Famiglie solofrane 

Corsaro

 

Famiglia originaria di Montoro e impiantata, fin dal XVI secolo, alle Casate di Solofra con Marino (73) la cui casa confinava con i beni di Abbondanzio Grassi.

Pochi però sono gli individui di cui si ha notizia in questo secolo.

 

 

XVII-XVIII

 

Nella prima metà del secolo XVII nello stesso casale c’è la famiglia di Carlo sposato con Lucrezia Pisano.

 

 

 

Un unico ceppo facilmente individuabile tra i Volpi e S. Agata.

 

 

Dopo la peste ai Volpi si trova la famiglia di Domenico e di Santa Cilizio con il figlio Nicola (nato nel 1692).

In questo nucleo si lavora la lana depurandola dalle scorie della concia per la vendita al mercato di Giffoni.

 

Nicola sposa Cecilia Marra (1708) con cui vive in un’abitazione con varie stanze soprane e sottane. La sua famiglia è interessante poiché esprime tutte le forme dell’artigianato locale legato alla pelle, dalla lavorazione della lana, che è l’attività principale, alla concia che è l’attività dei figli Pasquale (1733), Nunziante (1734) e Gennaro (1746), alla lavorazione delle scarpe di Domenico (1726), che in questo periodo è però un artigianato povero, contrariamente a come la stessa attività si presentava prima (XVI secolo). Domenico nel 1742 va in guerra. 

Anche l’attività di Taddeo (1740), che è bracciale, lo vede alternare il lavoro nelle selve (la famiglia ha in censo un bosco in località Iatamani) a quello nelle botteghe, anche se nella forma manuale.   

La famiglia si completa con le figlie e cioè Antonia (1725), Fortunata (1726, sposa Baldassarre Alfano).

 

Pasquale (di Nicola), sposando Rosa Giaquinto, si trasferisce alla Forna dove lavora nelle botteghe della zona. Suoi figli sono Antonia (1765-1795) e Donato Antonio (1770-1796).

 

Taddeo (di Nicola) sposa Maddalena Pirolo e si trasferisce a Caposolofra con la sua attività. Suo figlio è Domenico Donato (nato nel 1770).

 

Giuseppe (di Nicola) sposa Domenica Nuzzo nel 1720, poi Costanza Santoro nel 1735.

 

 

 

A S. Agata di Serino in alleanza con i De Maio.

 

Un ramo dei Corsaro solofrani si trova in questo casale in seguito al matrimonio di Donato (1691), figlio di Domenico, con Lucia e poi con Agnese De Maio. Qui Donato abita in una casa della moglie alle Cortine. È colono di un fondo in località le Cesinelle con i figli Giovanni (di anni 34), Giuliano (anni 33) e Pasquale (anni 20).

Di questi Giovanni, sposando Caterina Guarino, si sposta al Sorbo in un fondo della famiglia della moglie, mentre Pasquale resta a S. Agata per il matrimonio con Maria Spinelli una famiglia del casale. Ha Agostino nel 1752. Il legame con questa famiglia santagatina è sostenuto dal matrimonio, alla morte di Pasquale, del fratello Giuliano con la cognata Maria (ha Michelarcangelo nel 1761).

Il legame con i De Maio viene invece consolidato in seguito al matrimonio di Rosa con Arcangelo col quale Rosa abita nella parte alta del casale.

Al tempo del catasto altri due figli di Donato, Natale e Michele, vivono nella casa di S. Agata con la madre Agnese e sono lavoratori manuali tra le botteghe delle Cortine e il fondo di famiglia.

 

Agostino di Pasquale, sposa Lucia Franco. In questa famiglia c’è un altro matrimonio con gli Spinello, poiché Maria nel 1779 sposa Michele col quale abita in località Bussoli.

 

Un figlio di Agostino, Nicola, si sposta alla Forna, dove abita Taddeo del ramo dei Volpi per fare il bettoliere e dove sposa Caterina Ferrante, la cui figlia Maria Antonia forma una famiglia con Vincenzo Gallo lavoratore del ferro in piazza.

 

 

 

Una famiglia di musicisti dell’inizio del XX secolo

 

Michele Corsaro

(Solofra 1882-Catanzaro 1914)

Michele sposò Annamaria Liotti da cui ebbe Nicola (nato nel 1902), Salvatore (nato nel 1904), Maria Michela (nata nel 1906), Iolanda (nata nel 1908), Liberata (nata nel 1910), Michele (nato nel 1913), Mario Antonio (nato nel 1915), Rocco Antonio (nato nel 1918), Rosaria (nata nel 1918) e Rocco (nato nel 1921).

Iniziò gli studi di musica con i maestri Balassone, D’Orsi, Chirico, Farina, ebbe come maestro d’organo P. Sinforiano da Costantinopoli. Completò gli studi a Napoli. Fu filocorno, soprano solista nel Concerto “Regina Elena” debuttando con l’opera “Fra Diavolo” di Auber. Nel 1913 vinse il concorso di filicorno tenore solista con brillanti risultati nel Concerto musicale di Verona. Durante la guerra del 15-18 fu scelto tra molti ed assegnato, con provvedimento straordinario, alla Banda dell’82° Fanteria riscotendo applausi e congratulazioni da ufficiali e generali. Dopo la guerra assunse la direzione del Concerto di Solofra che però lasciò presto perché chiamato come solista e maestro sostituto in molte bande (Avellino, Serino, Chianchetelle, Montemiletto, Nusco, Sturno, Nola, Lauro). Per le sue inconfondibili qualità fu definito “Il Caruso del trombone”. Il tenore Beniamino Gigli tentò più volte di averlo nel suo Concerto bandistico di Recanati. Dal 1926 si dedicò esclusivamente alla direzione di Bande mostrando non comuni qualità di Direttore e Concertatore. Dal 1926 al 1930  diresse la Banda di Forino (AV), dal 1933 al 1939 quella di Belcastro (CZ), dal 1940 al 1946 quella di Bocchigliero (CS) e nel 1946 per due anni quella di S. Severina (CZ). Ottimo trascrittore ed eccellente compositore, prese parte a diversi concorsi per composizioni musicali vincendo premi e diplomi.

“La sua musica è profondamente meditativa, espressiva e sensibile. Le sue romanze per canto o pianoforte Ti voglio amar e Se tu non hai pietà, che spesso egli stesso soleva cantare, mandavano in visibilio gli ascoltatori. Le sue composizioni per banda venivano eseguite da vari Concerti musicali e sono pregevoli per lo stile caratteristicamente personale, che resta al di fuori di scuole o di reminiscenze culturali ed è schivo di ogni virtuosismo e cerebralismo”.

 

 

(Queste notizie sono tratte dalla biografia preparata dal figlio Nicola esistente presso il Centro studi di storia locale della Biblioteca Comunale “Renato Serra” di Solofra).

 

 

 

Salvatore Corsaro

 

di Amedeo Massetti

 

Salvatore Corsaro nacque a Solofra in provincia di Avellino, il 7 ottobre 1904, da Michele e Anna Maria Liotti. Respirò le note fin da bambino in una famiglia in cui il padre, diplomato in trombone, strumentazione per banda e valente organista, dirigeva il locale complesso bandistico.

Michele, eccellente compositore, aveva trasmesso ai figli  (Nicola, Salvatore, Maria Michela, Iolanda, Liberata, Michelino, Mario Antonio, Rocco Antonio, Rosaria, e Rocco) un grande amore per la musica, e la numerosa prole era abituata ad ascoltare  i brani per organo e le marce per banda usciti dall’estro creativo del padre. Per la sua genialità e le composizioni prodotte era stato nominato “membro d’onore” del Liceo Musicale “N. Salzano” di Nocera Inferiore (Salerno) ed insignito della medaglia d’argento.

Tre dei suoi dieci figli ne seguiranno le orme e si distingueranno per alte capacità professionali. Nicola, diplomato in trombone, eccelleva al flicorno tenore solista. Anche lui compositore, si guadagnò molte onorificenze per le sue numerose opere scritte per il teatro, per coro, complessi bandistici, orchestra, organo e pianoforte; aveva diretto moltissime bande in varie città italiane (Solofra, Arcevia, Scandale, Isola Capo Rizzuto, Gerace, Bolzano, Forino, Motta Santa Lucia, Belcastro, Caccuri, Santa Severina, Careri).

Michelino, diplomato in tromba, divenne un formidabile solista e veniva chiamato in tutte le bande a suonare il flicornino in Mib ogni volta che c’era da eseguire qualche pezzo di particolare difficoltà.

Salvatore aveva compiuto i suoi studi al Liceo Musicale “N. Salzano” di Nocera Inferiore, diplomandosi in tromba e strumentazione per banda.

Nel 1928, a ventiquattro anni, era già membro d’onore di quell’stituto musicale e insignito di medaglia di bronzo per le sue composizioni (in seguito gli verranno conferite la medaglia d’argento e quella d’oro).

Seguì il padre, direttore di banda, prima in Basilicata, poi in Calabria e si stabilì per lungo tempo a Scandale, tra Catanzaro e Crotone, dove diresse la banda municipale di quella città, succedendo al fratello Nicola. Nel 1932 si spostò al nord, per dirigere la banda di Cantù.

Poi venne la guerra: Salvatore fu richiamato e spedito nei Balcani tra  Zagabria e Belgrado.

A pace fatta e deposte le armi, riprese i suoi rapporti con la musica dirigendo, dal 1945 al 1951, la banda di Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina. Conclusa l’esperienza siciliana, il maestro fece ritorno in Calabria, a Soverato, per dirigere la banda  di quella cittadina balneare sullo Ionio, in provincia di Catanzaro.

Dal 1953 agli inizi del 1957 fu ad Umbertide (PG) come direttore della banda cittadina e della scuola di musica, incaricato dal Comune umbro. Interrottosi improvvisamente il suo rapporto di lavoro per un ingiusto licenziamento, Corsaro mosse causa giudiziaria contro l’Amministrazione comunale e nel 1962 il Consiglio di Stato riconobbe le sue ragioni, condannando l’Ente a risarcirgli i danni.

Nel 1956 iniziò contestualmente ad insegnare alla scuola di musica di Gubbio dove, oltre di quelli a fiato, impartiva l’insegnamento dei più svariati strumenti, come la fisarmonica e il violino; dal settembre 1957 al luglio 1965 diresse la banda eugubina, risiedendo stabilmente nella città dei Ceri.

Dal 1957 al 1958 fu il direttore anche della banda di Cannara (PG).

Dal 1º giugno 1959 al 30 novembre 1966 diresse contemporaneamente la banda di Gualdo Tadino. Con questo Comune ebbe un regolare rapporto di lavoro come dipendente e formò alla musica un gran numero di giovani. 

Alla fine del 1966 ritornò in famiglia a Catanzaro, dove continuò l’insegnamento della musica nelle scuole. Concluse la sua carriera di musicista come insegnante di musica e canto nell’Istituto Magistrale “Galluppi” di Catanzaro.

Insegnante e direttore rigoroso, ma con grandi doti umane, era dotato di spiccate qualità didattiche e otteneva risultati accettabili anche dai meno dotati. Pretendeva molto dagli allievi, cui non risparmiava aspri rimproveri, ma sapeva riconoscerne e lodarne l'impegno.

Direttore autorevole e di grande comunicativa, sapeva trarre il meglio dai suonatori e ad infondere nei gruppi bandistici potenza sonora e delicatezza espressiva.

Fu un innovatore. Nei repertori bandistici fino ad allora composti quasi esclusivamente da brani d’Opera e marce sinfoniche, introdusse per la prima volta pezzi brillanti da lui arrangiati, nei quali dominava l’anima della musica napoletana, che scatenavano l’entusiasmo del pubblico. Sono rimasti famosi i suoi “canzonieri”, suonati per molti anni da varie bande umbre.

Il 21 dicembre 1982 Salvatore Corsaro si trasferì a Pentone, ridente cittadina immersa nel verde di ulivi e castagni, a dodici chilometri dal capoluogo calabrese, dove, insieme ai fratelli Rocco, Jolanda e Rosaria, aveva acquistato una casa.

Visse con loro fino alla morte, avvenuta a Catanzaro il 4 dicembre del 1986.   

Di Amedeo Massetti è stato pubblicato Due secoli in marcia. Umbertide e la banda (Petruzzi editore).

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Nicola Corsaro

Maestro Direttore d'Orchestra

 

Nato a Solofra il 30 novembre 1902, Nicola Corsaro apprende i primi elementi musicali da suo padre Michele ed inizia a suonare il flicorno tenore come Solista. Continuò i suoi studi sotto la direzione del valente Maestro Zopito Farias e del Maestro Michele Orlando Acampora. All'età di tredici anni fonda una fanfara scolastica in Solofra. Nel 1927 consegue presso il Liceo musicale N. Salzano di Nocera Inferiore, due Gran diploma d'onore, uno con Croce d'argento e l'altro con Croce d'oro, per due composizioni giovanili e presso lo stesso Liceo si diploma come Maestro di Banda nel 1928. Di questo diviene membro onorario con Croce al merito per i suoi meriti artistico-musicali nel 1929. Alla sua figura, l'Album dei Compositori, Maestri e Solisti contemporanei, realizzato nel 1928 dal Liceo Musicale N. Salzano di Nocera Inferiore, Orlando editore, gli dedica la pagina 117.

Suona nella Banda di Solofra e poi la dirige dal 1928 al 1930

Alla fine del 1929, dopo il venir meno della Banda di Solofra  - mentre il padre Michele e la sua famiglia trasferitisi a Forino nel 1926 (?) abbandonano la Campania ed emigrano prima in Basilicata a Piperno e poi in Calabria -, egli lascia il proprio paese natio per trasferirsi ad Arcevia (An) e fino al 1932 insegna qui musica e canto nelle scuole medie inferiori ed in quelle elementari.

Dopo questa esperienza, su sollecitazione del padre, egli si trasferisce in Calabria, raggiungendo la propria famiglia a Bocchigliero (Cs), dove il padre dirige la Banda musicale cittadina, e sposa nel 1935 un'insegnante elementare, Laura Gangale, di Cirò Marina (Cz), dalla quale ha due figli, Michele e Luigi.

In Calabria, riprende l'attività di direzione di bande musicali. Nel periodo 1932-1936 dirige le bande musicali di Scandale, Caccuri e Belcastro (CZ) e, dopo il richiamo alle armi durato 17 mesi, di nuovo quella di Scandale (1946) e nel periodo 1947-50, quella di Isola Capo Rizzuto (Cz). Continua poi nel 1951 con la banda di Careri (Rc), nel 1952-55 quella di Gerace superiore (Rc).

È evidente che in quel periodo la crisi economica del dopoguerra influisce sulla stabilità dei complessi bandistici, che non trovano alcun sostegno nelle istituzioni pubbliche, tutte impegnate a sanare i gravi danni prodotti dalla guerra.

Trasferitasi la famiglia a Crotone (Cz) alla fine dell'anno 1955, egli si dedica all'insegnamento privato della musica e del canto, ai corsi statali di orientamento musicale e, poi, a quelli di educazione musicale nelle scuole medie inferiori, terminando quest'ultima attività nel 1972. In questo periodo dirige anche per un anno la Banda musicale di Soverato (Cz) e per due anni consecutivi, 1963 e 1964, quella di Bolzano. Negli anni Sessanta si iscrive alla Siae quale Autore, depositando varie composizioni che vengono eseguite da alcuni complessi bandistici calabresi e no.

Nel 1974 si trasferisce a Perugia, dove risiedono i suoi figli e muore il 31 dicembre 1982.

Le sue composizioni ammontano a numero 138. Vi si trovano, innanzitutto, marce di vario tipo (sinfoniche, funebri, militari, eroiche), molte delle quali premiate con pubblici riconoscimenti sia negli anni intorno al 1930, sia in quelli intorno al 1950. Poi vi sono due operette, La capinera e Baraonda: la prima rappresentata in Arcevia nel 1930; la seconda composta su libretto di Franco Berardelli, un poeta, suo amico, morto giovane (rappresentata in Roma presso l’Ambasciata del Siam, essendo il dottor Giulio Berardelli ambasciatore italiano per tale Stato). E infine intermezzi, suites, poemi e preludi sinfonici, alcuni dei quali risultano esser stati a suo tempo messi nel repertorio ed eseguiti dalla sua banda. Ed infine inni, canti, pezzi per pianoforte, ecc., spesso dedicati ai suoi allievi. A questa produzione, si aggiungono poi le varie trascrizioni per banda delle opere liriche eseguite dai complessi bandistici da lui diretti, nonché i vari canzonieri da lui stesso composti ed eseguiti, secondo una vecchia tradizione propria delle bande cittadine italiane.

Una vita dedicata alla musica, dunque, e specialmente alla composizione, che lo accompagnerà per tutta la sua esistenza. Un canto talvolta allegro, ma più spesso triste e malinconico, per non aver potuto coltivare appieno la propria passione, che una società in grande e rapida trasformazione di continuo osteggiava.

 

Delle 138 opere del Maestro Nicola Corsaro diamo solo quelle premiate:

1. Ritorna l'eroe (marcia sinfonica). 2. I Miserabili (marcia sinfonica). 3. La bella forinese (marcia sinfonica). 4. Piccoli musicisti (marcia sinfonica). 5. Piccola Pinuzza (marcia sinfonica). 6. Tout est fini (marcia funebre). Premiata con croce d'oro. 7. L'aspirazione (romanza con versi). 8. La vita ironica (marcia sinfonica). 9. Il gioco dell'amore (scherzo marciabile). Premiato con medaglia d'oro. 10. Nettina (marcia sinfonica). 11. Come un bel dì di festa (tempo di marcia).

N. B. Si ringrazia il professore Luigi Corsaro, figlio di Nicola, dell'Università di Perugina, per le notizie e i documenti forniti.

 

È questo il testo del discorso tenuto da Luigi Corsaro, figlio di Nicola, al Concerto di fine anno della Polifonica di Solofra in cui fu dedicato uno spazio al Maestro con l’esecuzione di alcune sue opere.

 

Discorso di ringraziamento

di Luigi Corsaro

Non è usuale che un figlio illustri la figura del proprio padre. Tuttavia la circostanza in cui mi trovo oggi è tale che non posso farne a meno. Questo è dovuto all’onore che la città di Solofra oggi fa ad un suo figlio, che molto tempo fa la lasciò per necessità, non per disaffezione, così come è accaduto a molti di noi rispetto ai nostri paesi di origine.

Su mio padre tutti possono leggere in Internet alcuni dati biografici. Quei dati, che io ho comunicato quando ho avuto i primi contatti  con la prof.ssa De Maio, non sapevo che sarebbero andati a finire al pubblico. Sono dati nudi e asettici, che dicono sinteticamente della vita di un uomo, della sua famiglia e della sua fine. Dicono molto brevemente di quello che la persona ha fatto. Tuttavia, non ne spiegano l’animo. Io qui tenterò invece di chiarire questo aspetto.

La figura di mio padre si spiega solo in collegamento con l’idea di banda musicale, di complesso bandistico di una città, di banda come espressione della comunità cittadina. Forse è un’idea di altri tempi, ma è così.

Per lui la banda musicale era un qualcosa in cui si realizzavano le energie dei giovani della città, perché i suoi componenti erano del luogo, perché la banda serviva innanzitutto alla città per le sue feste e per ogni lieta o triste ricorrenza. Era la musica il fatto costante che accompagnava i fatti  importanti della vita cittadina.

E poi, la banda era il momento in cui si concretizzava l’attività di insegnamento del maestro, perché i musicanti, i componenti della banda erano allievi suoi o del maestro precedente, erano ad ogni modo il frutto di una produzione locale.

Ebbene, questo fenomeno bandistico, del quale mio padre viveva, ha dovuto fare i conti con l’andamento dell’economia e le sue crisi. Se si segue la vita di mio padre e si presta attenzione ai suoi molteplici spostamenti dal 1930 fino allo scoppio della seconda guerra mondiale, si può notare immediatamente come le bande si formano e vengono meno in poco tempo. Questo perché vengono meno le occasioni di alimentazione economica del fenomeno musicale. La crisi economica impedisce l’utilizzazione della banda nei paesi vicini e vengono meno gli introiti che permettono la sopravvivenza (basti pensare al costo degli strumenti). Ed allora un maestro di banda come mio padre, che non rinuncia a fare quello per cui si sente tagliato e che fin da piccolo aveva coltivato, che fa? Insegue la possibilità di organizzare una banda musicale là dove questa è venuta meno, e si sposta prima nelle Marche e poi in Calabria, e qui cambia molte volte paese, nella speranza di poter realizzare il sogno di avere una sua banda  stabile, economicamente solida, che non dipenda dal fatto contingente di eseguire un servizio bandistico in più o in meno. Questo sogno continuerà anche dopo il periodo bellico e stava quasi per realizzarsi negli anni 50.

Ma intanto la società era cambiata; il gusto della musica tradizionale cui la banda era dedita e il culto delle feste cittadine era calato o quasi spento. Le istituzioni pubbliche non erano attente a questo fenomeno, giustamente impegnate nell’opera di ricostruzione e di sviluppo di un paese danneggiato dagli eventi bellici. E così, con la fine delle bande, mio padre è costretto a stabilirsi in una città, Crotone, e lì dedicarsi all’insegnamento.

Ma questo non basta a spiegare il rapporto fra mio padre e la banda musicale. La banda eseguiva, sì, pezzi classici, ma questi pezzi erano adattati da lui per il complesso bandistico. E’ quello che tecnicamente si chiama trascrizione. Ebbene mio padre trascriveva, adattava, sunteggiava opere liriche e pezzi classici per la sua banda. Allevava, istruiva gli allievi. Scriveva parti e partiture per gli esecutori. Adattava e componeva musica religiosa per il suo complesso. Ma soprattutto scriveva marcie per la sua banda; marcie originali, di cui alcune premiate. La banda era alla fine una sua creatura, un suo prodotto, era qualcosa di suo, gli apparteneva.

Dico queste cose non da figlio ma da osservatore. L’ho visto molte volte da piccolo nelle prove, in esecuzione di servizi pubblici, e poi l’ho rivisto a 24 anni nell’anno 1964, quando dopo otto anni dall’ultimo concerto, dirigeva la banda di Bolzano, in un concerto a Bressanone. Quando era sul podio era come rinato, era nel suo ambiente naturale, sembrava avesse trent’anni; invece ne aveva ben sessantadue.

Questa immedesimazione fra mio padre e la banda era la conseguenza del fatto che egli era un compositore. E questo è un altro capitolo non molto noto che qui si apre, per merito di questa città che gli diede i natali e dalla quale le vicissitudini economiche lo hanno allontanato (così come è successo a molti di noi).

Questa della composizione è stata la sua passione. Anzi si può dire che essa lo accompagnò costantemente per tutto il percorso della sua esistenza. Da un elenco da lui stesso fatto nel 1963, e non comprensivo delle composizioni successive, risultano alcune operette per il teatro, oltre 50 fra marcie, marcie sinfoniche, fantasie, scherzi, marcie funebri e religiose, 40 composizioni per piccoli complessi di strumenti a fiato, più di 20 composizioni per pianoforte, più di 20 composizioni per canto e pianoforte, più di 10 composizioni per canto ed organo, 6 composizioni per orchestra.

Non sta a me giudicare queste composizioni, che io ho donato a questa Città e che consegno simbolicamente al signor Sindaco mediante un elenco da me redatto. Io mi dedico di tanto in tanto a suonarne, e malamente, qualcuna per pianoforte. Posso dire solo una cosa: che esse, pur accompagnando costantemente la vita non facile del suo autore, sono talvolta, sì, melanconiche, ma mai riflettono tutte le difficoltà, le illusioni, i fatti negativi che mio padre ha dovuto affrontare nella vita nel perseguire il suo sogno musicale, al quale si era dedicato sulle orme di suo padre Michele, mio nonno.  E questo, forse, ha una spiegazione. Nell’inviare una sua composizione ad un concorso in forma anonima, mio padre contrassegnò l’opera con il seguente motto: “Divina è quell’arte che uccide il dolor”.  Ebbene, questa forse è la vera ragione del suo comporre e della continuità della sua opera: uccidere il dolore delle cose tristi che la vita gli forniva incessantemente. Ma non in una meditazione fine a stessa, ma in un lavoro, in un’opera, in un qualcosa di tangibile per sé ed il  proprio futuro.  Ed in questo sta anche il suo insegnamento.

      Mi sia consentito ora di ringraziare il Sindaco, l’Assessore alla cultura e tutta l’Amministrazione comunale per il rilievo che hanno voluto dare alla figura di mio padre e di ringraziare e ricordare qui la professoressa Mimma De Maio, la signora Lucia Petrone e il professor Giacomo D’Urso, senza la cui opera solerte e appassionata non avrebbero avuto spazio né le ricerche su mio padre, né quella sulla famiglia Corsaro, né la cura delle sue composizioni, né l’organizzazione della loro esecuzione. Ad essi va il merito di aver riscoperto un figlio di questa illustre Città.

      Ad altri ancora però, e non ultimi, va la mia sentita riconoscenza: al Maestro Gina Grassi e alla splendida Polifonica Collegiata di Solofra, per aver fatto ascoltare a tutti  in modo diretto e immediato la voce di mio padre, in questo bellissimo scenario che è stato a lui consueto nei primi trenta anni della sua esistenza.

 

Solofra, 30 dicembre 2004

 

 

Il Concerto era composto di 55 esecutori, due elegantissime divise, tra cui quella di gala era da Ufficiale di Marina. Repertorio estesissimo di musica classica e moderna. Servizio celere di trasporto con camion proprio e brande letti.

 

 

Chi è Luigi Corsaro

 

Tutte opere del Maestro Nicola Corsaro e parte di quelle del padre Michele sono presso il Centro studi di storia locale della Biblioteca comunale “Renato Serra” di Solofra, donate da Luigi Corsaro.

 

 

 

Il Concerto Regina Elena di Solofra

Vedi l’articolo:

 I Corsaro una famiglia di musicisti e Direttori di banda

 

 

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