Una famiglia solofrana, i Pandolfelli
Un’interessante famiglia solofrana è quella dei
Pandolfelli, il cui nome è un patronimico longobardo che permette di far
risalire a quel periodo l’impianto del ceppo nel Meridione. A Solofra alla
fine del XIII secolo si trova un Cosimo de Pandolfo
con i figli Cesare e Geronimo, la cui famiglia è indicata tra quelle “civili”
solofrane, come anche dimostra la presenza nell’antica chiesa di S. Agostino
di vari canonici. Tra essi Laurenzio Pandolfello,
che vi fece costruire un altare dedicato a S. Monica, la cui iscrizione
portava il nome del fondatore e quello di un suo avo, un Geronimo. Vale
ancora sottolineare che in questa chiesa la famiglia
ebbe altri due altari con sepoltura, quelli di San Nicola da Tolentino e del
Presepe, che un altro suo membro, Pietro Giacomo, donò a Santa Croce una
campana fatta fondere a Donato di Capracotta il famoso centro molisano di
costruzione delle campane. All’inizio del Cinquecento dati
più precisi chiariscono il ruolo di questa famiglia nella società
solofrana. Era insediata nell’antico casale dei Balsami, sede del nucleo
primitivo, mentre il suo impegno nelle attività artigiano-mercantili ne avevano fatto spostare un ramo alla Platea ed uno al
Fiume intorno ad una “apotheca” di concia. Interessanti sono le alleanze
economico-familiari con altri ceti emergenti, tramite le quali essa si era
introdotta anche nel battiloro, attività che in quel periodo era svolta solo
da particolari famiglie e che portò un ramo a
spostarsi a Napoli, poiché solo gli abitanti di questa città (che godeva della
privativa del battiloro) potevano svolgere quest’arte. Maggiore è la presenza
nel campo mercantile con un importante commercio di animali
con il sanseverinese, con solidi rapporti con la piazza di Napoli, dove
godeva di prerogative e privilegi e dove incontrava mercanti anche
extraregnicoli, mentre in varie località della Puglia e della Calabria, aveva
creato delle basi commerciali di riferimento con un’accorta politica
matrimoniale. Nello stesso tempo non mancava l’impegno nella vita pubblica,
dalla partecipazione alla rielaborazione degli statuti del 1522, alla diretta
gestione della cosa pubblica con sindaci, con arrendatori e notai,
continuando ad avere una incidenza non secondaria
nel clero. Fin da questo periodo emerge un preminente interesse al problema
delle acque con Leonardo che fu per lungo tempo assuntore della gabella per
le acque che alimentavano i mulini, interesse che continuò nei secoli seguenti Anche nel Seicento, ebbe ruoli guida con figure
di sindaci, di notai, e di avvocati, con una
importante presenza nel clero, dove si incontra Nicola, dottore in utriusque
jure, protonotario apostolico e primicerio della Collegiata, morto di peste.
Dopo la grande epidemia, che provocò un radicale
stravolgimento degli equilibri socio-economici solofrani, la famiglia seppe ricucire
il tessuto sociale ed economico intorno alle attività che avevano caratterizzato
la cittadina. Riuscì a compattarsi ed espandersi con una intelligente
politica matrimoniale (non esclusi quelli tra consanguinei), acquistò diversi
beni rimasti senza padroni per l’estinzione delle famiglie, divenendo
proprietaria di molte terre tra i Balsami e il Sorbo. Il ramo più rappresentativo, che è tuttora
attivo, fu quello del notaio Cesare che dette alla società solofrana sindaci
e sacerdoti ed ancora un primicerio, il canonico Giuseppe anche cappellano
dell’Addolorata. Questi esiti, come per tutte le famiglie solofrane, sono
sempre legati alle attività economiche, anche questa famiglia ebbe infatti attivi mercanti con rapporti intensi e stabili
con Interessante è lo sviluppo che il ramo solofrano
ebbe in Puglia, a Trani dove fu aggregata al seggio dell’arcivescovado e
decorata col titolo di Marchese (1682) nella persona di Ludovico, con
Giovanni, cavaliere di S. Giacomo, Michele, cavaliere
Gerosolimitano, ed ancora Giuseppe e Nicola (nella onomastica riportano a quelli
solofrani); a Bari, dove ricoprì ruoli di prim’ordine con Michele, intendente
e rettore della provincia di Montrone; a Barletta, dove fu aggregata al
Seggio di Gesù o della Madonna greca ed ebbe sempre suoi rappresentanti nel
governo cittadino nel seggio dei nobili. In questo centro la famiglia, che
aveva fondato la chiesa di Santa Marta, ebbe un membro, Nicola, professore di
Teologia all’Università di Napoli e vescovo di Mottola. La chiesa, che dette il nome anche alla via dove sorgeva, poi, quando i
Pandolfelli si estinsero nel XVIII secolo, passò ai De Leone, la famiglia del
nobile Ruggiero che aveva sposato Isabella Pandolfelli, figlia del notaio Cesare
nata a Solofra nel 1675. Da sottolineare che dato il
valore delle due famiglie patrizie con questo matrimonio si creò il doppio
cognome De Leone-Pandolfelli e tale nome è quello del palazzo in Piazza Paniere
del sabato. Bisogna dire che gli studiosi della
nobiltà meridionale, il Beltrano e il Crollalanza, parlando dei rami pugliesi
di questa famiglia, la dicono originaria di Solofra. Per concludere vale far
menzione di alcuni solofrani dei secoli seguenti come Pietro, maestro in
Sacra Teologia e Provinciale dell’Ordine dei Domenicani, il cui sepolcro in
marmo è nella chiesa di San Domenico ivi trasportato dalla Chiesa di S.
Agostino quando questa fu abbattuta; dire che Geronimo ebbe nella sua casa
napoletana un’accademia, “degli Emuli”, frequentata da Ferdinando Galiani;
che il primicerio Giuseppe è sepolto nella Cappella del SS. Sacramento della
Collegiata, che durante il suo governo si svolsero i lavori di restauro della
chiesa, che egli seguì con impegno ottenendo dalla Universitas più volte la
proroga del jus proibendi sulla gabella del sale per finanziare l'opera; che
una Pandolfelli, Orsola, fu moglie di Serafino Garzillo, che partecipò, dalla
parte dei liberali, alla rivoluzione del 1799 e per questo fu condannato
all'esilio di Marsiglia; che nella parte opposta militò Giuseppe, che fu
tenente delle milizie provinciali durante quella rivoluzione subendo il
carcere col padre Gennaro e col fratello Michele e che per i suoi meriti ebbe
in seguito il compito di stanare i malviventi nella nostra provincia; che il
padre Gennaro fu sindaco di Solofra all’inizio del secolo seguente, quando la
nostra cittadina dovette subire i danni della rivoluzione che prostrarono la
sua economia. E fu lui ad affrontare il problema del
battiloro solofrano, l’attività che ebbe il maggior danno dalle circostanze.
Ma di questo parlerò la prossima volta quando mi propongo
di chiarire molte cose su questa attività solofrana poco conosciuta ma su cui
si parla spesso a sproposito. Per approfondire la conoscenza di questa
famiglia ci sono le pagine dedicate alle famiglie solofrane del sito http://www.solofrastorica.it, cliccando sulla finestra Famiglie
solofrane. Mimma De Maio |
Da “Il Campanile”, 2005 (XXXVI, n. 2,
p. 4)
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