Approfondimenti

 

Le Santa Cecilia al cembalo di Francesco Guarini

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S. Cecilia al cembalo con sei angeli

(Museo di Capodimonte di Napoli)

Proviene dal Palazzo Guarini dove fu fino al 1750. Venduto il 12 aprile del 1845 da Francesco Alfieri al Museo.

 

Mostre: Atene (1984); Budapest (1985); San Paolo e Rio de Janeiro (1989); Strasburgo-Bordeaux (1994); Rimini (1994); Palermo (1997).

Bibliografia: Landolfi (1852); Garzilli (1901); Rolf (1910); De Rinaldis (1911); Bessone Aurelj (1915); De Rinaldis (1928); Ortolani (1938); Molajoli (1960); Grieco (1963); Bossaglia (1965); Schleier (1975) Rubsamen (1980); Lattuada (1980-81); Collezioni di Capodimonte (1982); Lattuada (1982); Lattuada in Mostra Londra (1982); Lattuada in Mostra Napoli (1984); Pagano in Mostra Strasburgo-Bordeaux (1994); Pagano in Mostra Rimini (1996); Pagano in Mostra Palermo (1997).

 

Dice R. Lattuada:

Il dipinto è noto alla letteratura sin dalla menzione di Landolfi e l'attribuzione a Guarino non è mai stata messa in discussione. Secondo una tradizione tramandata dallo stesso Landolfi, e di cui non mi è stato possibile rintracciare la fonte, nella Santa Guarino avrebbe prodotto un ritratto allegorico della Duchessa Giovanna Frangipane della Tolfa, moglie di Ferdinando Orsini e madre di Papa Benedetto XIII. Tale tradizione potrebbe essere rafforzata dal fatto che la donna è rivolta verso lo spettatore, per l'appunto come in un ritratto. Inoltre Pasculli Ferrara (1994), segnala l'esistenza di un ritratto della Duchessa Frangipane in abiti domenicani nel Convento della Chiesa delle Domenicane a Gravina di Puglia, le cui fattezze rendono certa l'identificazione della Duchessa nel quadro di Guarino. Lattuada (1980-81) ha proposto di identificare il dipinto con "Un quadro coll'effiggie di Santa Cecilia che suona il Cembalo, cinque Angioli con carte di Musica in mano, et altro, che sostiene la corona di rose sul capo della stessa Santa, di palmi sei, e cinque, del suddetto Guarino", inventariato nel 1744-50 al n. 117 nel palazzo napoletano degli Orsini (cfr. Rubsamen (1980). Se tale identificazione - accettata dalla critica successiva - risulta esatta, non è certo che l'opera rientri per forza tra quelle "sicuramente eseguite a Gravina" (Pasculli Ferrara 1994). D.M. Pagano in Mostra Strasburgo (1994) ha precisato che l'opera fu venduta nel 1845 da Francesco Alfieri al Museo Borbonico di Napoli. Sempre la stessa studiosa ha notato come il dipinto fosse prima nel Palazzo Orsini a Gravina, poi in quello a Napoli, come confermato dalla menzione inventariale in entrambi i palazzi, prima nel 1707, poi nel 1744. R. Lattuada in Mostra Londra (1982) ha prospettato una fase stilistica comune alla Santa Cecilia di Capodimonte ed al San Giorgio in Collezione del Banco di Napoli, nella seconda metà del quinto decennio del Seicento, nel tratto estremo dell'attività del pittore. I colori brillanti delle stoffe dalle pieghe rigide, una certa astrattezza delle espressioni e la cura meticolosa dei dettagli decorativi avvicinano il dipinto al Giuseppe che interpreta i sogni del Faraone (già presso Finarte) ed alla Madonna del Suffragio di Gravina. Per queste ragioni è plausibile che sia dipinto sia stato eseguito negli anni della permanenza gravinese del pittore, poco prima della morte. Nella Santa Cecilia Guarino sembra ormai del tutto distaccato da Stanzione, mentre più marcata è la consonanza con i modi del Pacecco de Rosa più brillante ed astratto. L’altezzosa effigie della santa, pur nella non eccezionale bellezza del tipo fisico, esprime appieno il clima di sontuoso misticismo che dovette permeare gli interessi culturali e religiosi della famiglia Orsini. Pasculli Ferrara (1994), segnala prelievi dall'opera in discussione nel tardo San Francesco di Paola a Gravina di Puglia, Cattedrale.

 

 

 

Santa Cecilia al cembalo

(collezione privata)

 

Proviene dal Palazzo Orsini di Gravina dove stette almeno fino al 1707. Poi fu presso Mrs. Norman fino al 1956; passò per Christíe's (Londra 6-V11-1956 lotto 17) con attribuzione a "Gentileschi".

 

Bibliografia: Lattuada (1982); Galasso (1985-88); Schiitze-Willette (1992); Galasso (1994).

 

L’opera è stata pubblicata da R. Lattuada nel 1982 che l’attribuì al Guarini dietro "proposta orale di Ferdinando Bologna".

Dice il Lattuada: "Il dipinto del Guarino mostra una splendida ragazza, il cui sguardo verso l’alto sembra attento a captare il suggerimento divino come in uno scatto d’intuizione. I due angeli dietro al cembalo reggono uno spartito sgualcito e le tipologie dei loro volti somigliano a quella del pastorello nel rametto del Pastore con cornamusa (o Giacobbe) del Museo di Capodimonte, un’opera della maturità […] Nell’opera sono evidenti la gamma cromatica squillante e il gusto per l’evidenza ottica delle stoffe, rese con pennellate corpose, sulle quali stesure leggere di colore a contrasto rendono i riflessi del tessuto prezioso. Lo squillante contrasto di giallo, blu e bianco dell'abito della santa è valorizzato dal pregevole inserto di natura morta della ghirlanda di fiori sul capo della santa. Tale modo stilistico, impiegato ad esempio nei panneggi dell'Annunciazione della Collegiata di Solofra (1642), ricorre anche nella Sant’Agnese e nella Sant’Agata di Matera, e segna le opere più incisive della maturità del pittore. Le sue capacità nel campo della natura morta emergono in tutta la loro forza nella ghirlanda di fiori sul capo della giovane donna, posta ad ornare una delle più belle immagini femminili reperibili nella pur vasta antologia delle sante a mezza figura dipinte da Guarino"

 

Da R. Lattuada, Francesco Guarino da Solofra nella pittura napoletana del Seicento, Paparo, Napoli, 2000, pp. 202-203 e 242-243.

 N. B. Nel riportare i brani del Lattuada siamo stati fedeli al suo testo che usa la parola Guarino al posto di Guarini, naturalmente con una lectio facilior del termine.

Vedi i documenti in La famiglia Guarini

 

 

 

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Francesco Guarini da Solofra

 

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