Quando
l’emigrazione diventa occasione di progresso
Il caso di Eugenio Gagliardi
Da S. Agata a
Filadelfia
Non pochi sono i casi di nostri concittadini che si
sono fatti strada lungo le vie dell’emigrazione. Nel
seguire questi percorsi ci siamo imbattuti nella figura di un solofrano, che
lasciò la nostra cittadina negli anni della massiccia emigrazione seguita
agli scioperi del 1920-1921, quando le difficoltà di una vita grama si
univano a quelle di far sentire la propria voce. Per molti
quella dell’emigrazione sembrò l’unica via di scampo. Non tutti in
quei tempi però partirono con l’idea di restare, per tanti la prospettiva di
un ritorno in patria fu il sostegno, che rese meno crudo il distacco dagli
affetti della terra natia. Eugenio Gagliardi fu uno
dei questi emigranti. Ebbe però la fortuna di andare negli Stati Uniti ed
ebbe la ventura di fare sua la mentalità che sta
alla base del successo americano. La sua vicenda costituisce, senza dubbio,
un modello e fornisce diversi spunti di riflessione. Del nuovo paese seppe
cogliere tutte le opportunità, ma queste danno i
frutti solo se colui che le segue trova qualcosa di suo in quel
comportamento. Sicuramente la tempra del nostro concittadino era in sintonia
con ciò che si chiama il “modello americano”, certo è che alla base del
successo economico di Eugenio Gagliardi, c’è un
certo modo di concepire il lavoro, una certa maniera di mettere in atto
l’impegno lavorativo, un certo rigore mentale e comportamentale, una rudezza
ed essenzialità del vivere che non conosce remore, che non dà spazio a
rilassamenti. In poche parole per il nostro concittadino l’essere
americano, che non indulge sul lavoro e lo mette al centro della propria
giornata, era molto simile al duro impegno che aveva conosciuto a S. Agata,
quando dietro il padre, casellante al passaggio a livello di via Cortine, si
alzava presto, ancora col buio, per trovarsi al suo posto al passaggio del
primo treno, o quando lo aiutava a governare le bestie della piccola stalla
di famiglia lungo la strada ferrata prima di recarsi a scuola, e poi dopo
ancora col padre “a volte fino a notte inoltrata”. Tutto ciò permise a questo
solofrano, che era giunto in quel paese con solo 20 dollari in tasca e che
aveva iniziato come operaio in una fabbrica di alluminio
dove lavorava “dalle 50 alle 100 ore la settimana per 50 centesimi l’ora”, di
mettere in atto un certo modo di fare sostenuto da intraprendenza, qualità
che non è solo americana. Eccolo allora non accontentarsi
di un lavoro anonimo e senza prospettive, perché non corroborato dal
contributo personale. Eccolo aprire a Filadelfia una macelleria e ben
presto trasformarla in una vera industria americana. Certamente portò in questa scelta il ricordo dell’attività svolta insieme al
padre, che, per integrare il sostegno alla sua numerosa famiglia, di tanto
intanto macellava uno degli animali della sua stalla o degli
allevatori della zona. Era questo un rito tutto santagatino,
che aveva segnato l’animo di Eugenio. L’uccisione
dell’animale sotto l’albero al centro della piazza, protetta dalla chiesa,
era un evento importante per il piccolo insediamento. Aveva il potere di
richiamare gente dai campi e somigliava ad un rito sacrificale, un contributo
ai giorni di festa, che dovevano, con un cibo più
sostanzioso, essere particolari. A Filadelfia dunque Eugenio adattò alle
opportunità del nuovo ambiente l’esperienza del suo paese. Eccolo
però andare oltre, non limitarsi solo a vendere la carne nel piccolo negozio,
ma lavorarla in uno spazio dietro la bottega, confezionando “bistecchine hamburghese” che vendeva ai ristoranti. Fu
l’inizio di un tragitto in crescendo, percorso col contributo dei suoi tre
giovani figli, che seppero integrare le virtù del padre con le peculiarità
americane. Il più giovane di essi giunse persino
all’invenzione di un cibo particolare, gli “Streak-umms”,
che si trasformarono in un grande affare. Era questo uno speciale tipo di
carne, lavorata molto finemente e congelata, per essere poi usata nei panini
per una delle attività americane più diffuse. Quest’ultimo
prodotto fu la fortuna della Ditta Fratelli Gagliardi, quella fortuna che sostiene chi sa guardare in avanti e cogliere i segni dei
tempi - gli audaci si dice - e quelli che prendono sul serio il lavoro
considerandolo qualcosa di sacro. Mimma De Maio |
Da Il Campanile 2007 (XXXVIII, n. 7, p. 4)
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