Tra gli aneddoti solofrani
circolava un tempo la storia di Malepensiero,
un episodio che esprimeva l’arguzia di certi bontemponi e l’astuzia di chi era
oggetto delle loro mire. In questo caso da una parte c’erano i canonici della
Collegiata dall’altra un aspirante sacerdote. La storia aveva per titolo L’ispirazione,
appunto quella che venne al chierico e che gli permise di porre termine ad
una situazione incresciosa che lo vedeva protagonista. Malepensiero
era il soprannome del nostro chierico, e non si sa se tale nome fosse legato
proprio a questo episodio, comunque, per la capacità
di questo tipo di appellativi, doveva indicare una caratteristica di chi lo
portava. Il giovane aveva compiuto gli studi necessari e svolgeva il servizio
di chierico presso la
Collegiata. Allora la nostra chiesa madre era retta dal
famoso Collegio di canonici presieduto dal Primicerio ed era arricchita da
sei Mansionari, addetti alla cura del coro e ad altre funzioni religiose, e
naturalmente aveva un buon numero di praticanti che sarebbero divenuti i
futuri sacerdoti. Per il nostro chierico però l’attesa di prendere
i voti si prolungava: aveva raggiunto, dice la storia, l’età di 40 anni e
“non ancora aveva potuto prender Messa”. Mancava proprio l’assenso dei
parroci e del Primicerio della Collegiata, che lo avevano
in osservazione, perché avevano avuto dall’Arcivescovo l’incarico di
valutarne la preparazione e la disponibilità ad entrare nel nuovo status. Ma questo assenso tardava a venire. Anzi si
era instaurata una strana consuetudine che vedeva ogni anno il Primicerio
affidare all’aspirante sacerdote una lettera da portare a Salerno.
Insieme alla missiva Malepensiero portava l’ardente
speranza di vedere esaudita la sua aspirazione, che però
veniva ogni volta delusa, poiché l’Arcivescovo, di risposta, diceva al latore
che “doveva passare l’anno successivo”. Succedeva pure che al ritorno dal
viaggio, mentre il chierico iniziava l’ultima salita di Pie’ S. Angelo (così
allora si chiamava via Regina Margherita) si vedeva atteso sul sagrato dal
gruppo dei canonici che sembravano conoscere già il rinvio e che per di più
sembravano divertirsi di questa situazione. La cosa era divenuta però non
ulteriormente sopportabile dalla pazienza del poveretto che nell’ultimo suo
viaggio, mentre a cavallo del suo asinello si recava
per l’ennesima volta a Salerno, sfiduciato e deluso, pensando alla derisione
di cui sarebbe stato oggetto come ogni anno, decise di farla finita con
questa situazione e di abbandonare l’idea di farsi sacerdote. Stracciò dunque
la lettera. Subito dopo però si pentì ma non potette
fare più nulla se non leggerne il contenuto. Lesse e capì: il Primicerio e
tutto il Collegio anche quell’anno non lo ritenevano idoneo a ricevere la tonsura, bisognava
“aspettare ancora un anno”. A questo punto gli venne l’ispirazione,
l’idea geniale, che avrebbe risolto la situazione e giocato un scherzo a coloro che lo avevano per troppo tempo
deriso. Inforcò il suo asinello e di lena lo spronò verso la città sede
dell’episcopio. Giunto dinanzi all’Arcivescovo, al prelato che gli chiedeva
della lettera disse:”Eminenza il Primicerio vi manda
a dire che questa volta non c’è bisogno della lettera”. “L’Arcivescovo ne fu
convito e Malepensiero fu ordinato Sacerdote”. Quel
giorno i canonici sul sagrato dovettero accogliere, con grande stupore, il
chierico divenuto sacerdote, che per di più si presentò loro alquanto brillo,
poiché lungo la via del ritorno aveva abbondantemente brindato alla
promozione in più bettole e dovettero riconoscere che alla fine erano loro ad
essere stati burlati.
Fin qui la
storia, che si colloca tra quei fatti colorati di sorridente bonomia che si
costruiscono intorno ad eventi realmente accaduti o che definiscono un
personaggio, in questo caso, magari, tentando di spiegare l’origine del
nomignolo oppure di giustificare la ritardata ordinazione. Ciò che
invece noi vogliamo aggiungere a questa storia è il fatto
che essa, vera o no, si riferisce ad un personaggio veramente vissuto.
Non solo, ora sappiamo il suo nome, Felice Antonio De Vacchio, nato nel 1864
da Vito Antonio e Maria Antonia Ronca. Apparteneva dunque a questa famiglia
solofrana della Fratta che si insediò a Solofra in
seguito alla decimazione avvenuta nella società locale a causa della peste e
che come molte altre famiglie presero il posto, soprattutto tra i Volpi e la Fratta, di quelle che
erano state falciate dal morbo. I documenti ci dicono
che morì con lo stato di “parroco”. Siamo riusciti anche a risalire
attraverso i suoi avi, e cioè attraverso Francesco
Saverio, Matteo junior, Crescenzo e Matteo senior, proprio ai primi individui
che comparvero a Solofra con tale cognome.
A permetterci di dare
contorni più precisi a tale fatto è stato un membro di questa famiglia,
Gennaro Del Vacchio, al quale abbiamo ricostruito il ramo del suo ceppo e che
ci chiese di un sacerdote di famiglia di nome “Malepensiero” di cui il padre gli parlava. Nel
ringraziare il nostro concittadino vogliamo sottolineare
come sia utile e necessario il contributo di tutti nel portare avanti il
lavoro della ricostruzione delle famiglie solofrane che stiamo conducendo
presso la
Biblioteca Comunale. Essa possiede ora un importante
archivio in cui sono registrate tutte le famiglie locali a
partire dal XVI secolo, anche quelle estinte. Questo Archivio si sta
arricchendo inoltre di importanti documenti
fotografici in forma digitale in modo che ognuno non perde il prezioso
documento e che ci vengono inviati anche da molti chilometri di distanza. Un
archivio descrittivo e fotografico, dunque, che costituirà per il nostro
paese un prezioso patrimonio storico, che viene
costruito giorno dopo giorno da
ciascun solofrano, vicino o lontano, grazie alla disponibilità del personale
della Biblioteca e alle possibilità del web.
Mimma De
Maio
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