Tutti sappiamo che in Italia il primo Stato a costruire una
ferrovia fu il Regno delle Due Sicilie col tratto Napoli-Portici (1839), seguì la Milano-Monza
(1840), ancora un tronco meridionale nel 1844, la Napoli-Capua,
poi altri tronchi in Toscana (Pisa-Livorno), nel
Veneto (Padova–Venezia), in Piemonte (Torino–Moncalieri), nel Lazio (Roma-Frascati).
Senza dubbio prima dell’Unità la ferrovia incontrò
difficoltà a svilupparsi in Italia proprio perché era un elemento di
unificazione, inoltre ostacoli oggettivi erano dati dalle molte frontiere che
attraversavano la penisola e dalla diversità dei sistemi di costruzione che
non rendevano omogenea la rete. Vale anche dire che
nel Meridione la ferrovia fu considerata un mezzo per collegare le varie
residenze reali - Napoli, Portici e
Caserta - con le località che
accoglievano le guarnigioni di truppe
- Nocera, Capua -
e non un mezzo per lo sviluppo dei traffici come fu invece per altre regioni,
specie quelle coinvolte nel fervore che precedette la guerra d’indipendenza
del 1859.
Solo con
l’Unità cominciò a prender corpo un sistema ferroviario italiano, che, comunque all’inizio non ebbe un impianto razionale per la
diversa capacità costruttiva delle società appaltatrici, per la mancanza di
coordinamento, e per le difficoltà finanziarie incontrate da tali società,
per cui i lavori andarono avanti con molta lentezza e vari fallimenti. Lo
Stato dovette intervenire con apposite leggi e con
la creazioni di cinque società a partecipazione statale.
In questo
scenario si colloca la costruzione del tratto San Severino-Avellino,
via Solofra-Serino. Va detto subito che questa
strada era vitale per l’Irpinia e per la stessa Avellino. La città, che fino alla vigilia
dell’Unità era un importante centro sulla via di comunicazione tra il
Napoletano e la Puglia
tanto da essere considerata l’emporio di questa regione, era rimasta tagliata
fuori dalla nuova grande arteria commerciale Napoli-Foggia, via Benevento. Ecco perché la prima parte
di questo tratto, fino alla Laura di Montoro, fu
subito realizzata – l’inaugurazione
avvenne nel 1862 -, poi iniziò un lungo periodo di stasi dovuto a difficoltà
economiche della Società Romana, a cui erano stati affidati i lavori. Questa,
avendo capitali francesi, fu coinvolta nella crisi politica postunitaria che vide incrinati i rapporti tra lo Stato
italiano e quello d’oltralpe. Ci furono però anche problemi legati alla
realizzazione del tracciato, specie per i vari trafori necessari, tra cui quello
di Turci, e persino la questione della collocazione
della Stazione di Avellino, che, per necessità del collegamento con
Benevento, rischiava di trovarsi troppo lontana dal capoluogo.
Queste
difficoltà dettero inizio ad una serie di discussioni e studi durante i quali
si prese in considerazione anche il fatto che la
ferrovia potesse prendere un’altra strada più breve non passando per
Solofra - si sarebbero evitati 9 chilometri - ma deviando all’altezza di Banzano. Si disse che sia
Solofra che Serino con brevi raccordi stradali avrebbero potuto raggiungere
la linea ipotizzata (Banzanello-Contrada-Bellizzi).
Naturalmente la deviazione fu fortemente osteggiata sia da Serino che da Solofra, che vedeva in ciò un grave danno alle già
precarie condizioni del suo commercio.
Si giunse
ad una nuova convenzione con la
Società, che, per nostra fortuna, salvaguardò il passaggio
per Solofra e che stabilì anche la data di ultimazione
dei lavori, cioè entro il 1873. La
Società si impegnava a realizzare
“un nuovo tracciato più economico impiegando nuovi sistemi di trazione più
idonei per superare le forti pendenze”, se ne stabilirono altresì i fondi,
parte dei quali sarebbero venuti dall’intervento dello Stato. Le cose
tuttavia andarono a rilento, tanto che solo a metà del 1871 fu presentato il
progetto definitivo. Diverse furono le motivazioni addotte dalla Società
Romana, tra cui quella dell’ingaggio di “un ingegnere che aveva operato al
Moncenisio per il traforo del Frejus per dirigere i
lavori delle gallerie” e il problema, non ancora risolto, della Stazione di Avellino. Anche lo Stato fu mancante
poiché ancora a fine dello stesso 1871 non aveva posto in bilancio
l’intervento economico.
Era chiaro
che ormai la data di scadenza non si sarebbe potuta rispettare se solo la
galleria di Turci richiedeva 3 anni di lavoro,
mentre la Società,
non potendo mantenere gli impegni, creava non pochi intralci per ritardarne
il completamento. Certo i lavori non erano facili da realizzarsi, tanto che
il tratto si configurava nell’insieme come una “vera opera d’arte”. Si
richiedeva infatti, sui 35 km dell’intero tratto,
la costruzione di molte opere d’arte tra cui vari trafori per un totale di 4500 metri - la galleria di Turci era di 2400 metri -, c’era
poi l’importante viadotto tra S. Agata e Solofra, detto “di S. Michele”.
Inoltre il traforo di Turci subito si mostrò di non facile realizzazione
per le molte risorgive d’acqua. Non secondario fu il problema economico poiché dei 6 milioni necessari il governo aveva
previsto uno stanziamento di 600 mila lire l’anno, il che avrebbe comportato
un ritardo di 10 anni.
Ormai la
costruzione di questo tratto di ferrovia era diventata la “questione
ferroviaria irpina”, dibattuta da più parti - i vari Comuni
interessati, l’Amministrazione provinciale, la Camera di Commercio,
Associazioni economiche e sociali - e
su più fronti. Tutta la problematica fu sostenuta a Roma dall’onorevole Brescia-Morra che ottenne l’intervento di un ispettore
ministeriale per risolvere l’inchiesta in corso sulle condizioni della
società appaltatrice.
Negli anni
successivi se fu risolta la questione dell’ubicazione della Stazione di Avellino, si andò a rilento con i finanziamenti tanto
che i 200 operai addetti al traforo scesero in sciopero - siamo nel dicembre del 1873 - perché non pagati. Ciò creò un grave danno
ai paesi che ospitavano gli operai - Solofra ne ebbe la maggioranza
- perché gli operai avevano fatto dei
debiti che rischiarono di non essere pagati.
Intanto
alla Provincia il solofrano Giuseppe Maffei, Consigliere di Corte d’Appello,
eletto componente della Commissione per le opere
pubbliche, ottenne per Solofra un’ampia ristrutturazione viaria in vista
della nuova realtà ferroviaria. Si ebbe perciò la sistemazione della strada
che conduceva dal centro all’ex Monastero di S. Domenico e di quella che da
Turci portava alla stazione ferroviaria, altre
strade divennero provinciali: la strada S. Michele-Ferrovia
(la Villa), la S. Agata-Banzano,
la S. Agata-ferrovia, la Consolazione-S.
Agata. Questa ristrutturazione fece sorgere il problema del
necessario allargamento di alcune strade all’interno
del paese, il che comportò la distruzione dell’antichissima chiesa di S.
Agostino contro la quale il Maffei si batté inutilmente.
Con la
presenza del Maffei alla Provincia e con sei anni di ritardo, nel 1879, si
ebbe l’inaugurazione del tronco ferroviario, circa la quale rimandiamo ai documenti pubblicati nelle pagine web del
sito solofrastorica.it per coglierne l’atmosfera.
Ci
preme qui, per concludere, citare la brillante
soluzione adottata nella sistemazione del controllo delle acque nel vallone Vellizzano con un ponte canale che è un’opera unica nel
suo genere; e dare alcune informazioni sugli addetti alla costruzione del
tronco ferroviario. Ci vollero maestranze specializzate che venivano da
analoghe esperienze costruttive. Molti furono “minatori”, la
maggior parte definiti genericamente “addetti ai lavori del tronco
ferroviario”, oppure “lavorieri”, o anche
“deviatori delle ferrovie”, ma ci furono anche “artigiani” e “impiegati”,
mentre il “dirigente” era di Trieste. Tre furono gli ingegneri, due toscani
ed uno romagnolo. I luoghi di provenienza di tutta questa gente nella
maggioranza furono quelli dove operava la Società Romana e cioè l’Italia centrale. Abbiamo quindi persone che vennero
dalla Toscana, dalle Marche, dall’Umbria, dall’Abruzzo, dalla Repubblica di
San Marino, dal Lazio, ma anche dal Piemonte e dal Trentino, pochi erano del napoletano e dell’Irpinia,
qualcuno del Sannio. Tutti costoro abitarono a Solofra con le loro famiglie, qui però formarono anche
nuove famiglie sposando donne solofrane. L’archivio comunale
ci ha permesso di contarne ben novanta con nati – 150 bambini - morti, matrimoni, dal 1874 fino al 1880,
quando, terminati i lavori, molti ritornarono nei luoghi di origine, alcuni
si trasferirono in altri posti: a Tufo a lavorare in quelle miniere, a
Napoli, o negli Usa e in Argentina, ma ci furono anche persone che si
fermarono a Solofra, con l’intera famiglia, per un tempo più lungo.
Dagli anni ottanta si registra l’arrivo di individui impiegati nella Stazione ferroviaria tra cui
il Capostazione Torquato Marroncini di Livorno,
Pietrantonio e Tommaso Campanella di Napoli, quest’ultimo
ricordato da “Le Rane” per essere venuto in diverbio con la popolazione in
occasione del passaggio del re per Solofra. Vale infine citare il “dipendente
delle ferrovie” Alessio Lucidi proveniente da Lugnano
di Perugia che sposò nel 1886 una solofrana dando
origine alla famiglia locale. Infine non va dimenticata la manodopera
solofrana che lavorò alla galleria. Da quest’ultima
ci è venuta l’informazione più interessante, infatti
i figli di queste persone ci hanno raccontato della costruzione della torre
su Turci che servì come mezzo di comunicazione mentre si procedeva al traforo
dalle due parti quando non ancora era diffuso il telefono né c’era la radio.
Mimma De
Maio
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