli abitanti dell’altro
casale, S. Andrea, che spesso hanno condiviso
interessi comuni. Per concludere vale sottolineare che il luogo è ben conservato
ed è ancora utilizzato da scampagnate locali, ma anche oggetto di visite
scolastiche. Noi ci auguriamo che venga introdotto
in un percorso storico-naturalistico-religioso, che
possa unire in modo integrato e coerente altri luoghi solofrani e costituire
per il nostro paese uno spazio turistico diverso da quelli solitamente
praticati. Mimma De
Maio |
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