Da Cinema-Teatro Comunale a Cinema Giordano
Storia di una passione
I primi documenti che attestano la nascita del Cinema
Comunale di Solofra sono una delibera del Comune
dell’8 settembre del 1930 e un contratto stipulato dieci giorni dopo. Questi
due atti furono la realizzazione di un’idea che
univa intorno a sé cinque giovani amici: Giordano De Stefano, Gaetano, Donato
Guarino, Antuono Lettieri, Alfonso Lettieri, Giuseppe. Era ancora il tempo del cinema muto
ma il solofrano che voleva assistere alla proiezione di un film era
costretto a recarsi ad Avellino. Fino ad allora
l’intrattenimento pubblico nella cittadina della pelle era stato assicurato,
in modo non sistematico né certo, da gruppi di teatranti che portavano per i
paesi le loro Marionette o i Pupi, oppure da vere compagnie di
filodrammatici, come quella di Pietro e Silvio de Cenzo, che presentavano le
loro storie di capaci di soddisfare il sentimento e la fantasia della gente.
Essi davano divertenti serate al Teatro Comunale, un locale del Convento di
S. Agostino prospiciente la strada e vicino alla
chiesa di Santa Croce, ma anche nei locali del Circolo “Leonardo Santoro” e
qualche volta nel cortile del palazzo ducale. Vale citare per completezza il
valido contributo al divertimento solofrano dato dal Concerto Municipale
Regina Elena che operò a Solofra per oltre un cinquantennio, mentre i
ristretti gruppi delle famiglie borghesi avevano la possibilità di
intrattenersi in sontuose serate nelle case private. Ora questi cinque giovani solofrani mettevano
insieme il loro entusiasmo, le loro capacità e il loro tempo libero
nell’intento di introdurre la nuova attività culturale, che iniziava a
diffondersi con la celluloide, nella cittadina già ricca di fermenti e di esperienze imprenditoriali. Nei loro progetti c’era
l’idea di creare, attraverso proiezioni periodiche, un punto di incontro stabile della intera comunità col nuovo
linguaggio. A questo scopo c’era l’antico locale comunale,
centro delle attività ricreative fin dall’inizio del secolo. La sala con le
sue dimensioni di oltre Furono necessari alcuni interventi non molto
invasivi: una nuova pendenza del pavimento verso lo schermo, l’integrazione
delle uscite di sicurezza sul cortile del chiostro
di S. Agostino, un’illuminazione più idonea, l’adeguamento della zona
d’ingresso, laterale alla sala, con il botteghino per i biglietti. Non
mancarono nuovi interventi: l’allestimento di un’attrezzata cabina di
proiezione con i macchinari che furono presi alla Cinemeccanica
di Napoli; l’organizzazione settimanale del rifornimento delle pellicole
(dette “pizze) presso le case di distribuzione napoletane che fu affidato ad
uno dei soci, Antuono Lettieri, per il suo mestiere di commesso viaggiatore;
e non ultimo l’apprendimento dell’arte della proiezione cinematografica con
il conseguimento di un patentino ad opera di
Giordano De Stefano. Non furono pochi gli ostacoli da superare soprattutto
perché l’attività era completamente nuova. Fu necessario seguire il lungo e
laborioso iter dei permessi e delle licenze, fatto di viaggi, di petizioni,
di solleciti che furono curati dal De Stefano. Giunse finalmente il giorno dell’inaugurazione col
primo film che parlava della battaglia di Trafalgar,
naturalmente in bianconero e senza colonna sonora. Allora si vide il valore di alcune tecniche del cinema muto dai significativi
quadri di azione, agli attori che si servivano sapientemente dello sguardo,
alle sintetiche scritte capaci di rendere chiaro il tutto. Il silenzio della
proiezione veniva riempito dalla musica di un
pianista che aveva il suo strumento accanto allo schermo. I motivi - canzonette, ma
anche overture, marce, operette - si adattavano sempre alle azioni. Le proiezioni, all’inizio con scadenza
settimanale, presto divennero quotidiane, con il film di successo la domenica
e quelli non di cassetta durante la settimana. Il pubblico non tardò a
divenire costante formato da intere famiglie con i figli al seguito, come la
lunga famiglia del conte Garzilli che occupava sempre le ultime file.
Affluiva numeroso la domenica, meno nei giorni ferali, quando l’operaio
stanco andava a letto presto per alzarsi al mattino
seguente all’alba. Questa situazione, caratteristica di un paese
operaio, certamente non procurava guadagni, a stento si riuscivano a coprire
le spese di rifornimento e di gestione, per cui
subito l’attività apparve rispondente più che al guadagno sicuramente alla
passione che aveva guidato i giovani amici. Con l’andare del tempo però
alcuni soci abbandonarono, rimase come centro della
gestione Giordano De Stefano, che coinvolse nell’attività i figli e persino i
garzoni della sua bottega di fabbro a cui venivano affidati compiti specifici
e non remunerati come quello dell’affissione dei manifesti, della reclamizzazione dei films anche
attraverso altoparlanti istallati estemporaneamente su un’automobile, o come
quello delle pulizie o della guardiania durante il
tempo delle proiezioni. Il
pubblico solofrano sicuramente non sprovveduto, ma abituato al coinvolgimento
emotivo del Teatro dei Pupi e delle Marionette, non fu insensibile a quello
più avvolgente dell’arte cinematografica. Non capitava raramente che molti
spettatori uscissero con gli occhi rossi, ma vi furono casi di coinvolgimento
ancora più forte come quando durante la proiezione di una “Passione di
Cristo” furono addirittura sparati dei colpi di
rivoltella contro Pietro che aveva rinnegato tre volte Cristo. Più
partecipata fu la proiezione del Pirata dell’Isola verde, quando molti
erano accorsi e si erano seduti ai primi posti per assistere alle gesta di un
atleta solofrano, Michele Maffei campione olimpionico, che nel film
impersonava uno spadaccino. Appena si accorsero che il solofrano ricopriva il
ruolo del cattivo un silenzio di delusione invase la
sala rotto da uno straziante urlo di dolore quando costui morì infilzato
dall’eroe. Un’altra volta, poiché la proiezione era stata interrotta per una
lunga mancanza di corrente, si decise di rimandare la
visone del film al giorno dopo, ma la storia era troppo avvincente,
per cui appena rintronò la corrente gli spettatori, che erano rimasti ad
attendere, si recarono a casa del gestore costringendolo bonariamente a
riprenderla e terminarla. Le proiezioni non si fermarono neanche durante la
guerra quando la sala fu frequentata dai soldati
tedeschi che erano di stanza in paese. Questi militari erano educati e
rispettosi delle regole e delle persone, mai ubriachi, mai fuori delle righe,
non così si comportarono gli alleati che furono senz’altro più rumorosi e
insolenti. Dopo il bombardamento, a causa della
incostanza dell’erogazione della energia elettrica, non fu sempre
possibile assicurare le proiezioni che per un periodo furono sospese, ma la
sala non chiuse, ormai divenuta punto di riferimento degli incontri dei
solofrani. Accolse allora le attività teatrali, subito allestite, per
sopperire a tale carenza, da compagnie anche locali.
Tra queste ci fu La gestione del Cinema intanto era diventata di esclusivo impegno della famiglia De Stefano che tutta
intera si divideva i compiti della conduzione dell’attività fino all’ultimo
figlio che terminava la giornata dormendo rannicchiato in una poltroncina
della sala. Non poche volte la bottega di fabbro del titolare dette un
contributo per riparare la rottura dei pezzi. L’ostacolo più grande fu quello determinato dalla
concorrenza. Non era passato molto dall’apertura della sala che se ne aprì un’altra di proprietà della famiglia D’Ambrosio
inizialmente chiamata - siamo nel periodo fascista - Cinema Impero. Subito la
concorrenza divenne spietata coinvolgendo anche il pubblico che cominciò a
parteggiare per l’uno o per l’altro: il cinema di sopra e il cinema di sotto. Così nel linguaggio popolare si indicavano i due locali considerando la loro
collocazione. Il primo si caratterizzava per la passione dell’unico gestore,
il secondo per la competenza dei suoi padroni tra i quali ci fu persino
Vincenzo Napoli, allora Direttore della locale sezione del Banco di Napoli e per un ottimo addetto alla proiezione, Ariosto
Guacci. Lo scontro fu vinto sempre dal Cinema Comunale per l’ottima
programmazione, per i suoi 180 posti a cui si aggiunsero un’altra quarantina quando si decise di ridurre la superficie del
palcoscenico. L’affluenza fu sempre abbondante. In alcuni giorni il pubblico
accettava di buon grado di aspettare ore intere in
attesa della fine dello spettacolo, che veniva ripetuto anche tre volte.
Spesso si faceva defluire la gente attraverso il chiostro di S. Agostino per
non creare intralcio con quelli che entravano in sala. Gli anni cinquanta videro un interesse sempre
crescente verso questo tipo di divertimento, tanto che non bastò l’aver
ampliato la capienza della sala. Rispose a questa esigenza
l’Amministrazione comunale che, guidata dal sindaco Pasquale Russo, si
rivolse alla famiglia De Stefano per realizzare un progetto più ampio, quello
di portare un “cinema itinerante” nei paesi vicini privi di sala
cinematografica. L’idea si mostrò in breve poco praticabile e fu abbandonata.
Erano però rimaste le attrezzature acquistate a
questo scopo che furono utilizzate per
aprire una sala cinematografica nel cortile del convento di Santa Chiara. Il
progetto fu di facile realizzazione e trovò il
favore del pubblico. Si pensò allora di utilizzare lo spazio attrezzato anche
per alcune serate liriche, che debitamente programmate e preparate, ebbero un
grande afflusso di gente. L’orchestra e i cantanti del San Carlo di Napoli
per due anni consecutivi rappresentarono a Solofra in memorabili incontri
opere come il Rigoletto, Intanto anche gli ultimi soci uscirono dalla
gestione del cinema che rimase sotto l’esclusiva guida
di Giordano De Stefano. Egli coinvolse ancora di più la sua famiglia con i
figli impegnati nelle varie funzioni da quella amministrativa,
affidata al figlio Salvatore, a quella di rifornimento delle pellicole,
curata da Raffaele, a quella di gestione della cabina di proiezione divisa
tra Raffaele e Michele, a quella della biglietteria di pertinenza del figlio
Aniello che di sera era libero dagli impegni di studio, fino alla pulizia dei
locali, presa in carica dalle sorelle Concetta e Giovanna. Il tutto sotto la
supervisione di Giordano, che aveva perduto il vigore degli anni ma non
quello dell’entusiasmo. Fu il vecchio capo a dare il
via libera all’idea di impiantare un Cinema a S. Pietro di Montoro. Il
paese, a vocazione essenzialmente contadina, non era evoluto come quello di
Solofra per cui presto si dovette applicare una
programmazione diversa. Sembrò di essere ritornati, nel pieno degli anni
sessanta, alle manifestazioni partecipative che si erano viste a Solofra
negli anni quaranta, quando durante la proiezione del film sul Brigante Mussolino, nel momento in cui Amedeo Nazzari
alzava la mano armata di pietra per colpire l’avversario spregiuro
il pubblico montorese si alzava in piedi e spronava
l’attore con infuriati “Dai!, Dai!”. Questa
attività, per un tempo fu positiva economicamente,
presto incontrò un ostacolo non secondario nella gelosia degli abitanti del
posto che non vedevano di buon occhio che persone estranee gestissero
un’attività che poteva, secondo costoro, essere portata avanti da persone del
posto. Lasciata l’esperienza montorese
la famiglia si dedicò alla gestione del cinema solofrano, che andò avanti
sempre seguita dall’accanita concorrenza dell’altro
cinema che ora si chiamava Cinema D’Ambrosio. La concorrenza non fu sempre corretta, si arrivò persino ad offrire tre films al prezzo di uno. Si cercò allora di giungere ad un
accordo tra i due gestori che però creò un mercato
omogeneo che stancò il pubblico. Si ritornò quindi alla concorrenza attiva
prediligendo la reclamizzazione dei film fatta con
l’uso di giganteschi manifesti che dovevano impressionare e coinvolgere il
pubblico. Furono creati grossi manifesti disegnati anche da artisti locali,
tra cui vale ricordare Nicola Giannattasio, divenuto
poi un pittore di fama. Tali manifesti, che a volte erano vere opere d’arte, venivano affissi sulla grande parete del palazzo Zurlo in
bella vista per coloro che uscivano dalla messa della domenica oppure erano
montati su supporti di compensato a doppia faccia posti sull’ampio
marciapiede davanti al cinema. Questa tecnica ebbe successo
tanto che la fama di questi disegni cinematografici per la loro efficacia
raggiunse le case cinematografiche napoletane e romane che si proposero
all’artista solofrano. Si giunge così all’ultimo stadio della vicenda,
poiché il vecchio Giordano con l’aiuto dei figli riuscì a realizzare un sogno
forse solo inconsciamente accarezzato sicuramente non detto, quello di un
locale suo ove proiettare i films. La via Giuseppe Maffei, che si apprestava a diventare
urbanizzata, accolse nel suo primo tratto, là dove girava con una gran curva
verso nord, al di sotto del Monastero di San Domenico, la nuova sala che si
chiamò Cinema Giordano come omaggio ad un’idea ed una passione perseguita
durante tutta una vita. Il nuovo locale vide la luce nel e visse per anni sostenuto, come prima, solo da una
fede che non poggiava su calcoli economici e che aveva guidato l’intera
famiglia dietro il genitore. Anche le idee però sono
destinate a tramontare perché come gli uomini che le producono sono
espressione dei tempi. Guai se non fosse così. I
tempi nuovi con la televisione si portarono via il vecchio cinematrografo e con esso il
divertimento di un tempo. Il Cinema Giordano chiuse i
battenti seguendo di poco il suo grande animatore, il patriarca che al
termine della sua vita aveva potuto mettere nel bilancio personale la serena
visione di un idea perseguita e realizzata. |
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