Uno dei più antichi insediamenti di Solofra
Il rione
Sorbo, posto sulle prime falde dei monti ad est, insieme ai Balsami è uno dei
più antichi e rappresentativi insediamenti di Solofra. La sua parte bassa, il
Sorbo sottano, toccava la zona più importante, quella del commercio che per
arrivare a Turci passava per via S. Giacomo e via
Afflitta (non c’era il viale S. Domenico) e ciò lo rese ricco e popoloso. Molti sono i
toponimi antichi del casale a cominciare dal nome sorbo di impronta sannita, poi caprai che si riferisce alla primitiva
attività svolta nella conca e più sopra campo
del lontro che è una fossa per la macerazione e la concia delle pelli.
Questi due ultimi toponimi indicano dei luoghi, che anticamente si trovavano
in uno stesso fondo, dove i pastori conciavano le pelli dei loro animali con
metodi rudimentali. Ed ancora lungo questa fascia di monti si trovano altri significativi toponimi che si riferiscono a questa
primitiva attività, che costituisce la facies
produttiva di tutta la conca solofrana, e cioè balsami che si riferisce a un elemento che ammorbidiva la pelle
dopo la concia e che serviva anche per attenuarne il caratteristico odore e scorza che indica la sostanza con la
quale veniva praticata la concia vegetale, mentre nel vicino rione di
Caposolofra c’è il vallone cantarelle, detto così dai cantari che sono vasche per la concia. Il rione ha
avuto anche la più antica abitazione, la cortina,
che è ricordata da precisi toponimi: le
corti, alle corti,
la corticella.
Erano le cortine abitazioni che
sorgevano intorno ad un cortile al quale si accedeva
attraverso un passaggio (detto introito
magno e poi wafio),
e che traevano origine delle “ville rustiche romane”, le masserie del periodo
imperiale poste nella zona bassa della conca solofrana che avevano appunto un
cortile interno, la curtis,
intorno al quale c’erano le abitazioni dei contadini-pastori di quell'epoca. Quando a causa delle invasioni le "ville" romane
furono abbandonate, gli abitanti della conca si rifugiarono sulle zone alte
più sicure ed anche al Sorbo, dove costruirono le loro case a modello delle
"ville", che avevano avuto in pianura e che negli ultimi tempi
dell’impero già avevano mostrato precise capacità difensive. Bastava infatti chiudere l'unica entrata per essere più sicuri.
Esse inoltre, accogliendo le ampie famiglie di allora con i nuclei familiari
di tutti i figli del capofamiglia che svolgevano la stessa attività, furono
la base dell'industria familiare su cui si reggeva l'economia solofrana. In questo
casale ci sono stati i primi fondi documentati nell’alto medioevo. Uno era
chiamato “costantini”, si estendeva anche ai
Balsami ed era abitato da persone impegnate nella vendita dei prodotti e nel
commercio che svolgevano col grande mercato di
Salerno. Un altro fondo, “castagnano”, andava dal
Sorbo a Caposolofra ed era posseduto da solofrani che si erano trasferiti a
Salerno per proteggere i loro prodotti una volta giunti in quel mercato. Il casale
aveva diverse chiese che erano importanti punti di
riferimento non solo religiosi ma anche economici, poiché gli altari,
posseduti dalle famiglie del posto, erano usati per sostenere il commercio.
Ogni altare o cappella infatti era governato da un
prete della famiglia proprietaria ed aveva in possesso alcuni beni che non
erano gravati da tasse e che in più venivano usati nel prestito come garanzia
e per questa operazione, proprio perché avveniva attraverso un ente
ecclesiastico, non c’era alcuna tassa. È importante tenere presente questa
funzione delle chiese poiché la religione nei tempi
antichi è stata sempre vicina agli abitanti non solo facendoli entrare col
battesimo nella società cristiana, sostenendoli in tutta la loro vita
attraverso le pratiche religiose, accogliendo infine alla morte le loro
spoglie, ma anche venendo incontro ai loro problemi economici. Le chiese
inoltre erano l’unico centro in cui si poteva avere un’elementare istruzione
in mancanza di scuole. Qui infatti si leggevano,
oltre al Vangelo, i libri della vita di Gesù e dei
Santi, si cantava e si imparavano a memoria salmi e preghiere. Molti
imparavano, con l’aiuto dei preti, anche a scrivere e a contare, cosa
necessaria in una società commerciale. Ci furono chiese che avevano tra i
loro ambienti dei magazzini per la raccolta delle pelli conciate che così venivano protette fino a quando erano portate dai mercanti
e dai viaticali alle fiere per la loro vendita.
Questa funzione era svolta, per il Sorbo, dalla chiesa di S. Giacomo - una via ne
conserva il nome - che si trovava alla
fine del casale là dove cominciava la zona commerciale. Essa era anche il
centro della vita cittadina poiché sul suo sacrato si riunivano gli abitanti
di tutti i casali per discutere le questioni della vita comune. Un’altra
chiesa molto antica è Santa Maria delle Selve sulle pendici del monte Vellizzano accanto al Convento dei Cappuccini, che fu costruito molto dopo, alla fine del XVI secolo, per
iniziativa di una famiglia del Vicinanzo,
i Landolfi, con il contributo di altre famiglie del Sorbo e dei canonici
della Collegiata. Altra chiesa antica fu quella di Santa Maria di Loreto, ora distrutta, che si
trovava nella parte alta del casale ed era di proprietà della famiglia
Guarino (1454). Una chiesa
più recente è quella di Santa Teresa con il Monastero, voluta da una delle
famiglie dominanti nel casale, i Ronca. Il monastero
servì per accogliere le giovani donne delle famiglie della zona. Entrare in
convento, anche senza prendere i voti, era normale
in quei tempi ma soprattutto era una questione economica, infatti ogni
giovane portava la dote la quale veniva usata dal Monastero per scopi
commerciali, cioè serviva, sia il denaro che i beni, per sostenere il credito
così come avveniva per gli altari. In tal modo le famiglie non perdevano la
dote che restava nel loro patrimonio e che in più veniva
utilizzata per i loro bisogni o immessa nel commercio del denaro. C'era
quindi un preciso interesse a costruire Monasteri e chiese - ecco perché Solofra ne ebbe tanti
- che svolgevano un po’ la funzione
delle banche di oggi. Il casale fu
abitato da diverse famiglie rappresentative della società solofrana che fu composta essenzialmente da proprietari di concerie che
permettevano con il loro denaro tutte le attività economiche, anche la
gestione delle imposte. Queste famiglie ricche e importanti si distinguevano
tra loro e anche da rami di linea cugina, secondo l'uso del tempo, con un stemma (arma) che non era nobiliare, cioè non era
legato al possesso di un feudo o di un titolo, ma era detto “borghese”. Gli
stemmi che in questo casale si trovano scolpiti sui portali, nelle chiese o
in altri posti sono tutti di questa origine. In questa classe borghese ci furono anche coloro che svolgevano attività liberali derivanti dallo
studio e costituivano la parte alta di questa borghesia artigiano-mercantile. Fin dal
Trecento il casale aveva subito un forte un aumento demografico
quando si erano trasferiti da Salerno molte famiglie di artigiani
della pelle per poter esercitare la loro arte a Solofra aiutati dalla
famiglia feudale dell’epoca, i Filangieri, i quali proprio per questo avevano
fatto costruire il Convento di S. Agostino ed ampliato la zona del commercio.
Inoltre poiché la feudataria Francesca Marra, rimasta vedova, si era legata
in seconde e terze nozze con un'importante famiglia di conciatori salernitani, i de Ruggiero,
anche questi avevano sostenuto l'immigrazione da Salerno. Tra i salernitani venuti a Solofra ci furono i
Ronca che portarono qui l’arte della “spezieria”, cioè della
produzione e della vendita dei prodotti per la concia delle pelli, i vegetali
come la scorza di castagno e di quercia, la mortella, il sommacco e che fu
sempre una loro specificità. Altra famiglia del Sorbo impiantatasi a Solofra
in questo periodo furono i Guarino, provenienti
dalla Puglia, che si diffusero molto in tutta la conca tanto che venivano
indicati con due nomi per distinguere i vari rami, infatti al Sorbo abitarono
i Guarino de Rutolo. In seguito
avvenne un incrocio significativo tra queste due
famiglie e si ebbe il ramo Guarino
detto Ronca che fu la più importante famiglia del Cinquecento solofrano
con notai, finanziatori e uomini di chiesa e che abitava una corte detta
Ronca-Guarino. Tra i rappresentanti ci furono il notaio regio Aurelio Guarino
detto Ronca, che stipulò gli atti commerciali solofrani per tutta la prima
metà del Cinquecento, e il fratello Cosma che fu il primo primicerio della
Collegiata (qui c'è il suo sarcofago marmoreo), un ecclesiastico importante
ed influente che aveva anche la gestione delle parrocchie di S. Agata e S.
Andrea. Ancora a questo casale appartenne Alessandro Ronca,
che fu all’inizio del Cinquecento il maggiore finanziatore locale gestendo,
attraverso la sua bottega, quasi tutto il commercio solofrano, in special
modo quello della lana proveniente dalla Puglia e diretto alle industrie
laniere della zona di Giffoni. Ci fu un ramo dei Ronca
che cominciò ad usare il cognome con la i
finale e si ebbe “Ronchi”. In quei
tempi in cui i cognomi non erano ancora stabilizzati questo
sistema era molto usato e serviva per distinguersi dagli altri del
casato come fece Francesco Guarini che volle mantenere al suo cognome la i latineggiante per non confondersi
con la famiglia originaria, lui che era diventato un apprezzato innovatore
della pittura del Seicento napoletano. Altre
famiglie del Sorbo furono i Grassi, che ebbero diversi uomini di legge tra
cui un notaio, Bonaventura, che ha lasciato una memoria in cui parla di Solofra del suo tempo (tra Sei e Settecento) e
poi si ricordano i de Iacobatis, i Ginolfi, i
Ferrazzano, i Ladi, tutte famiglie in vista nella Solofra del Cinquecento. Alcune
famiglie si trasferirono al Sorbo da altri casali, secondo l'uso del tempo,
attraverso i matrimoni che erano vere e proprie
operazioni economiche poiché le due famiglie univano anche le loro attività e
il loro denaro come successe con i Landolfi, provenienti dal Vicinanzo e
imparentati con Ronca, che abitarono una cortina all’inizio del Sorbo
sottano. Fu questa una famiglia molto ricca, ebbe diversi importanti
rappresentanti tra cui Mario, un uomo molto presente nella vita solofrana la
cui attività commerciale si allargava a tutto il Meridione, ma che vale ricordare per aver dotato Dalla Fratta
invece vennero i Vigilante, una tra le più facoltose
famiglie di Solofra, che annovera tra i suoi membri un importante uomo di
chiesa, Costantino, vescovo di Caiazzo, confessore
e collaboratore di re Carlo III di Borbone
nell’opera di rinnovamento del Regno di Napoli nel Settecento. Era fratello
di Filippo, un ricco commerciante che abitava in via
Cacciata in un palazzo - uno dei pochi
non abbattuti - che accoglieva il
prelato quando veniva a Solofra e di cui abbiamo un importante documento che
ne descrive gli arredi e la struttura, tra l'altro la camera da letto del
vescovo, il suo studio e i suoi libri. Il casale già all'inizio del Cinquecento era tra i più ricchi
dei 15 che formavano Solofra con famiglie potenti e dominanti nella vita
della comunità. Esse prima di tutto partecipavano al governo della Universitas, cosa permessa
solo ai facoltosi che erano in grado di anticipare il denaro delle gabelle
naturalmente poi traendo vantaggi da questa attività di credito tanto che il
governo civico era un vero e proprio affare economico molto ambito e
contrastato. Dettero poi la loro collaborazione ad importanti operazioni
cittadine, come la scrittura degli Statuti, con cui la comunità solofrana
regolò i rapporti col feudatario cercando di difendersi dalle sue angherie. E
quando si decise di acquistare il feudo, cioè di
liberarsi dalla presenza feudale che costituiva un peso per le attività
locali, a questa spesa parteciparono anche molte famiglie del Sorbo versando
alla corona oltre ventimila ducati. Fu anche per loro merito che Solofra
potette vivere, nella prima metà del Cinquecento, l’epoca più importante
della sua storia, quella dell’autonomia feudale. Esse però contribuirono
anche, in seguito ad un forte contrasto capeggiato dai
Ronca, alla vendita di Solofra agli Orsini, con cui finì il periodo
d’oro solofrano poiché i nuovi feudatari ne soffocarono l’economia. Le
famiglie ricche del Sorbo trovarono però il modo di
trarre vantaggio da questa situazione ponendosi dalla parte del feudatario
che li aiutò, a svantaggio di quelli che invece erano contro. Questo casale
proprio per la ricchezza dei suoi rappresentanti più importanti fu
conservatore e molto moderato nel chiedere le riforme. Quando ci fu
la peste nel 1656, durante la quale morirono quasi
tremila solofrani, anche il Sorbo perdette molti suoi abitanti e ne accolse
degli altri che vennero da fuori. La sua organizzazione sociale fu sconvolta ma possiamo ridefinirla rifacendoci al catasto
onciario che nel 1754 ci dà un inventario di tutte le famiglie e di tutti gli
immobili e i beni esistenti in esso. Si può pertanto sapere che tutto il
casale era costituito da quarantadue abitazioni, la maggior parte delle quali
con orti e giardini, una metà delle case erano “palazziate” come allora venivano chiamati i palazzi. Nella parte bassa c’erano
zone date a coltura con frutteti, la parte alta, intorno al Monastero di
Santa Teresa, era a castagneti fino al Convento dei Cappuccini. Lungo
la strada, in località Crocevia e Croce dei Cappuccini, c’era una diramazione
che congiungeva questa parte del casale con Caposolofra. Le famiglie
impegnate nella concia erano sette, quattro famiglie svolgevano l’attività
del battiloro, c’erano anche attività minori: quella di un sarto (“sartore”), due famiglie lavoravano il legno, una il ferro, anche i "bracciali" (lavoratori
dipendenti nelle concerie e nei campi) erano pochi, solo 15. Il casale non
aveva né concerie, né botteghe solo all’imbocco della zona del commercio
c’era una bottega di “pizzicarolo”. Molti erano i
finanziatori. Il rione
durante Mimma De Maio |
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