Da “Il Campanile”. Notiziario di Solofra.
Francesco Guarini, figlio di Giulia Vigilante
Quello che non ancora si è detto su Francesco Guarini
In uno dei
nostri interventi abbiamo sottolineato la presenza
importante della famiglia Vigilante nella gestione della Collegiata. In
verità questa famiglia fu presente in modo costante ed incisivo per oltre tre
secoli in tutta la vita socio-economico solofrana, oltre che in quella ecclesiale –
non si dimentichi Costantino Vigilante nel XVIII secolo - che non era avulsa dalla vita economica. La valenza
di questa famiglia emerge in modo chiaro col progredire dei nostri studi
sulle famiglie solofrane. Essi hanno permesso di trovare e ricostruire un
importante collegamento, con la famiglia di Francesco Guarini, la cui madre,
Giulia Vigilante, era figlia di Scipione del ramo del
Toro. Questo ramo, più antico e non meno importante di quello della Fratta, a
cui era strettamente legato, aveva seguito la parabola evolutiva delle più importanti
famiglie solofrane: era sbarcato a Napoli, dove aveva preso residenza, il che
aveva permesso di godere favorevoli privilegi sul commercio dei prodotti
solofrani e di essere nel gruppo che aveva favorito l’introduzione del
battiloro a Solofra, appunto dalla capitale del Regno. Al ramo di
Giulia apparteneva il primicerio Cosma Vigilante, che era subentrato a Cosma
Guarino detto Ronca -
lo stesso fratello di Giulia, Michelangelo, era sacerdote - , appartenevano i
battiloro del Toro, appartenevano i procuratori della “fabbrica di S.
Angelo”, tra questi Arcangelo, zio di Giulia, che guidavano la costruzione
del tempio, stipulavano i contratti con gli artisti qui impegnati e ne
seguivano i lavori, gestivano insomma l’importante “affare della Collegiata”. Intorno a
questo “affare” fu siglato il matrimonio tra Giovanni Tommaso Guarini e
Giulia Vigilante che porterà ad importanti
conseguenze per l’attività di Tommaso e alla creazione della sua bottega, di
cui diremo più approfonditamente in un altro nostro intervento. Qui ci preme sottolineare il valore di questo legame per Francesco,
figlio cadetto di Tommaso, che non fu solo figlio d’arte, ma che godette di
un ambiente familiare favorevole. Proprio
perché apparteneva alla famiglia di Giulia, Francesco potette vivere senza
difficoltà nella residenza napoletana dei Vigilante
e godere gli agi che la ricchezza della famiglia gli permetteva. Potette
frequentare la scuola di pittura napoletana, alimentarsi all’arte del Caravaggio che dominava nelle botteghe del tempo, subire
il fascino di un ambiente ricco di stimoli. Ma c’è
di più. Nella Napoli dello splendore dei primi decenni del
Seicento, Francesco potette far crescere il suo genio creativo in piena
libertà, non fu legato a nessuna bottega, non dovette dipendere da alcun
maestro, come invece a quei tempi gli allievi senza mezzi erano costretti a
fare. Questa sua indipendenza gli dette la possibilità di non piegarsi alle
convenienze e di essere “personale”. Trattò infatti le istanze caravaggesce
in modo “guariniano”, firmò le sue tele con cifre
ben precise - il modo di trattare il
colore e la luce, di rendere i panneggi e gli incarnati delle sue figure
- potette allontanarsi dagli stessi
suoi maestri, sia dal Ribera che dallo Stanzione, quando ne sentì il bisogno, usò in modo
autonomo gli stimoli pittorici che si vivevano nella Napoli del suo tempo. Insomma
dietro la personalità che caratterizza la pittura di Francesco Guarini c’è la famiglia della madre. La fortuna del Guarini sta
tutta qui. Nell’ambiente
napoletano egli comprese anche la limitatezza della pittura paterna e della
sua improvvisata bottega solofrana. Se si osservano le opere di Tommaso della
navata centrale della Collegiata e quelle del transetto si vede chiaramente
l’abisso di stile, di inventiva, di innovazione che
corre tra l’arte del padre e quella del figlio, e si comprende perchè egli si
sia voluto distinguere dal manierismo paterno quando gli si prospettò la
possibilità di seguire gli Orsini a Roma, cosa che solo la morte prematura non
gli consentì. L’essere un
artista, che poteva permettersi una completa indipendenza, lo portò anche a
trascurare l’attività della bottega paterna. I suoi cassettonati,
sia quello di S. Agata che quello del transetto
della Collegiata, contengono, accanto alle sue tele, troppe opere di bottega,
dove egli accetta anche interventi scadenti, cosa che si spiega solo in
questa ottica. La bottega
del padre, che Francesco ereditò alla morte di Tommaso per completare le
opere solofrane commissionatagli e che era nata, lo diremo meglio in seguito,
per una contingenza, aveva troppi limiti, non gli dava,
né poteva dargli, gli stimoli di cui la sua vena aveva bisogno, stimoli che
invece gli venivano dalla capitale e dalla corte orsina.
Ecco perché egli la lasciò deperire non preservandola da
deturpazioni e da cattivi pittori. Le opere non solofrane di Francesco
Guarini, sparpagliate tra Napoli e il mondo, ci dicono
tutto questo. E proprio se
si considerano le sue opere non solofrane si
comprende perché il nostro grande conterraneo, volle dare al suo cognome una
forma grafica diversa da quella della famiglia paterna. Egli volle sottolineare una differenza, che non è rimarcare una
lontananza, ma che nasceva dalla coscienza di una diversità e di un maggior
valore, che ognuno può leggere in queste opere guariniane. Mimma De
Maio Da “Il Campanile”, 2006 (XXXVII, n. 5, p. 4) |
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