Il monumento ai caduti di Solofra
È in corso un’indagine
regionale per la catalogazione dei monumenti ai caduti della Prima guerra
mondiale alla quale la nostra regione ha dato un contributo di migliaia di vittime.
Tale ricognizione avrà come scopo la tutela e la valorizzazione di questo
patrimonio storico spesso poco conosciuto ai cittadini stessi anche con una
pubblicazione o una mostra fotografica. Per rispondere alla quale il Centro
studi di storia locale, istituito già da due anni presso Fu eretto
nel 1975 sull’area occupata dall’antica chiesa di Santa Croce (detta anche di
S. Antonio Abate) che era stata donata
dall’Arcivescovato di Salerno al Comune fin dal 1970, parte della quale, fin
d’allora, era stata destinata a Sacrario
dei caduti, e parte a piazza o a zona verde. Di quella chiesa, della
quale resta la parete sinistra, il Comune acquisiva altresì “l’annesso
campanile e pertinenze”, i locali cioè che furono dell’ospedale di Santa
Croce che ebbe l’approvazione papale fin dall’inizio XVI secolo. Su questa
area passa l’ultima parte di via Aldo Moro, che proprio in quegli anni veniva
costruita permettendo il collegamento con la zona dell’antico lavinaio e con
via Maffei. I preparativi iniziarono subito dopo quando fu istituito un Comitato promotore con il compito di
studiare e realizzare l’opera. Al problema fu interessata la comunità intera,
persino i solofrani residenti altrove, con proposte e con la raccolta di
fondi, e furono impegnate le scuole, che chiesero agli allievi di
rappresentare in un disegno una loro idea per il monumento. Nel 1974 fu bandito
un pubblico concorso per l’esecuzione artistica dell’opera, a cui
parteciparono sei artisti e che fu vinto da Sinibaldi Leone, che propose una
figura in elevazione - definita col
motto “Ellisse” - posta su una base
ellissoidale. La prima in bronzo la seconda in granito, materiali che, dice
la motivazione, offrivano “garanzia di lunga durata e pura conservazione” e
che ben si fondevano nel complesso artistico. La commissione giudicatrice,
formata dal sindaco Mario Famiglietti, dal primicerio Mariano Vigorita, da
architetti e critici d’arte e dal segretario e cassiere don Matteo Notari,
giudicò la scultura come “forma libera dello spazio che essenzializza la
glorificazione dei caduti in guerra” e bene “interpreta l’ansia della Città
di Solofra protesa, attraverso il suo sviluppo industriale e il progresso
sociale, verso soluzioni moderne e civili”. L’opera costò 23 milioni: 15 raccolti tra i cittadini ed
8 da sovvenzioni di vari Enti di cui 6 deliberati dal Comune. Queste le
essenziali notizie sul nostro monumento ai caduti, intorno al quale ce ne
sono altre che fanno da contorno come quella di un allievo della scuola media
che riconobbe nella figura del monumento quella da lui proposta nel disegno
presentato al concorso, disegno che non si è mai trovato tra quelli
consegnati dalla Scuola al Comune, e che ha potuto fare da stimolo al Leon; o
come la spiegazione del nome che fu dato al monumento - yuppi doo - riferendosi al fatto che la forma coperta
dal drappo tricolore richiamava un atteggiamento di Adriano Celentano nel
cantare una sua canzone allora in voga. Vale
infine dire qualche cosa dell’autore della scultura, professore di disegno,
appartenente ad una famiglia di artisti
- i Leone di Pratola Serra - e morto nel 2002. Fu preside della scuola
d’arte di Calitri, ebbe varie benemerenze e fu prolifico realizzatore di
sculture. Noi lo conosciamo poiché fece parte, dopo quell’evento, di alcune
Commissioni giudicatrici dei concorsi di pittura indetti negli anni seguenti
dalla Pro loco e perché è l’autore del monumento al conciatore, allo svincolo
autostradale, e del busto del Guarini. In quest’ultimo caso però il nostro
artista ha commesso un madornale errore poiché la immagine riprodotta nel
monumento, che fa bella mostra di sé a S. Andrea, non è quella del nostro
Guarini, che si ritrasse in un suo
quadro di S. Andrea, Giuseppe venduto
ai fratelli, in un angolo a sinistra e in foggia completamente diversa da
quella dei protagonisti del soggetto rappresentato - come si fa per ogni autoritratto in modo
che esso possa distinguersi e qualificarsi come tale - e che invece il nostro Leone pensò fosse la
figura centrale dell’opera e cioè quella del vecchio, dando al Guarini, lui
che morì a 40 anni, le sembianze di una persona anziana e per di più di un
protagonista di una sua opera. La disavventura di questa che è una delle
ultime opere del Leone suscita diverse considerazioni che evitiamo al
lettore, augurandoci però che le autorità competenti provvedano alla
correzione dell’errore che provoca danni al nostro concittadino e alla stessa
città di Solofra. Mimma De
Maio. |
Da “Il Campanile”, gennaio 2005 (XXXVI, n. 1, p.
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