Protagonisti

Costantino Vigilante

Costantino Vigilante nella seconda metà del secolo decimosettimo, un periodo in cui era ancora viva il ricordo della lotta tra i ceti popolari e l’aristocrazia feudale, lotta che si era espressa nei moti masanelliani ai quali Solofra non era stata estranea. La sconfitta però non aveva spento il fervore di lotta, alimentato dall’antica tradizione di libertà che aveva visto sempre in forte attrito la dualità locale e che negli anni di formazione si acuì nelle vicende che videro al centro il primicerio Giovan Sabato Iuliano.

Costantino apparteneva ad una famiglia che costituiva il ceto più vivo e operoso di Solofra, quella “borghesia delle arti e della mercatura” che era stata l’asse portante della società solofrana. Una classe attiva ed industriosa, spregiudicata nel condurre un’attività che non conosceva le angustie della vita paesana, ma che spaziava con i traffici del commercio che avevano come vivo punto di riferimento la capitale del Regno. Da questo ceto erano emersi i rappresentanti della cultura che si erano distinti in vari campi ed emergeva la classe forense e quella ecclesiale che contribuiva a rendere più denso lo spessore dei legami con Napoli.

La famiglia di appartenenza

All’inizio del XVI secolo i Vigilante erano uno dei ceppi più sostanziosi della società solofrana bene impiantata nel casale Fratta che si era evoluto proprio intorno ad esso quando dal primitivo casale Toro si erano stabiliti al di là del vallone Cantarelle dove avevano contribuito alla fondazione della nuova chiesa di San Giuliano. La famiglia in quel tempo era formata da proprietari, imprenditori, mercanti, artigiani, era quindi presente in modo dominante nella realtà economica locale. Il suo impianto a Solofra può farsi risalire al XIV secolo quando avvenne il trasferimento da Salerno e dal suo hinterland di gruppi di artigiani richiamati dalle prospettive che dell’attività conciaria.

Nei due secoli successivi la famiglia continuò a rappresentare una forza della economia locale, spesso fu alla guida della vita comunitaria, fu creditore della stessa Università, in rapporti con i Signori di Solofra e la Regia Corte. Fu tra quei ceppi che cercarono altrove punti di forza per il commercio solofrano. Un ramo di questo ceppo infatti possedeva di una bottega ad Andria, dove il mercato solofrano si apriva all’Adriatico. Molti membri di questo grosso ceppo furono persone di rilievo nella vita cittadina o partecipi al governo come Berardino Vigilante, sindaco di Solofra nel 1545-1556, Covelluccio nel 1590-1591, Giovanni Antonio nel 1600 e Giovanni Angelo nel 1610. Il fatto di essere una famiglia ricca permise a Sebastiano Vigilante di essere regio esattore delle collette (1562) e ad Antonio di avere la nomina da parte del feudatario Orsini a "credenziere del ferro" (1591).

Questa famiglia non fu immune dalla ventata di cultura che nel XVIII secolo dall’Europa giungeva a Napoli. Vi furono tra essi dottori in legge e in medicina, uomini di cultura.

Vale la pena qui citare Marianna Vigilante, nata nel 1746, studiosa di scienze naturali fisica ed astronomia, donna di vasta cultura da avere persino un’ampia conoscenza delle lingue che le permise di tradurre dall’inglese gli Elementi di geografia e di astronomia di i Isacco Watts.

Oltre ad avere il jus di patronato delle Cappelle di San Giuliano, la famiglia aveva la Cappella gentilizia di San Sebastiano e in San Domenico l’Edicola di San Martino.

 

Costantino nacque da Vito e Vittoria Ferrazzano a Solofra il 4 ottobre del 1685. Fu battezzato ad Aterrana nella chiesa di Maria SS. di Montevergine, dove, in seguito, Matteo Vigilante, un suo parente, dipingerà una Natività della Vergine (1773). Visse nella casa paterna al rione Sorbo e studiò come tutti i giovani delle famiglie abbienti e si iscrisse all’Università di Napoli dove si laureò in utroque iure il 2 agosto del 1708. Aveva intanto abbracciato la vita ecclesiale infatti fu ordinato sacerdote il 22 settembre dello stesso anno.

La tradizione ecclesiale a Solofra era molto forte e diffusa, avendo come centro la Collegiata, una chiesa di jus di patronato delle famiglie più in vista del paese e del cui Capitolo facevano parte i rappresentanti di esse come un diritto patrizio.

La carriera ecclesiastica lo vide prima Vicario generale di Ostuni, poi Procuratore fiscale presso la Nunziatella, quindi Canonico del Capitolo metropolitano di Napoli.

In questo primo periodo svolse una parte del suo ministero anche a Policastro, dove dal 1722 al 1724 fu Vicario generale di quella diocesi e dal 1724 al 1726 Arcidiacono del Capitolo diocesano.

Nel sedicesimo anno del suo sacerdozio  - aveva 42 anni e si era nel 1727 -  il Vigilante fu eletto Vescovo di Caiazzo da Papa Benedetto XIII, il papa Orsini della famiglia feudataria di Solofra di cui aveva ereditato il feudo.

Non si può non ipotizzare un rapporto tra i due prelati se si considera che Pier Francesco Orsini era stato educato a Solofra alla scuola del Tura e a Solofra aveva aperto, nel suo palazzo feudale, un’Accademia di Belle lettere e a Solofra aveva abdicato in favore del fratello Domenico.

Da Roma il nuovo vescovo indirizzò la sua prima lettera pastorale ai suoi diocesani in cui riflette sul ministero sacerdotale e sul compito dei sacerdoti che “sull’altare operano i misteri della passione del Signore” e devono sentire il gravoso compito di "manifestare i medesimi misteri anche con la loro vita". Ma la lettera contiene un concetto che colpisce. Egli infatti nella ricerca delle ragioni dell’essere stato elevato "a tanto fastigio" rispondeva "forse la nostra miseria piacque all’Altissimo, che suole manifestare la sua onnipotenza nella umana debolezza", che è un concetto che pone in luce lo spirito che lo animava. Il forte senso della umana miseria, che si annienta e si esalta dinanzi alla onnipotenza del Creatore e che è la fonte di un altro forte sentire, il "grandissimo disinteresse per le cose del mondo", che però non porta ad isolarsi in una sterile solitudine contemplativa ma spinge a gettarsi nella mischia del mondo, alimentati da un "ardore costante per il gregge del Signore", il concetto che la vita di dedizione può svolgersi nell’ombra, che i sacrifici più graditi sono quelli che non hanno nulla di eclatante e che la vita deve essere vissuta con "operosa semplicità", sono tutti elementi che mettono in risalto la sua pastorale e spiegano molti momenti della sua vita futura pastorale.

Pur se il suo ministero pastorale fu esercitato lontano da Solofra, Costantino Vigilante non lasciò mai di ritornare nel suo paese natale. A Solofra fu moltissime volte. Nella casa paterna aveva infatti la sua camera con i suoi libri, la sua scrivania, le sue cose.

A Solofra infatti fu presente l’anno dopo l’elezione a vescovo, l’11 dicembre del 1728  - quando riconsacrò la chiesa di San Giuliano del rione Fratta che era stato il primitivo nucleo della famiglia e in cui era parroco uno zio materno, Girolamo Ferrazzano. L’evento, avvenuto dopo una ristrutturazione che la chiesa aveva ricevuto, è ricordato da una lapide murata sull’edificio sacro e che qui si riporta:

D.   O. M.

A.   D. MDCCXXVIII IDUS DECEMBRIS

Templum hoc solemniter dicatum

et eius altare maius consecratum

ab Ill.mo D. Costantino Vigilante Episcopo Calatino

ad preces Parochi Sui amatissimi avunculi

ac filianus enixe supplicanti potestati facta

ab ill. Rev.mo d. Fasulo De Villana Perlas Arch. Saler.

Consecrationia memoria quotannis celebrata

Quarto idus Feb. Ritu solemni iussit idem templo devote visitantibus

in die anniversario

de vera indulgentia in forma Eccl.

Dies XL benigne concessit Parochus Proc. Ultra actum rogatum

Per manus not. Pascal Landolfoperpetuo hoc monumento.

Il Vigilante mentre era Vescovo a Caiazzo fu nominato Vicario generale dell’archidiocesi di Napoli, nomina voluta dal Cardinale Spinelli ed ufficio che ricoprì fino alla morte e che lo vide dividersi tra Caiazzo e Napoli. Prodigò il suo zelo non comune in favore delle popolazioni per il miglioramento delle condizioni in cui vivevano i ceti popolari teso soprattutto a liberarli dall’ignoranza e dalla superstizione nella convinzione che questi legami rendono l’uomo schiavo.

Il territorio in cui si estendeva la giurisdizione della sua diocesi aveva risentito dei mutamenti avvenuti in Napoli. Qui si erano trasformate le culture e i rapporti di produzione. Si era pertanto formata una borghesia rurale attiva e più indipendente nei confronti della feudalità. Questo ceto però doveva essere liberato dalle pastoie dell’ignoranza e della superstizione ed essere messo in grado di aver partita vinta contro la dominante aristocrazia terriera, legata alle avite prerogative. L’aiuto non poteva certo venire da quella aristocrazia, contro cui si combatteva, né dal governo centrale a cui interessava che le masse rimanessero nell’ignoranza. Vide pertanto il Vigilante che solo la Chiesa poteva intraprendere questa opera. Per fare ciò era necessario che i sacerdoti, soggetti attivi di tale missione, fossero preparati adeguatamente cosa che invece non era. Si sa infatti dell’ignoranza e della superstizione del clero basso, quello che era però più a contatto con le popolazioni e quindi più adatto al compito. Ecco le basi che spinsero il Vigilante nell’opera di diffusione dell’Ordine dei Redentoristi, i Liguorini, fondato da S. Alfonso de’ Liguori che aveva proprio il compito di preparare i "nuovi" sacerdoti. Per realizzare quanto gli stava a cuore progettò di fondare una Casa dei padri Redentoristi in diocesi, a "Villa degli Schiavi", facendosi sostenitore della sua idea presso l’amico Alfonso. Si era nel 1734 e il De’ Liguori accolse l’idea del Vigilante nonostante le riserve del direttore della Congregazione che vedeva l’opera troppo gravosa ed intensa. Presto iniziarono i lavori di adattamento di un edificio donato ai Padri Redentoristi per ospitarvi la nuova istituzione

Questo progetto strinse maggiormente i rapporti tra il Vigilante e il De’ Liguori che tenne varie volte gli esercizi spirituali nel seminario della diocesi di Caiazzo. Insieme i due si impegnarono per combattere l’indifferenza ai dettati della vita cristiana e correggere modalità di vita improntate ad un eccessivo attaccamento alle cose materiali. La diocesi di Caiazzo si giovò dell’amicizia del Vigilante con Alfonso de’ Liguori, che vi andò spesso per missioni cittadine.

In questa sua opera si trovò dunque accanto al grande Santo napoletano con cui collaborò a lungo e con cui ebbe una corrispondenza epistolare.

La situazione delle campagne della diocesi di Caiazzo era quella di tutto il napoletano, caratterizzata da una grande ignoranza religiosa delle masse popolari, ignoranza frammista a superstizioni sfocianti a volte in forme aberranti. Per eliminare questo male che abbrutiva le masse il Vigilante ora poteva realizzare quelle idee che avevano sostanziato la sua riflessione religiosa. Poteva il vescovo nella sua diocesi mettere in pratica il programma di evangelizzazione. Una gran parte del suo impegno fu infatti teso alla sistemazione del Seminario nella sua diocesi, nello zelo con cui promosse ed aiutò le vocazioni, nelle sapienti norme emanate per la disciplina del clero.

L’importanza dell’azione pastorale del Vigilante, soprattutto la sua attenzione alla formazione del clero, è legata alla condizione etico-religiose del territorio della diocesi che erano quelle di tutto il napoletano. I Conventi esistenti nella zona era diversi, sia maschili che femminili. Essi però attendevano alla vita contemplativa. Era necessario una ripresa della cultura e una maggiore attenzione all’impegno del sacerdote tra la gente. Questa sua opera a favore delle vocazioni e dell’opera sacerdotale si esplicò anche in attività esteriori nel senso che il Vescovo Vigilante si impegnò nelle opere di restauro della cattedrale e degli arredi sacri, nella convinzione che le opere clericali dovessero avere sostegno e gloria anche dagli ambienti in cui esse si esplicavano.

La Cattedrale ebbe anche un potenziamento nell’organizzazione clericale infatti il Vigilante creò il Collegio dei mansionari, un gruppo di sacerdoti che aiutavano il Capitolo della Cattedrale nelle funzioni più importanti, nel coro, nelle esequie e che entravano nella logica del potenziamento del clero della sua diocesi. L’incremento delle opere legate alla cattedrale vide il vescovo impegnato nel nella creazione di pii sodalizi per il sostegno dei più indigenti. Infine si deve ricordare la presenza e l’impegno del prelato nel sostenere la popolazione nelle calamità che funestarono la diocesi durante il suo episcopato e che furono da lui viste nel segno di prove che il Signore manda agli uomini per saggiarne la forza di reazione e la fedeltà a lui.

Tutto questo fervore di opere non fu visto di buon occhio dalla feudalità e dal ceto che si poggiava sulla staticità delle cose. C’era il concreto pericolo che si perdesse l’avito predominio e che il processo innescato dal vescovo minasse il regolare scorrere delle prevaricazioni, il permanere delle ingiustizie. Questo ceto allora si ribellò e tentò di minare ed ostacolare la vita degli Istituti di formazione creati e curati dal vescovo. Il principe di Colombano, signore del luogo, infatti riuscì a trovare il sostegno di un ecclesiastico che aizzò dei facinorosi contro i Redentoristi che furono colpiti da forti denigrazioni. Il presule sostenne l’ordine, ben conoscendo l’origine e la ragione di questi attacchi. Le cose però precipitarono, perché l’eco delle ingiurie si fece più forte e i colpiti furono costretti ad abbandonare la Casa quando il Seminario era già stato aperto e già funzionava un noviziato che accoglieva le vocazioni. Era il 1737 e il Vigilante non si arrese ai soprusi e colpì di scomunica i calunniatori, ma la Casa rimase chiusa e la diocesi priva del necessario sostegno di quella pastorale.

Per la Congregazione infatti iniziò un periodo particolarmente critico e delicato in cui il Vigilante non smise di svolgere la sua opera di difesa. Generosamente nel 1744 scriveva al Prefetto della Congregazione dei Vescovi e dei Regolari sottolineando come per tre anni di seguito la sua diocesi aveva conosciuto l’opera di quelli che chiamò "operai di Gesù Cristo", come fosse stata intensa la loro opera nel santificare i villaggi dove operavano, e concludeva: "se ho dovuto separarmi da essi è stato perché nelle nostre contrade non ho potuto trovare di che sostenerli".

L’opera di emancipazione sociale dei ceti meno abbienti della diocesi di Caiazzo continuò sempre in stretta collaborazione col de’ Liguori. Accanto alla istituzione delle missioni egli infatti diffuse la pratica delle Cappelle serotine.

Insieme ad Alfonso de’ Liguori, Costantino Vigilante combatté lo spirito giansenistico che si diffondeva anche a Napoli. Il movimento religioso si poggiava sul motivo agostiniano della corruzione umana dopo il peccato originale e lo accentuava nel senso che sottolineava la necessità della grazia per salvarsi ma anche e soprattutto della grazia intesa come dono di Dio concesso solo a pochi privilegiati. Questa mentalità rendeva vana ogni lotta ed impegno dell’uomo, abortiva ogni concezione dell’impegno umano nella direzione del miglioramento dell’uomo fatto dall’uomo con l’aiuto divino. Questa mentalità si opponeva non solo al pensiero cristiano e fu combattuta, ma anche toglieva valore a tutta l’opera liguorina.

Intanto il Vigilante operava anche sul fronte napoletano come Vicario generale dell’archidiocesi di questa città. Qui era divenuto confessore della regina Amalia e dello stesso re Carlo. Negli ambienti di corte si recepivano le richieste, provenienti da più parti, di riforme religiose atte a ridurre l’eccessivo numero dei Conventi, di regolare i beni delle chiese e l’ordinazione sacerdotale. Problemi che stavano a cuore al Vigilante, che riconosceva il degrado dei sacerdoti e il pericolo delle ordinazioni facili senza che corrispondesse un’effettiva vocazione.

Bisogna tenere presente che il napoletano era considerato feudo della Chiesa di Roma, sottomissione che si manifestava in vari modi tra cui l’omaggio della chinea. Era un processo che si era verificato dal tempo degli Angioini in virtù del quale la Corona fu sottoposta alla Curia di Roma. Era ritornato l’omaggio feudale alla Santa Sede, ritornarono le immunità e le giurisdizioni particolari di esse. Sotto re Roberto, la Santa Sede si era appropriata addirittura dei beni delle sedi vacanti. Anche se sembrò che con gli Aragonesi le cose migliorassero, di nuovo con Ferdinando il cattolico si ritornò alle forme antiche di sottomissione. Bisognerà giungere a Filippo II e al Vicerè d’Alcalà per vedere respinti da Napoli alcuni decreti tridentini e specialmente la bolla "In coena Domini" e giungere al Viceregno austriaco per avere una vera e propria opposizione alla Curia Romana che portò alla lotta contro l’Inquisizione, sia quella spagnola che quella papale. Bisogna inoltre considerare che a Napoli c’era un’accesa polemica antiecclesiastica che vide un momento di crisi sotto il Cardinale Grimani che non volle concedere più licenze per la costruzione di altre chiese essendo divenute ricettacolo di malamente, per lo meno quelle poste nella città. Ora se con re Carlo il napoletano per la prima volta appariva come un regno autonomo era necessario che si scrollasse di dosso questa secolare sottomissione. Le richieste di rinnovamento erano soprattutto tese ad eliminare questo stato di cose. Nel moto riformatore che il re aveva messo in atto non potevano non entrare anche riforme nel campo religioso. In questo campo il re si adoperò affinché fossero osservati i privilegi che il Regno aveva acquisito cioè di non avere in Napoli il Tribunale dell’Inquisizione compreso quello papale. Attraverso il Tribunale dell’Inquisizione la Chiesa di Roma esercitava un forte controllo sulla popolazione. Le chiese inoltre con gli anni avevano accumulato una gran massa di beni da coprire oltre un terzo dei beni di tutto il Mezzogiorno su cui vigevano immunità e prerogative che rendevano proficuo il dono delle terre alle chiese con vari contratti che ne assicuravano il beneficio al donatore proteggendo il bene dalle fisco statale.

Dopo un periodo di stallo le trattative con la Santa sede ripresero e tra il re di Napoli e il papa fu stipulato un Concordato che stabiliva, tra l’altro, la diminuzione delle immunità. Il Concordato portò con sé altre riforme fatte da re Carlo nel campo ecclesiale. A Napoli però c’era una situazione di contrasto tra il potere regio e quello religioso. La corona infatti aveva intrapreso una serie di riforme tese a limitare il potere della Chiesa. La Chiesa rispose col tentativo di ripristinare il terribile tribunale dell’Inquisizione con il quale il potere ecclesiastico tentava di entrare nella vita civile. Il papa Benedetto XIV invitò il cardinale Spinelli ad introdurre in Napoli il Tribunale del Santo Uffizio. Il Cardinale  - si è negli anni 1738 e 1739 -  ravvivò l’esercizio, nominò consultori, notai, formò i sigilli, preparò le carceri. Queste azioni preliminari furono fatte quasi in sordina nel silenzio generale e comunque apparvero come atti del Tribunale ecclesiastico.

Furono celebrati alcuni processi in cui i condannati si rivolsero al re vedendo in essi una prevaricazione dei limiti del tribunale ecclesiastico. Ci fu poi il caso di Antonino Nava che subì due condanne nel 1741 e nel 1746  in cui fu costretto all’abiura. Il re aveva intanto nominato una Deputazione per controllare i processi della curia che non riusciva a individuare quando i casi oltrepassavano i limiti permessi ad un tribunale ecclesiastico.

In questa situazione di tensione il Vigilante fece da mediatore tra il Cardinale Spinelli e il re per evitare che le cose degenerassero. Si ebbe però l’episodio di una lettera anonima inviata al segretario della Deputazione contro il Santo Uffizio Agnello Vassallo, in cui il Cardinale era accusato di adoperarsi di istituire il Santo Uffizio a Napoli tramite il confessore del re il vescovo Vigilante. L’accusa si rivelò non vera tanto che il Vassallo, che aveva dato credito alla lettera fu assolto dal compito e relegato nel castello d’Ischia. Questo episodio dimostra l’atmosfera di estrema tensione che degenerò in aperta rivolta in occasione del secondo processo Nava nel settembre del 1746 quando il Nava fu costretto all’abiura. I Deputati della Delegazione contro il Santo Uffizio chiesero di vedere gli incartamenti, ebbero un diniego dal cardinale perché il processo era avvenuto a porte aperte. Intanto il Nava il 26 settembre durante l’ottava di S. Gennaro fu costretto all’abiura. Il fatto scatenò un inizio di rivolta popolare che fu sedata poiché l’arcivescovo per intercessione del Vigilante inviò al re l’incartamento del processo che risultò regolare. Il Nava fu abilitato a dimorare nel Chiostro di S. Elmo perché infermo. In seguito, dietro supplica del re e dello stesso Nava, fu libero di uscire da S. Martino e presentarsi ad "omnem ordinem".

Quando però il cardinale Spinelli fece incidere su una pietra del locale dove si tenevano i giudizi la scritta "Santo Uffizio", si ebbe una sollevazione popolare in cui si chiese al re di impedire allo Spinelli la realizzazione dell’odiato Tribunale. Il re intervenne ingiungendo al Nava di uscire dal Regno con un passaporto e un sussidio.

In questo contrasto il Vigilante fece in vari momenti da mediatore tra i due poteri riuscendo ad evitare eccessivi attriti che sarebbero potuti degenerare proprio perché si combattevano in due ambienti contrapposti e gelosi delle prerogative proprie e in ambiti in cui facilmente si poteva degenerare in aperta lotta. Non mancarono momenti cruciali sia perché lo stesso Vigilante era contrario all’Inquisizione, sia perché fu forte il rischio di una sommossa popolare. La plebe di Napoli infatti in questa questione fu con la corona. La sua abilità diplomatica permise di evitare che il Tribunale fosse restaurato senza compromettere i rapporti tra Curia e Corte e senza spargimento di sangue infatti il ripristino del tribunale avrebbe senz’altro insanguinato Napoli in una sommossa popolare.

Costantino Vigilante si trovò coinvolto nelle lotte giurisdizionali tra la Corona e la Curia in cui la questione del Tribunale dell’Inquisizione fu un momento importante che pose fine a quel processo di inversione che dagli Angioini in poi aveva visto la corona sottoposta alla curia.

Come frequentatore della corte napoletana il Vigilante potette condurre la sua lotta contro la superstizione anche dal lato della politica. Sostenne infatti una serie di riforme affinché la superstizione non trovasse credito anche negli ambienti della ufficialità. Condusse infatti un’azione decisa contro i processi per stregoneria che ammettevano delitti per stregoneria quindi rendevano ufficiale la magia nera. Alla base delle riforme del Tanucci in questo campo c’è tutta l’opera intensa e capillare condotta dal Vigilante a corte, specie dopo la partenza del re quando a reggere le sorti del napoletano, c’era la regina Carolina il cui ministro il Tanucci era il consigliere del giovane re Ferdinando. In questa opera il Vigilante mise in evidenza le eccellenti doti diplomatiche che spiegano perché il cardinale Spinelli lo aveva voluto a suo fianco.

Nell’ottobre del 1746 il Vigilante fu a Solofra per la riconsacrazione della Chiesa di San Domenico Soriano dopo una ristrutturazione come ricorda un’epigrafe murata il quel tempio.

Il 22 aprile del 1754 si spense a Napoli.

Di lui dirà Antonio Giliberti nel suo Panteon Solophranum:"Vigilans collegit pacis olivam / Conclusis belli portis oculi ocyus ictu / Cerne supercilium, mentem per maxima natam / ostendit. Pastoris erat (mihi crede) Ligorii / Auctor consiliis; doctoque pependit ab ore". I versi latini furono da lui stesso traslati in italiano :"Il Vigilantew della pace il grato / ulivo colse più velocemente / di un batter di palpebre, rinserrate / le porte de la guerra. Il ciglio arcato / (Mira!) ti mostra pel rischioso arringo / a lui data gran mente. A consigliero / il Pastor Santo del Liguori lo ebbe, / che pendea spesso dal suo dotto labbro.

 

 

N. 1. Documento in Alfonso dei Liguori cita il Vigilante:
Data e luogo: 1737.07.12, Ciorani. Destinatario: Falcoia, Tommaso Mons.
Autore: Liguori Alfonso Maria de.


Contenuto:
Apographum epistulae, quae Incipit: "Ieri giunse qui...: De suppressione domus in Villa degli Schiavi: de dolore episcopi dioecesis Caiazzo, Costantino Vigilante, ac de modo agendi Principis (Francesco Carafa) et Patris Cesare Sportelli. De nuovis fundationibus in Cava, Vietri, et praesertim in Grotta Goglierma (passato Sessa), pro qua stat P. Fiorillo. Quid sentiendum de huiusmodi fundationibus ac de parvis communitatibus: "Bisogna da oggi avanti pensarci bene ad accettare queste sorte di fondazioni così miserevoli, perchè poi è vero che possiamo lasciarle, quando ci piace, ma è grande poi il danno e discredito del povero Istituto, dicendo poi, come si dice ora di Caiazzo, che ne siamo stati cacciati". "Dove i soggetti troppo pochi (V. S. Ill.ma. già lo sa, ma io l'ho veduto ora coll'esperienza) languisce l'osservanza, il fervore, e si mette in pericolo anche la perseveranza: in somma languisce tutto...".



N. 2. Documento in Alfonso dei Liguori scrive al Vigilante.

Data e luogo: 1735.06.30, ?. Destinatario: Vigilante, Costantino vescovo di Caiazzo.

 
Autore: Liguori Alfonso Maria de.

 
Contenuto:
Supplex libellus manu scriptus, originalis Alfonsi, ad Episcopum dioecesis Caiazzo, cum huius Rescripto die 30.06.1735 dato, et r
elatione Ioannis Jovino, oeconomi curati de Maiorano, die 26.09.1735 data. Supplicat ut provideatur solutio contributi ratione scholae in Villa de Schiavi Congregationi promissi, secundum episcopi praeceptum.

 
Miscellanea:
Documentum non est autographum S. Alfonsi, nec ab eo propria manu subscriptum, sed manu alterius ab ipso Alfonso exaratum. Cum agatur de supplice libello non subscribitur ab auctore.Responsio episcopi legitur in eodem folio, sicut et exsecutio Oeconomi.

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