Santa Croce, una chiesa antica e un ospedale
a servizio dei poveri e dei mercanti
Della chiesa di Santa Croce resta una parete su
un lato di via Aldo Moro, e più in là, il campanile turrito, che una volta fu
di accesso al complesso dell’ospedale. Una parete e un campanile, due segni
che diventano vivi solo se sono supportati dalla loro storia, che li arricchisce
di significati e ne preserva la memoria. Inizialmente fu solo una chiesa, una delle più
antiche, infatti se ne ha menzione nel 1124, quando a Solofra già c’era la
pieve di Santa Maria e S. Angelo, e c’erano le chiese di Santa Maria delle
selve sul Vellizzano e di Santa Maria di Costantinopoli ai piedi di Cortina
del cerro. Siamo nel periodo normanno, Solofra era legata alla splendida
Salerno con chiari rapporti commerciali e questa chiesa, posta lungo la via
di comunicazione tra la pieve e la zona della concia (detta Fiume), dominava un luogo di raccolta
e di vendita dei prodotti conciati nelle “apotheche de contrarie” secondo la
funzione che nel medioevo ebbero le chiese. Proprio per questa funzione ed
anche perchè la pieve a quel tempo era legata strettamente all’episcopio
salernitano, essa fu un importante punto di riferimento per la comunità
solofrana, che la sentiva più sua, tanto è vero che si riuniva sul suo
sacrato per prendere le decisioni comuni. Per questo motivo la nostra
comunità, che successivamente si chiamò Universitas secondo una precisa
scelta dell’imperatore Federico II, creò nella chiesa la prima Confraternita
solofrana, un’istituzione al servizio dei bisogni della comunità e non solo
quelli religiosi. La funzione della chiesa, di proteggere un luogo
centro del commercio solofrano - un forum
mercantile-religioso -, fu rinforzata nella seconda metà del Trecento con la
costruzione di S. Agostino, come abbiamo detto in un nostro recente articolo.
E questo fece sì che a tale Confraternita fu concessa dal papa Giulio II nel
1509 l’istituzione di un ospedale con un oratorio e con luoghi per accogliere
i malati, mentre alla chiesa fu dato il diritto di seppellire i morti. A quei
tempi gli ospedali erano luoghi che accoglievano i malati poveri del posto e
i mercanti che si ammalavano durante la permanenza nel centro mercantile,
essi quindi sorgevano nei luoghi di mercato e lungo le vie di transito. La
creazione di un ospedale a Solofra, che non si trovava su una via di transito,
vuol dire che fu la vivacità del centro mercantile a far sentire la necessità
di una simile istituzione. In questo periodo, e legato a questo evento, la
chiesa si ingrandì, infatti nel 1532 fu costruito un muovo portale in pietra
intagliata (introito magno), a cui
lavorarono gli scalpellini di Calvanico (si conoscono anche i nomi), che già
operavano a Solofra alla realizzazione degli intagli che ornano la porta
principale della Collegiata. Vale sottolineare che prima di questo intervento
l’edificio religioso aveva gli stipiti del portale fatti da pietre asportate
dalle costruzioni preesistenti, come si usava a quei tempi e come si legge in
qualche antico scritto solofrano. I documenti di questo periodo - il grande Cinquecento solofrano - ci permettono di seguire le attività, sia
dell’ospedale che della Confraternita, gestite da tre “magistri curatori”,
che appartenevano alle famiglie legate alla chiesa da vari interessi. Essi si
curavano dei beni, raccoglievano le elemosine, indicavano i sacerdoti che dovevano
officiare, affittavano ai protomedici gli uffici dell’ospedale. Come per
tutte le chiese di questo periodo l’attività più importante fu quella
finanziaria, che permetteva i prestiti (detti “censi”), che erano di essenziale
importanza in un centro mercantile, quando non ancora era diffuso l’istituto
bancario. La finanza ecclesiastica, costituita soprattutto da prestiti e da
investimenti per creare il capitale, è un elemento di grande interesse, in
questo periodo, solo se si pensa che ogni altare o cappella della chiesa
aveva tre economi, che svolgevano questa attività a nome della famiglia
proprietaria e che tutte le altre chiese solofrane ebbero la stessa funzione.
Il numero degli altari di Santa Croce ci permette di avere un’idea
dell’importanza della chiesa in una zona di mercato. C’erano dunque la
Cappella del Crocifisso, istituita per disposizione testamentaria da
Defendino Rubino e riccamente dotata che non serviva solo come sepolcro, la
Cappella della famiglia Ladi, la Cappella di S. Giovanni Battista di Eugenio
Ronca, posta accanto all’altare maggiore ed arricchita di un quadro
rappresentante il santo, la Cappella dei Landolfi, quella dei Minada, dei Pacifico,
una Cappella con altare di Sabino Petrone, la Cappella di S. Caterina degli Iasimone,
una ricca famiglia di Caposolofra, la Cappella “senza sacello di S.
Sebastiano e S. Rocco posta sul lato sinistro, tra la cappella del Petrone e
quella dei Pacifico”. La chiesa possedeva inoltre diverse botteghe, tutte al
servizio della mercatura: tre alla Via nuova, due davanti al largo della
chiesa, cinque in Piazza, due davanti alla chiesa di S. Giacomo. Nel 1591
l’arcivescovo Bolognini nella sua Visita alla Confraternita di S. Croce e
all’ospedale “pauperum infirmorum”, ricorda che la chiesa “fu la prima sede
consiliare dell’Universitas solofrana con i suoi decurioni e i suoi eletti,
che aveva una torre di controllo e un campanile che dominava l’accesso al
centro religioso”. Interessanti sono anche le norme per il migliore andamento
dell’ospedale quando raccomanda di far confessare il degente entro il secondo
giorno di ricovero, di redigere per il forestiere un inventario dei beni e
del denaro che ha con sè, di conservarli durante la malattia, di restituirglieli,
dopo aver detratto la somma per la cura, e in caso di morte di avocarli
all’ospedale. La chiesa fu per la comunità solofrana un
importante punto di riferimento e rispose alle sue esigenze in vari periodi.
In seguito agli eventi della rivoluzione di Masaniello accolse al suo interno
le riunioni del parlamento locale, poi l’istituzione di un Pio Monte dei
pegni; lottò contro le prepotenze degli Orsini che tentarono in vari modi di
occupare i suoi locali e di far chiudere le finestre sul giardino del palazzo
perché “l’ospedale accoglieva rifugiati,
inquisiti, forestieri e pellegrini”. Sia i cittadini che i “compatroni” protessero
la chiesa, ne difesero il decoro, intervennero direttamente nelle decisioni.
Di questa chiesa, di cui restano immagini nelle foto d’epoca, molti anziani
ricordano la bella tradizione di S. Antonio Abate con le “carcare del 17 gennaio”
che si facevano dinanzi all’immagine del monaco posta in un’edicola votiva
sulla sua facciata. Chiusa al culto a metà del secolo scorso, fu abbattuta
con la costruzione di via Aldo Moro. Mimma De Maio |
Da
“Il Campanile”, 2008 (XXXIX, n. 1, p. 14)
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Chiesa
di Santa Croce detta anche di S. Antonio abate
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