La
questione della grafia del cognome: Guarini
e non Guarino
Il
problema della terminazione del cognome dell’artista solofrano nasce dal
fatto che nel secolo in cui egli visse il cognome non veniva
ancora usato come elemento distintivo di una persona o di una famiglia e non
aveva ancora la valenza di oggi, infatti nei documenti dell’epoca si
riscontrano varie forme cognominali anche riferite
ad una stessa persona. Succedeva
perciò che una persona ne acquisisse una forma per
distinguersi da altre della stessa famiglia. Ciò accadde al Guarini di
Solofra la cui arte lo portava sempre più lontano dal manierismo della
bottega paterna. Egli, che nel piccolo casale, dove aveva mosso i primi
passi, era detto volgarmente “Ciccio Guarino”, come riferisce
nel 1720 il notaio Bonaventura Grassi, volle creare una distinzione da quell’appellativo popolano e scelse la forma
latineggiante “Guarini” con la quale si firmò in calce alla lettera di dedica
a Ferdinando Orsini, lettera pubblicata dal drammaturgo solofrano Honofrio Giliberti in Il
vinto inferno da Maria (Trani, 1644). È
questo il documento più diretto che esprime esattamente il pensiero
dell’artista. Il volere usare la forma volgare del cognome, quale questo si
definì in seguito, e cioè Guarino, significa non
cogliere la definizione dell’artista nel momento in cui egli visse e
significa fare una palese forzatura. Né vale rifarsi ai documenti dell’epoca,
che proprio per la loro poca valenza in merito presentano
ora l’una ora l’altra forma. Inoltre
il fatto che il parroco sull’atto di nascita del Guarini, successivamente
e con inchiostro diverso, abbia aggiunto una s finale alla forma Guarini,
come chiaramente si nota sul documento, dimostra che la questione del cognome
fu posta fin dall’inizio. Vale
anche dire che fino a tempi recenti parlando del
Guarini si è sempre usata la forma con la i
finale e che solo una superficiale interpretazione della questione ha fatto
optare per la forma scorretta. La questione del cognome del nostro più importante cittadino è una
questione di lectio facilior in
cui sono caduti coloro che optano per la forma
scorretta. (da
“Il Campanile”, 2002, n. 2, p. 4) |
|
Altri articoli sul “Campanile”
|