Solofra ricorda
Padre Floro Di
Zenzo, un doveroso ricordo
Dantista e
professore all’Università di Salerno
Nella primavera di venti anni fa
moriva a Serino, dove era nato, Salvatore Floro Di Zenzo,
monaco francescano, poeta, studioso di letteratura, docente all’Università di
Salerno. Noi lo ricordiamo come grande conoscitore
di Dante, perchè in questa qualità negli anni ottanta diresse Ma non fu questo il solo caso,
perchè si può dire che le letture dantesche solofrane
ebbero, per merito dello studioso serinese,
l’impronta di un fatto eccezionale. In altri incontri il Di Zenzo annunziò l’interpretazione di due oscuri versi
dell’Inferno, quelli della invettiva di Pluto del canto VII e le parole dì Nembrot
del canto XXXI, interpretazioni che causarono un grande interesse, suscitando
non poche discussioni e una forte eco tra gli studiosi, perché - Padre Floro aveva l’autorità per poterlo
fare - “mettevano in ginocchio tutta
la critica dantesca di secoli” e "scomodavano parecchi santuari del
dantismo". Se questi furono gli eventi più
movimentati non fu meno importante tutta
l’innovativa impostazione che il monaco serinese
dette alla lettura della Divina Commedia. Egli diceva
che la via più corretta per capire l’opera di un autore è quella di far
parlare l’autore stesso. Perciò per comprendere quale fosse
il vero significato della Divina Commedia bisognava rivolgersi a Dante.
Orbene il poeta fiorentino, parlando della sua opera, la chiama “lo sacrato poema” (XXIII Paradiso). Partendo
da questa definizione, Padre Floro faceva osservare, che nel Medioevo i libri
“sacrati” erano quelli messianici, quelli delle grandi profezie, i libri che
contenevano qualcosa da rilevare. Se Dante definisce la sua opera “sacrato poema”, concludeva Padre Floro, significa che egli
vi dava il valore di un messaggio di salvezza, che si rivela attraverso il
cammino verso Dio. Il viaggio attraverso i tre regni
dell’oltretomba, precisava lo studioso, avveniva attraverso un lungo
itinerario che comprendeva un primo momento, quello della caduta, dell’andare
verso la morte che è configurato nell’Inferno, dove
l’uomo perde gradatamente le caratteristiche proprie a causa del peccato, che
lo deforma dal di dentro fino a giungere al ghiaccio della Caina, l’ultimo girone, che rappresenta la non vita. C’è
poi il secondo momento, quello dell’attesa, e siamo al Purgatorio, in cui la
morte dell’anima viene vinta dalla graduale conquista
dello spirito umano che diventa sempre più capace di vita (faceva osservare
il Di Zenzo come questo momento fosse scandito da
significative presenze femminili, indici di vita). Infine c’è il terzo momento
quello della pienezza, della conquista del sacro ed abbiamo il Paradiso. Questa interpretazione dava alla
Divina Commedia il valore di “un’epifania dello spirito” che può innalzarsi sulla scala dei valori riuscendo a
sublimare le forze della materia fino a cogliere il sacro, che è “godimento
intellettuale, luce ineffabile, in cui si svela anche il mistero di Cristo”.
È proprio per questo significato “pieno, universale, che comprende l’uomo
tutto intero e vale per tutti gli uomini che A conferma Padre Floro citava il filosofo
tedesco Erich Fromm che
della Commedia dice “è un’universale historia salutis mundi
rapportata ad altissimi livelli di dettato linguistico, un miracolo di
letteratura, un libro sempre giovane, sempre nuovo, sempre attuale” e
aggiungeva “siamo noi che siamo diventati vecchi, spiritualmente vecchi”. Mimma De Maio |
Da “Il Campanile”, 2008 (XXXIX, n. 6, p. 4)
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