Continua il recupero di strati di storia solofrana

 

 Giovanni Battista Vigilante, intagliatore a Napoli

 

Lavorò nella Bottega di Benvenuto Tortelli a Napoli e a Palermo

 

 

Un interessante documento dei lavori svolti alla fine del Cinquecento nella chiesa di Santa Maria Donnaromita di Napoli descrive il cantiere esistente nella chiesa per l’esecuzione degli intagli in legno. Era stato aperto nel 1586 e restò in attività per ben tre anni. Il documento parla della “soffitta ad timpiatura, organi et travo col crocifisso”, un lavoro ampio che spiega il così lungo tempo impiegato per i lavori. Il solo cassettonato, articolato in un succedersi di riquadri grandi e più piccoli, è un’opera molto complessa. Ebbene in questo cantiere, permesso da un cospicuo finanziamento, c’era un solofrano, che abbiamo citato di sfuggita in uno dei nostri ultimi interventi su questo giornale, Giovanni Battista Vigilante. Era un intagliatore che lavorò nella chiesa napoletana insieme ad un altro collega, Nunzio Ferraro. I due ricevettero per il lavoro prestato ben 439 ducati, a cui si aggiunsero altri 356 per l’acquisto delle tavole di “chiuppo” e quelle de “teglie”, il pioppo e il tiglio, materiali particolarmente adatti, per la loro morbidezza, all’intaglio. Il documento ci dice anche che il compenso dato ai due artisti era molto più alto rispetto agli altri artisti impegnati nell’opera, specie ai pittori, e che era un compenso che si manteneva sullo stesso livello dei doratori. E ciò è una conferma, come altri nostri studi ci dicono, che le due attività parallele  - l’intaglio del legno e la sua doratura -  erano unite non solo nell’attività ma anche nel valore economico.

Insieme ai due lavorarono in quel cantiere altri intagliatori e doratori che sarebbe interessante conoscere per delineare l’ampio tessuto che esisteva a Napoli dietro le opere che hanno impreziosito le ricche chiese napoletane. Sappiamo dai pochi studi napoletani fatti sull’argomento che il Vigilante faceva parte della bottega di Benvenuto Tortelli, che fu presente nella Napoli nella seconda metà del Cinquecento fino ai primi anni del Seicento, che spesso lavorò in coppia col Ferraro. Li troviamo infatti entrambi nel 1588, una volta chiuso questo cantiere, impegnati nell’intaglio degli armadi della sacrestia della Certosa di San Martino. Anche questo fu un lavoro impegnativo e complesso, improntato ad un “esuberante classicismo tardo manierista” che venne eseguito insieme ad artisti fiamminghi (Lorenzo Ducha, Teodoro de Vogel ed Enrico da Utrecht). Sappiamo anche che il Vigilante operò in altre chiese, che lavorò con il disegnatore Giovanni Andrea Magliulo, un artista poliedrico molto presente nella Napoli di fine secolo. Ancora con lo stesso Ferraro fu a Palermo per decorare di intagli il Coro di San Martino delle Scale, e che fu anche ad Aversa. Il Nostro faceva parte dunque di un consistente sodalizio tra artisti di arti parallele  - pittura, intarsio, doratura -  che non si formava solo in occasione dei lavori ma che era più consolidato ed ampio perchè richiesto dalla complessa organizzazione dei lavori. Apparteneva ad un ambiente in cui lo stretto rapporto con pittori e naturalmente con i doratori rendeva bene il concetto di “bottega”, cioè di un punto di riferimento vitale e reso vivo da una pletora di persone  - squadratori, maestri d’ascia, e poi garzoni, famuli, trasportatori, operai generici  - che ruotavano intorno alle commissioni così frequenti nella Napoli post-tridentina. Se consideriamo che i Vigilante avevano a Napoli una bottega di battiloro tenuta da Giustiniano e poi da Troiano, che Giovanni Battista fu della Bottega del Tortelli e che il Magliulo lavorò nella bottega di Bernardo Lama vediamo chiarirci un tratto di questo denso sottofondo a cui abbiamo appena accennato e che gli studi su questi artisti fanno intravedere.

Qui più che sottolineare il fatto di aver recuperato la patria ad un artista chiamato genericamente “napoletano”, bisogna dire che molti si  consideravano tali, perchè lavoravano e vivevano in questa città, che ciò avveniva per tutti coloro che provenivano dal suburbio, cioè da quella ampia provincia che gravitava sulla grande città e che intanto si depauperava. Si possono intendere bene le convenienze di questo fatto e si possono anche comprendere perchè gli studiosi sono così poco attenti alle vere origini dei cosiddetti “napoletani”. Per il fatto cioè che per un lungo periodo è stato poco onorevole interessarsi di storia locale, considerando, falsamente, che lo storico deve solo interessarsi della storia dei grandi luoghi. Tutto questo ha determinato molte storture che sono state corrette solo quando anche la storia locale ha avuto il suo ruolo nel racconto dei fatti umani. Il nostro Vigilante è stato anche sfortunato poiché un refuso ha determinato la errata grafia del nome nella forma “Vegliante” che si è diffuso  - “i libri si parlano tra loro” dice Umberto Eco -  per opera di coloro che troppo superficialmente trattano certi argomenti non attingendo al documento.

Intanto chi è questo Giovanni Battista Vigilante? La ricostruzione della famiglia solofrana non ci permette di individuare con precisione la famiglia non per mancanza, ma per troppa abbondanza. Questo nome è infatti così diffuso nella famiglia solofrana che praticamente ogni suo ramo aveva un Giovanni Battista. Stiamo parlando della metà del XVI secolo quando la ricostruzione dei nuclei familiari non può essere fatta attingendo agli archivi parrocchiali, che si sono formati, e inizialmente in modo molto approssimativo, solo alla fine del secolo. Considerando gli stetti rapporti che l’intero ceppo ebbe con Napoli e considerando le strette alleanze parentali, che si creavano all’interno di uno stesso ceppo che praticamente diventava un unicum familiare, possiamo dire che tale individuazione è praticamente impossibile. I Vigilante ebbero inoltre una caratteristica precipua e cioè quella di restare uniti anche quando si formò il casale della Fratta come espansione del più antico insediamento del Toro proprio intorno alla loro famiglia. Si individua al loro interno un tentativo di distinzione quando si chiama “Petrillo” il ramo che fa capo a Pietro, o sono chiamati “gli Andriani” coloro che avevano come avo Andrea detto Andriano, ma poi si trova che molte altre famiglie hanno persone che si chiamano Pietro o Andriano. Possiamo dire che il nostro Giovanni Battista, intagliatore, non è il Giovanni Battista finanziatore del governo della città di cui ci siamo occupati nel precedente articolo, che c’è un priore di S. Agostino, Graziano, detto in diversi documenti sia “solofrano” che “napoletano”, che nello stesso periodo (1589) c’è un Giuliano che ha rapporti finanziari con l’Ospedale “della Nunziata di Napoli”. Infine possiamo affermare, sempre riferendoci al secolo interessato, che tutti i Vigilante esistenti a Napoli in questo periodo sono di origine solofrana.

Mimma De Maio

 

Da “Il Campanile”, 2009, XL, n. 5, p. 4.

 

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