I MAFFEI DI SOLOFRA*
*
Questo studio nasce da un articolo, pubblicato su "Il Campanile"
(1986), che è stato ristrutturato, ampliato, arricchito col risultato di varie
ricerche tra cui quelle sugli atti notarili dei secc.
XVI-XVIII ed integrato con le note.
Le
origini
La famiglia Maffei
di Solofra, la cui arma è così descritta: "Spaccato nel I di azzurro al
cervo ramoso d'oro. Nel Il bandato d'oro e d'azzurro a sette pezze (tra bande
d'oro in campo azzurro)"1 secondo il Beltrano
"non s'ha dubbio esser uscita di Roma"2
. Il Crollalanza la dice invece proveniente
"dal ramo di Verona del più antico ceppo di Volterra"3.
Queste due tesi non sono in opposizione se si tiene presente quanto dice il
Forcella e cioè che sulle lapidi sepolcrali dei primi Maffei di Roma si legge
"patrizio veronese"4 e se si considera la diffusa omonimia
sia maschile che femminile di entrambi i rami.
1. "Lo stemma si trova scolpito sulla
porta di accesso alla chiesetta fondata nei 1611 da Giovan
Battista del fu Girolamo, dove attualmente è la piazza della stazione
ferroviaria. a breve distanza dal palazzo Maffei che è poco più a valle e sul
quale si trova la medesima arma" (Cfr. F. GARZILLI, La Collegiata di S,
Michele Arcangelo in Solofra, Napoli. 1989, p. .215).
2. 0. BELTRANO, Breve descrittione del Regno di Napoli, Napoli, 1640, p. 238.
La tesi del Beltrano è suffragata dalle molte
rilevanti scritture, che si confermano in potere di questi Signori" e dal
fatto che essi si servirono "per centenara
d'anni della medesima Impronta dei Cervo, che si servono quei di Roma".
3. C. CROLLALANZA, Famiglie nobili,
Pisa. 1878, p. 150. V. pure F. GARZILLI, op. cit., p. 215.
4. V. Forcella, Manoscritti vaticani,
Roma, 1885, p. 14.
5. ARCHIVIO DI STATO DI AVELLINO (da ora
ASA), Notai, B 6522 e sgg.
La presenza dei
Maffei a Solofra è documentata all’inizio del XVI secolo quando la ricca
produzione notarile, che in quel periodo Solofra produsse, la presenta come una
famiglia ben impiantata nel casale Toro soprano, che si era sviluppato intorno
a questo ceppo, e partecipe in primo piano alle attività socio-economiche
locali5. Proprio una fonte archivistica del 1533 evidenzia ampi
possedimenti al centro dei quali c'era l'abitazione patronale al casale Toro6
e il patronato di cappelle e di altari nelle chiese più importanti dell'Universitas: in S. Agostino, la chiesa del trecentesco
convento che accoglieva il monumento funerario della famiglia7, in
Santa Croce, l'antica chiesa che aveva annesso l'omonimo ospedale"8.
I Maffei erano inoltre dotatari di altre chiese come
S. Angelo. l'ex-pieve altomedioevale, che in quel periodo già era stata
abbattuta e alla cui "fabbrica" la farniglia
partecipava in modo munifico9; San Giuliano, la chiesa del casale
Toro10 ; S. Andrea, nel casale confinante
di S. Agata di Solofra11 e infine San Nicola alle Scanate sita in un loro fondo sulle pendici della collina
del castello. Erano persino munifici sostenitori dell'episcopio salernitano
della cui circoscrizione diocesana faceva parte il territorio di Solofra12.
Dalle dotazioni, dal lasciti a monaci, presbiteri,
cappellani, chierici, uomini di fiducia e servi, dai maritaggi, dalla
munificenza tesa ad assicurare agli studi i discendenti della famiglia, si
deduce un patrimonio ragguardevole che si estendeva anche fuori dell'ambito
territoriale solofrano e che la famiglia si preoccupava di mantenere integro13.
6. ASA, B 6223, ff. 87-95. Il documento
è il testamento di Gíovan Paolo de Maffeis del 28
aprile 1533 (d'ora in poi Testamento 1533).
7. "Indico lo corpo mio devesi sepellire ala Venerabile eclesia ele Santo Augustino de Solofra et proprio ala cappella mia et de dicti mei neputi" (Testamento 1533). Questa chiesa accoglieva i
monumenti funerari delle famiglie più rappresentative della Solofra
cinquecentesca.
8. Nella chiesa di S. Croce i Maffei possedevano la cappella di S.
Sebastiano (Cfr. F. Garzilli, op. cit., p.
52).
9. S. Angelo (poi Collegiata di S. Michele Arcangelo) era una
chiesa recettizia di cui saranno canonici vari membri della famiglia: Giacinto
dal 1630 al 1656 (morto di peste); Camillo fino al 1635; Giovan
Vittorio dal 1635 al 1664; Michelangelo (s.d.), Gennaro dal 1696 al 1739 (Cfr.
F. GARZILLI, op. cit., p. 140).
10. Giovan Paolo dispose per questa
chiesa, tra l'altro, l'esecuzione testamentaria dell’avo Francesco: "Lasso
che dicti miei heredi […] fareno una cona ala venerabile
ecclesia de Sancto Iuliano,
mia matre ecclesia, [ ... ]
et questo ancora per lassito facto per condam mio avo nomine Francisco de Maffeis et per lassito confirmato per condam messere Fioravante de Maffeis mio patre" (Testamento 1533). Il testatore parla della
chiesa di San Giuliano dei casale Fratta ("San
Giuliano nuovo"). Infatti la chiesa era stata ricostruita al di là del
torrente (vallone Cantarelle) dopo la distruzione della vecchia chiesa di San
Giuliano ("San Giuliano vecchio al Toro") che esisteva già nel XIII
secolo.
11. Il casale di Sant'Agata di Solofra (o Sant'Agata di sopra),
che era nato in seguito al suo distacco dal più grande casale di Sant'Agata
appartenente all'Universitas di Serino, solo in
seguito prenderá il nome di S. Andrea.
12. Il legame con l’episcopio salernitano era in quei tempi molto
sentito perché il commercio solofrano gravitava ancora in modo considerevole
sul mercato di Salerno. Si pensi che negli atti di compra-vendita i termini dei
pagamenti scadevano "alla fiera di Salerno di maggio" o "di
settembre" (Cfr. ASA, B 6522 e sgg.).
13. Cfr. Testamento 1533, cit. Nella volontà del testatore si
manifesta "una regola fondamentale ovunque rispettata" e cioè
"che le terre non si vendono se non all'interno del gruppo (cfr. G. Delille, Famiglie e proprietà nel Regno di Napoli,
Torino. 1988, p. 12). Lo studioso in vari tratti del suo lavoro prende in
considerazione la famiglia di cui si discute). Si tenga presente che in una
società come quella solofrana del XVI secolo il patrimonio serviva per le
attività finanziarie a sostegno di quelle artigiano-mercantili.
Soprattutto i Maffei
erano i più importanti rappresentanti dell'arte del battiloro e dell'oreficeria
a Solofra forse quelli che per prima impiantarono in loco questa che sarà
un'attività caratteristica dell'artigianato locale ed in cui nei secoli
successivi, anche per loro merito, Solofra
sarà autonoma interprete. Un'attività di prestigio nel cinquecento napoletano
che poneva la famiglia, insieme a poche altre, al vertici dell'economia
solofrana.
La documentazione
archivistica notarile è ricca di elementi che permettono di tracciare un ampio
profilo di questa famiglia nel secolo e di aver chiara l'importante presenza
dell'intero ceppo nell’economia locale. Si pensi che in questi primi decenni
del secolo essi erano fornitori non solo di tutte le chiese locali ma anche di
quelle di un ampio circondario14. In relazione a questa attività
deve porsi il trasferimento della famiglia a
Napoli, come dimostrano i rapporti commerciali col grande centro e come dice
anche la via in cui essa si impiantò nella capitale e cioè "strada degli
orefici"15. Se si pensa che nella capitale quest’arte
costituiva una corporazione molto potente che si avvaleva di prerogative di
antica data si può comprendere il ruolo dato da questa famiglia per lo sviluppo
del battiloro a Solofra.
Vale la pena
sottolineare l'importante legame con la città capitale, mantenuto anche da
altre famiglie e variamente documentato, perché esso è sintomo del gravitare,
delle attività produttive solofrane sul grande centro commerciale il che
permise di far entrare Solofra in quella enclave considerata la parte
più viva del Meridione e corrispondente ad un ampio territorio intorno a
Napoli.
14. Qui si citano solo alcuni più
importanti rappresentanti di questa famiglia impegnati nell’arte dei battiloro e
dell'oreficeria: da Alfonso Maffei, il figlio di Giovanni Paolo che aveva in
platea due botteghe di oropelle e oreficeria (1534),
a Vincenzo col cugino Paolo impegnato in un'intensa attività nella stessa arte,
a Hieronirno di cui si possiede la descrizione della
bottega di battiloro ed oreficeria al casale Toro soprano, un documento di
estremo interesse non solo perché evidenzia il livello artistico della bottega.
che si fregiava di un bollo proprio, ma anche per conoscere gli attrezzi di
questa antica arte solofrana (cfr. ASA, B 6528, a. 1553. li. l9l-202)
15. Cfr. Archivio di Stato di Napoli , Notai del XVI secolo, sch.
239, prot. 31, ff. 244-246.
Il documento è il testamento di Giovan Battista de
Maffeis redatto alla fine del XVI secolo.
Capostipite del
ceppo potrebbe essere proprio Francesco de Maffeis, padre di Fioravante a sua
volta padre di Giovan Paolo - questi dati consentono
di porre la presenza della famiglia in loco all'inizio del XV secolo -
testatore del documento citato e garante delle disposizioni dell'avo16.
Poiché Giovan Paolo. che aveva impalmato Francischella de Violante, mori senza figli la famiglia si
divaricò in due rami facenti capo ai fratelli di lui, Luca e Pasquale. Uno ebbe
come sede Solofra, l’altro si spostò, come si è detto, a Napoli17
pur continuando a restare legato al ceppo e alla terra degli avi. La casata
infatti in quel tempi non era un'entità informale nata dal solo moltiplicarsi
delle famiglie che portano lo stesso cognome, bensì era un gruppo solidale i
cui membri erano fortemente legati tra loro"18.
16. Nelle indagini condotte in periodi
precedenti non si è trovato segno di un impianto antecedente della famiglia di
cui si parla.
17. Cfr. ASN, cit.
18. G. DELILLE Classi sociali e scambi
commerciali nel salernitano: 1500-1650 circa in "Quaderni
Storici", 33, 1976. p. 984. Nel testamento di Giovan
Battista Maffei del ramo napoletano costui appare parte integrante del nucleo
familiare e partecipe del patrimonio di Casa Maffei.
Lungo tutto il XVI
secolo la famiglia fu tra quelle che dominarono la vita locale. Impegnato per
esempio nel governo dell'Universitas e presente agli
atti più importanti di esso fu Fabrizio19, nipote di Pasquale e
pupillo dello zio Giovan Paolo che si curò di lui e
dei fratelli Giovan Camillo e Giovan
Ferrante dopo le traversie capitate al padre Antonio, di cui si dirà, coinvolto
nelle vicende del generale francese Lautrech20. Partecipi ad
attività amministrative e presenti nella vita sociale furono ancora Donato,
nipote di Fabrizio, Giovanni Leonardo del ramo facente capo a Luca, Baccio21
e il citato Antonio, "utriusque juns doctor", che all'inizio
del secolo XVI collaborò alla stesura dei Capitoli statutari concessi all'Universitas da Ercole Zurlo22.
19. F. Scandone,
Documenti per la storia dei Comuni dell’Irpinia, Avellino, 1956. p. 244.
Si sottolinea qui che molti membri della famiglia Maffei parteciparono in modo
attivo al governo dell'Universitas di Solofra come
dimostra la documentazione sia dell'ASN che dell'ASA.
20. 1 tre figli di Antonio de Maffeis
furono affidati alle cure della madre Laura Melone di Montella e della zia Vincinzella de Violante, vedova di Giovan
Paolo (Cfr. Tesiamea1o 1533).
21. F. Scandone,
op. cit., pp. 244 e sgg.
22. C. Castellani, Statuta
Universitatis terre Solofre,
Galatina, 1989, p. 47.
Nel secolo seguente
la famiglia fu sempre più presente nella società solofrana tanto che
l'abitazione patronale, ampliatasi ed arricchitasi, si fregiò di una cappella
gentilizia costruita nel casale Toro poco discosta dalla stessa e voluta, da
Napoli, proprio da Giovali Battista de Maffei23. In questo secolo la
famiglia ebbe due sindaci: nel 1621 Giulio, ancora un nipote del citato
Fabrizio e nel 1674 Orazio dell'altro ramo; furono invece eletti nel governo i
cugini Aniello e Fabrizio nel 1691 e Salvatore nel 1699. Inoltre si trovano nel
1638 due gabellotti della farina, Andrea e Vincenzo. Quest’ultimo nel 1643
assunse la gabella delle scrofe24. La famiglia infine si imparentò
con gli Orsini in seguito al matrimonio di Girolamo con Antonia25.
23. La chiesa è quella
di Salita Maria dei Carmine voluta per disposizione testamentaria dal citato Giovan Battista e costruita nel 1611 (cfr. ASN, cit. V.
pure F. Garzilli, op. cit., p. 52).
24. Si rimanda alla documentazione citata
nella nota 19 che permette di tracciare un quadro più articolato, di quello
consentito da questo lavoro, della presenza nel campo socio-economico-culturale
di questa tra le più importanti famiglie solofrane nei secoli XVI-XVIII.
25. Cfr. F. Garzilli,
op. cit., p. 114.
Antonio
e Camillo Maffei
Il primo membro di
questa famiglia che merita una più ampia citazione è Antonio, nipote di Giovan Paolo perché figlio del di lui fratello Pasquale26.
Fu amico e fedele del principe Giovanni Caracciolo che nel 1511 lo nominò governatore
di Montecorvino e Olevano e in seguito gli affidò il governo di Melfi27
dove lo stesso subì l’assedio delle truppe francesi guidate dal Lautrech (1528) e, dopo la presa della cittadina, la
prigionia28. Il Beltrano parla di un
riscatto che il Maffei pagò "succedendone la povertà della casa" e
della sua morte prematura29. Sicuramente nel 1533 Antonio era morto30
e sicuramente durante l'assedio posto dal Lautrech a
Napoli era ancora vivo infatti lo si trova tra i "commissari delle
vettovaglie" inviati dal generale alla ricerca di viveri per l'esercito
francese31. Poiché del riscatto pagato al francesi
e della "povertà della casa" non si è trovato traccia fino ad ora né
nel testamento. che per altro è del 1533, si può pensare che Antonio sia
passato, dopo Melfi, dalla parte dei francesi come fecero il Caracciolo e lo
Zurlo32. Per quanto riguarda la reazione spagnola non ci fu alcuna
ritorsione né contro Antonio, forse per via della sopravvenuta morte, né contro
la famiglia anche perché furono concessi ben due indulti. In più il figlio di
Antonio, Fabrizio, ebbe la nomina. in seguito anche riconfermata, a governatore
di Melfi da Andrea Doria33 quando il condottiero ligure, che aveva
ottenuto Melfi confiscata ai Caracciolo, riorganizzò i territori una volta
posto fine al tentativo dei francesi di occupare il Meridione d'Italia34.
26. Nel testamento del 1533 è detto
magnifico quondam messer Utrosque
juris Doctore".
27. I governatori erano rappresentanti e
fiduciari nelle terre sottoposte alla giurisdizione del feudatario.
28. O. Beltrano,
op. cit., pp. 238-239.
29. Ibidem.
30. Lo si deduce dal testamento di Giovan Paolo quando lo zio impone agli eredi, Domenico e
Alfonso, di far studiare fino alla laurea i figli del quondam Antonio.
31. L. Santoro, Dei successi del Sacco
di Roma e guerra del Regno di Napoli sotto Lotrech,
Napoli, 1858, pp. 64 e 103.
32. Bisogna tenere presente che i
Caracciolo, con cui lo Zurlo di Solofra era imparentato, sia del ramo di Avellino
che di quello di Melfi erano già passati dalla parte dei francesi in varie
occasioni negli ultimi decenni del secolo precedente.
Dei tre figli di
Antonio, Fabrizio, che si è visto presente nella vita dell'Universitas
di Solofra, fu "legista e filosofo" e Giovan
Ferrante "filosofo e medico peritissimo"35. Colui che
merita maggiore menzione è invece Giovan Camillo.
Dotato di "ingegno nobilissimo", eccelse nella filosofia e nella
scienza e scrisse molto ma l'opera che lo rese famoso fu la Scala naturale, overo Fantasia dolcissima36. Di essa esistono
ancora quattro edizioni tutte stampate a Venezia, che testimoniano la
diffusione che il trattato ebbe negli ambienti della scuola aristotelica
padovana37. L'opera è una sorta di compendio delle parti del mondo
secondo il filosofo di Stagira. Dice il Maffei
"dodici furono le partì del mondo fino al tempo di Aristotele, cioè
quattro elementi ed otto cieli", ma poi "fu determinato, ch'oltre
alla nona sfera fosse la decima. Et in questo modo le parti del mondo sono
quattordici"38. Descrive quindi il mondo distribuito secondo la
visione geocentrica con la terra, che è "il primo grado della scala"
e poi via via tutti gli altri elementi in un ascendere fino al più puri. Una
scala cui possono accedere solo coloro che non sono "carchi delle terrene
cose "ma son spinti in su dal desiderio caldo di sapere"39.
Nell'immaginario salire di grado in grado Camillo Maffei, filosofo e
scienziato, fa una trattazione di tutto lo scibile naturale distribuito nel vari strati con l'intento di dimostrare la verità della
dottrina aristotelica contro tutti coloro che se ne distaccavano. Il suo è un
parlare secondo natura per cui, giunto all'ultimo grado, dove è
"l’ineffabile grandezza del primo motore, che fa regge e conserva il
tutto", egli afferma che non è lecito "mirar la sua invisibile
presenza", né "toccar la sua impalpabile sostanza". La ragione
naturale si ritrae perché non può parlare di Dio: "d’altre parole, d'altra
eloquenza, e d'altra lingua fora duopo per esprimere
l'incomprensibil suo vigore". Di Dio può parlare
solo il teologo, conclude il Maffei, infatti dovendo affrontare tale argomento l'altri discorsi, "altri discorsi, altri trionfi,
altre trombe farei udire"40. Si è dinanzi ad un'opera non di
scienza secondo il concetto moderno ma condotta con un rigoroso dommatismo
"scientifico" assicurato dal costante riferimento ad Aristotele in
cui il filosofo trova ogni ragione delle sue affermazioni. Camillo era anche un
medico stimato. Non si limitò però solo a praticare l'arte di Esculapio, ma
ampliò i suoi studi introducendovi le sue competenze di musico e di filosofo,
Dette infatti impostazione scientifica ad un metodo già conosciuto
empiricamente e cioè l'uso della musica nella cura di alcune malattie
approdando a quelle intuizioni su cui oggi si poggia una parte della medicina.
Lo studio della musica e della voce umana - fu anche cantore e liutista - la
sua competenza in medicina e le sue capacità di filosofo si esprimono in
un'opera epistolare in cui il Maffei manifesta la poliedricità del suo spirito
rinascimentale41. Giovan Camillo fu medico
della famiglia Orsini, da poco insediata nel feudo, e fu molto apprezzato a
Solofra meritandosi la stima dei suoi concittadini che ne alimentò il ricordo
nei secoli42.
35. 0. BELTRANO, op. cit., p. 239.
36. L. SANTORO, op. cit., p. 272.
3.5
37. 0. BELTRANO, op. cit., p. 239.
38. Ibidem, pp. 238-239.
37. Venezia per Gio
Varisco e c., MDLIIII: Venezia, ivi, MDLXXXI; ivi. MDC appresso Marco Varisco;
ivi appresso Lucio Spineda, MCCL. I testi si trovano presso la Biblioteca
Provinciale di Avellino.
38. G. C. Maffei, Scala naturale overo Fantasia dolcissima, Venezia, Varisco, 1564, p.
15.
39. Ibidem, p. 16.
40. Ibidem, pp. 140 e "a gli lettori".
41. L’opera del Maffei è: Delle lettere
del Ser Gio Camillo / Maffili
da Solofra. / Libri due. Dove tra gli altri bellissimi pensieri di Filosofia /
e di Medicina vi è un discorso della voce / e del modo d'apparare di cantar di
/ Gargantua, senza maestro non / più veduto n’istam / pato. Appo Raymundo Amato. 1562. Di questa opera ha scritto N. Bridigman, Giovanni Camillo Maffei et sa lettre sur le chant in "Revue de musicologie", XXXVII (1956), pp. 33-34 (cfr.
"La Cartellina", XVII, 35, 1993). Nel Cinquecento questo argomento
trovò pratica applicazione ed interesse da parte di medici e di scienziati, V.
pure "Il Campanile", (IX)1978, 3.
42. A. Giliberti, Pantheon Solophranum, Abellini, Tulimiero. 1886, p. 55. Dice il Giliberti di lui: "Da
colà Maffei Camillo / Appare dignitoso. Opra lasciava
/ Di non comune celebrità, cui nome / Imporre piacque: 'Di Natura Arcani' / Di
tipi degna, e commendate assai".
Eccelse negli studi
ancora Traiano, figlio di Ferrante, che fu filosofo, dottore in medicina e
nelle leggi canoniche e civili, impegnato in una feconda partecipazione alle
attività culturali del tempo, promotore ed artefice di cultura in molte
Accademie43. A Roma, dove risiedette come rappresentante del vicerè duca d'Arcos e dove godè i favori del principe Ludovisio
di Piombino e la stima di Innocenzo X, fu promotore, intorno alla metà del XVII
secolo, di un movimento di opposizione agli Spagnoli di Napoli44.
Alla famiglia appartennero in questo periodo soprattutto fisici-medici, scienza
a Solofra molto seguita con una tradizione che risale al XIV secolo45 e
che aveva visto l’istituzione di un ospedale presso la chiesa di Santa Croce
dove prestarono la loro opera i medici Maffei, i già citati Giulio e Aniello, e
Antonio, ai quali l’Universitas elargiva particolari
benefici per l’assistenza che davano gratuitamente ai poveri e ai pellegrini46.
43. O. Beltrano,
op. cit., p. 239; A. Giliberti, op. cit., pp. 55-56. Dice il
Giliberti: "Traiano Maffei ne viene con le sue palme opime / Di lettere
cultor cui socio e membro / fra pochi eletti un'Accadernia
sola / Non scelse, e a cui di grave mole uffizi / Impose".
44. I. Fuidoro, Successi
del conte d'Onatte (1648-1653), Napoli, 1932, pp.
35-36. Secondo il Fuidoro insieme ad altri regnicoli
il Maffei da Roma, dove morì, fece penetrare in Napoli lettere, scritti e manifesti
contro gli Spagnoli.
45. La tradizione medica solofrana fa capo
a Ruggiero, Andrea e Niccolò Fasano che la onorarono lungo tutto il XIV secolo
divenendo medici della casa angioina ed occupando posti di responsabilità
nell’amministrazione sanitaria del Regno.
46. Cfr. F. Scandone,
op. cit., pp. 288 e 293. Antonio è citato come dottore nei 1619 e
Aniello nel 1628. La Confraternita di santa Croce di Solofra fu autorizzata con
Bolla papale ad istituire un ospedale presso la chiesa omonima.
Giuseppe
Maffei senior
Nei
corso di due secoli la famiglia
Maffei acquistò tale spessore nella vita economica, politica e culturale da
suscitare l'interesse del Vicereame che cercava di legare alla corona le
famiglie emergenti infatti il vicerè Pietro d'Aragona
conferì nel 1672 a Michelangelo, primogenito di Giovan
Leonardo del ramo facente capo a Luca, la dignità nobiliare47. Il
figlio del conte Michelangelo Maffei, Giacinto, dottore in legge e governatore
del re, ebbe da Isabella Falco, il 17 febbraio 1728, Giuseppe che sarà il
massimo rappresentante della famiglia48.
Giuseppe Maffei
iniziò gli studi a Solofra dove era nato e dove un'antica tradizione aveva
fatto aprire scuole private ed anche, istituita da Pier Francesco Orsini il
futuro papa Benedetto XIII, un'Accademia di lettere amene49. Passò
poi, nel 1747, alla Scuola Salernitana per dedicarsi agli studi giuridici50,
che completò a Napoli dove la famiglia, come si è visto, si era impiantata da
oltre un secolo e dove fu discepolo dì Pasquale Cirillo51. L'afflusso
nella capitale del Vicerearne dei giovani provenienti
dalla provincia, se creava un utile travaso dell'una nell'altra e manteneva
vivi rapporti con le zone interne, determinò anche l’abnorme sviluppo della
città che divenne una vera capitale. Una città popolosa movimentata, magnifica,
ricca di signori provenienti da ogni parte del mondo, ma una città controversa.
Da una parte infatti era definita "capitale del far niente" per
l'allegra vita che si svolgeva nelle sue strade, per la gente che indugiava nei
caffè, in stridente contrasto con gli altri centri del meridione, dall'altra
era una città ricca di stimoli e suggestioni intellettuali per il vivace mondo
culturale che esprimeva52. In special modo all'inizio del Settecento
la città, con la riacquistata indipendenza politica, partecipava col Vico e col
Giannone all'opera di ricostruzione spirituale e allo sviluppo della cultura
italiana. Quest'attività si intensificherà nella seconda metà dei secolo con la pubblicazione di opere di viva cultura che
susciteranno negli animi entusiasmi di libertà ed adesione profonda a quegli
ideali che saranno l'alimento degli anni di fine secolo.
47. Diploma membranaceo in possesso di
Giacinto Maffei fu Giuseppe.
48. F. SCANDONE, op. cit., pp. 327
e 338. Giacinto Maffei aveva sposato, il 6 giugno del 1724 ad Airola, Isabella
Falco.
49. C. MINIERI RICCIO, Notizie delle
Accademie del Regno in Archivio Storico per lei Province Napoletane (da ora
ASPN), 11, p. 310.
50. F. SCANDONE, op. cit., p. 338.
51. L. GIUSTINIANI, Memorie istoriche degli scrittori legali del Regno di Napoli,
vol. II, Napoli, 1787. pp. 201-202. Il Maffei potrebbe essersi trasferito alla
scuola del Cirillo intorno al 1750 quando il giurista napoletano insegnava
nell'Accademia degli Oziosi che si teneva nella casa napoletana di un
salernitano Niccolò Maria Salerno, conosciuto dal Maffei quando frequentava a
Salerno la scuola di legge (cfr. L. Giustiniani, Breve contezza delle
Accademie istituite nel Regno di Napoli, Napoli, 1801, p. 62).
52. R. Bouvier Laffargue, La vita napoletana nel XVIII secolo,
Napoli. 1960. pp. 14 e sgg.
Di questi stimoli si
nutri il Maffei che raggiunse una vasta cultura tanto da parlare correntemente
il latino, il greco e l'ebraico53 e a questa intensa attività darà
il suo contributo tanto da essere annoverato tra i dotti e i letterati dopo il
Genovesi e prima del Filangieri54. Egli soprattutto avvertì il
diffondersi della scuola del cartesianesimo che in termini giuridici
significava disprezzo per le leggi empiriche in favore di una legislazione
razionale retta da leggi sempre valide e applicabili. Cercò per tanto di
attenuare le conseguenze arrecate al diritto da quella filosofia con a sua
sfiducia nella storia e lo fece attraverso la via dell'insegnamento, la sua
prima e preminente esperienza. Insegnò infatti Diritto naturale (1752) poi
Istituzioni civili (1762) quindi ebbe la cattedra delle Pandette (1785), ma
guidò i giovani sulla strada del diritto anche in una scuola privata da cui
uscirono valenti giuristi55. Proficui soprattutto furono i quindici
anni profusi nell'insegnamento delle Istituzioni civili in cui il Maffei
produsse l'importante tentativo di sistemare storicamente tutte le norme e le
consuetudini che si erano andate sviluppando nel Meridione durante la sua lunga
e varia storia. Partendo dalle origini infatti il giurista seguiva il progresso
e il cambiamento delle leggi inquadrandole nel momento storico che le aveva
prodotte. Le sue lezioni suscitarono un grande interesse e divennero molto
frequentate e poiché succedeva che gli stessi alunni divulgavano i risultati
dei suoi studi con la possibilità di errori egli si decise alla pubblicazione,
sollecitata per altro da più parti, del frutto del suo lavoro. Nacque così la
voluminosa opera Istitutiones Juris civllìs napoletanorum
edita a Napoli nel 1784 presso Iosephum de Bisogno56.
L’interesse per la storia delle leggi nasceva in Maffei dal bisogno di una
chiara presa di coscienza dell’intero corpus juris
napoletano che era passato attraverso vari sistemi legislativi mai abrogati
per cui si era accumulata una enorme congerie di leggi farraginose e
contraddittorie che dovevano essere giustificate e spiegate proprio dalla
storia. Con lui insomma la giurisprudenza storica, rispondendo ad un bisogno di
ordine e di chiarezza, diventava investigatrice per evitare il pericolo di
travisare le istituzioni del passato con la perdita della prospettiva della
storia e di cadere negli errori della "giurisprudenza pratica" che il
secolo sperimentava. Il contributo del Maffei, nella cui scia presto si posero
altri giuristi57 fu, in conclusione, quello di aver indicato un filo
conduttore che portava il diritto, attraverso le variegate vicende del passato,
fino al suo tempo in netta opposizione con l'indirizzo antistorico del
cartesianesimo. Gli studi di cui si era nutrito gli davano il convincimento
della validità del divenire storico che si esprime nelle consuetudini che
diventano leggi, perciò Giuseppe Maffei fu uno storico particolare perché
attraverso la via delle leggi potette scendere nelle pieghe più genuine del
vivere e delle sue ragioni e quindi dare contributi validi alla conoscenza
delle più importanti istituzioni del meridione. Approfondì tra l'altro tutto il
periodo che va dalla conquista longobarda a quella normanna dando chiarezza al
controverso problema del feudo meridionale e delineando le caratteristiche
delle sue istituzioni: il demanio e le Universitas.
Insieme al Giannone, al Denina e al Grimaldi, con i
quali la scuola giuridica napoletana dava un notevole contributo - riconosciuto
anche dal Croce58 - alla conoscenza dell'ordinamento feudale
nell'Italia meridionale, fu tra gli storici che ritennero il feudo essere
apparso sotto i Longobardi e nel primo periodo normanno59. Di questi
due popoli egli dice: "Hoc vero Normannum jus in plerisque cum Langobardis legibus conveniebat (Normanni enim perinde, ac
Langobardi Germanicae originis fuere) idcirco Neapolitanae quoque consuetudines plerumque juri Langobardo consentaneae sunt, atque ex eo interpretationern caoiunt: non quod ex eo profectae sint"60.
53. G. Didonato,
Solofra nella tradizione e nella storia, III, Messina, 1923, p. 165.
54. A. Dumas, I Borboni di Napoli,
Milano, 1953, p. 136.
55. Cfr. L. GIUSTINIANI, Memorie....
cit. e G. DIDONATO, op. cit., p. 167. Sia il Giustiniani che il Didonato concordano nel sottolineare la validità
dell'insegnamento del Maffei.
56. G. Maffei, Istitutionis
Juris civilis Neapolitanorum, Napoli, 1792, introduzione. Si riporta
dal Giustiniani il giudizio sull'opera del Maffei che il "Giornale
Enciclopedico" di Napoli pubblicò nell'ottobre del 1785 alla p. 79: un
eccellente lavoro di giureconsulto che professa la vera e non sirnulata filosofia" (p. 202).
57. L. Giustiniani, op. cit., p.
201.
58. B. Croce, Storia del Regno di
Napoli, Bari, pp. 2-3.
59. A. Rinaldi, Dei primi feudi
nell’Italia meridionale, Napoli, 1886, cap. I.
60. G. Maffei, Istitutionis…,
cit., p. 56.
Giuseppe Maffei era
anche un uomo di legge e come tale nella Napoli settecentesca faceva parte di un
ceto potentissimo, simbolo di prestigio più della stessa nobiltà e di cui il
potere cercava l'amicizia. I togati avevano incarichi di rilievo distinguendosi
soprattutto nell'attività diplomatica, ma svolgevano anche un importante ruolo
civile. Erano legati ad un'antica tradizione che faceva capo a Federico II di
Svevia il cui regno, primo in Europa, aveva avuto un rigido ordine legale
protetto dai magistrati. Il fatto poi che costoro giuravano sul Vangelo
circondava di sacralità la loro opera61. Il giudizio su di loro però
non fu sempre univoco. Ci fu infatti chi li vide "autori e promotori della
vera storia dell'Italia meridionale" ma anche chi li giudicò "tutori
di tutti gli abusi, oppositori di ogni utile riforma, baluardi dei vecchio sistema feudale"62. Intanto
questo ceto era enormemente proliferato sia perché i Vicerè,
nell'intento di "sottomettere il baronaggio politico e semisovrano
alla sovranità dello stato"63, avevano creato tanti avvocati
sia perché si era sempre più ricorso "alle contese legali per non essere
schiacciati dalla furia dei baroni"64. Il fatto sta che un gran
numero di giuristi è sintomo di contrasti che devono essere risolti e se si
considera che l'alternarsi delle liti era provocato anche dal gran numero di
leggi si delinea una sorta di circolo chiuso che porta all'elefantiasi
dell'intero sistema. Gli avvocati infatti erano in ogni angolo del vivere
sociale, non si faceva nulla senza di loro, né c’era famiglia che non avesse il
suo "legista" per difendere i propri interessi. Di conseguenza era
sorta quella "giurisprudenza pratica", cavillosa, incolta,
intrigante, di dubbia moralità, disprezzata coi termine
di "paglietti", contro cui lanciò il suo feroce giudizio il Colletta
che condannava soprattutto il loro disprezzo per la pagina scritta65.
In questo quadro il Maffei, magistrato, insegnante, storico, uomo di cultura,
si colloca come colui che "disimpegna gli affari collo scrivere piuttosto
che coll'arringa"66, colui che sente tutto lo spessore politico
e civile del suo impegno teso ad incidere sulla realtà del suo tempo
"preparando i materiali utili a coloro che governano"67.
Un uomo della statura del Maffei non poteva non partecipare direttamente al
processo di rinnovamento che portò la classe intellettuale napoletana a
collaborare prima con i Borboni e poi con i napoleonidi. Giuseppe Maffei
partecipò quindi alle innovazioni del riformismo settecentesco di re Ferdinando
che acquistano particolare rilievo nella Napoli invasa dal
fermenti dell'età dei lumi. Egli, che aveva osteggiato il cartesianesimo
e che non poteva indulgere in utopistiche visioni rivoluzionarie convinto
com'era della bontà dei lenti e graduali cambiamenti che prendono spinta e
motivi nel passato, si distaccava dalle posizioni conservatrici di quella
magistratura che difendeva gli interessi costituiti. Il suo moderato riformismo
servì alla Napoli che stava scivolando nella esplosione rivoluzionaria del 1799
quando, scelto come Censore dei libri che si pubblicavano per le stampe, seppe
evitare gli eccessi di una gretta censura controllando nello stesso tempo gli
apporti che venivano dalla Francia rivoluzionaria, e quando collaborò alla
riforma della istruzione universitaria68. In seguito a quest'ultima
esperienza ebbe la nomina, nel 1788, alla guida della Commissione incaricata di
riordinare l'Università di Catania e la direzione della stessa fino a quando fu
nominato rettore dell'Università di Napoli, il 21 gennaio del 179269.
61.Cfr. M. PISANI MASSANIORMILE (a cura
di), Napoli e i suoi avvocati, Napoli, 1975, pp. 4 e sgg.
62. B. CROCE, op. cit., p. 27. 1
due giudizi riportati dal Croce sono il primo dei Cenni il secondo dello Winspeare.
63. Ibidem, p. 153.
64. G. MANNA, Della giurisprudenza e
del foro napoletano, Napoli, 1852, p. 67.
65. P. COLLETTA, Storia del Reame di
Napoli, Napoli, 1957.
66. L. GIUSTINIANI, op. cit., p.
202.
67. G. Filangieri,
Scienza della legislazione, Napoli, 1780, p. 11.
68. G. DIDONATO, op. cit., p. 169.
La riforma si concluse con l’articolazione dell'Università in 5 facoltà con
nuove cattedre e nuove materie d'insegnamento (cfr. A. Amodeo, L'Università
degli studi di Napoli, Napoli, 1972, p. 23).
69. L. GUSTINIANI, op. cit., p. 20;
G. DIDONATO, op. cit., p. 169.
La sua statura
suscitava stima e rispetto per cui, quando Napoli fu scossa dalla rivoluzione
(1799), egli rimase a Napoli senza subire alcun danno né essere disturbato. Se
la sua scuola privata fu chiusa da Ferdinando il 15 dicembre del 1798, pochi
giorni prima della fuga del re a Palermo, questo fatto si deve interpretare
come un tentativo di proteggere il vecchio professore. Non così successe al
figlio Giacinto, che, giovinetto appena diciassettenne, conobbe il carcere dei Granili e quello di Gaeta e sul quale Gaetano Rodinò racconta un toccante episodio che mette in risalto,
tra l'altro, i sentimenti che nutrivano gli allievi verso il professore
Giuseppe Maffei. Il liberale catanzarese, dunque, racconta che "in attesa dei trasferimento a Gaeta" si trovò accanto al giovane
legato "a due a due ad un'unica corda, il braccio sinistro dell'uno col
braccio destro dell'altro" e così uscirono "da Castel Capuano"
diretti "a Castel dell'Ovo". Egli rispose alla richiesta di aiuto del
giovane, che si era fatto legare vicino a lui, mirando "con molta
affezione il giovinetto grato al suo genitore" e durante la notte, poiché
Giacinto soffriva per la corda molto stretta, a poco a poco riuscì "ad
allentare il nodo in modo che il dolore diminuì"70.
Finita l'esperienza
rivoluzionaria Giuseppe Maffei fu confermato alla cattedra di Diritto romano71.
Si era nel decennio napoleonico, i due re francesi, che introdussero graduali
riforme giuridiche e amministrative, si posero nel solco delle precedenti
riforme perciò non ricusarono di servirsi degli uomini che furono in quel solco
e quindi anche del Maffei che fu tanto stimato da Giuseppe Bonaparte da essere
insignito dell'Ordine delle Due Sicilie, massima onorificenza che corrispondeva
alla Legion d'Onore di Francia72. Il primo
gennaio del 1812 all'età di 84 anni il Maffei fu posto a riposo con il grado di
Decano cosa che non gli impediva di partecipare attivamente alla vita
dell'Università perciò potette vederla completata e rinnovata e potette essere
investito delle insegne della facoltà73. Due mesi dopo, il 20 marzo,
il Maffei moriva nella sua casa di San Gregorio Armeno. Fu sepolto nella chiesa
di San Giovanni a Carbonara74. Napoli ricordò il giurista e il
professore con l'intestazione dell'ex vico San Gregorio Armeno nel quartiere
San Lorenzo75. A Solofra una lapide, posta dal Comune il 27 novembre
dei 1845, ricorda la casa ove il giurista ebbe i natali. La sua maggiore opera
ebbe ampia diffusione anche all’estero e sarà per molto tempo testo base per
gli studi giuridici76.
Si può concludere
questo tratto con l’omaggio al Maffei del latinista solofrano Antonio Giliberti
perché dimostra con quanta stima era ricordato nel suo paese natale: "Rutilat eu Lucifer
axe / Eu Maffejus eques, Patronus sedulus / aequus: Princeps ante alios omnes oracula legum
/ Enodat, vitorque Fori certamina pugnat"77.
70. G. Rodinò, Racconti
storici narrati al figlio Aristide, in ASPN, VI(1881),
p. 642.
71. L. Giustiniani, op. cit., p.
201.
72. G. Didonato,
op. cit., p. 170.
73. Ibidem.
74. Ibidem.
75. G. Doria, Le strade di Napoli, Napoli,
1943, s. v.. La strada va da piazzetta San Gregorio al
vico S. Nicola a Nilo.
76. A. Giliberti, op. cit., p. 54.
Altre opere del Maffei sono: De restitutionibus in
integrum et de praecipuis vitiis contractuum, libri II,
Neapolis, 1783, apud Bernandum
Perger: Note alle leggi civili del Domat (tradotte in italiano).
77. A. Giliberti, op. cit., p. 86.
Giuseppe
Maffei junior
Nipote del più
famoso omonimo, Giuseppe Maffei junior nacque da Giacinto il 22 aprile del 1829
ad Avellino78 dove il padre era Procuratore del re79. Fin
da giovinetto mise in evidenza una prestigiosa memoria che lo fece eccellere
prima negli studi di Belle lettere e filosofia e poi in quelli giuridici, tanto
che si laureò ad appena 19 anni e che, per essere ammesso all'alunnato di
giurisprudenza, dovette avere una dispensa particolare da re Ferdinando80.
Nel 1852 era già giudice ed autore di un Trattato sulle obbligazioni e sulle
azioni ove con ragionamenti stringati e precisi mostrava un'ampia
competenza. Fu al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, a quello di
Campobasso, poi a Salerno dove nel 1850 fu promosso Procuratore del re81.
Qui il Maffei fu chiamato ad assolvere un compito gravoso e delicato. Si era
infatti negli anni difficili in cui il Regno delle Due Sicilie dei Borboni si
trasformava in Regno d'Italia dei Savoia ma per le province napoletane il
compito di riordino delle magistrature si presentava particolarmente oneroso
tanto che il codice di procedura penale e la legge giudiziaria sarda furono
varate più tardi82. Bisogna sottolineare la validità e la
delicatezza di questa attività condotta con estrema sapienza come dimostra il
fatto che in questo periodo la carriera del Maffei non subì arresti83.
Si tenga presente che si era in un momento estremamente difficile che vide,
specie nel periodo della dittatura di Garibaldi, l'emissione di liste di
"proscritti" "veramente sillane", vide il rinnovo di capi e
di magistrati e vide molti "sospettati" e "tenuti'
d'occhio"84.
Anche nella Napoli
non più capoluogo, ove il Maffei si trasferì dopo l'esperienza salernitana, c'era una realtà difficile
che poneva ostacoli non semplici all'applicazione delle nuove leggi. Si
delineavano intanto i gravi i problemi che dilaniarono il Meridione nei primi
anni di vita unitaria: da quello del brigantaggio a quello della delinquenza
nelle province, a quelli della generale indisciplina e della diffusa confusione
presenti a tutti i livelli. E c'era il disagio della classe forense che vide
aboliti diversi sistemi vigenti sotto i Borboni non più "1egali" nel
Regno dei Savoia85. In questo clima svolgere l'attività di
magistrato era veramente difficile. Il Maffei mostrò rettitudine, acume,
lucidità nei giudizi sempre improntati ad una chiara ragionevolezza e mai
avulsi dalla realtà. Non rimase in disparte invece partecipò a tutte le
attività legate alla sua professione, fu membro di commissioni esaminatrici,
collaborò a giornali e riviste. Bisogna sottolineare soprattutto il sostegno
sentito e valido dato alla fondazione della "Gazzetta del
Procuratore" che gli permise di lavorare insieme al Carrera, all'Alianelli e all'Auriti e che pubblicò molte sue sentenze86.
78. Giuseppe Maffei fu battezzato nella
Cattedrale di Avellino dal vescovo Domenico Civarra.
Per queste notizie si è consultato l'atto di nascita e quello di battesimo.
79. Prima di essere trasferito nel
capoluogo dei Principato Ultra, Giacinto Maffei era stato magistrato a Napoli
dove aveva sposato Teresa dei baroni Amato di Afragola (cfr. C. Passerelli, Consigliere di Cassazione di Napoli in
AA. VV., Commemorazione di Giuseppe Maffei, Napoli, 1892).
80. "Il movimento giuridico",
maggio 1892. L'alunnato di giurisprudenza, che durava tre anni, era stata una
innovazione del decennio francese.
81. Era il novembre del 1859: ad appena 30
anni il giovane Giuseppe ricopriva la stessa carica del padre ad Avellino (Cfr.
G. Didonato, op. cit., p. 177; "Il
movimento giuridico" cit.; "La tribuna giudiziaria", 6 maggio
1892).
82. Il varo avvenne nel 1862. Per
agevolare questo passaggio a Napoli lavorò fin dal 6 febbraio dei 1861 una
Commissione di giuristi istituita da Eugenio di Savoia Carignano (cfr. M.
Pisano Massamormile, op. cit., p. 57; "Carlo Poerio", 25
aprile 1868).
83. Sarà Presidente di Tribunale,
Consigliere di Corte d'Appello, Consigliere di Cassazione (cfr. G. Didonato, op. cit., p. 177, "Il rnovimento
giuridico". cit.; "La tribuna giudiziaria", cit.
84. R. De Cesare, La fine di un Regno,
Città di Castello, 1900, pp. 269 e sgg.
85. V. pure M. Pisani Massamormile, op.
cit., p. 58.
86. Ibidem, pp. 59-60.
Pur essendo nato ad
Avellino e pur svolgendo la sua attività a Napoli, Giuseppe Maffei frequentò
assiduamente il paese e la casa dei suoi avi tanto che i solofrani non smisero
mai di considerarlo loro concittadino facendosi da lui rappresentare fin dal
1873 al Consiglio Provinciale di Avellino. In politica il Maffei faceva parte
del Movimento Unitario Meridionale87, il sodalizio moderato che
univa i cavourriani del sud che collaboravano con i piemontesi nel processo di
unificazione. In questa sua veste il magistrato si scontrò con Michele Capozzi che aveva retto l'Amministrazione provinciale dal
1866 al 1871 "come se fosse propria e di cui poteva fare e disfare senza
controllo"88. Proprio per battere questo predominio infatti la
Destra propose la candidatura di Michele Pironti a
Montoro e di Giuseppe Maffei a Solofra89. Il Capozzi
parò il colpo passando, cosa facilmente comprensibile in quella temperie,
nell'Unione Meridionale. Come "ultimo arrivato" però poco poteva
contare rispetto ad un uomo della statura del Pironti
e rispetto all'antica militanza del Maffei "di cui nota era la solerzia,
la scienza e l'eredità di nobili affetti"90. Il desactisiano re Michele però non si arrese: sostenne a
Solofra Luigi Ronca contro il Maffei91. Ma perse perché la
consultazione fu favorevole sia al Maffei che al Pironti.
Da allora il rappresentante solofrano lavorò ad Avellino fino alla morte accanto al Mancini e al De Sanctis svolgendo vari
incarichi92. Della sua attività provinciale in questo primo periodo
vale sottolineare solo una frase dalla relazione introduttiva ove lo stesso
dichiara che ha intenzione "di provvedere con rigore al futuro e dovere
con discrezione guardare al passato". Parlava come Revisore dei conti e
componente la Commissione del bilancio e si riferiva alle molteplici richieste
che venivano da più parti di "inchieste sulle passate contabilità"93.
Dal 1877 si impegnò nel campo delle opere pubbliche e al miglioramento delle
strade della provincia94. Si era negli anni in cui una parte della
provincia e Solofra vedevano finalmente realizzato il completamento del tronco
ferroviario San Severino-Solofra-Avellino che fu aperto il 31 marzo dei 1879
dopo molte lotte e lunghe polemiche95. Solofra soprattutto aveva
corso il pericolo, insieme a Serino, di essere tagliata fuori da questo asse
viario che, attraversando con una galleria il monte Pergola, si configurava
importante per la sua economia. Il tronco però, concesso con decreto
dittatoriale del febbraio del 1861, si era fermato in località Laura. Erano
intervenute difficoltà nella costruzione del traforo tra Solofra e Serino , ma c'era stato anche il dissesto economico della
ditta appaltatrice. Per questi motivi da più parti si proponeva di cambiare il
tracciato e precisamente da località Laura andare direttamente ad Avellino.
Questa proposta, se facilitava l'allacciamento ferroviario con Avellino,
saltava sia Solofra che Serino con grave nocumento alla economia industriale
solofrana già danneggiata dalla fine del protezionismo borbonico e dalla
"Adriatica", la via con la Puglia che aveva tagliato fuori la
provincia irpina dalle comunicazioni tra il nord ed il sud96. In
questo frangente il Maffei si prodigò soprattutto nel periodo della sosta dei lavori,
tramite l'onorevole Brescia-Morra affinché appoggiasse al governo centrale la
"tesi solofrana"97. Quando poi i lavori del tronco
solofrano iniziarono, dopo il 1877, il rappresentante solofrano alla Provincia
si preoccupò di dotare Solofra dì un'efficiente rete viaria che collegasse i
suoi rioni con la ferrovia98. Nel 1891 si riscontra dagli Atti
provinciali una lunga assenza del Maffei dal consesso provinciale e nel 1892 la
morte mentre ricopriva la carica di Consigliere di Corte di Cassazione99.
Fu il Capozzi a commemorarne al Consiglio Provinciale
la figura, mentre Solofra il 16 maggio dello stesso anno, deliberò "che
l’attuale strada denominata San Nicola e Toro soprano venisse quind’innanzi chiamata via Giuseppe Maffei"100.
87. F. Barra, Alle origini del viaggio
elettorale in AA. VV., Francesco De Sanctis tra elica e cultura,
"Riscontri", VI (1984), Avellino, Sabatia,
p. 186 e n. 3.
88. "Gazzetta del Principato
Ultra", 8 giugno 1873.
89. L'anticapozziana
Gazzetta sostenne le due candidature "per risollevare lo spirito pubblico
e ricondurre sul terreno della moralità e della legalità l'Amministrazione
della Provincia" ivi, 20 luglio 1873.
90. Ibidem, 9 febbraio 1873. La
Gazzetta così commenta: Il povero Capozzi si è in
questa circostanza trovato come il pulcino nella stoppa. Appoggiare il Maffei e
il Pironti significava suicidarsi, combatterli
comportava essere cacciato irrimediabilmente dall'asilo del1a Destra in cui eransi rifugiato per matenersi in
una posizione dalla quale al dignità del Consiglio e i
più vitali interessi della provincia esigevano che fosse sloggiato".
91. F. Barra, op. cit., ivi. La
Gazzetta parlò di "80 biglietti dei noto
Commendatore che si fecero piovere sugli elettori di Solofra per sostenere il
Ronca" e del "fedele Anzuoni andato a Solofra "per far
propaganda contro il Maffei".
92. Fu Revisore dei conti, fece parte
della Commissione del Bilancio e di quella per le liti (cfr. Atti del
Consiglio Provinciale, Avellino, Sandulli, 1874).
93. Cfr. Atti.... cit.
94. Ibidem, 1877.
95. "L'Eco del Sabato",
Atripalda, 10 aprile 1879.
96. Cfr. "La Cronaca", "Il
Corriere di Avellino", "La Gazzetta del Principato Ulteriore",
"Carlo Poerio", "L’Eco del Sabato"
degli anni 1861-1879.
97. Ibidem.
98. Ibidem. In questa attività è da
porre la costruzione del viale Principe Amedeo (detto allora Villa). Bisogna
anche sottolineare l'impegno del Maffei, non andato in porto, di impedire
l'abbattimento della trecentesca chiesa di S. Agostino dovendosi allargare la
provinciale Turci che passava per il centro di Solofra (cfr. Atti....
cit., 1886).
99. Atti…,cit., 1892.
100. AA. VV., In memoria…, cit., p.
77.
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