Da “Il Campanile”, 2002 (XXXIII, n. 5, p. 4)
Il leggere, scrivere e far di
conto
nella società solofrana
del Cinquecento
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Dagli studi sul Cinquecento
solofrano emerge una caratteristica che contribuisce a spiegare perché questo
periodo fu uno dei più importanti della storia solofrana. È
il fatto che un’ampia fascia di questa società fu in possesso degli
elementi essenziali del sapere, come allora si diceva, il leggere, scrivere e far di conto, una competenza utilissima ed
importante soprattutto perché era in possesso di molte persone. Fin dall’XI
secolo si individuano a Solofra persone del ceto medio che avevano questo
tipo di competenza: mercanti e artigiani, un calcurarius (ragioniere) e poi
tante persone addette agli atti notarili, capaci di svolgere l’attività
legale di grado elementare e che costituivano una parte importante e non
incolta di questa società. Ed ancora non bisogna
dimenticare che nella pieve solofrana c’erano, sempre in questo periodo,
libri (oltre a quelli prettamente liturgici) di edificazione
religiosa (detti legere)
come le vite dei santi che alimentavano il sapere popolare di allora. Fin da quei tempi si consolidò
nella società solofrana questa caratteristica che interessò una fascia sempre
più ampia e che è raro trovare nelle società di quei secoli, in cui le
competenze di base del sapere erano completamente sconosciute alla massa. Ciò
perché la necessità della scrittura commerciale, e la pratica mercantile e
del fòndaco (magazzino per la racconta
dei prodotti da vendere), richiedevano la manutenzione dei libri di
mercatura. Ogni bottega doveva tenere aggiornati i libri contabili, dove
bisognava registrare gli introiti e i prelievi (dette recoglienze), il ritiro di una
somma da parte di un socio, la spesa per un viaggio, ma anche semplicemente
la dislocazione delle pelli nelle varie fosse di
concia. Nei contratti delle società venivano indicati con precisione coloro che dovevano
tenere questi libri e coloro che dovevano controllarli, e nei testamenti il
testatore dava al notaio un articolato elenco del danaro da ricevere e di
quello da dare. Insomma attraverso molti documenti si viene a sapere che le
conoscenze di base erano molto diffuse a Solofra. Importante è
il fatto che questa pratica non era solo degli uomini ma interessava
anche le donne, come dimostra il caso della moglie di un grosso finanziatore
solofrano, che alla morte del marito ne aveva continuato l’attività e che,
nel dettare il proprio testamento, dette al notaio il resoconto della sua
attività creditizia con il denaro da avere, il nome dei creditori e il motivo
del credito, mettendo in luce non solo il saper leggere, scrivere e far di conto ma anche la capacità di svolgere
un compito che in genere era proprio degli uomini. Bisogna tenere presente che in
quel tempo il rapporto con i rudimenti della scrittura non era facile se non
c’era una certa dimestichezza nel tenere la penna in mano. Le società
contadine non avevano questa capacità manuale, né avevano il bisogno di
acquisirla, cosa che invece troviamo nelle società
mercantili e artigiane che maneggiavano i libri contabili e per le quali
diventava facile imparare ad usare la penna. Inoltre, poiché il rapporto con
questi problemi dipendeva dalla necessità, si veniva a creare una divisione
tra i due momenti del leggere e dello scrivere. Non
era raro infatti trovare chi era in grado solo di
leggere e chi solo di scrivere. Il
saper leggere era più diffuso quando c’era la necessità di leggere i testi
dei canti sacri in chiesa, dove si riceveva un primo grado di alfabetizzazione. Imparare a scrivere costituiva invece
un ostacolo molto più forte se non si seguivano i
canali normali dell’apprendimento. Comunque bastava saper porre, in modo
più o meno leggibile, la propria firma sotto un documento per non essere
considerato analfabeta, indipendentemente dalla scioltezza dello scrivere e
dalla capacità di comprendere un testo qualsiasi. I documenti solofrani danno la
possibilità di analizzare la situazione fin dall’inizio del Cinquecento. Ci
sono infatti molti atti notarili, soprattutto
divisioni di beni, indagini patrimoniali e testamenti, che mostrano il grado
di alfabetizzazione di chi apponeva la firma.
Accanto a chi metteva un semplice segno di croce con tratto incerto e forte
pressione della penna sul foglio, c’era chi invece tracciava chiaramente la
propria firma; ma anche tra costoro c’era chi manifestava una notevole
incertezza nei tratti con lettere grandi, storte, sicuro indizio di mancanza di abitudine, e c’era chi aveva solo qualche incertezza
fino a chi firmava con mano sicura e rapida, segno indubitabile di un uso
quotidiano della scrittura. Ciò che è
però un dato di sicuro interesse è che nella società solofrana c’era più
di una scuola privata, tenuta da sacerdoti o da notai, che insegnava i
rudimenti del leggere, dello scrivere e
del far di conto. Una di queste si trovava nella
casa del notaio Andrea Alfano - siamo nel primo ventennio del
secolo - ed aveva due insegnanti
(oltre al notaio c’era il fratello Annino), inoltre il notaio aveva al suo
seguito dei minorenni, apprendisti del suo mestiere, che lo seguivano anche
quando si spostava a Napoli. Ancora più significativo
è il fatto che a Solofra esisteva una vera e propria scuola, una scuola della
comunità - siamo nel 1522 - gestita da diverse famiglie che ne avevano
bisogno e ne facevano uso. Dal documento si individuano
Pasquale Giliberto, Adanese Fasano, Ieronimo Ronca, Bartolomeo Parrella,
Battista Giliberti, Lisi Antonio Landolfi, Giovan
Paolo Maffei, che consegnarono, all’atto del contratto, una lista di allievi
all’insegnante. Era una vera e propria
istituzione con un programma, che non era solo il semplice leggere, scrivere e far di conto, ma
anche grammatices litterae, la conoscenza della grammatica e
delle lettere ad un livello superiore. Aveva una durata - da ottobre a luglio - e aveva delle regole che dovevano essere
rispettate sia dagli allievi che dal docente. Costui era obbligato da una
convenzione nella quale era stabilito naturalmente anche il costo (34 ducati
da ripartire in rate mensili) a carico degli studenti. Interessante è sapere che
l’insegnante che operava a Solofra, Delio Pontano, era di Padova, un importante centro della scuola aristotelica,
studi molto diffusi anche a Salerno dove ci fu un vivace scontro tra una
corrente tradizionale che voleva l’insegnamento legato al Medioevo ed una più
aperta alle novità del Rinascimento e quindi allo studio del mondo romano. Ciò dimostra che la società
solofrana fu sensibile ai valori della cultura e che forte fu il legame di
Solofra con Salerno le cui scuole rimasero vitali anche dopo lo sviluppo di
Napoli come centro culturale. Non è da sottovalutare neanche
il fatto che in quegli anni apprendeva i rudimenti del sapere Camillo Maffei,
un filosofo aristotelico appartenente ad una delle famiglie più in vista
della società solofrana e che ebbe rapporti col centro veneto, infatti a Venezia furono pubblicate tutte e quattro le
edizioni della sua opera più importante. Questo fatto dimostra inoltre che
facile fu il passo da un sapere di base ad uno più alto e spiega perché
Solofra ebbe molte persone che diventarono, come si diceva allora, uomini di
lettere. Accanto a questi ci furono gli
ecclesiastici che erano spinti anche dalla necessità di gestire le finanze di
famiglia infatti le chiese, gli altari, le cappelle
in quei tempi erano anche istituzioni finanziarie che praticavano il
prestito. A completare il quadro delle
opportunità che la società solofrana ebbe, bisogna considerare altri momenti di apprendimento come quelli che avvenivano nelle botteghe
a favore dell’apprendista, come mostrano alcuni contratti di lavoro dove si
stabilisce in modo chiaro che il maestro doveva insegnare all’allievo non
solo i rudimenti dell’arte e quelli legati alle due Confraternite
solofrane - di S. Maria delle Grazie e
di S. Croce - , che avevano dei momenti di vita comunitaria culturale. Infine vale fare una costatazione per dare il segno di una realtà molto
lontana dal nostro comune modo di pensare. La duchessa Beatrice Ferrella Orsini, che comprò il feudo di Solofra nel 1555,
nel porre il suo beneplacito agli Statuti solofrani mise un segno di croce,
prova che a quell’epoca, quando cioè
iniziava la carriera di feudataria, non sapeva scrivere. Lo sapeva invece
fare venti anni dopo, siano nel 1575, quando, nel giugno, pose la sua firma
ad una dichiarazione fatta durante una causa sostenuta contro Il solo saper firmare per una
donna comunque era un fatto molto importante,
infatti il pittore Scipione Pulzone, detto il
Gaetano (Gaeta 1550-Roma 1598), in una sua opera, che ritrae Beatrice Orsini,
pose al lato della immagine due elementi, un calamaio con una penna e un
foglio, che mostrano appunto questa competenza, anche se consisteva solo in
una firma tracciata in modo molto incerto, come dimostra il documento del Mimma De Maio |
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