MEMENTO SEMPER
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IL CAMPO DI INTERNAMENTO DEL PERIODO BELLICO
di
Antonietta Favato
(1940-1943)
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Quando,
il 10 giugno 1940, l’Italia, mettendo fine alla non belligeranza, scese in
guerra accanto a Germania e Giappone, entrò in vigore l’istituzione
dell’internamento, inteso come provvedimento di guerra nei confronti dei
cittadini stranieri nemici presenti sul territorio nazionale. (Provvedimenti del genere
furono adottati anche da altre nazioni, quali USA, Regno Unito ecc.).
Vi furono due tipi di internamento:
·
l’internamento libero, per cui gli stranieri furono
costretti a risiedere in un determinato comune, ma con libertà di movimento
nell’ambito del territorio comunale;
·
l’internamento coatto, che era una vera e propria prigionia
per quelle persone che erano ritenute particolarmente pericolose.
In Irpinia, i comuni che ospitarono internati liberi furono: Aiello del Sabato, Andretta Avella,
Bagnoli Irpino, Bisaccia, Bonito, Calabritto,
Calitri, Castelbaronia, Chiusano San Domenico, Forino, Frigento, Flumeri, Gesualdo,
Greci, Grottaminarda, Lacedonia,
Lauro, Marzano di Nola, Mercogliano,
Mirabella, Montefusco, Montella, Montecalvo, Montemarano, Montemiletto, Nusco, Ospedaletto d’Alpinolo, Paternopoli, Quindici, S. Angelo dei Lombardi, San Martino
Valle Caudina, Siringano di Puglia, Teora, Torella
dei Lombardi.
Esistevano poi tre
campi di concentramento: ad Ariano Irpino, a Monteforte
Irpino e a Solofra.
Solofra, essendo
sede di un campo di internamento, non ospitò internati
liberi, anche se nel ’43 una richiesta in tal senso venne avanzata dall’allora
questore di Avellino, A. Vignali, al podestà di
Solofra, l’Avv. Costantino De Maio. A tale richiesta, il podestà fece notare
che la cittadina già era gravata dalla presenza di 1000 sfollati e del I ° Battaglione Bersaglieri, per cui la richiesta del
questore non ebbe seguito.
Gli internati, sia
liberi che coatti, ricevevano un sussidio che, a
partire dal 20 luglio ’43, fu di £ 9 giornaliere per l’internato, £ 5 per la
moglie e £ 4 per ogni figlio minorenne, a cui si aggiungevano, per gli
internati liberi, £ 50 mensili come indennità di alloggio. (Per
avere un’idea del valore della lira, bisogna considerare che nell’ottobre del
’43,
Tali sussidi venivano anticipati dal comune, che solo successivamente ne
riceveva il rimborso. Purtroppo, talvolta il ritardo con cui venivano
restituite tali somme era tale da mettere in difficoltà gli stessi comuni, come
risulta da un documento del 24 ottobre 1943, nel quale il podestà chiedeva la
restituzione urgente di £ 26.677, "data la rilevanza della somma e le
precarie condizioni delle finanze comunali che non consentono nemmeno il
pagamento degli stipendi ai dipendenti".
Il campo di internamento di Solofra fu ospitato nel fabbricato sito
in Via della Misericordia n. 2, e fu attivo dal ’40 (il primo documento
pervenutoci porta la data del 5 luglio 1940), al 1943, allorquando, dopo
l’arrivo degli Alleati, il campo perse ogni valore giuridico, ma continuò ad
operare.
La sua capienza era
di 50 posti letto, ma in realtà in esso furono
ospitate in media 25 internate fisse, più internate di passaggio provenienti o
destinate ad altri campi del Sud: Troia, Campagna, Ferramonti
di Tarsia, Pisticci, Ustica, Lipari. Da un documento
del 4 febbraio 1943, risulta che in esso erano
ospitate 26 prigioniere: 4 francesi, 1 inglese, 3 russe, 3 italiane, 1 turca, 1
olandese, 3 ex jugoslave, 1 allogena (priva di cittadinanza), 3 polacche, 1
rumena, 2 belghe, 2 greche, 1 ex cecoslovacca. La più anziana di queste era Manlaj Giovanna, francese, di 40 anni, mentre le più giovani
erano Borstnar Marta e Yenco
Maria, ex jugoslave, rispettivamente di 20 e 21 anni.
LE
INTERNATE NEL CAMPO DI SOLOFRA Una delle internate con la responsabile del
servizio cucina, Mariuccia De Stefano (a sinistra) Susy Da "Il Campanile", 2 (2001) |
L’atteggiamento
delle autorità nei confronti delle internate fu improntato al rispetto del principi fissati nella Convenzione di Ginevra ed
esponenti della Croce Rossa Internazionale ispezionavano i campi per verificare
il rispetto di quell’accordo. Loro, inoltre,
accoglievano eventuali lamentele o richieste d’aiuto di carattere economico, di
trasferimento o d’altro da parte delle internate. Nel corso del ’43, al
dirigente del campo, l’Avv. Costantino De Maio, giunsero tre telegrammi che
annunciavano la visita di rappresentanti della Croce Rossa di
Ginevra e della Croce Rossa Italiana: il 30 marzo, il 13 maggio e il 19
dicembre.
Dopo la visita del
18 giugno, fu inviato un assegno di £ 1000 per le cinque prigioniere slovene
presenti in quel momento a Solofra, così come
Dinanzi al portone
del fabbricato era posta una garitta di legno* nella quale montava di guardia
uno dei 4 carabinieri che costituivano il Posto fisso responsabile della
sorveglianza alle prigioniere. Essi erano ospitati nella casa parrocchiale di
San Giuliano, che in quel periodo era retta da Don Felice Del Vacchio,
coadiuvato da * Don Alfredo Arminio, al quale era affidato l’incarico di
celebrare
La salute delle
prigioniere era affidata al medico sanitario di quegli anni, il Dott. Gabriele Russo. Quando era
necessario ricoverare un’internata, ciò avveniva previa autorizzazione del
podestà, che notificava il ricovero alla Questura di Avellino,
ed il ricovero avveniva presso l’Ospedale Landolfi di Solofra, dove erano
disponibili 15 posti letto. Anche le spese relative al
ricovero venivano anticipate dal comune, in attesa del rimborso da parte della
questura.
Il settembre del
’43 fu decisivo per le sorti delle prigioniere del campo di
Solofra. Infatti, nella notte tra il 16 ed il 17, quando già vi era la certezza
che qualcosa sarebbe accaduto, visto che gli Alleati erano a Salerno, una
prigioniera, Elena Marussich, scappò attraverso il giardino
(successivamente fu ritrovata ad Aiello
del Sabato, dove aveva raggiunto alcune sue congiunte, internate libere). In
quei giorni si susseguirono vari atti di guerra da parte degli Alleati, fino al mattino del 21 settembre, quando si verificò il bombardamento
più luttuoso che abbia colpito Solofra (di ciò, ho già scritto in un articolo
lo scorso anno). Tale avvenimento rese precaria la sicurezza del campo, in
quanto, come tutti gli abitanti di Solofra, anche le internate abbandonarono lo
stabile per rifugiarsi nella galleria della ferrovia. Il campo, rimasto
incustodito, fu depredato di molte masserizie che conteneva, soprattutto
materassi, lenzuola e coperte, tanto che il dirigente presentò denuncia del
furto presso la locale stazione dei carabinieri.
L’arrivo
degli Alleati, il 29 settembre, rese nullo ogni provvedimento restrittivo nei
confronti dei cittadini stranieri, tanto che lo stesso Posto fisso dei CC.RR. fu abolito. Tuttavia, se alcune delle internate andarono via
quasi subito la loro liberazione, altre rimasero ancora
qualche mese a Solofra, continuando ad usufruire del sussidio previsto
dalla legge, altre vi rimasero qualche anno, qualcuna si sposò nella zona.
Tra le internate che erano ancora a Solofra nel ’44, c’è da
ricordare Rita Vitali, il cui nome appare già nell’elenco del 3 febbraio del
’43 e che risulta essere l’unica internata italiana di religione ebraica
(complessivamente le ebree erano cinque). In effetti, Rita Vitali fu costretta
dalle circostanze a restare in quanto, essendo di
Mantova, sarebbe stato molto rischioso per lei raggiungere la sua città,
considerato che i tedeschi mantenevano l’occupazione del territorio italiano
del Centro-Nord, dove avevano esteso le leggi razziali contro gli ebrei, con le
deportazioni in massa nei campi di concentramento del Centro Europa. Al
contrario, l’atteggiamento delle autorità irpine
verso gli ebrei era stato sempre improntato a grande
senso di umanità. Infatti, nonostante che nel 1938 il Regime Fascista avesse
approvato le leggi razziali restrittive dei diritti degli ebrei residenti in
Italia, il Questore di Avellino, A. Vignali, il 17 aprile 1943 aveva inviato un telegramma ai
dirigenti dei campi di concentramento irpini in cui
si leggeva:"
Nella
documentazione relativa alle prigioniere del campo di
Solofra, esiste una nota che riguarda un’internata destinata a Solofra, che
però non vi giunse mai. Si tratta di Farina Bianca, nata a
Riva di Trento nel Considerata "venditrice di fumo" e una pericolosa
avventuriera, era riuscita a stringere relazioni con alte personalità
politiche e militari di Messina. Arrestata in quella città il 30 novembre del
1942 per attività spionistica ai danni dell’Italia, era stata destinata al
campo di concentramento di Solofra, dove avrebbe dovuto
restare fino alla fine della guerra. In effetti, durante il viaggio di
trasferimento, presso Paola eluse la sorveglianza degli agenti P. S. rendendosi
irreperibile.
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È in edicola il libro di Antonietta Favati, Le internate, Atripalda, Mephite, 2002. |
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Recensione di Mimma De Maio a Le internate di Antonietta Favati
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